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Autore: K anonima    24/05/2015    0 recensioni
Lui ha spazzato via tutto il mio passato.
Lui mi ha fatto credere in un futuro diverso.
Lui mi fece del male amandomi.
Ed io non potei farne a meno.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Mi svegliai improvvisamente accecata dalla luce proveniente dalla grande finestra sulla mia destra. Mi allungai a spegnere la sveglia, accorgendomi che avevamo dormito troppo e si erano fatte le dieci. «Alzati idiota, siamo in un ritardo spaventoso» esclamai saltando giù dal letto.

La reazione di Alex fu molto diversa. Puntò i gomiti sul cuscino appoggiandosi, sbattè le palpebre più volte per abituarsi alla luce e sbadigliò.

Mi fermai davanti a lui con gli occhi spalancati mandandogli il chiaro messaggio di chi entro qualche secondo avrebbe fatto una strage, ma lui mormorò solamente un «Buongiorno principessa». Si mise a sedere e si strofinò gli occhi con i palmi delle mani.

«Sono le dieci. Non arriveremo mai a scuola, torna a letto con me dai» faceva tutto così facile. Nel suo parlare mi persi completamente nel suo sguardo assonnato, la voce roca e sensuale e i capelli scompigliati.

«So che lo vuoi, torna qui» esclamò supplicante protendendosi in avanti e afferrandomi i polsi. Mi tirò a sè e mi avvolse tra le sue braccia.

«Finiremo nei guai» mormorai anche se dentro di me non mi importava affatto. Lo sentii annuire sopra la mia testa, ma non sembrava turbato.

«Ho un'idea» si illuminò lasciandomi andare ed alzandosi dal letto. Rimasi sotto il piumone a gambe incrociate, con in dosso la sua maglietta.

«Ti piacerà piccola» si avvicinò allo stereo e inserì un disco. «Uno degli ultimi che ho comprato, uno dei miei migliori acquisti» aggiunse muovendosi nella stanza ritmicamente, seguendo la musica.

«Che cos'è?» mi concentrai sulle parole cantate da quella voce stupenda, accompagnata solo dalla chitarra. La semplicità della bellezza.

«Hozier, è un compositore irlandese. Come spiega lui le cose nelle sue canzoni non lo fa nessuno» affermò lui continuando a muoversi per la stanza. Io continuavo ad ascoltare quelle parole bellissime, con le lacrime agli occhi.

«Balla con me» mi tese la mano ed io la afferrai «Non piangere per favore» continuò con tono dolce e sincero. Volteggiammo a piedi scalzi sul tappeto per diversi minuti, ero affascinata ad Alex, dalle parole in quelle canzoni e dall'insieme delle due cose. In quanti potevano dire di aver ballato su brani stupendi con ragazzi talmente affascinanti. Arrossii al pensiero, ma in realtà nessuno avrebbe mai detto una cosa del genere. Le altre ragazze non potevano avere Alex e io non avevo nessun'altro con cui condividerlo.

"Non sei la sua prima ragazza, qualcun'altra l'ha già avuto". La mia coscienza aveva deciso di svegliarsi prima del solito quella mattina.

Cacciai lontano quel pensiero e mi accorsi che dietro la porta stazionava, coperta da uno strato di polvere, una chitarra.

«La suoni?» mi avvicinai allo strumento e lo osservai da più vicino. «Io no, tu sì per caso?» chiese lui con una punta di stupore nella voce.

«Certo» mormorai continuando ad ispezionare la chitarra, che poi spolverai velocemente ed afferrai.

Mi sedetti sul letto e la accordai con più di qualche difficoltà, non doveva averla toccata nessuno per anni.

Appena le corde mi sembrarono quantomeno equilibrate fra loro iniziai a suonare una delle ultime canzoni che avevo imparato. Senza rendermene conto stavo già cantando sopra quel giro di accordi.

«Canti anche?» smisi appena Alex me lo domandò, facendomi tornare alla realtà. Quel brano diceva talmente tanto di me, significava talmente tanto per me, che era automatico estraniarsi dal mondo.

Fissai il tappeto, imbarazzata. «Hai una voce ammaliante piccola, continua pure» disse per sdrammatizzare. Spense rapidamente lo stereo, si sedette a gambe incrociate sul tappeto e chiuse gli occhi.

Io presi coraggio e ricominciai a cantare.

Come on and let it go

Just let it be

Why don't you be you

And I'll be me

Everything it's broke

Just let it breeze

Why don't you be you

And I'll be me

And I'll be me

 

«Ehm forse la chitarra non è accordata alla perfezione» mormorai schiarendomi la voce. «Mai sentito nulla di così bello» Alex aprì gli occhi e fece un enorme sorriso.

«Cretino» alzai gli occhi al cielo e scoppiai a ridere. Lasciai la chitarra sul letto e mi fiondai su di lui, facendogli il solletico.

«Basta, basta, basta ti prego» esclamò lui cercando di fare la persona seria, con scarsi risultati.

Sentimmo il campanello suonare. Io ero sorpresa, ma mai quanto Alex. Sembrava veramente sconcertato da quel fatto, come se fosse completamente nuovo per lui. Mi guardò con fare interrogativo e poi si alzò per rispondere.

«Cazzo che ci fai qui?» lo sentii esclamare.

Mi affacciai sul corridoio e vidi una donna altissima davanti a lui. I capelli rovinati dalle troppe tinte, la pelle bruciata dal sole e i vestiti troppo grandi.

«Cosa hai fatto» la voce di Alex era così delusa che mi si strinse il cuore. Sua madre? Che aspetto terribile, non deve passarsela bene.

"Mettiti dei vestiti". Il mio cervello mi avvisò in tempo e mi infilai i jeans. Mi misi nuovamente in ascolto.

«Ho bisogno di soldi» disse lei con voce strozzata, sul punto di piangere.

«Non ti darò un centesimo, guarda come sei ridotta» mormorò lui triste.

«Non mi serve molto».

«Vattene via».

«Sono tua madre non puoi lasciarmi per strada».

Mi affacciai ancora nel corridoio per vederla meglio e potermi ricordare di lei. Quella donna che aveva addirittura la faccia tosta di chiedere così spudoratamente i soldi al figlio. Le sue condizioni più che pietose e il tanfo di alcol che emanava. Capivo bene perchè Alex avesse così tanto casino in testa e perchè lo nascondeva con il suo super controllo.

«Lei chi è?» chiese la donna indicandomi. Mi spaventai a morte e mi resi conto di essermi fatta scoprire.

«Voglio vederla» continuò con quella voce rauca che mi fece accapponare la pelle.

«No, non puoi. Non ti lascerò rovinare tutto anche questa volta. Vattene» anche il tono di Alex mi spaventava, era troppo distaccato e severo, non sembrava stesse parlando con sua madre.

«Sono a casa mia, faccio quello che voglio» esclamò lei. Mi rannicchiai vicino al letto, quasi disgustata di essere stata in quella casa dopo di lei, ma forse quando ci viveva le cose erano diverse. Mi portai le mani sulle orecchie per evitare di sentire qualsiasi cosa, ma urlavano troppo.

«Questa è mia, me l'ha lasciata papà dopo che l'hai spinto giù» era ancora indifferente anche se era chiara la sua tristezza e la morsa che gli teneva stretto il cuore.

«Non è come credi» sua madre gesticolava parecchio con le braccia, lo sentivo dal tintinnare dei braccialetti da pochi soldi che aveva appesi ai polsi.

«Lo sanno tutti, è per questo che sei stata dentro sei anni. Io ancora mi nascondo per quello che hai fatto. Vai via» Alex alzò la voce ancora di più.

«Se i figli non ti aiutano è meglio non farli nascere» replicò lei indignata. Mi venne la nausea nel sentire quella frase così incurante di ogni cosa. La sentii girare i tacchi ed uscire.

Le lacrime iniziarono a scendere sul mio viso. Mi sentivo male per lui, lui che mi aveva consolato nonostante tutto quello che aveva passato. "Sono una cattiva persona".

Come aveva fatto a portarsi tutto questo dentro senza mai scoppiare? Come poteva nascondere tutto questo dolore che sentivo provenire da lui dietro quello splendido sorriso? Come avrei recuperato la spensieratezza di quel ragazzo con cui avevo ballato circa un'ora prima?

«No, ti prego. Stai bene? Ti prego dimmi che stai bene?» esclamò correndomi incontro ed inginocchiandosi di fronte a me.

«Credo di sì» sussurrai tra un singhiozzo e l'altro. «Mi dispiace, non dovrei piangere. Dovrei starti vicino» continuai a fatica cercando di sforzarmi di guardarlo negli occhi.

«Ma tu sei qui, sei qui adesso. Se vorrai andare via dopo averla vista lo capirò, ma mi sei già vicina, sei qui» mi cullò tra le sue braccia.

«Non vado via» gli accarezzai dolcemente il petto. «Mi dispiace, non avresti dovuto vederla» mormorò lui sinceramente preoccupato per la mia reazione.

«Va bene» paragonare tutto questo alla cafonaggine di mia madre era impossibile, quella donna mi aveva fatto rimpiangere la mia, improvvisamente il menefreghismo che aveva mia madre nei miei confronti non sembrava così male.

«Ti ho portato ovunque nel tentativo di non farvi incontrare, ma oggi ho fallito» si scusò. Mi balenò in mente il weekend al mare, era per quello che era così preoccupato al telefono? Per lei?

«Non importa, tu non sei così, io lo so» lo rassicurai dandogli un leggero bacio sul collo.

«Insomma siamo messi davvero bene» scoppiò in una risata amara, ma contagiosa.

Mi asciugai le lacrime e sussurrai «Se vorrai parlare... di qualsiasi cosa, io ci sono, lo sai». Lui si limitò ad annuire sorridendomi.

 

«Pronto?» risposi al telefono con voce assonnata. Avevamo dormito tutto il pomeriggio? Quell'incontro non gradito era stato estenuante.

«Sono la mamma, vi vogliamo a cena stasera» il suo solito entusiasmo strideva alle mie orecchie, o forse era un interverenza, non lo so.

«Perchè dovremmo?» chiesi con poco garbo.

«Carlo ha tanto insistito, vuole conoscerti meglio. Porta anche Alessandro, è un piacere parlare con lui. Vi aspettiamo» e riattaccò senza darmi il tempo di rispondere in qualche modo.

Come potevo chiedergli una cosa simile dopo quello scontro con sua madre?

«Ci saremo stasera» mormorò Alex, appoggiato alla porta del bagno. Come poteva essere così bello appena sveglio quando io sembravo appena uscita da una centrifuga?

«Ha riattaccato» ribattei pensando che volesse dirlo a mia madre.

«Non lo stavo dicendo a lei, ma a te. Finchè tu puoi ancora sistemare il rapporto con tua madre, non perdiamo tempo» disse con un tono che non ammette discussioni, con le braccia conserte. E dopo quella mattina non avrei mai più potuto replicare a nulla riguardo ai rapporti familiari fallimentari.

«Se proprio devo» mi strinsi nelle spalle. «Certo che devi» esclamò tornando nel bagno per farsi la barba.

Mi alzai di scatto e lo seguii. Le nostre immagini riflesse nello specchio mi fecero sentire strana. Lui, alto e bellissimo, e io... beh non c'è molto da dire.

«Mi piace questo accenno di barba» sussurrai passandogli le dita sulle guancie.

«La tengo, solo per te».

In fondo era la scelta giusta, gli stava benissimo. Aveva l'aria di un uomo d'affari quella sera, con la camicia bianca e la giacca, ma non troppo formale con una leggera barba ispida. Per quanto bionda faceva risaltare gli zigomi e la mascella squadrata. I capelli li aveva tirati all'indietro in un codino molto indie, una delle cose più belle del mondo per me.

Lo aspettavo già pronta nell'ingresso, dove c'era ancora odore di alcol stantio dalla mattina. Rimasi a bocca aperta alla vista di quel ragazzo perfetto e sexy... e mio.

«Quanti anni mi dai?» chiese Alex facendo un giro su se stesso.

«Che uomo d'affari. Direi venticinque» e scoppiai a ridere per la domanda bizzara.

«Sembro vecchio» sul suo viso apparve un'espressione di finto terrore. Risi ancora più forte, tanto che mi venne un leggero male alla pancia.

Lui fece un cenno con la testa, sempre sorridente, e uscimmo.

 

Mia madre ci aspettava fuori di casa, bellissima devo ammettere. Indossava un vestito lungo color pesca, troppo elegante per una cena in famiglia.

Ci accolse con la sua solita euforia e appena entrammo notai Carlo in cucina, in veste più informale.

«Ti fa lavorare?» chiesi affacciandomi nella stanza. «Più o meno, mi sono offerto io» ridacchiò Carlo in un pullover grigio antracite e jeans scuri. "Mia madre almeno ha scelto bene". Mi venne in mente il compagno precedente, un pervertito cinquantenne con più capelli che buon senso, ed era tutto dire per un uomo calvo.

A pensarci mi venne da ridere.

«Gli uomini sono bravi in cucina a differenza di quello che credono le donne» mormorò continuando a mescolare qualcosa nella pentola. «Non credo ai classici stereotipi. Alex ha cucinato per me e mio padre qualche mese fa ed è un cuoco provetto» affermai con una punta di orgoglio per il mio principe azzurro.

«Te lo devo chiedere, dove si ordina un ragazzo così? L'hai preso su un catalogo per caso?» risi a questa domanda, ma non potei fare a meno di ripensare a quella mattina. In effetti Alex era davvero perfetto, aveva solo alcuni scheletri nell'armadio che non riusciva a lasciar andare.

«Nulla del genere» replicai torturandomi le mani. «Scusa, forse era una domanda inopportuna» cercò di scusarsi lui pensando di avermi urtata. «Tutto ok» lo rassicurai.

La cena passò tranquilla, a differenza della sera prima. Qualche battuta, qualche risata e sembrava tutto a posto.

«Anna, credo che sia il caso che tu torni a casa» esordì mia madre nel bel mezzo della cena.

«Non parliamone adesso, stiamo passando una bella serata» Carlo venne in mio aiuto. Io annuii con lo sguardo fisso sul piatto.

«Ha solo sedici anni, non può stare fuori» continuò mia madre senza badare alle sue parole.

Feci a tempo solo ad aprire la bocca, ma Carlo intervenì di nuovo «Sono diciotto». Persino lui ricordava la mia età, ma mia madre no.

«Quel che è» mormorò lei alzando gli occhi al cielo. «No, non va bene. Resta sempre tua figlia, non puoi comportarti così. Cerca di capirlo» il suo tono era davvero severo.

Osservai Alex sorridere e corpirsi la bocca per non farsi notare.

Gli mollai una pacca sulla coscia.

Riangraziai mentalmente Carlo per avermi salvato e per la sua comprensione.

Appena arrivò l'ora di andarsene mi tranquillizzai. Presi un'altro zaino e recuperai degli altri vestiti e dei libri.

«Finchè tu sarai qui, non credo che vivrò in questa casa» affermai nell'ingresso dopo aver salutato calorosamente Carlo.

«Sei mia mamma e... io non so più cosa fare. Io sono diventata adulta e quando lo capirai forse lo diventerai anche tu» aggiunsi prima di raggiungere Alex all'auto.

Durante il tragitto continuavo a tormentarmi le mani per il nervosismo. Il terribile dubbio che Alex non mi volesse a casa sua si era insidiato nella mia testa, soprattuto dopo quella mattina. «Vivere con te mi piace. Sono più tranquillo» mormorò posandomi una mano sul ginocchio. Come faceva a capire sempre quali fossero i miei pensieri?

«Anche a me piace» il mio tono mi tradiva. Mi piaceva davvero, ma non ero convinta che per lui fosse lo stesso. «Sei terapeutica, riesco a dormire se ci sei tu. E poi devo ammettere che voglio toglierti questo vestito dal primo momento che te l'ho visto addosso» sorrise in quel suo modo che toglie il fiato.

Giocherellava con l'orlo del vestito azzurro che avevo deciso di indossare. Era aderente e di pizzo, lungo fino a sopra il ginocchio e mi piaceva particolarmente.

«Non penso che farò resistenza» gli feci l'occhiolino cercando di ristabilire la spensieratezza di quando ci eravamo svegliati.

«Ti amo Alex» mormorai accarezzandogli le nocche.

«Ti amo principessa».

   
 
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