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Autore: Giuls_breath    24/05/2015    0 recensioni
Elena Gilbert era una ragazza come le altre almeno fino a che la sua vita non si è incrociata a quella dei fratelli Salvatore.
Tratto dal secondo capitolo:
"Mamy" sussurra addormentata.
"Amore, torna a dormire" le rispondo con dolcezza "Fai tanti bei sogni, ti voglio bene".
"Secondo te anche il mio papà me ne vuole?"
Sento il mio cuore sbriciolarsi a quella domanda così innocente e una lacrima mi riga il volto.
"Ma certo che te ne vuole. E ora fa' la nanna".
Prima storia sulla mia coppia preferita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IX° Capitolo
 
 
Sta guidando la mia macchina, diretti verso casa mia.
Ho tante cose da dirgli, ma al momento non riesco a formulare nessun pensiero coerente, troppo impegnata a studiare il suo volto, l’espressione felice che attraversa il suo viso, rapita da quegli occhi che mi lanciano delle brevi e intense occhiate.
Il tragitto si rivela breve, molto breve e io fatico ad aprire la porta di casa poiché Damon non mi aiuta molto baciandomi il collo e dietro l’orecchio provocandomi dei lunghi ed intensi brividi. Riesco finalmente ad aprire la porta e il tempo di entrare che siamo l’uno contro l’altra, mi abbraccia forte stringendomi al suo corpo e mi bacia. Questa volta oltre che sentire il dolce sapore della sua lingua, avverto anche un’intensa fitta di piacere trafiggermi il basso ventre.
“Damon.” riesco a dire allontanandomi appena dalle sue labbra, mi guarda e io lo guido nella camera da letto, mi volto per guardarlo e il suo respiro sconnesso mi sfiora le labbra schiuse. Si avvicina a me, spingendomi con la schiena contro la parete, mentre le mie mani sollevano verso l’alto la sua t-shirt scura. Guardo il suo volto e scorgo un’espressione eccitata e adorante, le mie dita scorrono sul suo petto nudo perfettamente scolpito, in una corsa che le porta a sfiorargli il collo e poi a stringere i suoi capelli corvini.
Il mio cuore accelera i battiti e porta con sé l’ultimo barlume di lucidità che ho.
Inclino il capo e lo abbandono contro il muro retrostante, mentre lui annulla la già precaria distanza tra i nostri due corpi, attraversati da un desiderio che ci perderà irrimediabilmente.
Non mi interessa.
Sento la sua pelle sfiorare la stoffa scura del vestito che ancora indosso, e una fitta di frustrazione mi pervade per via di quel tessuto che vorrei scomparisse all’istante.
Le sue mani mi sfiorano la vita e i fianchi e i suoi occhi non smettono di affondare nei miei, quasi volessero carpire anche il più piccolo mutamento di espressione.
Mi bacia di nuovo, mi travolge, inaspettato e violento.
Anche se è solo un attimo, prima che tutto torni nuovamente dolce, cadenzato. Le sue dita scorrono verso il basso a cercare l’orlo del mio vestito, per poi sollevarlo all’altezza dei fianchi, rivelando il mio intimo in pizzo nero.
La sua mano destra mi accarezza il fianco e poi segue la linea della stoffa appena sotto l’ombelico. Una sensazione di calore pulsante mi trafigge il basso ventre e per reazione premo con più decisione sulle sue labbra, cercando la sua lingua con la mia e il mio respiro si spezza.
Lui prosegue, scivolando con le dita sotto il pizzo, per poi farsi strada nella mia intimità lentamente, senza fretta. Quel gesto mi strappa un gemito che si infrange contro la sua bocca, e mi fa tremare. Mi aggrappo a lui con forza e mi abbandono alla sensazione di piacere travolgente che mi attraversa.
Lascio che si faccia spazio dentro di me, assecondando la sua carezza sempre più profonda ed esperta. Le mia labbra sfuggono alle sue, e mi ritrovo a guardarlo e a respirare sulla sua bocca ancora calda e umida.
Avverto l’altra mano incunearsi dietro la mia schiena e sento la cerniera del vestito scendere verso il basso. Agevolo il suo gesto scostandomi dalla parete e lui lentamente mi lascia andare per scostarsi di un paio di passi e guardarmi con calcolata malizia, per gustarsi la mia reazione. Io lo osservo contrariata, e pervasa dal desiderio di un contatto più intimo e profondo.
Ma lo assecondo.
Con una calma assolutamente artefatta, lascio scivolare a terra il vestito, cercando di non cedere alla tentazione di chiedergli di prendermi subito, così come il mio corpo vorrebbe.
Sono nuda, a parte il perizoma che ancora resiste, e mi avvicino di un passo decisa a reggere il gioco di sguardi che ha incominciato lui.
Non riuscirei a essere così spontanea con nessun’altro. Lo osservo, scivolando con gli occhi a sfiorare i suoi pantaloni scuri mentre una smorfia eloquente mi attraversa il volto.
Sorrido e in un attimo mi ritrovo a cadere di schiena sul materasso morbido del suo letto, con lui che mi sovrasta.
Sorride, amabilmente perfido, mentre mi blocca le mani sopra la testa.
“Ti desidero così tanto.” dice scivolando con le labbra lungo la linea del collo e poi proseguendo verso il basso, liberandomi dalla sua presa, ma regalandomi una tortura che mi spezza di nuovo il poco fiato che avevo raccolto per tentare di rispondergli.
La sua bocca disegna una scia sulla mia pelle sfiorandomi l’ombelico e scendendo pericolosamente verso l’orlo in pizzo delle mutandine. “..Damon..” lo chiamo, ma lui non si ferma e mentre le sue mani rapiscono la stoffa sottile le sue labbra mi baciano delicatamente il monte di venere. Il mio perizoma finisce da qualche parte sul pavimento e io mi aggrappo con le dita al copriletto chiaro, cercando di resistere alla sensazione intensa e travolgente che sta per farmi perdere il controllo prima del tempo.
La sua lingua stuzzica la mia intimità e io allargo le gambe per consentirgli di farsi spazio dentro di me, anche se così rischio di far finire tutto troppo presto. Giro la testa di lato e un grido di piacere si infrange sulla stoffa, poi un secondo mi avvicina pericolosamente al limite che non voglio superare. Non senza di lui.
Ma Damon pare capirlo perché riprende a baciarmi risalendo lungo il ventre e poi oltre, lungo la morbida curva dei seni, fino a trovare la mia guancia arrossata e la linea del mio orecchio.
“..Ti voglio..” mi sussurra, e io torno ad annegare nei suoi occhi, cercando di ritrovare la forza per proferire un’unica parola. “..Prendimi allora..”
Gli sfioro le labbra, baciandolo con dolcezza, mentre cerco con la mano destra di arrivare alla cerniera del suo pantalone per sbottonarlo e accarezzare l’erezione che preme sotto la stoffa.
“..Dimmelo ancora..” la sua voce si confonde col bacio che unisce le nostre bocche.
“..Prendimi..” rispondo, mentre lo aiuto a far scivolare verso il basso il pantalone insieme ai boxer neri. 
Con le dita gli sfioro per un momento il volto, prima che lui rapisca la mia mano sinistra intrecciandola alla sua, portandola a premere col dorso contro il materasso.
Cerco di nuovo con le labbra la sua bocca e mi abbandono completamente, nell’attimo in cui entra dentro di me con una dolcezza che avevo dimenticato. Il mio corpo reagisce in modo naturale accogliendolo, ma non posso non irrigidirmi per un attimo, mentre lui si muove lentamente affondando al centro del mio piacere. E’ un secondo che mi dona un brivido bollente che mi scorre sulla pelle increspandola.
Le mie dita stringono le sue con forza, e un gemito marcato si scontra con le sue labbra avide e seducenti che faticano a lasciarmi andare. Ma io voglio guardarlo e con la mano sinistra gli sfioro la guancia, per indurlo a risollevare il volto quel tanto che basta a far morire il bacio e a ritrovare i suoi occhi azzurri.
In essi mi perdo definitivamente.
Le mie labbra socchiuse si muovono in preda a un fremito che ha il sapore del suo nome appena sussurrato. Lui le sfiora di nuovo, cogliendo quella parola creata dal solo respiro e che si spande nell’aria come se l’avessi urlata.
Lo sento muoversi più veloce e ad ogni spinta il mio ventre lo accoglie regalandomi fitte di piacere talmente intense da strapparmi un grido soffocato a malapena. Incastro le dita tra i suoi capelli neri quasi cercassi in lui il modo per non cedere troppo presto a quella catena di emozioni.
Lui abbassa il viso e mi accarezza la guancia con le labbra fino a raggiungere la linea del collo e poi l’attaccatura della spalla. Avverto il suo bacio, le sue labbra che si schiudono calde sulla pelle e io mi aggrappo con più forza a lui scivolando con le dita sulla parte alta della sua schiena. Le mie unghie si conficcano nella carne prima dolcemente e poi con più violenza.
“..Elena..” il mio nome rotola sulla pelle e si perde tra i miei capelli adagiati sul letto, nell’attimo in cui sento le sue labbra risalire lungo il collo e premere su di esso in un bacio più caldo e avvolgente.
Non sento niente se non il suo corpo che affonda nel mio e lo spezza, in una danza carnale, potente e senza ritorno.
Grido contro di lui e in lui, mentre rovescio indietro la testa e mi lascio attraversare da un’ondata di piacere che si irradia dal ventre ed esplode nel cuore, trasformando il mio sangue in lava rovente.
Tremo nel sentire il suo orgasmo confondersi col mio e farci diventare una cosa sola. Un’unica spirale di passione, che ci lascia senza fiato.
Lui si abbandona su di me, la fronte posata contro il mio petto e la mano che ancora stringe con forza la mia.
Io mi sento perduta in un modo che non saprò mai descrivere a parole.
Cerco di respirare ma la mia bocca fatica a trovare l’aria o forse non vuole, perché è difficile lasciare andare un momento come quello. Gli sfioro la spalla e lui lentamente si risolleva a guardarmi, puntellandosi con i gomiti sul materasso.
Gli occhi leggermente dilatati e uno sguardo felice aleggia sul suo volto e sono sicura anche sul mio.

Non so cosa dire, credo che però a questo punto le parole non servano.
Non ora almeno.
Si sposta sull’altro cuscino del letto a una piazza e mezza – sui quali usavo dormire tempo fa – e girandosi verso di me, mi guarda. Mi volto verso di lui e lo guardo a mia volta. Mi accarezza i contorni del viso e mi lascio andare a quelle carezze, avvertendo il battito impazzito del mio cuore.
 
 
Sono sveglia.
Ormai da cinque minuti, ma ho paura ad aprire gli occhi e rendermi conto che è stato solo un sogno o che lui se ne sia andato di nuovo.
A sciogliere qualunque mio dubbio, sono due braccia che mi stringono forte da dietro, mi volto lentamente e lo vedo stringermi mentre dorme con i capelli arruffati, labbra schiuse e un’espressione serena dipinta sul volto.
Contemplerei per sempre il suo viso, quei lineamenti marcati ora distesi, se non fosse per il mio cellulare che sento vibrare nel totale silenzio della casa.
Sciolgo la presa forte delle sue braccia e mi alzo, indosso velocemente il mio vecchio pigiama e corro a rispondere.
 
‘Caroline’.
 
“Care?”
“Elena, dove sei?”
“A casa. Perché?” chiedo non comprendendo quella domanda.
“Con chi? Dimmi che non sei con Kol!”
“No, Care, sono con… con Damon.” sussurro abbassando la voce.
“Elena…” si sta trattenendo dal criticarmi – lo so – purtroppo è nella sua natura “ne riparliamo appena torni qui, piuttosto ho delle novità riguardo Kol. Stai attenta!
Tu non sai che cosa ho scoperto su di lui, su Klaus e sulla loro famiglia!”
“Caroline che cosa hai scoperto?”
“Sono loro il motivo per cui Damon è tornato/scappato!”
Quell’informazione mi lascia completamente frastornata tanto che fatico a trovare e porre delle domande dotate di un senso logico.
“Non capisco.”
“Ricordi quando ti ho detto che avevo visto il nome di Damon tra i documenti di Klaus? E ti ricordi che ti avevo detto che era diventato nervoso di colpo cioè da quando lui è tornato?”
“Sì.”
“Elena, né io né te potevamo saperlo, ma la famiglia Mikaelson è pericolosa!”
“Care, ma che dici? E come fai a saperlo?”
“Ho ricevuto stamattina un plico anonimo con una serie di ritagli di giornale mai pubblicati. Ci sono accuse di riciclaggio, droga, assassinii di tutto e da come c’è scritto lo sanno che sono i Mikaelson  che muovono i fili di tutto, solo che di prove non ce ne sono mai state a loro carico!”
“Care, io…. ascolta, sei da me, vero?”
“Sì.”
“Bene. Vai a prendere Astrid e poi restate chiuse lì in casa, io arrivo tra poche ore.
Non aprite a nessuno. Devo vedere quei documenti.
Non ho capito bene, ma mi stai spaventando!”
“Sapessi io come sto! Ero fidanzata con una specie di boss mafioso!”
Sospiro pesantemente “Tranquilla, Care, risolveremo anche questo e in questo è Damon che ci deve aiutare.”
“Se lo dici tu.”
“A più tardi e state attente.”
Interrompo la telefonata tremante.
Di chi mi fidavo?
Ora di chi mi devo ciecamente fidare?
 
“Elena?” sento Damon chiamarmi.
Torno nella mia stanza da lui e lo trovo con la testa alzata e lo sguardo proteso verso il corridoio, appena mi vede posa di nuovo il capo sul cuscino.
Mi stendo accanto a lui e lo guardo.
“Che c’è?” gli chiedo.
“Sono felice.” risponde con un sorriso e accarezzandomi la guancia “Sei sveglia da molto?”
“Da pochi minuti che mi sembrano ore.”
“Perché?”
“Sono un po’ preoccupata per… Caroline.”
“Temi che non sappia prendersi cura della sua bambina?”
Lo guardo interrogativa “Quale bambina?”
“Quella che tu tenevi in braccio qualche settimana fa.”
Parla di Astrid.
Stringo le labbra e lo guardo, dischiudo le labbra in cerca d’aria per la confessione che devo fargli. Ho la gola secca.
“Damon, quella bambina..” deglutisco “non è di Caroline. Astrid…. è mia figlia.”
Sobbalza quasi, gli occhi sgranati e le labbra schiuse quasi a formare una O.
Abbasso lo sguardo, colpevole.
“Tua figlia?” ripete “Dovevo capirlo. Ha il tuo stesso caratterino e la tua stessa grinta.” commenta, resta per qualche minuto in silenzio poi chiede “E il padre?”
“Il padre…” mi metto seduta sul letto, gambe incrociate, lo guardo solo per un breve istante e poi abbasso il capo, denudata da tutte le barriere che avevo cercato di creare negli anni per proteggere me stessa forse, più che Astrid “Il padre… è l’unico uomo che io abbia mai amato, ne sono ancora innamorata.” Damon mi guarda con un misto di tristezza e dolore negli occhi, leggo negli occhi il desiderio di farmi una nuova domanda, ma prima che possa porla continuo “Il padre di mia figlia è.. l’uomo con il quale ho passato questa notte.”
Si mette a sedere molto lentamente come se stessi mandando un fotogramma a rallentatore e ne cogliessi le sfumature, i movimenti millisecondo per millisecondo, i suoi occhi sono dilatati per lo stupore e ora per la paura, la bocca spalancata a formare una o perfetta, poi abbassa lo sguardo visibilmente shockato e mi chiede quasi in un sussurro: “Perché non me l’hai mai detto?”
“Ho provato a dirtelo.” dico sentendomi quasi colpita da uno schiaffo, da quelle parole cariche di dolore e di rimprovero “Volevo dirtelo subito quando l’ho scoperto, ma poi tu te ne sei andato e quando ti ho rivisto credevo di potercela fare da sola e volevo punirti. Per… avermi lasciata. Non ero sicura di volertelo dire, ma poi… qualcuno mi ha convinto a farlo, solo che c’è stata Vicki e poi la serata di ieri..”
Damon ha gli occhi chiusi, una mano a coprirgli gli occhi azzurri e l’espressione stravolta. Scuote la testa più e più volte come se stesse pensando a chissà che cosa, poi dalle mie labbra esce un solo rauco sussurro “Scusami.” lo guardando di sottecchi con aria colpevole.
Si volta verso di me, gli occhi azzurri mi sembrano ora attraversati da una tempesta apocalittica che sembra volermi inghiottire e far affogare, ed è come se lo facesse: mi abbraccia forte e chiede perdono per ciò che ha fatto, per il suo essere stato così debole e vile nei miei confronti, lo stringo a mia volta.
“D’ora in poi affronteremo ogni cosa insieme, va bene?
Non ti lascio più. Te lo giuro.”
Mi allontano da lui e lo guardo dritto negli occhi intimorita che quelle parole vadano nuovamente al vento “Posso fidarmi di te?”
Mi bacia dolcemente “Sì, sì che puoi.”
Lo guardo negli occhi indecisa, timorosa di lui e le sue promesse.
Posso fidarmi di qualcuno che mi ha già tradita e abbandonata? La risposta è sì, voglio fidarmi, voglio provare, voglio crederci e credergli.
Restiamo abbracciati per un po’, poi lo guardo e lo scopro fissarmi.
“Che c’è?”
“Deve essere stato terribile per te tutto questo: affrontare tutto da sola, avrai avuto tanta rabbia, tanto dolore e tante lacrime che ti hanno angosciato e appesantito..”
“Sì, ma..” poso una mano sul suo petto “..non parliamone più, ti prego. O almeno proviamoci.” taccio qualche istante “Torniamo da nostra figlia?”
“Sì.” mi risponde con tono tremante eppure curioso di guardare sua figlia negli occhi con la consapevolezza di esserne il padre.
 
“Sei silenziosa, stai pensando o temi di parlarmi?” chiede dopo circa trenta minuti di assoluto silenzio.
“Perché dovrei avere paura di parlarti? Non mi fai paura mica tu.” dico stringendo la sua mano sul cambio della Camaro, lo guardo e lui un istante dopo guarda me.
“A cosa pensi?” mi chiede.
“A quello che dovrò dire ad Astrid. Io – è giusto che tu sappia – che le ho detto che sei partito e curavi gli animali.”
“Gli animali?!” chiede guardandomi confuso.
“Non sapevo cosa dire per non farla soffrire! Che dovevo dirle, tuo padre è scappato senza dire nulla? Era meglio la nuda e cruda verità? E’ solo una bambina, Damon, non ti avrebbe mai perdonato.” dico cercando di essere il meno aggressiva possibile, per non fargli pesare troppo la cosa, ormai non servirebbe proprio a niente.
Mi stringe più forte la mano “Sono io che non so se riuscirò a perdonarmi.”
“Lascia perdere, Damon. Lei sarà felicissima di ritrovarti.”
“E tu?” mi chiede.
Guardo avanti “Io…io ti amo, Damon.” lo guardo “Però quel tempo perso.. non si può recuperare, insomma le cose le abbiamo vissute per un po’ in modo diverso. Non si può pretendere di recuperare, però possiamo cominciare a provare ad essere una famiglia, ma sai che ci vorrà molto tempo.”  Annuisce.
“Okay, tutto il tempo di cui hai, anzi avrete bisogno. Io sarò comunque qui per te… per voi.” si corregge.
Mi crogiolo qualche istante nella convinzione che tutto sarà bello e semplice una volta rientrati a New Orleans, ma un’ombra mi fa subito cadere dalla mia nuvola rosa.
“Ora che so che non sparirai.. mi puoi dire la verità?”
Mi guarda, i suoi occhi sembrano diventare di una tonalità più scura, più intensa, spero sia arrivato il momento della verità.
“Devo fare una lunga premessa” prende una pausa così lunga che sto per incitarlo a continuare “Stefan non è mio fratello.” lo guardo sconcertata sgranando gli occhi “Lui mi ha trovato. Sono stato abbandonato quando avevo sei anni.” lo vedo fissare serio la strada.
“Damon.” riesco a dire solo questo in un soffio stringendo forte la sua mano.
“Non so chi fossero i miei genitori, ho però capito e cominciato a cercarli quando avevo 17 anni, da quando ho iniziato a lavorare per Mikael, l’ho visto come un padre… quel padre che non ricordavo… anche se alla fine ha anche cercato di uccidermi!” dice con velata amarezza.
Sono sorpresa e sconcertata, tante, troppe domande si affollano nella mia mente.
Non so da quale cominciare…
“Pensavo che Giuseppe Salvatore ti volesse bene!”
“Sì, me ne voleva. Solo all’inizio però! Credeva che sarei stato docile, accondiscendente come Stefan, ma io non sono Stefan!” esclama duro “Cominciò a darmi il tormento da quando avevo 12 anni, sembrava divertirsi nell’umiliarmi, nel guardarmi dall’alto in basso in qualunque circostanza, l’ho odiato!” conclude digrignando i denti “Ero sul punto di scappare da quella casa più volte, ma ho resistito. Ho resistito solo perché.. non so esattamente il perché, ma sentivo di non dover scappare, non ancora almeno.”
“Damon, mi dispiace.” che altro posso dire? Sono sconvolta da quello che mi sta dicendo. Tacciamo e io non so se voglio più ascoltare, chiedere e affondare nel suo passato: ora capisco perché cambiava sempre argomento o perché lo evitava accuratamente, come biasimarlo?
“E poi?” gli chiedo turbata e al tempo stesso curiosa.
“Poi, compii 17 anni e lasciai casa mia, mio fratello e mio…Giuseppe decise di vendere tutti i mobili che componevano la mia stanza, beh a parte quelli che, ricordi vedesti?” annuisco ricordando lo scarno arredamento della stanza di Damon e ricordo anche la sua risposta, ma al momento lascio che sia lui a parlare “Capisci, lui mi aveva accolto in casa sua e lui mi voleva cancellare da quel posto a cui non appartenevo da principio.” i suoi occhi si velano di tristezza, i suoi occhi chiari sembrano divenire terribilmente cupi.
“Comunque.. ai miei 17 anni lasciai Mystic Falls e arrivai a Seattle, lì cominciai a lavorare per Mikael Mikaelson, lui mi ha dato un posto di lavoro e mi aveva detto che mi avrebbe aiutato a ritrovare i miei genitori.
Cosa che fece realmente… ma a che prezzo!” lo vedo deglutire e la sua mano mi stringe più forte.
Lo guardo in volto, ha un’espressione dura e persa in chissà quale pensiero che mi costringe ad abbassare lo sguardo e pensare a cose terribili. Attendo che ritrovi la forza e il coraggio, forse, di parlare perché capisco che quello che credevo di conoscere di lui, quella che avevo identificato come codardia nascondeva un baratro ancora più oscuro e spaventoso.
“Mikael mi ha insegnato le cose più brutali, mi ha insegnato ad essere spietato, a non avere pietà per l’altro, mi ha insegnato a prendere quello che volevo quando e come lo volevo. Non vado fiero di me e di quegli anni.” scuote la testa “Lui poi, sai, ha trovato realmente i miei genitori, ma non li ho mai visti. Mi fece soltanto vedere delle carte… erano morti. Scoprii soltanto mesi dopo per mano di chi. In quelle carte strappate c’era scritto che erano morti in un incidente d’auto, ma che c’erano anche dei fatti strani legati all’incidente.
Naturalmente Mikael non mi fece vedere quei strani fatti, si limitò a gettarmi il fumo negli occhi illudendosi che mi sarebbe bastata quella risposta e che non avrei indagato oltre. Cosa che per un po’ accadde, ma poi sentii delle parole strane dette dal figlio. Parlava di me e della morte causata ai miei genitori. Era stato lui.”
Lo guardo in volto e i suoi occhi mi osservano come se il nome del figlio di Mikaelson fosse lampante, fosse chiaro.
“Chi era?”
“Niklaus. Solo che tu lo conosci con il nome di Klaus.”
“Vuoi dire che…” annuisce “Klaus ha ucciso i tuoi genitori?!”
Annuisce ancora.
“Ma perché?”
“Perché l’uno era un giudice e l’altro un poliziotto.”
“E?”
Qual è il nesso tra i genitori di Damon e Klaus?
“E i miei genitori stavano indagando sulla famiglia di Klaus e lui per accattivare le simpatie del padre che si stavano volgendo verso il figlio dei loro persecutori, li ha uccisi.”
“E tu come hai fatto a scoprirlo?”
“Ho piano piano cominciato ad indagare per conto mio.
Ho cominciato a raccogliere prove contro di loro. A mio rischio e pericolo, lo so.
Raccolte tutte le prove e sottratto loro dei documenti che li inchiodavano sono dovuto fuggire, ho lasciato Seattle e ho messo un po’ di miglia di distanza tra me e loro, tornando a Mystic Falls e lì ho incontrato te. La persona più ingenua, imbranata, pura e dolce che potessi mai incrociare sul mio cammino.” lo guardo non sapendo esattamente cosa dire “Poi mi hanno trovato e allora sono scappato.” abbasso lo sguardo, ricordando tutto il dolore e il vuoto provato in quei giorni e l’odio scaturito da quell’abbandono.
“Elena” dice posando la mano sulla mia “credimi se avessi saputo che eri incinta, non ti avrei mai lasciato. Se solo Stefan me lo avesse detto!”
Sgrano gli occhi “Stefan sapeva dov’eri?”
“No, ma sapeva come rintracciarmi.
Usavamo una linea telefonica non ancora eliminata per comunicare.
Gli avevo chiesto di tenermi informato su di te, volevo sapere comunque se stavi bene.” mi volto verso di lui.
“Lo so, Stefan me lo ha detto e dire che ci sono rimasta male è poco.”
“Lo so. Però Elena non è colpa di Stefan. Stefan ha solo fatto quello che gli avevo detto io. Stefan lo sai com’è, è un tipo sempre pieno di sensi di colpa con manie di eroe tragico. Quindi ora sarà divorato dai sensi di colpa nei tuoi confronti.”
Sospiro.
“Appena tutto sarà risolto, gli parleremo okay?”
Annuisco appena.
Restiamo in silenzio per un po’ “E adesso cosa succederà? Klaus sa che Astrid è tua figlia.”
Inchioda quasi facendomi sobbalzare, mi fissa “Lui lo sa?” si porta una mano alla bocca “Che altro sa?”
“Beh, io… non so esattamente cosa abbia detto Caroline di te.”
“E’ essenziale, Elena.”
“Non lo so. Credo non molto altro.”
“Non molto altro? Elena, tu forse non hai capito: Klaus pur di avere quei documenti è disposto ad uccidere chiunque. Non avrà pietà.”
“Sì, ma cosa può fare?”
“Torturare. Uccidere. Ecco cosa è capace di fare. E lo farà se si sentirà con le spalle al muro, credimi, purtroppo lo conosco.”
“Cosa possiamo fare?”
“Non lo so ancora esattamente, ma dobbiamo proteggere Astrid. Se Klaus vuole vendicarsi… colpirà lei per colpire me.” riparte quasi sgommando.
“Tu hai detto che hai carte, prove che smantellerebbero Klaus e gli altri, perché non le hai consegnate alle autorità?”
“Ci ho provato, ma.. temo siano tutti corrotti.”
“Anche l’FBI?”
Mi guarda.
“Pensiamo a tornare da lei, poi su chi chiamare penseremo.”
Scende il silenzio, guardo fuori dal finestrino: il paesaggio sfreccia accanto a me, avvicinandosi di corsa e allontanandosi con altrettanta velocità. Ora voglio solo abbracciare mia figlia, vederla e sapere che starà bene, nient’altro.
 
Un’ora e mezza dopo circa, siamo a New Orleans. Scendo di corsa e di corsa salgo su per le scale con Damon che mi segue a ruota. Apro la porta di casa ed entro.
“Astrid!”
“Mamma!” esclama il mio pulcino correndomi incontro con le braccia protese verso di me, la sollevo e la abbraccio, mi abbraccia “Mammina.” la stringo più forte ancora, mentre sento Damon alle mie spalle chiudere la porta. “Tutto bene, cucciola?” le chiedo facendole una carezza sulla guancia.
“Sì, zia Caroline mi ha fatto mangiare wurstel e una montagna di patatine!”
“E’ monella allora zia Caroline! Le avevo detto di non farti mangiare patatine, dov’è?”
“Sta dormendo.”
“Allora non disturbiamola.” dico sorridendole, guardo verso Damon “Vuoi darmi il cappotto?” se lo sfila e me lo passa “Beh, allora… io vado di là a posarlo.” è una scusa, voglio vedere cosa dirà e come si comporterà.
Mi nascondo e quando sono certa che non mi vedano mi accingo ad osservarli.
Astrid è in piedi davanti a Damon, le manine sui fianchi e lo fissa.
E’ identica a lui, dura, decisa, e identica a me, guardinga.
“Tu chi sei esattamente?”
“Sono Damon.”
“Mi ricordo, ma cosa vuoi da mamma?” accidenti!
“Io? Niente.”
“Se vuoi far piangere, mamma, è meglio che vai via, non voglio vederla soffrire!”
Il volto di Damon si incupisce “Mamma, piange spesso?” chiede accucciandosi così da far trovare il suo volto alla sua altezza.
“Si nasconde, ma piange. Io l’ho vista spesso in questi anni.”
“Perché secondo te?”
“Aspetta che il mio papà torni, ma siccome non sa quando tornerà, è sempre molto triste. Lei però mi vuole bene quanto una mamma e un papà insieme.”
Sorride “Sono sicuro che è così. La tua mamma è una donna speciale. Io la conosco da alcuni anni. Le ho voluto e le voglio molto, molto bene e spero tanto che presto sia di nuovo felice, che presto possa sorridere sempre.”
“Lo spero anch’io.” fa una pausa “Tu però ancora non mi hai detto cosa fai qui?”
“Io..” ritorno da loro.
“Eccomi. Vi va una cioccolata calda?”
“Sìììì.” urla Astrid saltellando.
“Tu la vuoi, Damon?”
“Sì, grazie.”
“Mamma, ma lui chi è e perché è qui?”
“Tesoro, Damon ha… ha dei problemi, ha bisogno del nostro aiuto e noi di lui. Non ti farà male, tranquilla.”
“E se papà quando torna lo trova qui e poi non vuole più stare con noi?”
“Tesoro, non preoccuparti.” guardo Damon “Damon dormirà qui.”
La bocca di Astrid si spalanca “Con te?”
“No, di certo! Dormirà qui in salotto. E’ un ospite e facciamolo sentire il benvenuto, okay?”
“Io non lo voglio! Deve andare via! E se papà sta per tornare! Se pensi che vivi con lui e decide di abbandonarmi per sempre?” capisco le paure della mia piccina, ma la tranquillizzo di nuovo.
“Astrid, fai la brava. Papà capirà e anzi vorrebbe che lo aiutassimo.” le sussurro poi all’orecchio “Prova a fidarti di lui.”
“NO.” dice decisa andando con passo svelto nella sua stanza.
Damon mi guarda “Accidenti, non le sono proprio simpatico!”
“Dalle un po’ di tempo, vedrai che quando ti conosce cambierà idea.”
“Dici?”
“Sì. Dai, vieni, aiutami a preparare la cioccolata.”
“Non so neanche da dove si comincia.”
Combiniamo un po’ di pasticci, ma alla fine riusciamo a prepararla.
Chiamo Astrid, ma lei non viene.
“Vado a parlarle.”
“No” dice Damon “aspetta, vado io.” le porta la tazza di cioccolata.
 
pov Damon
 
Apro la porta della stanza di mia figlia.
Mia figlia, mi sembra così irreale, così assurdo eppure così vero.
Ho una figlia.
Devo conquistarla ancora prima di farle sapere chi sono realmente.
Mi odio, mi odio perché devo dirle una bugia. Devo fingere di essere qualcuno a lei lontano, devo fingere di essere solo un amico della madre. Devo dire di essere qualcuno che non sono e la cosa prima mi poteva anche andare bene, ora mi da terribilmente fastidio.
Astrid è seduta sul letto.
I capelli lisci scuri e un’espressione imbronciata.
“Che vuoi?”
“Volevo chiederti scusa.”
“E perché?” chiede guardandomi.
“Perché ti sto disturbando, perché so che tu mi ritieni una minaccia, un pericolo per la riunione dei tuoi genitori” mi fissa “ma se io sono qui, Astrid, è solo perché sono solo. Sono rimasto completamente solo.” abbasso lo sguardo “Sai, quando ero molto piccolo ho perso sia la mia mamma che il mio papà e io non mi ricordo neanche i loro visi, non ricordo la voce di mia madre, non so se fosse una donna dolce, paziente o se fosse scortese, non ricordo se mio padre mi dava un bacio sulla fronte prima di addormentarmi o se amava giocare con me, io non so nulla di nessuno dei due.” Gli occhi di Astrid mi guardano dolci e tristi, sembrano quelli di Elena di qualche settimana fa, occhi pieni di tristezza e dolcezza.
“Mi dispiace, ma come hai fatto?”
Per la prima volta la piccolina mi guarda con gli occhietti quasi sgranati, le manine a reggersi il volto, curiosa di conoscere la mia storia.
“Beh, Stefan mi ha aiutato e amato. Gli voglio bene e gli sono grato per quello che ha fatto per me.”
“Ma non sai proprio niente di loro? Io non ho mai visto il mio papà” abbassa lo sguardo triste “ma so che ama gli animali, li cura ed è molto lontano. So anche che presto tornerà da me e da mamma e non ci lascerà mai più.”
Poso una mano incerto sul volto di Astrid e le accarezzo il volto “Sono sicuro che lo farà, quando tutto sarà finito… sono sicuro che ti prenderà in braccio così” dico sollevandola tra le mie braccia “e ti dirà che gli è dispiaciuto stare lontano da te per tutto questo tempo e che…” le lacrime mi appannano appena la vista “non ti lascerà mai più.”
Astrid sorride e ricambio quel sorriso sincero.
La abbraccio e non mi importa se la piccola può protestare o dirmi di lasciarla andare, non ci riesco. E’ mia figlia. Sangue del mio sangue e mi sento così colpevole nell’averla lasciata sola, di averle fatte sentire abbandonate. Io riuscirò a riconquistare la fiducia di Elena e spero che un giorno, anche la piccoletta tra le mie braccia possa perdonarmi e volermi bene. 







 
....TOC TOC... 
Era da tantissimo che non mi collegavo qui.
Chiedo scusa per questa lunghissima pausa,
sono tornata e spero di riuscire a concludere 
la storia degli sventurati Elena Gilbert e Damon Salvatore.
Vista la sesta stagione?
Sono a lutto çç
Poi un personaggio cattivo, interessante e divertente me lo fanno fuori così?
Mah.
Comunque tornando alla storia spero vi piaccia, che troviate interessanti 
gli sviluppi e che mi lasciate un commentino :)
A presto.
Spero.
  
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