Fuga Romantica.
 

“Signor Holmes, in presidenza. Adesso” urlò arrabbiato il direttore, incenerendo con lo sguardo il ragazzo, che aveva la faccia coperta di fuliggine e un sorrisetto innocente stampato sulle labbra.
Sherlock non diede segno di voler eseguire l’ordine che gli era appena stato impartito, ritenendolo superfluo, in quanto uscito dalla bocca di un essere umano con un’intelligenza limitata.
“Avanti, Sherlock. Per una volta nella vita, ascolta ciò che ti si dice” intervenne il suo compagno di classe, che era rimasto lì con lui, sapendo che si sarebbe verificata una situazione del genere. Come al solito.
“Ti sbagli, John. Io ho ascoltato ogni singola parola che avete detto, solo non ritengo opportuno omaggiarvi di una mia risposta” incrociò le braccia al petto, in segno di sfida.
“Lo scusi, signor Direttore, sa com’è fatto. Posso spiegarle io, se vuole” disse con aria diplomatica John, con l’intenzione di sistemare le cose.
Il preside tossì, diventando paonazzo, seguito a ruota dai professori che si erano accalcati nella stanza, speranzosi che Sherlock, almeno per una volta, venisse punito per i risultati, spesso disastrosi, dei suoi esperimenti, che si ostinava a condurre in stanza.
Il sorriso sul volto del giovane Holmes, si allargò fino a sfociare in una risatina.
Doveva sembrargli davvero divertente, perché non era il tipo da ridere per il gusto di farlo.
John si girò a guardarlo, con uno sguardo inceneritore.
“Cosa gli hai fatto?” esclamò indignato.
“C’era qualcosa di lievemente tossico nella provetta, suppongo” rispose Sherlock, facendo intendere che la sua, ovviamente, non era solo una supposizione.
“Come mai io e te non tossiamo?”
Non ebbe il tempo di finire la frase, che il corpo docente si accasciò a terra, privo di sensi.
“Sherlock?” il tono di voce di John era un’ottava sopra, adesso.
“Non preoccuparti, l’intera scuola è nello stesso stato, eccetto noi due. Si riprenderanno e non ricorderanno quasi nulla, la tossina funziona così” spiegò il ragazzo.
“Posso sapere per quale motivo lo hai fatto?”
“Così possiamo svignarcela, almeno per una volta. Odio questa scuola, lo sai”.
“Perché io non sono a terra come loro?” chiese perplesso il giovane Watson.
“Mi sembra palese. Ho evitato che tu venissi contagiato, così puoi venire con me. A cosa pensi che servissero queste?” agitò due mascherine, che fino a qualche minuto prima erano servite a ripararli dalle tossine.
“Sherlock Holmes, tu sei pazzo” urlò John.
“Non sono pazzo, sono un sociopatico iperattivo che vuole uscire da questa scuola claustrofobica e in cui non viene insegnato nulla di utile” disse indignato Sherlock.
“Cosa dovrebbe essere, una specie di fuga romantica, questa?” domandò, scherzando solo in parte, John Watson.
Sherlock socchiuse gli occhi, soppesando le parole del suo unico amico, considerando ogni possibile significato di quelle parole.
Lo fissò per un bel po’ di tempo, con un’espressione indecifrabile sul volto, poi si riscosse e scrollò le spalle.
“Vedremo” concluse.
“Ma cosa…” John non riuscì a finire la frase, perché Sherlock lo prese per un braccio, trascinandolo fuori dal dormitorio, completamente annerito dalla fuliggine che ricopriva anche il suo volto.
“Sbrighiamoci, tra cinque ore esatte si sveglieranno”.