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Autore: genesisandapocalypse    26/05/2015    4 recensioni
Gli occhi di Luke sono vitrei, nascosti da una nube di pensieri e ricordi. Dice di aver superato tutto, ma nessuno ci crede, Eloise per prima, che riuscirebbe a mettere da parte il suo odio colossale per Michael Clifford, se potesse aiutare.
Essere scappata nell’università al centro di Sydney è stata un po’ una salvezza, per Gioia. E che lo sia pure per qualcun altro?
Ashton ha perso fiducia nelle donne da tempo e scorbutico com’è, riesce a togliersele di mezzo, ma ogni tanto sa anche essere gentile.
A Cardiff c’è stata per soli tre anni, Eva, abbastanza per tornare a Sydney con qualcosa di troppo e far rimanere secco Calum.
E Scarlett, non sa bene come, finisce più spesso in quel bar che in camera propria.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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MORTE.
 
"Nessuno ha ancora capito se la morte sia un punto o una virgola."
"La morte è scrutata solo da occhi viventi."
 
È mattina presto e lui ha appena aperto il proprio bar. Non c’è tanto da fare la mattina, dopo che si è fermato a pulire la sera stessa, se non togliere di mezzo due piatti mollati dai propri amici. Sciacqua qualche bicchiere con all’interno ancora qualche rimasuglio di birra o coca-cola, che a Eloise non piace bere più di tanto, sarà per via di Luke e la suapassione spropositata per l’alcol.
 Sospira, guarda l’orologio e capisce che mancano ancora ben cinquantasette minuti all’arrivo del resto dei dipendenti e dei primi clienti.
Si poggia al bancone con un gomito e trattiene la propria testa con una mano, mentre osserva a sguardo perso la porta. Da essa, come dovrebbe essere, non entra luce, se non un bagliore grigio e triste, perché Sydney, quella mattina, è ricoperta da nuvoloni pesanti e pronti ad esplodere, arrivando probabilmente a bagnare i vestiti che ha lasciato ad asciugare alla finestra, dopo averli lavati.
Sbuffa, dovrà lasciarli lì fuori per un altro paio di giorni, ma ha una gran scorta nel proprio armadio. Perché Ashton continui a indossare sempre la stessa roba, nessuno se lo spiega.
Il campanello suona e i suoi occhi cangianti, sorpresi, si scontrano con la stessa figura che da qualche giorno a quella parte continua a gironzolargli attorno, persino quandonon c’è fisicamente.
«Scarlett - sorride smagliante, lasciando intravedere i denti bianchi e dritti - buongiorno!» la saluta, afferra il solito cornetto al cioccolato e aspetta che si siede di fronte a lui, prima di girarsi per prepararle il cappuccino.
«Buongiorno a te, Ashton!» lo saluta lei, stringendosi nelle spalle e osservando come la maglia rossa definisca le sue spalle.
Quando Ashton si rigira, offrendole il cappuccino, lei gli sorride candidamente e si stringe nelle spalle, prendendone un sorso.
«Oggi non è una bella giornata, hm?» Scarlett si gira a guardare le vetrate, da cui c’è la bella vista del cielo scuro, mentre Ashton annuisce e sbuffa.
«Purtroppo no, ma ogni tanto qualche pioggerella non guasta - poi si gira verso di lei, la studia per un attimo - come mai qui a quest’ora?» le chiede, appoggiandosi sul bancone con i gomiti e ghignando beffardo alle guance della ragazza che pian piano si colorano di rosa.
«La colazione a casa non mi stuzzica più da quando ho assaggiato i tuoi fantastici cornetti,» ridacchia, lasciando intravedere le fossette ai lati delle guance.
Ashton ride, imitando una smorfia soddisfatta, poi la osserva mentre finisce il cappuccino.
La schiuma si raggruppa sul principio del labbro inferiore, facendolo sorridere intenerito.
«Ferma, sei sporca, hm, qui - le sfiora la bocca, poi prende un fazzoletto e le toglie la schiuma - ecco fatto,» scontra gli occhi di lei, velati di imbarazzo, che vengono subito abbassati verso il bancone, un sorriso lieve e il rossore sulle guance più forte di prima.
«Grazie,» borbotta, stringendosi nelle spalle, prima di prendere un morso del proprio cornetto.
Ashton sorride, si sofferma a guardarla con precisione, si accorge di quanto possa essere bella nella camicetta bianca e attillata, messa all’interno della gonna alta e stretta. Ha i capelli castani che ricadono lisci sulle spalle e gli occhi azzurri segnati da poco trucco, mentre le labbra sono tinte di un rosso brillante che le rende i denti più smaglianti e bianchi.
«Perché mi guardi così? Ho altro in faccia?» chiede Scarlett, in soggezione sotto gli occhi cangianti del ragazzo, mentre si pulisce le dita sul fazzoletto, dopo aver finito il cornetto.
Ashton scuote la testa e sorride.
«No, non hai nulla, mi ero solo incantato,» risponde, prendendo la tazza e posandola nel lavello, mentre la guarda ridacchiare e alzare le sopracciglia di scatto, un’espressione maliziosa in viso.
«Eh, lo so, una bellezza come me può solo che far incantare!» si scosta i capelli e ridacchia, seguita da Ashton, che di dirle che la trova bella non ha il coraggio.
Scarlett poi si alza, prende il portafoglio ma Ashton le posa la mano sulla sua.
«Lascia perdere, offre la casa.»
«Non può sempre pagare la casa, Ashton - inizia, scuotendo la testa - non ho mai pagato, qui,» aggiunge, aggrottando la fronte.
Lui alza le spalle e sorride nuovamente, spingendole il portafoglio verso la borsa.
«Non importa, vai ora o arrivi in ritardo,» guarda l’orologio e poi nuovamente lei, che sbuffa ma gli sorride.
«D’accordo - afferra la borsa e scontra gli occhi chiari con quelli di lui - ma la prossima volta pago!» dice, decisa, prima di girarsi e avvicinarsi alla porta.
Si sorridono un’ultima volta.
 
È presto, ma lei è già di fronte all’università, uno sbadiglio sulle labbra e la stanchezza visibile a causa delle poche ore di dormita.
Ha lasciato il dormitorio con fretta, che di rimanere a sentire Paola e la sua ansia pre-esame proprio non le andava, ed eccola seduta su una panchina, ben lontana da quelli che dovrebbe chiamare amici, con le cuffiette nelle orecchie, dove i Marianas Trench stanno intonando Fallout, una delle sue canzoni preferite.
Vorrebbe solo starsene sdraiata sul letto, vista la sua stanchezza, ma non si azzarda a saltare un giorno di scuola senza un valido motivo, perché le è costato caro venirci ed è l’unica sua salvezza. I genitori non la chiamano da ben tredici ore e questo è un risultato enorme, perché Gioia, di stare appresso a genitori iperprotettivi e asfissianti non ne ha voglia. Del resto, è venuta all’università in città solo per questo: levarseli di torno.
Tanto, nel suo quartiere, aveva sì e no cinque amici, con cui non è mai potuta uscire, perché “c’è brutta gente in giro” le dicevano sempre.
Ora ha vent’anni da compiere, da lì a qualche mese, e un infinito senso di libertà.
La panchina viene occupata da qualcun altro, oltre lei, e subito si gira a capire chi è, perché la mattina non sopporta quando la sua solitudine viene intralciata da studenti vogliosi di chiacchierare o di ripetere qualche materia.
Ma ecco che i suoi occhi si illuminano. Sorride smagliante, prima di togliersi le cuffiette.
«Luke!» lo saluta, arrossendo leggermente appena il ragazzo le sorride. Si accorge di come, da qualche giorno, sembra più felice, di come riesce a farle un sorriso decente - sebbene sia sempre pallido e lieve.
«Ciao Gioia - le dice lui, infilandosi il telefono in tasca, prima di tirar fuori le sigarette - ti dispiace se fumo?» e non è un maleducato, se a Gioia dovesse dare fastidio, resisterà fino alla ricreazione, ma questa scuote la testa e socchiude gli occhi.
Sì, in realtà l’odore non è tra i suoi preferiti, ma non gli eviterà di fare una cosa che, magari, sebbene sia a suo discapito, lo faccia star meglio.
«Fai pure, tranquillo,» lo rassicura, posandogli una mano sulla spalla.
«Come mai sei qui sola?» le chiede lui, appena accesa la sigaretta, girandosi nuovamente a guardarla.
Gioia si stringe nelle spalle e tira fuori un sorrisino delicato, scontrando gli occhi scuri con quelli di lui, chiari quanto il cielo d’Australia in un bel giorno.
Non questo, comunque, perché ci sono certi nuvoloni che fanno passare la voglia di uscire di casa.
«Beh, con i miei amici ho chiuso i ponti,» ammette, socchiudendo gli occhi e ricordandogli del giorno prima, dove lui l’ha beccata a litigare con Manuel.
«Non dovresti, non per me,» Luke scuote la testa, si avvicina un poco di più a lei e si morde il labbro inferiore, prima di prendere un altro tiro della sigaretta.
«Non potevo far finta di nulla, Luke - Gioia si acciglia, aggrottando la fronte - tu seiimportante, più di quanto pensano loro, e non mi importa se gli altri non vedono ciò che vedo io. Sto bene con te e certamente non ti lascio perdere per dei cretini che ti insultano senza conoscerti,» gli dice, il tono deciso che non ammette repliche.
Luke rimane in silenzio, prende nuovamente del fumo dalla propria sigaretta, prima di lasciarsi sfuggire un sorrisino.
«Grazie Gioia,» le sussurra, senza nemmeno guardarla, scontrando appositamente una mano con il suo ginocchio.
Rimangono in silenzio per un po’, il tempo che ha Luke per buttare a terra la sigaretta, lei con un sorriso sul volto e lui con un gran senso di gratitudine.
«Ti piace la pizza?» chiede lui, poco dopo, grattandosi la punta del naso, al che Gioia si gira a guardarlo, ridacchiando.
«Certo,» risponde.
«Quindi, se tipo un giorno, ne avessi voglia, ci verresti con me a prenderne un pezzo?» si gratta la nuca con imbarazzo e la sente ridacchiare nuovamente, intenerita da Luke e il suo impaccio.
«Sì, Luke, ci verrei volentieri - ammette, posandogli una mano sulla coscia - tipo domani ne avrò voglia, tu che dici?» aggiunge, le sopracciglia inarcate verso l’alto e un ghigno sul viso.
Luke si illumina, sorridendo e annuendo.
«Vada per domani, allora!» dice, prima di alzarsi.
È ora di lezione, ma lui lo sa che non ascolterà nemmeno una parola, troppo impegnato a escogitare qualcosa per il giorno dopo.
 
Eva sta camminando a passo svelto, un sorriso sulle labbra rosee e gli occhi luccicanti di emozione. Le manca solo lei e le tocca sbrigarsi, perché è pomeriggio tardo e non può mica entrarle in casa nell’ora di cena.
Il cellullare le squilla nella tasca, lei lo afferra e allarga il sorriso, quando il nome di Michael lampeggia sullo schermo.
«Ehi, Mich!» lo saluta, la voce allegra e forte.
«Eva, come va?» lui ridacchia dall’altra parte.
«Benissimo, e te?» guarda a destra e a sinistra e poi attraversa la strada, tenendo il telefono all’orecchio.
«Una pacchia - le dice, Eva se lo immagina sdraiato sul letto, le mani incrociate dietro la nuca e un sorriso sornione sulle labbra - che stai facendo?» le chiede, in un sospiro.
Eva sorride, si morde il labbro inferiore e infine ridacchia.
«Sto andando a trovare una persona,» dice, sul vago, entrando nella strada della casa.
«Chi?» Michael, confuso, aggrotta la fronte.
«Indovina!» esulta Eva, emozionata e felice.
«Luke? Ashton?» tenta Michael, mentre Eva scuote la testa.
«No.»
«Eloise?»
«Nemmeno!»
«E’ rimasto solo Calum!»
«No, nemmeno lui.»
«Dio mio, ma chi è? Dimmelo, mi arrendo,» le dice esasperato, intanto che Eva si è posizionata di fronte alla porta di legno scuro, il cuore che batte all’impazzata.
«Zoe,» gli dice.
A Michael si blocca il respiro, sgrana gli occhi e si mette ritto a sedere, scuotendo la testa, disperato.
«No, Eva, non ci provare nemmeno - inizia, non sapendo che fare - no, non mi sembra il caso,» Eva si acciglia, aggrotta la fronte ma non ha voglia di ascoltarlo, ormai è arrivata.
Che poi, perché tutta questa agitazione?
«Ormai sono qui, quindi vado. Ciao, ciao, Mich.»
«No, ferm-» lo sente urlare, prima che chiude la chiamata.
Guarda la porta e prende un profondo respiro, le mani stanno sudando dall’ansia e sente le gambe tremare. Quanti anni che non vede quella porta? Che non vede il viso di Zoe? Il suo sorriso, i suoi occhi chiari e i capelli scuri?
Porta il dito sul campanello, respirando profondamente un’altra volta, prima di premerlo e sentirlo risuonare tra le mura all’interno. Non deve aspettare tanto, prima che dei passi si avvicinino alla porta. Quest’ultima si spalanca.
Eva sorride, alla vista della signora Murphy, un enorme senso di nostalgia la travolge.
«Salve signora Murphy, si ricorda di me?» le chiede, gli occhi della donna, velati di quel pizzico di vecchiaia, si illuminano, splendendo, mentre un sorriso sulle labbra secche le viene rivolto.
«Eva? Sei davvero tu? - la guarda, allarga le braccia e si avvicina - mio Dio, come sei cresciuta! - le guarda il ventre gonfio, a cui nessun sguardo sfugge - sbaglio o hai qualcosina lì dentro?» l’abbraccia stretta, perché le è mancata persino a lei, una donna di sessant’anni che si sentono e si vedono.
Era come una seconda figlia, del resto.
«Sì,» Eva ridacchia, prima che la donna la inviti all’interno, facendola accomodare sul divano.
«Allora, cosa vuoi che ti preparo? Un the? Una cioccolata?» la signora Murphy le sorride, in piedi vicino alla cucina.
«Oh, non si preoccupi, ho appena mangiato qualcosa a un bar,» le dice, prima di invitarla a sedersi accanto a lei.
«Allora, Eva, come mai sei tornata?» Eva si stringe nelle spalle e sorride, un pizzico di amarezza nello sguardo, prima di passarsi una mano sulla pancia.
«In situazioni del genere, si ha bisogno della propria famiglia accanto,» le dice, ridacchiando, al che la donna annuisce.
«Sono felice, davvero - le carezza una spalla - come mai sei passata per qua?» chiede ancora.
«Oh, sono venuta a trovare Zoe, è in casa?» vede la donna gelarsi, lo sguardo velarsi e una smorfia di dolore sul viso. Scuote la testa, sorridendo amara alla domanda ingenua della ragazza, mentre le accarezza una guancia.
«Non te l’hanno detto, tesoro?»
«Detto cosa?»
«E’ successo tempo fa, tu eri già andata via - sospira, il petto squarciato dal dolore - c’è chi è riuscito a superare tutto, chi no, ma vedi..»
«Vada al punto, la prego.»
«Tesoro, Zoe se n’è andata.»
«Andata dove?» ed Eva, davvero, non vuole capire. Sorride nervosamente e la guarda, gli occhi sgranati.
«Zoe è morta, Eva,» e il mondo si ferma,  così come il suo cuore.
Eva ride, si alza di scatto e fa finta di non sentire il corpo tremare.
«Cos’è, uno scherzo?»
«No, mi dis-»
«No, non è vero! - urla, iniziando a incamminarsi verso la stanza dell’amica - Zoe! Non è vero, è una cazzata! Zoe, cazzo, esci!» apre la porta di scatto, facendola sbattere sul muro. La rabbia e la paura che l’hanno avvolta.
E quando nota la stanza totalmente vuota, sente il cuore sgretolarsi.
 
Eloise, finalmente, esce dal bagno, dopo esserci stata per venti minuti buoni, osservando con occhi affilati il resto del gruppo. Al bar non c’è nessun’altro, sarà per il brutto tempo, dove tutti preferiscono rimanere a casa sotto le coperte.
Non fa in tempo a sedersi che la porta si apre velocemente, il campanello si scuote e risuona per qualche secondo di troppo.
Si girano a guardare chi ha causato tanto scompiglio, ritrovandosi di fronte Eva, fradicia da capo a fondo, un cipiglio arrabbiato sul volto e gli occhi arrossati e furiosi.
«Siete tutti dei pezzi di merda! - urla, sbattendo a terra la sua borsa, il pianto che risale e le annacqua la vista - non me l’avete detto! Per quanto avreste voluto tenermelo nascosto? Lei era la mia fottuta migliore amica, stronzi!» sclera, lasciando tutti a occhi sgranati.
«Eva, asp-» Michael prova a calmarla, scende dallo sgabello e porta le mani avanti, lo sguardo preoccupato ma comprensivo.
«Sta zitto tu! Perché non me l’hai detto? - si rivolge a lui, prima di tornare a guardare tutti gli altri - e che cazzo mi guardate così? Voi, che ce l’avete tanto con me, vi siete divertiti a tenermi nascosta una cosa del genere?» nessuno risponde, c’è chi abbassa lo sguardo e chi si morde le labbra.
«Eva, non capisci ch-»
«Che è cosa? Difficile da dire? Cazzo, avreste dovuto dirmelo, era mio diritto saperlo. E come lo sono venuta a sapere? Da sua madre, quando sono andata a trovarla! Era la mia migliore amica!» e poi scoppia a piangere, perché fa male realizzare una cosa del genere.
Zoe se n’è andata, la sua migliore amica non c’è più e chissà per quale motivo. E lei non c’era, nei suoi ultimi giorni. Avrebbe potuto godersi i suoi ultimi momenti, starle vicino, e invece no.
Si porta una mano di fronte alle labbra, vorrebbe urlare il suo dolore, mentre i sensi di colpa la impossessano.
Calum stringe tra le mani la lattina, osserva il dolore di Eva - che è un po’ quello di tutti - e, davvero, non dovrebbe, non vorrebbe, la sua testa sta combattendo ciò che gli dice l’istinto, ma quest’ultimo è più forte.
Si alza, un “fanculo” sussurrato, e in qualche falcata la raggiunge, stringendola a sé e accogliendo il suo pianto tra le braccia, incurante dei vestiti bagnati e del trucco che probabilmente andrà a rovinargli la maglia grigia.
Delicatamente la spinge verso il retro del bar, verso gli stanzini, mentre sente le mani di lei acchiappare i lembi della sua maglietta, il corpo che si scuote per i singhiozzi disperati, parole sussurrate e senza senso. Si chiude la porta alle spalle, prima di poggiarsi al muro, continuando a cullarla con gentilezza, una mano che passa per i capelli biondi e profumati di lei.
«Calmati,» le sussurra, stringendola più forte.
«Io non c’ero! Lei aveva bisogno di me e io non c’ero!»
«Non è colpa tua!»
«Ma non c’ero, capisci? Non ci sono stata a sui ultimi momenti - piange più forte, incastrando il viso nel suo collo - sono una cogliona, sono solo una cogliona!» Calum le circonda la schiena e se la tiene stretta, il cuore gli batte nel petto velocemente e sente lo stomaco attorcigliarsi, ma fa finta di nulla, reprimendo ogni pensiero strano.
«Non sei una cogliona - la sente calmarsi pian piano mentre una mano passa sulla spina dorsale, l’unico modo per farla calmare, da quel che ricorda - e non è colpa tua, è successo e non puoi farci nulla, né ora né prima,» Eva arriva a respirare più lentamente, i singhiozzi finiscono, ma le lacrime continuano a scendere per qualche minuto.
Le braccia di Calum la stringono con forza e la fanno sentire rassicurata. Il profumo maschile le stuzzica le narici ed Eva chiude gli occhi, aspirandolo meglio, prima di staccarsi a mala voglia e asciugarsi i residui del pianto da sotto gli occhi.
«Grazie - sussurra, cerca di sorridere ma proprio non ci riesce - forse mi conviene andare,» aggiunge, la voce ridotta a un tremolio sforzato.
«Diluvia fuori, ti accompagno.»
«Non c’è bis-»
«Ti accompagno e basta, vieni,» apre la porta e la guarda, non può non trovarla bella persino in condizioni disastrose come ora, con i vestiti e i capelli bagnati e il volto segnato dalla disperazione.
Non avverte gli altri, capiranno da sé.
Eva cammina dritta, non guarda nessuno ed esce fuori, Calum alle calcagna che la copre dalla pioggia con il proprio ombrello.
E ok, è forse la giornata più triste della sua vita, sente il cuore a pezzi e si tocca la pancia per provare un minimo di forza, ma non può non scapparle un sorrisino quando si siede sui sedili in pelle della macchina e vede Calum fare lo stesso.
Non può evitare di sorridere nemmeno quando, girandosi a guardarlo, lo becca a fare lo stesso con lei.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccomi qui con un nuovo capitolo, che spero vi piaccia. 
Allora, abbiamo un primo momento tra Scarlett e Ashton, nulla di significativo, ma pian piano i due si stanno affezionando l’uno all’altra.
Poi ci sono Luke e Gioia e il nostro ragazzo che, a modo suo, le chiede di uscire. 
Eva, purtroppo, scopre che la sua migliore amica è morta. Nessuno di loro ha avuto la decenza di dirglielo e lei lo è venuta a sapere a sorpresa, probabilmente riportando pure la mamma a vecchi ricordi.
Infine, la bionda sbrocca agli amici - come biasimarla? - ed ecco che il nostro Calum non resiste e l’abbraccia. Questo momento fluff tra loro due mi ha intenerito troppo.
Alla prossima, mie care lettrici!
Bye bye,

Judith. 
 
  
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