Capitolo
13
Ero fuggita come una codarda. Ritrovarmi
mia madre lì, spuntata dal nulla senza preavviso, mi aveva colto di sorpresa,
mi aveva spiazzato. Era il mio incubo peggiore ed io non avevo potuto far altro
che scappare.
Quella notte non dormii neanche un
secondo, quindi quando mi alzai il giorno dopo, avevo delle occhiaie che non
facevano nessuna invidia all’occhio nero che avevo fatto a Ryan il mese prima.
Mi ero recata in palestra con più di
mezz’ora di anticipo e invece di andare a correre iniziai a prendere a pugni
qualsiasi oggetto o manichino che sembrava volermi sbeffeggiare.
Andai avanti fino a quando non arrivò
Dimitri, il quale mi trovo in un bagno di sudore. La parola sexy non rientrava
di certo nella mia didascalia quel giorno.
“Rose, da quanto tempo sei qui?”.
Non mi ero accorta di essere così a
corto di fiato, fin quando non mi ritrovai a respirare affannosamente per
rispondere.
“Qual-che mi-nuto...”
Lui alzò un sopracciglio per far
intendere che non se la era bevuta.
“O… for-se più…” dissi in quella che
credevo sarebbe finita in una crisi respiratoria.
Lui sbuffò un po’ arrabbiato poi mi
prese per un braccio e mi trascinò di forza nel bagno vicino. Una scarica
elettrica partì dal punto in cui mi aveva toccato e mi passò per tutta la
schiena. Lo guardavo scettica, non capivo che stesse facendo. Solo quando mi
prese le mani e lo portò sotto il getto ghiacciato dell’acqua mi accorsi che mi
ero ferita, di nuovo, le mani.
Storsi il naso al pensiero dello spreco
di energia di Lissa. Non erano passate neanche 24 ore da quando mi aveva
guarita.
Quando chiuse il rubinetto, mi prese
delicatamente le mani in un asciugamano e me le tamponò piano, poi prese la
valigetta medica e mi disinfettò le ferite per poi passarci sopra della garza
cicatrizzante. Non erano delle semplici sbucciature, mi ero fatta delle gran
belle lesioni.
Per tutto il tempo della medicazione
eravamo rimasti in silenzio. Lui mi medicava con un tocco così leggero che non
credevo che le sue forti mani muscolose fossero in grado di fare, ed io lo
guardavo in ogni suo più piccolo dettaglio. Quando finì incrociò il mio sguardo
e ciò che vidi fu preoccupazione. Era travolgente il modo in cui i suoi occhi,
quando lui lo permettesse, fossero così espressivi. Distolsi per prima lo
sguardo, in quanto imbarazzata dalle emozioni che si frastagliavano tra di noi,
in lui e in me. Non ero più in grado di controllare niente. La testa mi faceva
male, pensavo di essere riuscita finalmente a vivere un periodo di calma e
invece, tutto si andava di nuovo a incasinare.
Mi alzai e me ne andai. Avevo bisogno di pace. Non ero in grado di gestire tutto
questo.
“Rose”
lo sentii chiamare, quando fui sullo stipite della ports, ma io non potevo
affrontare tutto, non lì, o sarei crollata. Al suono della sua voce dalla
sfumatura preoccupata avevo tentennato sui passi, ma mi costrinsi a non
fermarmi e mi avviai al mio paradiso zen.
Arrivata nei pressi delle rose presi una
grande boccata d’aria beandomi del loro profumo. Era sbagliato, lo so, ma i
timori pian piano si dissolsero, il grande dolore che sentivo nei confronti di
Dimitri si attenuò e il male provato quando avevo rivisto mia mamma sembrò un
esagerazione.
“Non dovresti passare troppo tempo
qui!”.
Dimitri a quanto pare mi aveva seguito.
Una parte di me era abbastanza lucida da sapere che i miei problemi non
sarebbero scomparsi e che quello che provavo era una pia illusione; ed ero una
debole, perché mi stavo avvalendo di una scorciatoia per non affrontare la
situazione, ma non avrei potuto reggere quello che sentivo dentro un secondo di
più.
“Lo so…”
Lui mi guardò sorpreso, di sicuro si
chiedeva se io sapessi cos’erano veramente quelle rose, perché di sicuro lui lo
sapeva e me lo aveva già fatto capire una volta. Solo che all’epoca non sapevo
la verità.
“… Per questo sono venuta qui!”.
Con un cipiglio di rimprovero misto
sorpresa si avvicinò di più a me.
“Hai visto tua madre!”.
Non era una domanda, ovvio. Doveva
averla vista e Dimitri sapeva leggermi dentro. Sapeva che avrei sbarellato,
perché in qualche modo sapeva capirmi. Tiranno, il mio cuore batté furioso.
No, accidenti, non dovevo lasciarmi
andare così. Dovevo mantenere quel solido muro che avevo costruito intorno al
mio cuore.
“Già.” Dissi tesa.
Sentivo il calore della presenza vicina
di Dimitri. L’aria sembrava elettrica fra noi.
“E lei hai parlato?”.
Io risi amaramente.
“No, sono fuggita… come una ladra!”.
Avevo risposto un po’ aspramente,
ripensarci mi aveva fatto provare disprezzo, per me stessa, ma solo per un
secondo. Le rose si portarono via tutto il mio disappunto.
“Di cosa hai paura?”.
Il suo tono era calmo e dolce, così
forse non lo avevo mai sentito. Mi spiazzò per un secondo, la mia mente cercava
di afferrare qualcosa che doveva mettere a lucido, ma non ci riusciva, così mi
concentrai sulla sua domanda, e rispondere fu, ovviamente, facile.
“Temo di essere rifiutata… in faccia…
perché è così che mi sono sentita per tutta la vita.”
Anni e anni di frustrazione
semplicemente riassunti in una frase così breve, eppure così vera. Il fatto che
mia madre non passasse con me i compleanni o le feste, come accadeva invece
agli altri dhampir o moroi, o che non mi chiamasse mai o non si facesse mai
vedere, mi aveva fatto sentire sbagliata, non voluta, rifiutata…
Sentivo tutti elogiare il grande
guardiano Janine Hathaway e mi veniva il vomito sapere che quel nome fosse lo
stesso di mia madre, che tutti mi invidiassero per essere sua figlia, ma io non
mi ci sentivo.
Lo sguardo di Dimitri si era addolcito e
sembrava volermi consolare, era davvero strano, non era da lui. Con una mano
prese ad accarezzarmi il viso, io cercai di sorridergli.
Si, non era decisamente da lui e una
scintilla mi fece ricordare che eravamo in prossimità delle rose.
Non sapevo quanto queste su di lui
avessero effetto, ma mi sentivo in colpa approfittare così di lui, sarei stata
tutta la vita in quella posizione, ma non era giusto ne per lui, ne per me, che
mi illudevo e basta.
“Forse dovremmo allontanarci un po’ da
qui!” sussurrai roca, involontariamente.
Una scintilla di lucidità si accese nel
suo sguardo, che presto si tramutò in quello impassibile che aveva sempre tra
la gente. Ritirò come scottato la sua mano e si allontanò di qualche passo
dalle rose, ma non se ne andò. Era comunque qualcosa.
“Ti chiedo scusa…” disse lui poco dopo,
freddo.
L’avevo raggiunto e l’effetto delle rose
stava diminuendo, il mio dolore interiore stava tornando più forte di prima.
“E di cosa?” gli dissi decisamente
acida.
Lui si stupì al mio tono ed io scossa
dal suo sguardo mi calmai un po’ e cambiai argomento.
“Lo so che lo spirito contenuto in
quelle rose non risolverà i miei problemi.” Ero amara e triste mentre gli
parlavo “Necessitavo però di quella pace che sanno darmi, sono stanca di
provare tutto questo dolore, perché poi mi farà esplodere e sappiamo entrambi
le cazzate che potrei combinare. Stavo migliorando e lei è rispuntata.”
Il cipiglio freddo di Dimitri parve
riscaldarsi.
“Forse è l’occasione giusta per
affrontare anche questo tuo ultimo scheletro nell’armadio.”
Sembrava volesse dirmi qualcos’altro, ma
non ne ero veramente sicura.
Ringhiai dalla frustrazione.
“Insomma non chiedevo tanto nella mia
vita, solo farmi credere che di me gli importasse qualcosa. Mio padre non so
neanche come si chiama. Non so se sono nata da una atto d’amore o se magari si
è comportata come una sgualdrina di sangue. Forse sarei stata meglio in una
comunità, almeno avrei saputo cosa il futuro mi aspettava.” Sputai schifata questo
mio pensiero di rabbia e ciò che non mi aspettai, fu la sua reazione.
Si allontanò leggermente da me, nel suo
sguardo una punta di rabbia.
“Ma come credi sia la vita nelle
comunità?” mi sussurrò duro. Ero rimasta davvero scioccata dalla sua reazione.
Insomma, non ero abituata a tutti questi cambi d’umore, lui di solito era così
calmo e attento, pronto a difendersi e a difendere a qualsiasi spostamento
d’aria. L’unica emozione che emanava di solito era una rispettosa aria battagliera,
ma ovviamente avevo detto di solito, ovvero tra la gente della St. Vladimir
Academy. Lui con me, non capivo perché, era diverso, forse se stesso.
Lo vidi chiudere gli occhi e respirare
profondamente per calmarsi. Si, era davvero arrabbiato, ma per cosa, per le
comunità?
Oh,
no.
Di sicuro sbiancai quando il mio
cervello iniziò a ragionare.
“Dimitri… io… non volevo insinuare
niente, mi dispiace se ti offeso.”
Ero prossima alle lacrime, tutto avrei
voluto tranne che ferire in qualche modo lui.
Se avevo capito bene la sua reazione, lui era cresciuto in una comunità di
sgualdrine.
Quando riaprì gli occhi era di nuovo
calmo, ma non parlava, mi osservava.
“Scusami”singhiozzai.
Mi portai il dorso della mano alla
bocca, come per fermare i singhiozzi che mi scuotevano dalla testa ai piedi.
Ero esausta dalle emozioni e lui era la goccia che fece traboccare il vaso.
“La gente spesso e volentieri parla
senza sapere bene quello che dice. So bene cosa si dice delle comunità in cui
vivono i dhampir che non prestano la loro vita al servizio dei moroi, eppure
sono cresciuto in una di quelle famiglie e ti posso assicurare che sono
famiglie piene d’amore.
Avevo smesso di singhiozzare, ma
piangevo ancora.
“Non te ne faccio una colpa per le tue
parole, non potevi sapere.”
“I-io…” balbettai “non so niente del
mondo là fuori. Non so cosa di c’è vero e cosa no. Conosco solo quello che ho
sempre sentito dire tra le mura di un’accademia”.
I suoi occhi parvero addolcirsi.
“Non te ne faccio una colpa, Rose. Non
sono arrabbiato con te.”
Tirai su col naso. C’era qualcosa che mi
sfuggiva.
“E’ per questo che eri attacca brighe
quando eri un novizio? Ti prendevano in giro?”.
I suoi occhi scintillarono.
“Anche.” Rispose.
La cosa però mi insospettì, affilai lo
sguardo e lui di tutta risposta si mise a ridere.
L’avevo già detto vero che soffre di
personalità multipla?
Lo guardavo incredula.
“Rido, perché non ti sfugge nulla,
Roza”.
Mi riscaldòil cuore quando mi chiamò
così. Non era perché lo faceva anche Nikolai. Il mio vecchio mi faceva provare
affetto, lui mi faceva battere il cuore. Furioso.
“Ero attacca brighe è vero, ma solo con
i moroi… maschi.”
Mi bloccai quasi senza respirare, ero
sempre attenta quando lui mi raccontava qualcosa di se stesso, della sua vita.
Quando si confidava… con me.
“Io so chi è mio padre”.
Lo guardai incredula, le famiglie nelle
comunità potevano essere amorevoli, ma non era certo grazie ai moroi maschi,
che invece se la spassavano e non restavano mai a lungo. Era raro perciò che
qualche dhampir sapesse chi fosse il padre.
“ In uno strano modo gli piaceva mia
madre, quindi lo vedevamo spesso per casa. Inoltre, è anche il padre di una
delle mie due sorelle. “Si bloccò mentre si massaggiò per brevi secondi le
tempie, di sicuro stava rivivendo quello che di sicuro era un ricordo orribile.
Quando riprese a parlare mi guardò fisso negli occhi, ma forse ero solo il suo
punto di riferimento, perché nel suo sguardo non vedevo me, ma i suoi ricordi.
“Quando veniva però non trattava bene
mia madre.”
“In che senso?” sbottai presa dal suo
racconto.
“Nel senso che la picchiava, e lei lo
lasciava fare…”
Mi portai le mani alla bocca al pensiero
di cosa avesse vissuto.
“Ti prego, dimmi che gliel’hai fatta
pagare a quel bastardo”.
Lui finalmente mi guardò davvero. Il suo
sguardo bruciava di un fuoco d’odio sepolto da tempo.
“Avevo tredici anni e nonostante la mia
età, ero più forte di lui. L’ho fatto piangere.”
Un ragazzo che vede il padre picchiare
la madre, è qualcosa che non auguro a nessuno. E come ho sempre detto, odio chi
dispensa cattiveria gratuita. Alzare le mani su una donna poi, la trovo la cosa
più ripugnante al mondo.
Mi avvicinai e gli posai una mano sul
braccio. Lui non si scostò, credevo lo avrebbe fatto, ma non lo fece, forse aveva
bisogno di non sentirsi orribile. In qualche modo era sempre suo padre.
“Avrei fatto la stessa cosa al tuo
posto.”
I suoi occhi si chiusero e un sospiro
lieve abbandonò la sua bocca.
Quando li riaprì mi sembrò più sereno.
“Conoscendoti, di sicuro!”. Restai
spiazzata. Aveva fatto una battuta. Su un argomento davvero delicato, ma aveva
fatto una battuta.
Iniziammo a ridere come due deficienti.
Chi era quest’uomo davanti a me? Si,
perché Dimitri non era un ragazzo della mia età, era un uomo di 24 anni. Ed io,
mi trovavo dannatamente bene con lui.
Quando finimmo di ridere il silenzio
regnò sovrano. Eravamo occhi negli occhi.
Fui ancora una volta io a interrompere
il momento, non sapevo cosa aspettarmi. Avevo paura di fare un passo falso e sentirmi rifiutata anche da lui, ma
anche Dimitri parve riassumere la sua maschera, conscio dei miei pensieri.
“Come hai fatto a diventare ciò che sei
ora?” non volevo che si creasse un imbarazzo più grande tra noi.
Lui sogghignò.
“Me l’hai già posta questa domanda.”
È vero. Sbuffai.
Per rispondere ad essa avrei dovuto
rispondere ad un’altra. Chi è il nemico da combattere? Che sia forse mia madre?
Ghignai, ma la cosa non mi sembrò poi tanto buffa come credevo. Forse il nemico
non era inteso gli strigoi, o almeno non solo loro.
Per un attimo mi sentii più vicino alla
risposta.
“Rose, parla con tua madre. Alla fine
lei ha solo voluto diventare, quello che vuoi diventare tu. Uno dei migliori
guardiani.”
Con questa frase mi lasciò abbandonata a
me stessa e ai miei pensieri. Si, ormai ci eravamo arrivati tutti che io volevo
diventare come lei, eppure odiavo che non c’era mai stata, ma solo così lei era
potuta diventare quello che è ora.
“Argh…” mi arruffai i cappelli dalla
frustrazione. Stavo provando comprensione. No, non dovevo.
Arrivai alla prima lezione in ritardo,
così mi presi una punizione. Quella mattina non avevo corso, così tutti i giri
che mi fece fare Albert non li sentii nemmeno, con suo disappunto.
“Devo fare i complimenti alla sua
resistenza fisica, signorina Hathaway!” mi disse, prima di lasciarmi andare
alla lezione successiva. C’era qualcosa di brillante nel suo sguardo, forse si
aspettava di vedermi strisciare in ricerca di ossigeno, e l’avevo sorpreso
facendogli credere che forse non ero una menefreghista, come invece mi aveva
sempre considerato alla St. Thomas. Si perché, mai e dico mai, Albert Hanson,
in tutti i miei anni di vita, mi aveva detto qualcosa che assomigliasse, anche
lontanamente, ad un complimento. Eppure non potevo non rendermi conto che dopo
l’attacco strigoi lui fosse decisamente cambiato e che io fossi
irrimediabilmente cambiata.
Io che mi impegnavo nelle lezioni, io
che avevo amicizie, io che mi innamoravo e sempre io, che avevo deciso di
affrontare mia madre…
Durante la lezione di Stan, furono
presenti alcuni dei guardiani arrivati per l’occasione
‘Queen tour’ , come la chiamavo io, qui
alla St. Vladimir. Stan aveva precisato che in seguito agli eventi spiacevoli
accaduti, sarebbe stato più istruttivo ascoltare le storie di chi, a parer suo,
lavorava sul campo. A quelle parole, un veleno mi aveva irradiato il corpo. La
catastrofe alla mia accademia poteva essere riassunta semplicemente in un
‘spiacevole evento’? A nessuno di certo importava l’epiteto usato, ma per me
era come un affronto.
E quando dicono ‘non c’è due senza tre’,
eccola spuntare dietro a quei due energumeni di guardiani, con quei capelli
ramati corti e ricci, così diversi dai miei, segno che forse assomigliavo
decisamente a mio padre. Mi mossi irritata nel mio banco e sentii, chissà come,
lo sguardo di Dimitri, che stava in piedi in fondo all’aula, perforarmi la
schiena.
Quando i guardiani presero a raccontare
le loro esperienze, i miei compagni iniziarono con tutta una seria di “Ooooh”,
“Aaaaaah”, mentre dentro di me urlavo.
Facevano sembrare così semplice gli
scontri, come se una volta preso il diploma tutti i novizi fossero in grado di
sterminare a decine quegli esseri. Una cosa che avevo imparato sulla mia pelle
era che le accademie non ti preparavano psicologicamente a quello che ci
aspettava davvero. Le tecniche, i combattimenti erano tutte buone basi, ma la
prova più dura era quella psicologica, che affronti solo quando ti ritrovi uno
strigoi in carne ed ossa davanti a te per la prima volta.
La mia pazienza andò a farsi benedire nel
momento esatto che a parlare fu mia madre. Tutti pendevano dalle sue labbra.
Era raro che ci fossero guardiani femmina e ancora più raro che fossero delle
combattenti il cui valore aveva fatto il giro del mondo.
Raccontava di un ballo privato di una
famiglia moroi importante, durante il quale ci fu un attacco strigoi. Lei
ovviamente raccontò in modo così semplice come riuscì a sbarazzarsi di circa
sei o sette strigoi, che l’avevano attaccata da ogni parte possibile, anche in
gruppo di due o tre, cosa rara visto che gli strigoi non erano in grado di
creare legami tra loro senza sbranarsi l’un l’altro. La collera mi ribollì fino
ad esplodere.
“Basta!” era la mia voce, ovviamente,
che non era riuscita a rimanere incastrata in gola. Mia madre si bloccò
sorpresa, Stan era allibito, odiava le interruzioni nel mezzo dei discorsi, ed
evitai di voltarmi verso Dimitri.
Mi alzai, cercando tuttavia di
controllarmi.
“Basta” ripetei a bassa voce.
Tutti mi guardavano.
“Dovreste ripeterci che gli strigoi sono
dei mostri, che la loro forza è disumana, che per quanto possiamo immaginarceli
nella mente, il giorno in cui ce li troveremo davanti ci sconvolgerà, perché
qualsiasi nostra fantasia non sarà mai giusta come la realtà. Fate sembrare
così facile le loro uccisioni, quando in realtà non lo è.”
I guardiani mi guardavano incuriositi
più che scioccati dal mio sfogo. Mia madre mi guardava in un modo strano,
avrebbe potuto sembrare compassione, ma non la conoscevo così affondo da poter
sapere i suoi modi di fare. Alcuni dei miei compagni mi guardavano sconvolti,
altri sogghignavano e non ci voleva molto a capire chi.
“Signorina Hathaway!” mi riprese serio
Stan. Non avevo un brutto rapporto con quel guardiano, ma sapevo che ci teneva
all’educazione, prima di tutto.
“Le chiedo scusa guardiano Stan…” io che
chiedo scusa? Ero proprio cambiata. “…ma ora come ora le storie più sensate che
potrebbero raccontare a dei novizi, è semmai il loro primo faccia a faccia con
uno strigoi, dopo il marchio della promessa, quand’erano… noi!” e plateale allargai le braccia indicando la classe dei
dhampir che l’anno seguente si sarebbe diplomata. Poi guardai uno ad uno i
guardiani di fronte a me e chiesi loro: “E’ stato così entusiasmante il vostro
primo incontro?” lo dissi con una punta di sfida, e fui soddisfatta quando vidi
gli occhi dei presenti cambiare direzione dai miei, segno che la risposta era
quella che sapevo io. Chi non spostò lo sguardo fu mia madre, che seria mi
guardava, sembrava quasi volermi rimproverare, ma arrivava tardi per le
punizioni e tirate d’orecchio.
Alcuni dei studenti capirono la gravità
della situazione, ma altri no. Ryan, idiota qual era non poteva starsene zitto.
“Hathaway, fai tanto la splendida, ma tu
cosa vuoi saperne? Chi credi di essere tu
in confronto a loro?” disse sprezzante, ridendo poi guardandosi attorno
cercando di trovare sostegno nei nostri compagni, ma solo due e tre gli diedero
retta.
Chiusi gli occhi, mentre lacrime nervose
sentivo che cercavano di farsi spazio. Nell’oscurità da me creata rividi quel
strigoi sgozzare Nikolai e mi lasciò spiazzata. Era tanto che il mio cervello
si rifiutava di farmi vedere quell’immagine, e ora quel ricordo come offeso, si
era fatto sentire pesantemente, e cercava vendetta.
Aprii gli occhi di scatto e sapevo di
averli lucidi e sconvolti, segno che gli argini stavano per cedere, e dopo aver
spostato rumorosamente la mia sedia arrivai violentemente davanti a Ryan, che
sembrava leggermente spaventato. Credeva che lo avrei colpito di nuovo? Non
questa volta, non era lui il nemico.
Furiosamente con le mani che tremavano
mi tirai su i capelli e gli rivelai il mio segreto, anzi lo rivelai a tutti. Il
molnija sembrava bruciarmi sulla pelle, ma sapevo essere solo la mia immaginazione.
Avevo avuto il coraggio di mostrare al mondo quel simbolo che per me non era un
segno di valore, ma un ricordo da non dimenticare.
“Ecco chi sono, Ryan!”.