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Autore: antigone7    27/05/2015    3 recensioni
Ci sono incontri che, per quanto casuali e assurdi, un po’ la vita te la cambiano.
Zoe è una ragazza tutto sommato pragmatica: non crede nel Fato, nel Destino, nella Predestinazione, e tutto il resto. Pensa che le cose che le succedono siano perlopiù volute da lei, ma che la restante parte ce la metta la casualità pura e semplice. Nessuna volontà divina.
Per questo, quando una mattina sul treno incontra Giacomo, ragazzo spigliato nonché cantante di un gruppo poco famoso, Zoe decide che è troppo complicato, che... no, non è interessata a lui. Ma c’è una cosa che non ha calcolato: le sue scelte possono non coincidere con quelle delle altre persone e, in questo caso, chi l’avrà vinta?
Una storia che parla d’amicizia, d’affetto, d’amore, ma anche di errori, di silenzi e di scelte sbagliate. Perché a volte bisogna sbattere ripetutamente contro un muro, prima di capire da che parte andare.
"E la verità è che sono stata una codarda."
"Ma non avevi tutti i torti. Non sappiamo come potrebbe andare. Siamo diversi."
"L'unica vera differenza che vedo ora tra me e te è che tu almeno sei riuscito ad accettare di essere innamorato di me."
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XXI




Giacomo tornò al proprio appartamento con il morale sotto i tacchi. Aveva a malapena fatto in tempo a sfiorare l’idea di iniziare un qualcosa con Zoe che, senza nemmeno rendersi conto di come e perché, aveva perso tutto nel giro di mezza mattinata. Sapeva che la sua amica era piuttosto lunatica e indecisa, ma quel comportamento era bizzarro persino per lei: doveva per forza avere un motivo se si era incupita così, all’improvviso.
Cercò di ripercorrere mentalmente tutto ciò che era accaduto a partire dal pomeriggio precedente, quando era andato a prenderla all'aeroporto, fino a quella stessa mattina, quando l'aveva riaccompagnata in stazione. Cosa poteva essere andato storto? Nei suoi ricordi tutto appariva perfetto, quasi troppo perfetto. Aveva aspettato troppo a lungo quel momento e adesso lo aveva idealizzato, non notando così i segnali negativi che magari Zoe gli aveva lanciato? Gli pareva impossibile: lei la sera prima gli era sembrata così sicura, così dolce, e allo stesso tempo così se stessa, che lui aveva quasi temuto di avere un infarto ancora prima di riuscire ad arrivare alla camera da letto. Era andato tutto magnificamente, e sapeva che Zoe aveva sentito le sue stesse cose. Cos’era accaduto, allora?
Giacomo sentì il proprio cellulare vibrare e guardò lo schermo con un tuffo al cuore. Purtroppo era Niccolò, non Zoe: sospirò deluso e andò a buttarsi sul divano, mettendosi comodo prima di rispondere.
“Pronto?”
“Ehi Casanova, come butta?” gli rispose dall’altro lato la voce allegra del suo amico.
“Beh…” fece per cominciare Giacomo, ma venne subito bloccato bruscamente.
“No, aspetta, non dirmelo! Sei ancora con Zoe, vero, furbone? Ho interrotto qualcosa?”
“Veramente no, l’ho appena accompagnata a prendere il treno,” disse atono, buttando la testa indietro sullo schienale del divano.
“Di già? È andata così male?”
Giacomo sospirò di nuovo e scosse la testa, anche se l’altro non poteva vederlo. “No, anzi, direi il contrario.”
Niccolò lanciò un fischio di approvazione. “Ce l’avete fatta, eh, finalmente? Sapevo che nemmeno Zoe poteva resistere a lungo al tuo dubbio fascino da uomo di mondo. Qualche dettaglio da raccontare?”
“Te lo scordi, vecchia comare,” ringhiò Giacomo, ritrovando un po’ di energia.
“Ma se è andata bene si può sapere perché ti sento così depresso?”
“Stamattina Zoe era strana, distaccata, è voluta andare via prima e, anche se ha detto che era per problemi organizzativi, ho paura che si sia pentita di tutto, o magari ho fatto io qualcosa di sbagliato, o che ne so,” si decise a confessare infine: tanto valeva che il suo amico sapesse ogni cosa, almeno avrebbe avuto un altro parere sulla vicenda.
Niccolò sembrò confuso. “Non capisco.”
“Nemmeno io, Nico.”
“Ma avete fatto sesso o no?”
Giacomo si spazientì appena, si alzò e cominciò a camminare a vuoto per la casa. “Ma sì, Conte, di che cavolo stiamo parlando secondo te? La tua memoria si resetta ogni cinque minuti o vuoi continuare all’infinito a fare le stesse domande?”
“Scusa, amico, non scaldarti! È che non capisco come possiate essere arrivati a farlo per poi allontanarvi di nuovo. Eravate ubriachi?”
“Assolutamente sobri. E prima che tu faccia altre domande più stupide e più invadenti, è stato fantastico, perfetto e bla bla bla: questo è tutto ciò che devi sapere.”
Niccolò fece un verso frustrato. “Quella ragazza è un vero grattacapo, non è vero?”
“Non dirlo a me.”
“Ma pensi che sia del tutto psicopatica o potrebbe avere un motivo per il suo comportamento?”
Giacomo ci rifletté nuovamente per qualche istante, a fondo. Quand’era che Zoe aveva iniziato a comportarsi in modo strano?
“Ieri notte andava ancora tutto bene,” mormorò, parlando più a se stesso che all'amico, che comunque si beveva con estrema attenzione ogni sua parola. “Cioè, anche dopo averlo fatto, siamo stati un po’ a letto, sereni. Non c’erano problemi.”
“Che carini,” commentò Niccolò allegro.
“Nico...” lo ammonì l’altro, sfinito da quel pensare senza venire a capo di nulla.
“No, ma io dico sul serio! Siete carini, vorrei davvero che andasse tutto bene tra di voi, cretino. Quando hai Zoe sei più... produttivo, direi. Perciò se hai combinato qualche cazzata e l’hai fatta scappare, beh, vedi di rimediare, che stavolta mi sa che hai beccato la ragazza giusta, razza di culoso che non sei altro.”
Nonostante la scurrilità e gli insulti con cui aveva infarcito il discorso, Giacomo non poté fare a meno di sorridere per le parole del
l’amico, il quale, a modo suo, gli aveva appena detto che gli voleva bene e che sperava di vederlo felice con la ragazza di cui era innamorato. Non era mai stato più vicino all’esserlo, tra l’altro. Con Zoe lì, tra le sue braccia.
Sospirò per l'ennesima volta, fermando la sua camminata nervosa e bloccandosi in mezzo all’entrata.
“Dunque?” lo incitò Niccolò. “Quand’è che la donna ha preso a comportarsi stranamente?”
“Stamattina. O almeno,” si corresse, “io me ne sono accorto stamattina. Ma potrebbe essere successo qualcosa stanotte, mentre dormivo. Magari ha un altro!”
“Che stupidaggine.”
“Beh, potrebbe essere, in Canada ha conosciuto uno stronzo che le faceva la corte.”
“Questo non lo metto in dubbio,” concesse l’amico. “Ma se davvero fosse in qualche modo impegnata non sarebbe venuta a letto con te, Giacomino. Non sei così irresistibile, senza offesa.”
“Forse. Comunque ieri sera mi ha chiesto se sono stato con altre ragazze, ma io non ho voluto sapere niente di lei, invece. E ho un brutto presentimento.”
“Ti ha chiesto se sei stato con altre?” si informò sospettoso Niccolò.
“Mm,” annuì l’altro, grattandosi distrattamente una guancia.
“E tu cos’hai risposto?”
“Di no.”
“Giacomo.”
“Che c’è?”
“Il muro,” disse semplicemente Niccolò.
Giacomo ruotò di centottanta gradi, trovandosi esattamente di fronte alla bacheca piena di biglietti all’entrata dell’appartamento. “Merda.”
“Eh già.”
“Non può aver pensato...”
“Invece sì.”
“Merda,” ripeté Giacomo, a corto di sinonimi.
“Complimenti Sherlock. Hai appena capito come mai la tua ragazza è scappata dopo una focosa notte d’amore. Ma consolati: almeno adesso sai che non sono state le tue scarse doti amatorie a farla fuggire.”

“Un foglio su una bacheca?”
Aurora guardò Zoe in cerca di conferme su ciò che aveva capito della storia che l’amica le aveva propinato tutta d’un fiato, e la suddetta amica annuì.
“Sì,” rispose semplicemente, seria.
“E un foglio non ti sembra un po’ poco per giungere a delle conclusioni definitive?”
Era la mattina del giorno dopo, le due amiche erano in viaggio per la Liguria, in treno, e Zoe aveva appena raccontato la sua versione della vicenda con Giacomo, ma aveva l’impressione che l’altra non avesse ancora compreso del tutto la sua posizione.
“Non era solo un foglio, Rora, era un elenco in bella mostra di tutte le conquiste di quest’estate, con tanto di tabella suddivisa in due colonne – una per Niccolò e una per Giacomo – e numerata, per poter fare il conto a settembre e decidere – cito testualmente – chi fosse il summer playboy dell’anno.”
Aurora prese fiato tentando di interromperla, ma Zoe non la lasciò nemmeno cominciare.
“Accanto a ogni nome – se c’era un nome, perché alcune erano semplicemente annoverate come ‘la bionda tettona’ o ‘la cavallerizza’, che non ho idea di cosa possa significare – comunque, accanto al nome c’era il numero di telefono, se reperito, e un voto espresso in cifre da uno a dieci sul, presumo, aspetto fisico delle ragazze in questione. Forse io salto a conclusioni affrettate, ma questa a me sembra una gara tra uomini a chi se ne fa di più. Dico, eh.”
Aurora cedette e sospirò. “Quante ragazze c’erano?”
“Sulla colonna di Giacomo sette o otto, di cui quattro con numero di telefono. Pare che abbia vinto Niccolò, comunque, se la cosa può interessarti, ma di poco.”
“Sette o otto?”
“Otto,” specificò Zoe, che odiava terribilmente il fatto di ricordarselo così bene, tanto quanto ricordava tutto il resto della dannatissima serata passata con Giacomo. “Ma se aggiunge me può arrivare a nove, direi.”
“Non dire cretinate.”
“Pensi ancora che stia dicendo cretinate?”
Aurora scosse la testa. “Hai tutto il diritto di arrabbiarti per quella tabella o per le otto ragazze, ma…”
Zoe la fermò, già sulla difensiva. “Non sono arrabbiata per quello. Non sono nemmeno arrabbiata, a dirla tutta. Sono ferita. E non per ciò che pensi tu, comunque.” Stette qualche secondo in silenzio, cercando le parole per spiegare come si sentisse. “Mi ha mentito, Rora, gli ho chiesto se era stato con altre, mi ha guardato dritta negli occhi e mi ha detto di no. Ero letteralmente nelle sue mani in quel momento.”
“Mi spiace, tesoro, ma cerca di ragionare, ora. Non puoi sapere se…”
Zoe la interruppe di nuovo, per spiegarsi definitivamente. “È come se mi avesse detto di no, che non era stato con altre ragazze, solo per venire a letto con me. Anche Alessio lo faceva, ti ricordi? Mi sono sentita allo stesso modo.”
Aurora sospirò, paziente. A volte parlare con Zoe era come avere a che fare con una bambina piccola; dal punto di vista sentimentale, almeno, era parecchio immatura, ma non era del tutto colpa sua. Zoe si era costruita attorno un muro molto spesso per proteggere la propria solitudine e indipendenza, e aveva ancora delle remore ad abbatterlo. Aurora sperava da tempo che Giacomo fosse la persona giusta per buttarlo giù.
“Zò. Giacomo non è Alessio. Non è nemmeno minimamente simile a quel verme, lo sai.”
“Sì, lo so. Ho sbagliato a reagire in quel modo.”
L’amica la scrutò a fondo: la conosceva troppo bene per non capire che non aveva detto tutto ciò che pensava.
“Ma…?” la incitò a continuare.
“Ho sbagliato a reagire così, e oltretutto lui quest’estate aveva il diritto di fare ciò che voleva, eravamo d’accordo. Ma resta il fatto che mi ha mentito.”
“Ne sei così sicura?”
“Beh, quel foglio…”
Aurora scrollò la testa decisa, interrompendola. “Lascia perdere il foglio, glielo devi chiedere! Non puoi sapere come stanno le cose, finché non ne parli con lui.”
“Avrei dovuto chiedergli delle spiegazioni subito, in quel momento?” le chiese l’altra senza aspettarsi una risposta. “Non stiamo nemmeno insieme, Rora, non ho nessun motivo di fargli scenate di gelosia o cose simili.”
“Eppure ci sei rimasta male,” le fece notare lei con ovvietà.
“Per la bugia, sì. Ma ciò non vuol dire che io sia pronta a iniziare una storia con lui, è ancora troppo complicato.”
“Cosa c’è di complicato esattamente?”
“La distanza. Le nostre differenze. Il fatto che io sono così incasinata da litigare persino con me stessa,” elencò mestamente Zoe, ma la sua amica non la fece continuare.
“O il fatto che sei innamorata di lui,” puntualizzò, guardando poi la sua reazione.
Zoe non perse nemmeno tempo a scandalizzarsi: si limitò a sospirare e passarsi una mano sugli occhi, mostrando così la propria fragilità e indecisione sull'argomento.
“Non lo so,” sospirò infine. “È troppo presto per dirlo, credo.”
Aurora la guardò amorevole e comprensiva, mettendo da parte la voglia di sgridarla per bene, anche se un po’ se lo sarebbe meritato. Ma Zoe sembrava davvero combattuta e probabilmente rischiava di fare un errore madornale se lei non l’avesse aiutata o almeno spinta nella direzione giusta.
“Tesoro,” le disse indulgente, “hai ragione, forse adesso è troppo presto. Ma se aspetti ancora potrebbe essere troppo tardi, poi.”
“È sempre così per me,” commentò malinconica Zoe. “È sempre troppo presto o troppo tardi, troppo bello o troppo strano, troppo lontano o troppo superficiale, troppo poco o troppo… troppo. Forse è meglio se capisco che sono destinata a restare zitella e basta.”
Nonostante l’evidente agitazione dell’amica e la poco chiarezza con cui aveva esposto il suo pensiero, Aurora era riuscita a capire cosa intendeva, e pensava fosse giunto il momento di darle una bella scrollata.
“Adesso stai esagerando.” Prese fiato e la guardò, seria. “L’amore è un rischio. Non sai mai, prima di provare, se finirai con tutte le ossa rotte o se comunque ne sarà valsa la pena. Tu ti sei lamentata a lungo di non esserti mai innamorata, e probabilmente è vero, in questo frangente hai avuto molta sfiga. Ma è vero anche che non ti sei mai presa il rischio di provarci, non del tutto, almeno. Guardati adesso: la prima volta che provi qualcosa di vero per qualcuno e che questo qualcuno è innamorato perso di te, tu scappi. Io capisco che tu abbia paura, davvero, ma a un certo punto devi decidere di buttarti, di rischiare il tutto e per tutto, sennò non ti innamorerai mai. E non perché non sei capace di amare, ma perché non ti apri alla possibilità di farlo, rischiando così le ossa rotte e tutto il resto, ma anche tante cose belle che meriti di vedere, di sentire.”
Zoe, gli occhi lucidi, tenne la testa bassa tutto il tempo, guardandosi le mani. Alla fine, sospirò, sorrise mestamente ad Aurora e cedette. “Parlerò con Giacomo appena torno, te lo prometto.”
L’amica la squadrò. “Cerca di parlarci anche prima, che sarà in ansia, povera anima.”
“E quando?”
“Beh, esiste un aggeggio chiamato telefono che serve proprio a questo scopo, tesoro.”
“Mpfh,” bofonchiò Zoe, incrociando le braccia. “Ti piace proprio avere sempre ragione, eh?”
Aurora rise cristallina, sporgendosi per darle una pacca sul ginocchio. “È ovvio.”

La casa al mare dell’amica di Viola più che una casa era una specie di villazza gigantesca sulla costa ligure. Trattandosi di un’eredità dei nonni – la famiglia di Marta era piuttosto facoltosa da molte generazioni – l’immobile era abbastanza vecchio, sia all’esterno che all’interno, ma ancora ben tenuto, e veniva tutte le estati messo a disposizione dei figli e dei nipoti degli anziani signori. Viola conosceva Marta da una vita, era una delle sue migliori amiche, e andava spesso a passare parte delle vacanze in quella casa. Quell’anno l’invito era stato esteso anche a Ginevra e Marco, il suo ragazzo, e a Zoe e Aurora, così le sorelle avrebbero potuto passare un po’ di tempo assieme dopo la lontananza dovuta alla vacanza-studio della mezzana; inoltre nello stesso periodo c’erano nella casa altre due amici di Viola, un ragazzo e una ragazza della sua classe, e due cugini di Marta. La villetta risultava perciò piuttosto affollata ma, a dimostrarne la grandezza, rimanevano ancora un paio di stanze inutilizzate.
“Alla faccia!” esclamò Aurora quando, dopo aver varcato il cancello e attraversato il giardino, vide da vicino l’edificio. Si tolse gli occhiali da sole e guardò alternativamente la villa e poi Zoe, come a chiederle se fossero capitate proprio nel posto giusto. Zoe alzò le spalle e sorrise.
In quel momento uscirono dalla porta principale Viola e Marta, e la prima, ovviamente, sembrava piuttosto su di giri.
“Zoe! Sei qui!” la travolse abbracciandola e buttandola quasi a terra per la veemenza che ci mise.
Ginevra, sentendo le grida, spuntò da una delle finestre al secondo piano. “Oddio, è arrivata? Marco, è arrivata la Zoe!” disse, girandosi verso l’interno. Dopodiché tornò a guardarle dal balcone. “Ferma lì, sorella, che arrivo anch’io a salutarti,” la ammonì.
“E dove vuoi che vada?” borbottò Zoe, con la voce strozzata dall’abbraccio della sorella minore, a cui presto si aggiunse anche quello della maggiore.
Aurora guardò la scena da pochi passi di distanza, sorridendo dell’affetto che le tre riuscivano a esprimere pur senza dire niente, o quasi.
Gli schiamazzi avevano fatto spuntare diverse teste dalle finestre che davano sul giardino, oltre a Marco che doveva aver sceso le scale con un po’ più di calma rispetto alla sua ragazza, per raggiungere Zoe e salutarla con un sorriso e un bacio sulla guancia.
Viola, nel frattempo, continuava a parlare a voce piuttosto alta, bombardando la sorella di domande senza lasciarle nemmeno un secondo per rispondere, com’era solita fare. Ovviamente non mancarono nemmeno le domande invadenti su Giacomo, a cui Zoe rispose con il mutismo più assoluto, finché Viola non sganciò la bomba.
“Guarda che lo so che prima di venire qui sei stata da lui, eh! Credi che sia cretina?”
Zoe lanciò un’occhiataccia ad Aurora. “Cretina forse lo sei, ma di certo sei anche ben informata.”
Viola sventolò una mano, minimizzando, mentre Ginevra alzava gli occhi al cielo ed Aurora metteva su un’espressione colpevole.
“Scusa,” pigolò l’ultima, contrita, “pensavo lo sapesse già che ti fermavi a Milano, tornando…”
“Tranquilla, tanto l’avrebbe scoperto comunque, diventa un mostro quando c’è da carpire certe informazioni.”
“Ecco, infatti!” confermò Viola. “Visto che tanto prima o poi scoprirò comunque tutto, che ne dici di facilitarmi il lavoro e dirmelo adesso tu?”
Zoe scoppiò a ridere. “Questo mai! Ti toglierei tutto il divertimento!”
Ginevra e Aurora non poterono trattenere una risata alla faccia stressata di Viola, che continuò a seguire la sorella anche quando questa prese la propria valigia ed entrò nell’enorme casa, per farsi spiegare dove andare per trovare la propria camera.

Appena sistemati i bagagli nella stanza che avrebbe diviso con Aurora, Zoe tentò di chiamare Giacomo, ma il cellulare di lui squillò a vuoto fin quando non partì la segreteria telefonica. Il cuore le batteva furiosamente nel petto e Giacomo non aveva nemmeno risposto, non era un buon segno.
Scese al piano terra per cercare Aurora e la trovò nell’enorme cucina intenta a prepararsi un toast.
“Ehi, eccoti,” la accolse l’amica. “Vuoi qualcosa da mangiare anche tu?”
Zoe si limitò a scuotere la testa, sedendosi su un ripiano della cucina.
Aurora la guardò storta. “Come no? Io ho una fame mannara, è da stamattina che non mettiamo niente nello stomaco. Sei sicura?”
Lei scrollò le spalle, disinteressata.
“Che c’è che non va?”
“Dove sono gli altri?” chiese Zoe, accorgendosi in quel momento del silenzio innaturale che regnava nella casa.
“In spiaggia. Ci stavano aspettando, ma quando siamo arrivate hanno deciso di andare giù per non perdere il pomeriggio. Ti va di raggiungerli?”
“Ok,” accettò lei, sbrigativa.
Aurora masticò il suo toast, pensierosa. “Allora, che c’è che non va?” ripeté.
“Ho chiamato Giacomo ma non ha risposto.”
“L’hai già chiamato?” fece l’amica, con un’espressione stupefatta a dipingerle il viso.
“Sì, perché?”
“Beh, tu di solito rimandi all’infinito questo genere di cose, non pensavo lo facessi subito.”
Zoe scese dal ripiano e aprì le braccia teatralmente. “Ma se mi hai detto tu di…”
“Sì, lo so cosa ti ho detto,” la interruppe Aurora, che dallo stupore aveva persino smesso di mangiare il suo toast. “Ma non so… Forse pensavo che non lo facessi subito, che ci riflettessi un po’ di più, insomma.”
“Fai uso di stupefacenti? Due ore fa mi hai detto che avrei dovuto chiamarlo al più presto!”
Aurora sospirò, roteando gli occhi. “Fai come ti pare, ok? Però adesso ti faccio un toast e mangi anche tu, tesoro. E subito dopo ci mettiamo il costume e andiamo in spiaggia, non ho fatto tutte queste ore di treno per sentire le tue lamentele. E non guardarmi così! Magari Giacomo era impegnato, stava facendo qualcos’altro, era… Beh, insomma, sono sicura che ti chiamerà lui presto. Non credi?”
Zoe assottigliò gli occhi, sospettosa. Quando la sua amica cominciava a blaterare in quel modo, di solito stava cercando disperatamente di non affrontare un argomento in particolare. “Stai parlando a macchinetta, Rora. Cosa c’è?”
“Cosa c’è cosa? In che senso? Te l’ho detto, ho solo voglia di andare a prendere un po’ di sole, adesso. E distrarti farebbe bene pure a te.”
Zoe continuò a fissarla, indecisa se crederle o meno.
“E smettila di guardarmi così, ti ho detto!” la rimproverò l’amica. “È proprio questo tuo sguardo che fa paura alle persone, sai?”
L’altra cedette e scoppiò fragorosamente a ridere, decidendo di crederle e ragionando che almeno su una cosa Aurora aveva ragione: distrarsi, in quel momento, non avrebbe potuto che farle bene.

Giacomo, quel pomeriggio, finì di sistemare l’appartamento milanese per l’estate, poiché sarebbe dovuto rimanere chiuso per un paio di settimane. Pulì la propria stanza, controllò che non ci fosse niente di deperibile nel frigorifero, lavò gli ultimi piatti rimasti, quelli su cui aveva pranzato, e preparò la propria valigia. Si ritrovò a fare tutto ciò con una certa ansia addosso e con la testa da un’altra parte, ma ci mise comunque più di quanto aveva preventivato a finire i lavoretti, anche a causa della propria distrazione, che lo portò a controllare più volte le cose che aveva da fare.
Infine, si sedette stanco sul divano, solo per qualche minuto, sospirando pesantemente. Pensò a Zoe, racimolò la sicurezza che di solito non gli mancava, ma che in quel momento era finita chissà dove, da qualche parte fagocitata dalla paura di sentirsi respinto di nuovo, prese il proprio borsone pronto nell’ingresso, la chitarra e le chiavi della macchina sul mobiletto, uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Erano le sei passate. Ore prima, appena finito di pranzare, Giacomo aveva chiamato Aurora, rendendola complice di ciò che stava per fare: ovvero presentarsi senza invito e senza preavviso alla casa al mare dell’amica di Viola e convincere – o costringere, se necessario – Zoe a prendere una decisione su quella che sembrava essere la soap opera dell’anno, in cui entrambi erano finiti senza nemmeno accorgersene. In effetti, proprio come una soap opera, la relazione tra lui e la testona di cui aveva avuto la sfortuna di innamorarsi aveva già un pubblico discretamente folto. Giacomo aveva testato questa cosa parlando con Aurora, e si era reso conto che per diverse persone il risolvimento della loro storia era importante quasi quanto per lui stesso.
Non così tanto, ovviamente. Aurora era stata davvero carina a fargli sapere che se la sua migliore amica non avesse cominciato a ragionare, buttandosi tra le di lui braccia, ci avrebbe pensato lei a sistemarla per le feste; ma a Giacomo l’idea che Zoe lo respingesse, troppo spaventata o semplicemente non abbastanza innamorata di lui, non sembrava così assurda, e proprio per questo gli metteva addosso un’ansia tremenda. Ciò che sapeva era solo che non poteva continuare così: aveva aspettato Zoe, si era innamorato di lei senza neanche capire come, aveva tentato di nasconderle e nascondersi quei sentimenti, era rimasto suo amico fin quando non era più riuscito a sopportare quel casino, a quel punto l’aveva vista partire per il Canada e l’aveva attesa ancora, le aveva persino scritto una canzone, per dio.
L’impulsività era forse uno dei suoi maggiori difetti, e lui col tempo aveva imparato a controllarla, a reprimerla, addomesticandola e riuscendo a usare con più oculatezza il suo cervello. Ma sapeva che Niccolò aveva ragione quando gli diceva che Zoe riusciva a tirare nuovamente fuori quella parte avventata e istintiva di lui, quella parte che lui aveva messo a tacere dopo la cocente delusione con Beatrice. Con Zoe, Giacomo sragionava, ed era tutta colpa del fatto che aveva irrimediabilmente bisogno di lei.
Così, quella mattina aveva messo d’accordo la sua parte ragionevole e il suo istinto più puro, e aveva – se così si può dire – messo a punto razionalmente un’azione impulsiva e potenzialmente molto stupida. Lo stomaco gli diceva di correre da Zoe, e lui sapeva di non poter resistere ancora a lungo. Perciò aveva chiamato Aurora, facendosi dare le indicazioni per raggiungere il posto in Liguria dove stavano passando le ultime vacanze estive. Dopodiché si era seduto e, invece di prendere la macchina e partire alla velocità della luce come era solito fare, aveva deciso di riflettere sull’andare o meno in Liguria. Alla fine aveva stabilito che, per quanto potesse essere stupido, non avrebbe resistito senza spiegarsi con Zoe, senza sapere che lei l’avrebbe perdonato, che non voleva più scappare. E se invece gli avesse dato di nuovo picche, almeno avrebbe potuto dire di averci provato, perché starsene lì con le mani in mano non era proprio cosa da lui.
Aurora, ovviamente, era stata gentilissima e molto confortante, gli aveva detto che anche secondo lei dare una scrollata a Zoe poteva essere una buona idea, che sperava tanto che la cosa si risolvesse al meglio, ovvero con tanti baci, sesso, e, in futuro, tanti bambini paffuti e sani – parole testuali della pazza. Gli aveva anche assicurato che non avrebbe detto niente a Zoe, per tenere valido “l’effetto sorpresa”.
Ora, dopo tre ore di macchina e una cura della sua musica preferita per tranquillizzarsi, Giacomo era quasi arrivato a destinazione, e ricominciava a sentire la tensione stritolarlo.
Una volta entrato in paese seguì le indicazioni che gli aveva dato Aurora per raggiungere la casa ma, nonostante fosse sicuro di ricordarsele passo per passo, fu comunque stupito e un po’ dubbioso nel trovarsi davanti quel cancello enorme che si apriva su di un giardino altrettanto grande. Parcheggiò titubante, bevve un sorso d’acqua da una bottiglietta che aveva appoggiato sul sedile accanto, scese dalla macchina, si stiracchiò e si diresse a passo spedito verso la facciata dalla casa, sulla quale brillavano almeno una dozzina di finestre con la luce accesa all’interno.

Zoe aveva passato le ultime due notti dormendo quasi nulla, causa jet lag e pensieri vari su Giacomo, perciò non si stupì quando quella sera le arrivò addosso una botta di sonno spaventosa ancor prima di finire la cena. Alle nove era già nella sua stanza, stesa sul letto, che sfogliava un libro mentre tentava, con scarsi risultati, di non pensare al fatto che Giacomo non l’aveva ancora richiamata. Alle nove e mezza gli occhi le si stavano chiudendo per il sonno, stava quasi per arrendersi e spegnare la luce, quando Aurora fece capolino dalla porta.
“Come va, Life?”
“Bene, ma ho una stanchezza infinita addosso, stavo per spegnere la luce. Voi giù avete programmi?”
Aurora scrollò le spalle. “Credo che Viola e i suoi amici abbiano una mezza idea di uscire, sono in camera a prepararsi, ma sarà lunga. Marco e Ginevra sono più stanchini, guardano un film in camera loro, hanno chiesto se vogliamo unirci.”
“Sono troppo stanca, Dawn, scusa…”
L’amica mise su un’espressione abbattuta. “Sicura? Puoi sempre venire di là con noi, iniziare il film e addormentarti. E poi, se ora dormi di già, domani mattina ti sveglierai prestissimo e ti annoierai. Io ne so qualcosa, mi sveglio sempre prima di tutti, fin da piccola, che la domenica mattina non sapevo cosa fare perché…”
Zoe la interruppe. “Parli di nuovo a macchinetta.”
“Non è vero.”
“Sì, invece.”
“Ok, senti, volevo solo essere gentile! Buonanotte,” concluse Aurora con un po’ troppa fretta, prima di uscire di nuovo e allontanarsi dalla camera alla velocità della luce.
Zoe continuò a fissare sospettosa la porta, domandandosi cosa potesse avere la sua amica da nasconderle, ma alla fine decise che era troppo stanca per tentare di risolvere anche quell’enigma. Sbuffò, spense la lampada sul comodino, si mise comoda con la testa sul cuscino e chiuse finalmente gli occhi.
Nemmeno due minuti più tardi, le parve di sentire qualcuno che la chiamava in lontananza. Si rigirò nel letto, pensando che se avesse finto di dormire avrebbero desistito. Poco dopo il suo cellulare si illuminò e cominciò a vibrare con insistenza sul comodino.
“Merda, ho dimenticato di spegnerlo,” borbottò a se stessa, prendendo l’oggetto incriminato per capire chi potesse essere. Appena lesse “Giacomo” sul display si tirò a sedere come azionata da una molla invisibile, con il cuore che accelerava senza pietà, improvvisamente più sveglia che mai.
“Sì?” rispose con voce roca.
“Ehi,” la salutò Giacomo all’altro capo.
“Ce ne hai messo di tempo a richiamarmi,” lo rimproverò lei, sentendosi subito più leggera.
“Lo so. Senti…” Fece una pausa, indeciso, poi continuò. “Perché non ti affacci alla finestra, così almeno capisco qual è la tua stanza?”
A Zoe per poco non cadde il cellulare dalla mano per la sorpresa.
“Cosa?” gracchiò senza fiato.
“Dai, su, svelta.”
Non se lo fece ripetere un’altra volta: mollò il telefono, scese dal letto come un fulmine e arrivò alla portafinestra del piccolo terrazzino che dava sul cortile anteriore della casa. In quello Aurora entrò trafelata nella camera.
“Zò, sveglia!” stava sbraitando. “Penso che dovresti… Ah, lo stai già facendo,” commentò sorridente, vedendo l’amica che si scapicollava ad aprire il balcone della porta che aveva già chiuso per dormire.
“Con te faccio i conti dopo,” le disse Zoe, ritrovando un briciolo di lucidità e capendo all’istante la stranezza di Aurora durante la giornata. “So che sapevi.”
“Ops,” rise l’accusata, dileguandosi di nuovo in corridoio per andare a gustarsi la scena da una finestra libera.
Zoe uscì sul terrazzino con addosso un pigiamino estivo verde menta e, nonostante fuori ci fosse un’arietta fresca non da poco, appena vide Giacomo che la guardava da sotto in su con un sorriso per metà felice e per metà preoccupato, sentì un calore improvviso spargersi dal suo stomaco al resto del suo corpo. Non riuscì a non rispondere al sorriso di lui, anche se era ancora stranita per quell’improvvisata.
“Cosa diamine fai qui, sei matto?”
“Sono il tuo stalker personale,” ghignò Giacomo, ritrovando parte della propria sicurezza nel sorriso di lei: era evidentemente contenta di vederlo.
“Sì, beh, non è la prima volta che…”
“Oh mio dio, Pioggia, non ci credo!”
Viola era sbucata dalla finestra della propria camera e, vedendo il cantante, aveva recitato la propria battuta con fare teatrale.
“Sei venuto a farle una dichiarazione come Romeo e Giulietta! Zoe, ma perché tutte le fortune a te? Eh? È proprio vero che chi ha il pane non ha i denti…”
Nel frattempo anche le persone all’interno della casa che non conoscevano bene la situazione né i protagonisti, sentendo l’esclamazione di Viola, erano stati spinti ad affacciarsi ai vari balconi della villa, creando un siparietto piuttosto divertente con tanto di pubblico.
Zoe lanciò un’occhiataccia alla propria sorella minore, che stranamente si zittì, forse anche grazie a Ginevra che la insultava in tutte le lingue del mondo intimandole il silenzio.
Giacomo stava ridacchiando e sembrava come sempre a proprio agio, ma era in realtà ancora un bel po’ agitato: Zoe lo notò da come si passava distrattamente una mano sulla nuca, seppur sorridendo.
Parlò lei per prima. “Aspetta un attimo, mi vesto e vengo giù.”
Si stava già girando verso la camera, quando lui la richiamò. “No, aspetta!”
Zoe lo guardò con le sopracciglia inarcate e lui dovette fare un colpo di tosse per schiarirsi la voce prima di riprendere.
“Non serve che scendi, non ancora.”
“Non vuoi mica fare davvero Romeo e Giulietta? Perché, non so se te ne sei accorto, ma c’è un po’ di pubblico in più del previsto…” gli fece notare Zoe, indicando le finestre da cui spuntava una mezza dozzina di teste divertite e curiose, alcune di persone che nemmeno lei conosceva fino a quella mattina.
Giacomo scosse la testa e diventò improvvisamente più serio. “No, è che… Devo dirti delle cose e vorrei che tu stessi lì mentre ti parlo, mi è più facile così. Quando sei vicina mi distraggo, oppure sei tu che fai qualche mossa Jedi che non capisco, e finisco sempre per dirti quello che vuoi sentirti dire.”
Zoe aveva il cuore in gola, si limitò a fare un cenno con la testa per spingerlo a continuare, e Giacomo prese fiato.
“Potrei aver fatto una stronzata a venire qui, ma ne ho fatte tante nella mia vita, e quella di rinunciare a te senza fare niente sarebbe la più grande di tutte. Tu hai paura, lo capisco. Dio, ne ho anch’io, credi che non ne abbia?”
Lei fece un’espressione dubbiosa e Giacomo sorrise.
“No, invece, ho paura anch’io. Ho paura che tu mi respinga di nuovo e ho paura anche che cominciare qualcosa con te possa significare la fine della nostra amicizia. E la nostra amicizia è una delle cose più belle che mi sono capitate negli ultimi anni. Tu lo sei. Sei un casino e mi esasperi come nessun altro al mondo, eppure sono ancora sicuro che insieme staremmo bene, non solo come amici. Ne sono ancora più convinto dopo quello che è successo l’altra notte, anche se poi sei scappata.”
Si sentì chiaramente una specie di gemito stupito e frustrato, e Zoe non dovette nemmeno girarsi per sapere che proveniva da Viola. La ignorarono entrambi. 
“E adesso devo sgridarti,” continuò Giacomo, passandosi di nuovo la mano sul collo. “So cos’hai visto a casa mia, a Milano, che ti ha fatto scappare, e non è quello che pensi. Avresti dovuto chiedermelo subito, e forse adesso non sarei qui, anche se sono abbastanza sicuro che avresti trovato un altro motivo per darti alla macchia, dopo quello che era successo.”
Zoe sentì un altro verso di Viola, che evidentemente smaniava dalla voglia di intromettersi, e alzò gli occhi al cielo. Vedendola, a Giacomo sfuggì una mezza risata, abbassò la testa e poi la rialzò, guardandola negli occhi e riprendendo il filo del suo discorso.
“Tu scappi e io ti seguo, finora è andata così. Tranne quella volta in Canada, lì eri decisamente troppo lontana per pensare di seguirti. È stato un duro colpo per la mia reputazione di stalker,” ammise, aggrottando le sopracciglia, per poi tornare più serio che mai. “Ma non posso continuare così nemmeno io, Zò, posso seguirti ovunque se sei tu a chiedermelo, ma non posso stare dietro a una persona che non so nemmeno se mi vuole. È l’ultima volta che ti seguo, lo prometto, poi dipenderà solo da te.”
Zoe tirò su col naso, il fiato incastrato in gola già da un bel po’, la paura di quello che sarebbe arrivato dopo. Giacomo non si fermò.
“Ho bisogno di sapere adesso se possiamo avere una possibilità. Non ti chiedo certezze, ti chiedo solo un varco aperto, un forse. Lo so che per te è già tanto questo, e so anche che ti avevo detto che ti avrei dato del tempo, ma di tempo, onestamente, te ne ho dato già abbastanza. Ora ho bisogno io di capire. Quindi mi spiace metterti alle strette, ma se mi vuoi hai tempo solo altri dieci secondi per venire qui, io non posso resistere più di così.”
Zoe rimase immobile, con un’espressione stupita in volta, solo per un istante, dopodiché, senza dire niente né fare alcun cenno al povero Giacomo, si girò e rientrò velocemente in camera. Il ragazzo spalancò gli occhi, convinto di averla spaventata di nuovo a morte, ma non fece nemmeno in tempo a reagire né a spostare gli occhi dal balcone, che Zoe era uscita nuovamente, infilandosi una leggera felpa blu. Finita l’operazione si sporse dal lato del terrazzino, come a valutare a qualcosa, e prima che Giacomo riuscisse a dire o anche solo a pensare qualunque cosa, la ragazza aveva scavalcato con una gamba la ringhiera a sinistra e si accingeva a passare di là anche l’altra.
“ZOE!” urlò Giacomo, muovendosi più vicino alla casa, impaurito. “Cosa cazzo stai facendo?”
“Scendo,” rispose lei, come se fosse la cosa più normale del mondo. “Se prendo le scale non ce la faccio in dieci secondi.”
“Ok, senti, non importa, ti aspetto, ma non fare idiozie, non… NO!” gridò istericamente lui vedendo che Zoe, disinteressata alle sue parole, aveva superato la ringhiera e aveva fatto un piccolo salto, riuscendo ad atterrare illesa sulla tettoia che copriva la porta al piano terra.
Anche Ginevra e Aurora sbraitavano improperi di ogni tipo contro la ragazza, mentre Viola, forse per la prima volta in vita sua, sembrava aver perso l’uso della parola, e guardava la scena trattenendo il fiato.
Zoe scivolò a sedere sulle tegole della piccola tettoia, fino ad arrivare al bordo, poi guardò Giacomo, che aveva ancora gli occhi spalancati.
“Pensi di riuscire a prendermi?” gli chiese candidamente, sorridendo incerta.
Lui si riscosse e le lanciò uno sguardo in bilico tra il furioso, il preoccupato e l’innamorato, cosa che la fece sorridere ancora più apertamente.
“Appena tocchi terra ti strozzo con le mie mani,” borbottò Giacomo, alzando le braccia.
“Beh, c’ho messo un po’ di più di dieci secondi, ma era difficile scendere più velocemente,” scherzò lei, mentre si girava dandogli la schiena e calandosi giù dalla tettoia, in modo da rimanervi appesa con le mani e non schiantarsi a terra. Appena sentì la stretta sicura di Giacomo sui fianchi, mollò la presa e gli lanciò un’ultima frecciatina. “Pensi di essere l’unico che ha il diritto di fare gesti teatrali e insensati?”
Giacomo sbuffò senza riuscire a trattenere del tutto una mezza risata, appoggiò Zoe a terra, la fece girare verso di sé, e la abbracciò strettissima, quasi alzandola da terra. Lei rispose subito al suo abbraccio buttandogli le braccia al collo e lasciandosi stritolare da quelle di lui.
Dalle finestre partì un piccolo applauso e qualche parola d’incitamento e Zoe seppellì il viso nel collo di Giacomo, vergognandosi.
Lui continuò a stringerla e le parlò direttamente nell’orecchio. “Se la risposta era no bastava dirlo, non era necessario tentare il suicidio…” la prese in giro.
Zoe si scostò di qualche centimetro per guardarlo negli occhi, scettica. “Ti sembra un no?”
Il sorriso che nacque sul volto di Giacomo era talmente esplicativo e solare e spudoratamente felice che Zoe sentì il proprio cuore fermarsi per poi riprendere a correre più veloce di prima. Si guardarono negli occhi, finalmente vicini, sorridendo entrambi, e mentre Giacomo si sporgeva per baciarla, partì un nuovo e più forte fischio di approvazione da una delle finestre. Zoe spalancò gli occhi e si allontanò di un metro da lui, ricomponendosi: vedere Giacomo a pochi centimetri da lei le aveva fatto completamente dimenticare di essere sotto gli occhi di un po’ di persone.
“È colpa tua, esibizionista,” lo rimproverò, sentendo che il proprio cuore non voleva saperne di rallentare.
“Veramente sei tu che hai dato spettacolo!” ribatté lui, girandosi verso la casa e salutando con la mano in direzione delle finestre da cui sporgevano Aurora, Viola, Ginevra e Marco.
“Tu hai fatto questa messinscena alla Romeo e Giulietta, io avrei parlato in privato!”
Lui rise e la guardò di nuovo. “Non s’è mai vista Giulietta che si butta dal balcone.”
Zoe incrociò le braccia, fingendo d’imbronciarsi. “Nemmeno Romeo che le dà un ultimatum, se è per questo!”
“Siamo meglio noi, eh?” ammiccò il ragazzo, senza smettere di sorridere.
A quel punto Viola, evidentemente stufa di stare in silenzio, intervenne dalla sua postazione sopraelevata.
“Giacomo, se quella ritardata di mia sorella non si decide a baciarti, a questo punto vengo giù io, almeno ti saluto. Il bacio è a tua discrezione!”
“Non ti azzardare,” la rimproverò Zoe, prendendo Giacomo per mano e cominciando a indietreggiare verso il cancello della villa. “Noi ce ne andiamo a fare un giro in spiaggia,” annunciò: sentiva il bisogno di stare un po’ da sola con lui prima di affrontare quel ciclone di sua sorella minore e tutte le altre persone urlanti e festose.
Aurora la chiamò. “Zò, ma dove vai? Sei scalza!”
Zoe si guardò i piedi e si rese conto che l’amica aveva ragione; rialzò la testa guardandola, indecisa, e Aurora le fece cenno di stare ferma, rientrò in casa e riapparve alla finestra della loro camera.
“Tieni, scema,” le disse lanciandole giù un paio di ciabatte infradito. “E se andate in spiaggia prendi anche questo, ho idea che potrebbe servirvi,” continuò, calandole addosso un asciugamano da mare.
“Grazie mamma.”
“Fate i bravi!” li salutò Aurora, sventolando la mano nella loro direzione.
“Ciao ragazzi!” fece eco dalla sua finestra Ginevra, che era appena riuscita a trattenere una Viola piuttosto seccata perché non poteva raggiungere Giacomo in giardino. “Ci toccherà prepararvi una camera lontana dalle altre,” commentò poi la maggiore delle Molinari, parlando più a se stessa che alle due figure ormai lontane, e scatenando la risata incredula di Marco e Aurora, cui poi si aggiunse quella finalmente serena di Viola.

Qualche minuto più tardi i due stavano per raggiungere la spiaggia, dopo aver attraversato il paese in completo silenzio. Ma stavolta, lo sentivano entrambi, non era un silenzio imbarazzato, strano, era piuttosto un silenzio naturale, felice, di quelli che servono a sentire il respiro dell’altra persona, la sua presenza accanto a te, a percepire i suoi sorrisi. Non si erano ancora guardati negli occhi da quando avevano preso a camminare, Zoe sembrava avere urgenza di arrivare al mare, ma Giacomo continuava a sfiorare la sua mano con la propria, indeciso se stringerla o continuare quel gioco fatto di silenzi e vibrazioni e avvicinamenti. Perso in questa titubanza, non si accorse nemmeno di essere arrivato in spiaggia; seguì senza fiatare l’esempio di Zoe, che si toglieva le infradito per continuare a trascinare i piedi sulla sabbia, e si sfilò scarpe e calzini, per poi raggiungere la ragazza più in là, vicino alle onde che si muovevano pigre sul bagnasciuga.
Quando le arrivò accanto, finalmente Zoe si voltò verso di lui e gli sorrise, incerta e quasi timida, e Giacomo avrebbe voluto solo prenderla, baciarla e stringerla forte, in quel cliché romantico fatto di sabbia, onde e stelle, ma prima che potesse farlo notò una domanda nascosta in fondo agli occhi di lei e la capì al volo, senza nemmeno sapere come. Si avvicinò ancora, sistemandosi esattamente di fronte a Zoe e abbassandosi un po’ per guardarla dritta negli occhi.
“Non sono andato con quelle ragazze,” spiegò serio, “è solo un gioco che abbiamo fatto io e Niccolò quest’estate. Quando gli ho detto che secondo me ti eri presa una cotta per un altro, lui ha insistito che dovevo smettere di pensarci e svagarmi. Abbiamo fatto a gara, è vero, ma solo per vedere chi riceveva più numeri di telefono durante le date del tour, tutto qui.”
“Ok, senti…” Zoe tentò di interromperlo ma lui non la fece continuare.
“È tutto qui. So che forse non mi crederai, ma…”
“Sì, Giaco, sì che ti credo!” Stavolta fu lei e fermarlo, scuotendo la testa convinta. “Mi fido di te, questa cosa non cambia.”
“Grazie.”
“Non mi ringraziare,” continuò la ragazza. “Te la meriti la mia fiducia, sono stata stupida a comportarmi così. È che eravamo d’accordo che… Sì, insomma… Avevi tutto il diritto di farti chi volevi.”
“Lo so.”
“Ho sbagliato ad arrabbiarmi. Non era per la cosa in sé, è che ti avevo chiesto se eri stato con altre e mi avevi risposto di no. E poi ho visto quel bigliettino appeso alla bacheca e ho pensato…”
“Lo so,” ripeté Giacomo.
“Non dovevi aspettarmi, ti avevo detto di non farlo,” continuò lei, imperterrita, con un tono quasi spaventato.
“Lo so,” disse lui per la terza volta, e stavolta le posò delicatamente le dita davanti alla bocca, per fermare il fiume in piena delle sue parole. “Lo so, Molinari. Non ti ho aspettato perché mi sentivo in dovere di farlo, Zò, l’ho fatto perché ti amo. Non potevo fare altrimenti.”
Zoe rimase immobile alle sue parole, come pietrificata da qualcosa che Giacomo non riuscì a identificare immediatamente. Poi ripensò alle proprie parole e spalancò gli occhi.
“Oddio, non dovevo dirlo! Cazzo,” imprecò, semiserio. “Fuggirai di nuovo adesso?”
A Zoe scappò un sorriso che suonava un po’ come una risata. “No.”
“Sicura? Più lontano magari. In Australia. O direttamente su Marte,” la prese in giro lui, più sereno dopo aver visto il suo sorriso.
“No, non vado da nessuna parte.”
Giacomo sorrise ancora, stranamente indeciso sul da farsi. “Bene, perché non avrei i soldi per seguirti anche lì.”
Lei alzò le spalle, poi sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa e aggrottò le sopracciglia. “Non avevo una cotta per Ethan! Non so cosa ti sei immaginato nella tua testolina bacata, ma non è successo niente con lui.”
“Beh, sembrava,” commentò il ragazzo, corrucciandosi nel ripensare al momento in cui aveva letto la mail in cui Zoe gli raccontava di quel tipo.
“Ero solo confusa,” spiegò lei. “Mi sarebbe anche piaciuto ma continuavo a pensare a te ed ero così arrabbiata per questo, perché sapevo di non essere obbligata a fare o non fare qualcosa, ma ero comunque bloccata e tu eri continuamente lì, nella mia testa, e pensavo ‘chissà cosa sta facendo Giacomo, di sicuro non ha problemi a farsi altre ragazze’ e io invece di problemi me ne facevo e… Oh, che palle,” sbottò, alzando la testa e vedendo l’espressione incerta di lui.
“Che c’è?”
Zoe sbuffò, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò. Lo colse talmente di sorpresa che Giacomo oscillò e fece un passetto indietro per il contraccolpo, ma si riprese subito, rispondendo al bacio.
“Io parlo troppo. Devi imparare a fermarmi,” disse Zoe, sorridendo, mentre lui la avvolgeva finalmente fra le sue braccia, portandosela ancora più vicina.
“Posso farlo? Posso fermarti quando e come voglio?”
Lei sembrò ponderare la questione. “Adesso non esageriamo.”
“Me lo meriterei questo bonus! Ho fatto tutti questi chilometri per…”
Zoe lo baciò di nuovo, zittendolo. “Anche tu parli davvero troppo a volte. Non ti è bastata la sceneggiata sotto al balcone?”
Giacomo boccheggiò, fintamente offeso. “Beh… Tu pensi troppo! Sempre!”
“Questo è vero.”
Risero, si baciarono ancora, stesero l’asciugamano a terra e vi si sedettero sopra, appoggiati l’una all’altro, a coccolarsi, chiacchierare, ridere e prendersi in giro, finché a Zoe non venne in mente una cosa che voleva chiedergli.
“Posso farti solo un’altra domanda seria?”
“Concessa,” borbottò Giacomo sporgendosi per affondare il viso tra i suoi capelli e abbracciarla.
“Mossa Jedi?” chiese Zoe, perplessa, citando il suo discorso sotto al bancone.
“E certo. Tu hai senza dubbio dei poteri mentali.”
Lei scoppiò a ridere. “E tu sei completamente pazzo.”
Giacomo sbuffò. “Se non fossi pazzo non sarei qui adesso,” commentò, poi la fece voltare e si sporse per baciarla con trasporto, fin quando Zoe non si staccò senza fiato e lo guardò con l’indecisione ben stampata negli occhi.
“Dimmi,” la incitò lui, oramai abituato a quel tipo di sguardo.
“Sono stanca, ho dormito pochissimo le ultime notti. Quando sei arrivato mi ero già messa a letto.”
“Vuoi che andiamo a dormire? Potevi dirlo subito, ragazzina.”
Zoe fissò un punto nella sabbia, imbarazzata. “Non intendevo dire questo. Stavo pensando proprio il contrario, in realtà.”
Giacomo aggrottò la fronte con aria interrogativa, aspettando che si spiegasse. Lei lo guardò di nuovo e fece una mezza smorfia, poi lo baciò di nuovo, facendolo quasi cadere all’indietro mentre si spingeva verso di lui, che la strinse ancora più forte e si allungò sull’asciugamano, con la ragazza completamente stesa sopra di sé.
“Non eri stanca?” bisbigliò Giacomo, infilandole una mano sotto la maglietta del pigiama per sfiorarle il fianco e poi la pelle calda della schiena.
“Evidentemente non così tanto,” ridacchiò lei in risposta.
Si baciarono di nuovo ridendo insieme, l’uno sulle labbra dell’altro, poi Zoe si alzò di scatto e porse una mano a Giacomo.
“Andiamo a casa.”
Raccolsero asciugamano e scarpe in fretta e furia e si avviarono verso la casa, percorrendo il tragitto a una velocità tripla rispetto al viaggio di andata.
Zoe si fermò davanti alla macchina di lui, aspettando che scaricasse il borsone che si era ottimisticamente portato via, sperando che succedesse proprio ciò che era accaduto alla fine.
“Hai anche la chitarra?” gli chiese, intravedendo la custodia scura sul sedile posteriore.
Giacomo annuì.
“Prendila allora, che dopo mi canti la canzone che hai scritto quest’estate.”
“Dopo cosa?” chiese lui, malizioso, seguendola verso la porta dell’enorme casa.
Zoe non disse niente, ma si voltò di nuovo verso di lui e si limitò a lanciargli un lungo sorriso luminoso che lo lasciò completamente stordito.





Ti ho incontrata tra un milione di persone,
ti ho trovata ed eri quella che cercavo.
L’ho capito subito, sai,
ma il sole acceca quand’è troppo forte,
o ti fa vedere cose un po’ distorte.

Sì e no, pensieri, mesi di follie,
forse, non so, risate e pianti, tanti.
Io ti ho aspettata,
io ti aspetterei, lo sai,
anche fino alla fine del mondo.

Siamo uguali, diversi,
simili, controversi…
Non fa niente, lascia stare,
voglio solo tu mi stia ad ascoltare.

I tuoi occhi, troppo facili da amare,
vorrei vederli sorridere, magari so come fare…
Prova a farmi provare,
prova a farmi provare.

Stavi male e il mio cuore sanguinava,
sorridevi e pensavo che tu fossi
la persona che cercavo da una vita,
eri lì, e volevi essermi amica.

Se sono diverso è perché so di amarti,
pensa quanto vuoi, posso ancora aspettarti.
Se sono diverso è perché so di amarti,
torna quando vuoi, sai che sto ad aspettarti.

Siamo uguali, diversi,
forse ci siamo solo persi.
Non fa niente, lascia stare,
voglio solo tu mi venga ad abbracciare.

Non fa niente, lascia stare,
prova a farmi provare,
prova a farmi provare,
prova a farti amare.















Hola! Salto di netto le scuse per il ritardo (pfff, inutili dopo quattro anni, eh?) e passo alle ultime cose che vorrei dirvi in merito a TSP. Mando già un grazie preventivo a chi leggerà tutto e un saluto comprensivo a chi salterà queste note.

La prima, doverosa precisazione è che la canzone è stata scritta da me completamente ad cazzum, nel senso che so poco di metrica, e non so niente di come la metrica funzioni in un testo di canzone, la musica non è stata pensata perché ne so ancora meno, quindi mi scuso in anticipo per eventuali castronerie e accetto critiche e proposte. Peraltro l’ho scritta davvero anni fa, mentre la storia avanzava, ma piuttosto presto diciamo (sì, sapevo già come sarebbe finito il tutto e vi ho fatto aspettare così tanto, lo so, sono un essere deprecabile), e di recente ho modificato solo un paio di parole. Prendetela così com’è.

La storia, di fatto, è finita. Se qualcuno avrà la pazienza (basta, buuu) di aspettare ancora un paio di settimane, pubblicherò anche un ultimo capitolo breve scritto in prima persona, ambientato qualche tempo dopo il finale. Ma è solo per amore della simmetria: la storia è iniziata con un prologo di Zoe e finirà con un epilogo di Zoe, che comunque non aggiungerà niente di che al racconto. Fosse per me non lo metterei, ma sono un’odiosa psicopatica perfettina solo per quanto riguarda queste puttanate e, anche se al momento odio tutte le parti in prima persona di questa storia infinita, mi sembra tuttora giusto concludere così, come ho iniziato.

Take some patience” non mi mancherà. È brutto da dire così, ma è la verità. Forse mi mancheranno un po’ i sorrisi di Giacomo e il caratteraccio di Zoe, sicuramente mi mancheranno i vostri commenti al riguardo, anche se molti me li sono giocati aspettando così tanto per mettere la parola fine. Sono quasi duecento pagine di Word e, tutto sommato, anche se ora come ora cambierei un sacco di cose, nel complesso ne vado abbastanza fiera, come vado fiera dell’essere riuscita a finirla. Ma gli ultimi capitoli mi hanno portato via più energie del previsto e siccome, come ho già detto, forse la storia non era più nelle mie corde da un po’, ho fatto fatica a scriverli. Spero, come sempre, di essere stata coerente e di essere riuscita a strapparvi un sorriso anche con questo lunghissimo capitolo finale, pieno di cliché, banalità e amore, ma tutti fatti a modo mio e dei miei personaggi.
Probabilmente avrei dovuto scriverla tutta a suo tempo, visto che a suo tempo l’avevo pensata completa, così come l’ho finita. Ma io sono cambiata, con me è cambiato il mio modo di scrivere e di vedere certi argomenti. Non a caso metà delle storie che all’epoca avevo pensato e/o cominciato a scrivere non vedranno mai la luce. Ma alcune forse sì, alcuni lavori senza pretese che sto provando a mettere apposto e concludere, perché prima di pubblicare qualsiasi cosa, in futuro, voglio aver finito, o quasi, di scriverla.

Quindi, se vi va, stay tuned. Sennò addio, e vi auguro comunque tutto il meglio. :)
Nel frattempo aspetto commenti e insulti e tutto il resto, e prometto di rispondere a tutti.
Un grazie ancora e un bacio grande a voi!






  
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