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Autore: Ellie_x3    27/05/2015    9 recensioni
"Non è una favola a lieto fine, non ancora, ma è la nostra. E mi va bene, no?
Insomma, perché non dovrebbe? Solo perché non l'ho cercato ed è capitato? Non scherziamo: sappiamo tutti che certe cose non si cercano. E Brooklyn... E' magica, davvero, Brooklyn fa accadere l'impossibile.
E' un inizio, sì, solo un inizio: ma fa pensare ad un bel finale.
Staremo a vedere."
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Onestamente, ho sempre creduto in due cose: il caffè e la fotografia. E New York.
Always believe in New York.

 

11 - 201

 

Humans of New York
13 dicembre

“Ho girato almeno una mezza dozzina di Stati in vent'anni: mia madre ha la brutta abitudine di risposarsi più o meno ogni due anni, appena si stanca di un uomo o smettono di pioverle addosso regali. 
Ho tutta la vita davanti, studio arte fotografica e sono gay. E' la prima cosa che dice di me, se mi deve presentare ai nuovi vicini. Così, come se fosse una malattia. Come se fosse un bollino appiccicato sulla fronte. Io dico qualcosa di molto diverso: una cosa che mi definisce meglio di un semplice orientamento sessuale.
Ciao, studio arte fotografica e, ehy, vivo nel cuore pulsante di Brooklyn. Non sono imprigionato in un preconcetto, non mi sento attaccato da alcun pregiudizio. Vivo la mia vita in pace. Ed è una fortuna che, credetemi, tutti dovrebbero avere.”

 

[Dicembre 2015]
 

Nevicava per la prima volta in tutto l'anno, a New York. Un freddo cane, sul serio. Da due giorni i telegiornali nazionali non parlavano d'altro che dell'ondata di maltempo imminente; infine, in una sola notte, era caduta così tanta neve che risultava difficile persino aprire le porte dei palazzi.
Chester Harington, però, non aveva paura del freddo.
I pro e i contro di aver vissuto in Alaska da ragazzino, si diceva (e con cadenza più o meno stagionale). Quasi quasi, grazie a dieci anni di convivenza forzata con i pinguini, il gelo e la Regina Elsa, il freddo aveva cominciato a piacergli.
Come diavolo aveva fatto, esattamente, sua madre? Acclimatarsi dall'Alaska alla Florida nel giro di un paio d'anni non era umano. In realtà era molto, molto facile acclimatarsi al conto in banca del nuovo marito e questo, Miranda Harington, lo sapeva benissimo. Nessun trasloco è troppo dall'altra parte del paese per un'arrampicatrice sociale di mezza età.
Chester se n'era fatto una ragione.
Non che stesse male dove stava: New York gli piaceva sin troppo, piuttosto, e considerava di fermarsi fin dopo la fine della NYU.
Dio salvi la Regina e i corsi al college. 
Insomma, la città aveva i suoi pregi. Il fatto era che Brooklyn, tra le mille attrattive che poteva offrire ad un ventenne di bell'aspetto (o così gli avevano detto), vantava la più rara bellezza della città; una di quelle che se non guardi bene sfugge, ma che è impossibile da ignorare se ci si mette un po' d'attenzione.
“Cosa posso fare per te?”
Ah, la meraviglia parla. 
Chester, con una scrollata del capo, si riscosse bruscamente. Ah, già. New York. Sette e trenta del mattino. Neve. Coda da Starbucks. Caffè.
Non era esattamente la tonalità della pelle del ragazzo che aveva davanti, quella dei chicchi non ancora macinati, no: ricordava più il cioccolato. Un mocha bagnato di latte, con due giade per occhi -erano davvero così verdi o era il grembiule? Forse il riflesso della luce. Chester si chiedeva come potesse mai riflettersi il sole sulla neve e su quegli occhi.
E poi c'era il pezzo forte, quello che ti faceva fermare e dire oh, wow: il sorriso più bello di tutta l'America.
Aveva attraversato sei stati, Chester Harington, per vedere quel sorriso.
“Un espresso. Tall.” Si affrettò a precisare, allungando una banconota al di là del bancone. L'altro la prese con eleganza, e ricambiò il sorriso quando Chester mormorò un: "Grazie".
“Figurati. A che nome?”
“Chess.”
“Espresso Tall arriva subito.”
Un altro sorriso da mozzare il fiato.
Chester sospirò, ricacciando in gola un invito a cena e a pattinare al Rockfeller, e si accoccolò sull'isola di legno in attesa dell'espresso -che arrivò quasi istantaneamente, con un rapido 'Chess' un pedone degli scacchi scarabocchiato in fretta. Chess, anche se Chester odiava quel soprannome, ormai era rimasto.
Quel barista era l'unico a chiamarlo così, ma probabilmente non l'avrebbe mai saputo.

Quel bel sorriso si chiamava Taylor (benedette le targhette), lavorava da Starbucks da mesi, e da mesi, ogni mattina si trovava un ragazzo biondo davanti agli occhi tra le sette e le otto. Chiedeva un espresso tall e lo riempiva di zucchero, ogni tanto lo macchiava, raramente ci metteva della vaniglia -agitava, toglieva il coperchio, aveva sempre difficoltà a rimetterlo senza spandere qualche goccia scura sull'isola in compensato.
Se si fosse guardato alle spalle, anche solo un secondo, anche solo per sbaglio, avrebbe notato lo sguardo incuriosito di Taylor.

#

New York era tiepida. Era una nottata passata davanti al caminetto, era una sciarpa nuova fatta a maglia.
New York era la sua casa,vi era nato e cresciuto, e lì Taylor Dawson aveva imparato che nulla, in quel guazzabuglio di persone ed esperienze diverse, era davvero impossibile.
Neanche fare il primo passo. Neanche sperare che, a gennaio, spuntasse il sole.

 

[Gennaio 2015]

“Ehy. Buongiorno, raggio di sole. Chester, giusto?”
Chester sbattè le palpebre, perplesso. Ok, diceva a lui?
Normalmente, nessuno in tutta New York si rivolgeva ad un altro essere umano prima delle otto del mattino; o, almeno, non senza ringhiare. Taylor, invece, era sorprendentemente cortese.
Gli stava rivolgendo un sorriso carico di gentilezza, di quelli promettevano una buona giornata.
“Buongiorno.” rispose, con evidente meno entusiasmo ed appoggiandosi al bancone. Doveva trovarsi sulla Nona Est entro mezz'ora, e Dio solo sapeva quanti pendolari, turisti e accattoni stavano infestando la metropolitana in quell'esatto momento.
Sospirò.
Aveva quasi la tentazione di chiamare un Taxi.
“Fai sempre quella cosa.” notò Taylor, con quella sua voce limpida. Chester sollevò un sopracciglio, e se ne pentì immediatamente: doveva sembrare davvero sciocco, perché Taylor scoppiò in una risata e si affrettò a spiegare, mimando il gesto. “Quell'alzata di sopracciglio. E poi ti scompigli i capelli. Lo fai ogni mattina.”
Era vero. Cristo, glielo dicevano sempre -quello, oltre che aveva gli occhi impossibilmente chiari, delle fossette che gli davano dieci anni di meno e nessun talento nello scegliersi i vestiti. La cosa incredibile era che Taylor se ne fosse accorto.
Taylor, che lo vedeva sì e no dieci secondi al giorno -e lo notava davvero, poi? Con tutte le persone che gli si presentavano davanti tutti i giorni, beh, era un miracolo che si ricordasse la sua faccia.
Taylor, che non era altro che una targhetta su un grembiule e dita eleganti strette attorno ad un Espresso.
Taylor, che lo guardava e, Cristo, ma dov'erano tutti i soliti idioti in coda da Starbucks? Chester si chiese se non fosse una specie di Candid Camera. Uno scherzo. Un miracolo.
“L'hai fatto di nuovo.” commentò il ragazzo. Chester sussultò.
“Oh...scusami. Sì, è una specie di tic? Non lo so, forse dovrei smetterla. Forse- ”
Taylor si sporse in avanti, sgranando gli occhi per la sorpresa. Erano, a guardarli meglio, del colore delle foglie in ottobre.
“Oh, no.” si affrettò a dire “E' un gesto insolito; tutto qui. A me piace.”
“Sul serio?”
Dai, Chester, che idiota.
Avrebbe voluto picchiare la testa contro il muro e potersi rimangiare la domanda, ma oramai era andata; non si tornava indietro. Chester si morse il labbro.
“Perdonami, prima delle otto non capisco un cazzo, sto dicendo cose a caso.”
“Ma no. Sono Taylor, approposito. Ci vediamo tutte le mattine.”
Lo so, avrebbe voluto rispondere, lo so fin troppo bene.
“Piacere, Taylor. Io sono...beh, Chester. Sono felice che finalmente riusciamo a presentarci decentemente.”
“Non dirlo a me. Anche se immagino che tu sia qui per...” il ragazzo gesticolò in direzione del retro, senza voltarsi. Chester annuì, con un mezzo sorriso.
“Eh, già.”
“Beh, in effetti è sensato. Anche se i muffin di stamattina... Dio, per dire la verità fanno davvero schifo, non te li consiglierei.”
“Ok.” In un modo o nell'altro, Chester era affascinato dal modo in cui Taylor chiacchierava del nulla. Strascicava le vocali, e spesso si mangiava le parole, ma era ipnotico. O era il modo in cui si umettava le labbra? “Nel senso, non mi piacciono nemmeno, ma grazie dell'avvertimento.”
Taylor lo guardò per un lungo momento. “Bevi un caffè con me?”
Bam.
Come una bomba.
Inatteso, crollato da chissà dove, e che lasciò Chester a chiedersi se l'avesse sentito davvero o se non fosse preda di allucinazioni auditive. Non poteva essere vero, no? Non aveva nulla a che fare con quello che stavano dicendo, e poi era così improvviso, e di certo Taylor aveva modi migliori di spendere la mattinata che prendere un caffè con lui.
Eppure, in qualche modo, Chester riuscì ad annuire.
“Volentieri.”
Mai, in tutta la sua vita, fu più soddisfatto di sé: perché a quella risposta, data con giusto un istante di ritardo, Taylor gli sorrise e le sue guance divennero d'un bel bordeaux sotto la tonalità cioccolata, e poi sorrise ancora, come se non riuscisse a smettere.
“Stacco il turno fra cinque minuti, ma tanto ci sei solo tu. Scegli un tavolo.” gli scoccò un'occhiata divertita. “Espresso tall?”
Chester ricambiò. Oh, Dio, nessuno sorrideva a New York prima delle otto del mattino -e di certo non prima di un paio di caffè.
Loro erano l'eccezione, a quanto pareva.
“Ormai lo sai.”.

Non sarebbe mai arrivato sulla Nona Est in quindici minuti.
No, ripensandoci non ci sarebbe andato affatto -e per fortuna che i suoi compagni di laboratorio erano persone comprensive, davvero; sarebbero stati addirittura felici di sentire che Chess si era fermato per parlare con un ragazzo.
Chester non poteva far altro che scrollare le spalle e rimanere in silenzio, pensando a tutt'altro.

 

[Marzo 2017]

 

Humans of New York
24 Marzo

“Mi chiamo Taylor Dawson, ho ventisei anni. Ho conosciuto il mio ragazzo quando lavoravo part-time allo Starbucks a Flatbush Ave, per distrarmi dagli studi. Mi ero preso un anno sabbatico, come si dice, e mi sono detto: beh, è di fianco al Brooklyn College, qualcuno di interessante lo incontrerò pure, se il caso vorrà. Ebbene, il mio ragazzo frequenta la NYU e mai, mai avrei detto che sarebbe finita così... Eppure ho finito l'ultimo anno e ora ci sposiamo.
"Non è una favola a lieto fine, non ancora, ma è la nostra. E mi va bene, no? Insomma, perché non dovrebbe? Solo perché non l'ho cercato ed è capitato? Non scherziamo: sappiamo tutti che certe cose non si cercano. E Brooklyn... E' magica, davvero, Brooklyn fa accadere l'impossibile.
E' un inizio, sì, soltanto un inizio: ma fa pensare ad un bel finale.
Staremo a vedere."

 

 

Note

Ok, anche in sessione d'esami può uscire qualcosa di decente. O forse no.
11-201 è lo Zip Code di Brooklyn, oc, e adoro tutte le mie meringhette alla vaniglia (ho fame).

   
 
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