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Autore: Fearless_90    28/05/2015    0 recensioni
[Altri attori/telefilm]
“Fidati del tuo cuore anche se il mare prende fuoco, vivi per amore anche se le stelle camminano all’indietro.”
- E.E. Cummings
Nell'ultimo anno Lee ha dovuto sopportare una dolorosa perdita e nel suo cuore le cicatrici non si sono ancora rimarginate. I ricordi la perseguitano e la sua anima vive costantemente divisa tra un passato che non tornerà mai più e un futuro che si prospetta pieno di fantasmi contro i quali combattere. Lee non vuole vivere così, ma da quel giorno maledetto si costringe come un automa fuori dal letto e si obbliga ad affrontare una nuova giornata, sperando soltanto che passi in fretta.
L'incontro con un paio di occhi verdi così familiari la trascinerà di nuovo nel passato e allo stesso tempo la salverà dagli incubi che la tormentano.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 || Where did my heart go missing




“Fidati del tuo cuore anche se il mare prende fuoco,
vivi per amore anche se le stelle camminano all’indietro.” 
E.E. Cummings
 
Guardai per la quarta volta l’orologio sopra la mia testa: segnava l’una e trenta. Il mio turno alla tavola calda era finito da un pezzo, ma a nessuno dei presenti era ancora permesso allontanarsi. Perlomeno così mi aveva raccomandato la poliziotta entrata circa un’ora prima per raccogliere delle informazioni. Sbuffando tornai a servire il signor Jenkins, un cliente fisso del Metro Diner e notai con disappunto, lanciando uno sguardo oltre i vetri appannati del locale, che la folla in strada non si era ancora diradata. Alcuni agenti di polizia erano occupati a tenere a bada i numerosi curiosi accorsi sul posto, addirittura qualcuno di loro stava cercando di  scattare delle foto per immortalare l’evento. Mr. Roger, il mio capo, ritto di fronte ad una poliziotta intenta a scrivere qualcosa su di un taccuino, probabilmente si stava pavoneggiando per bene, inventando di sana pianta qualche dettaglio su quanto accaduto.  
Scossi la testa, immaginando che nell’Upper West Side scene del genere non fossero esattamente all’ordine del giorno: due uomini che litigano per una donna e uno dei due che minaccia l’altro con un coltello, creando il panico.
Mi domandai quanto tempo ancora sarebbe trascorso prima di poter tornare a casa, dal mio morbido micio e dal mio comodo letto che di sicuro mi stava aspettando a braccia aperte. Osservando la bionda poliziotta che all’esterno dava disposizione ai suoi colleghi, valutai persino l’idea di andare a chiedere a lei il permesso di tornarmene al mio appartamento.
«Cara, ti dispiacerebbe versarmi ancora un po’ di zuppa?»
Sforzandomi di non sbadigliare di fronte all’anziano cliente seduto al bancone, annuii e ritirai il suo piatto per poterlo riempire con dell’altra zuppa di pomodoro. Nel frattempo fuori cominciò a muoversi qualcosa: i curiosi vennero fatti allontanare, l’auto della polizia con dentro il colpevole, probabilmente diretta alla centrale, partì in silenzio e tre agenti si avvicinarono all’entrata del Metro Diner.
«Rischiare la galera e beccarsi una denuncia con i fiocchi per quella…» Stava dicendo il più robusto dei tre quando la porta del locale si aprì. Togliendosi il capello e passandosi una mano sulla testa calva, l’uomo non terminò la frase, ma qualcosa nel suo sorriso malizioso mi suggerì che l’ultima parola avrebbe di certo fatto rima con soia.
«Già… Secondo me l’ha fatto per trovare una via di fuga! Evidentemente la prigione gli è sembrata cosa da poco rispetto ad una vita con quella bagascia!» Aggiunse il collega più anziano, liberandosi anch’egli del cappello e rivelando folti capelli bianchi e una fronte ampia solcata da numerose rughe. Entrambi risero sguaiatamente ed occuparono gli sgabelli di fronte al bancone.
Il terzo entrò per ultimo e notai immediatamente, osservandolo con attenzione, che appariva quasi a disagio ad ascoltare simili considerazioni da parte dei colleghi. Non potei fare a meno di essere silenziosamente d’accordo con lui.
Il giovane poliziotto prese posto accanto ai due, più sfacciati, compagni e dopo essersi tolto il berretto se lo posò in grembo e si passò distrattamente una mano tra i riccioli ramati.
Nel frattempo anche Mr Roger si degnò di tornare dentro, abbandonando qualsiasi tentativo di mettersi in mostra con la poliziotta. «Vorrei proprio sapere dove si è cacciata la tua amica! Un’ora di ritardo…» Bofonchiò, togliendosi il cappotto e sistemandolo con cura accanto al mio, sull’appendiabiti vicino all’entrata. Grattandosi l’enorme e morbida prominenza del suo stomaco al di sotto del grembiule, prese posto alla cassa. «Gliela sottrarrò dallo stipendio! » Aggiunse, brontolando sottovoce.
Sapevo benissimo che non l’avrebbe mai fatto, soprattutto perché non avevo ancora conosciuto un uomo capace di resistere all’esuberanza di Jessie. I suoi capelli, di un colore diverso ogni mese, il suo modo di fare allegro e spontaneo, la semplicità con la quale riusciva ad indossare magliette scollate e ad apparire allo stesso tempo l’ingenuità fatta persona, l’avevano sempre messa nei guai e salvata allo stesso tempo.
Si sarebbe presa una lavata di capo, avrebbe giurato di non ripetere l’errore e Arthur l’avrebbe perdonata come si perdona una bambina indisponente ed adorabile. Scrollai le spalle, ridacchiando al pensiero e mi apprestai ad occuparmi dei tre poliziotti in attesa.
Solo allora mi resi conto di come gli occhi verdi del giovane e taciturno agente fossero puntati su di me.
Per un secondo persi le redini dei miei pensieri e mi tornò in mente Nate, il mio Nate.
Per un attimo non riuscii a non pensare a noi, al nostro amore folle e appassionato, ai progetti, al futuro che non avremmo mai avuto.
Ma quegli occhi verde giada non erano i suoi, quell’uomo apparteneva al passato. Un passato che non sarebbe mai tornato a bussare alla mia porta.
Scossi la testa nel tentativo di riacquistare la lucidità perduta e il mio viso tornò una maschera impenetrabile. La mia corazza di nuovo al suo posto.
Lo sguardo del poliziotto si volse altrove.
«Cosa vi porto?» Cercai di apparire il più cortese possibile, nonostante sapessi benissimo che per colpa loro il mio turno si sarebbe prolungato ulteriormente. Il pensiero di una mancia più sostanziosa però mi diede lo slancio necessario ad appiccicarmi sulla faccia un grosso sorriso cordiale.
«Ehi dolcezza… Mi porteresti un hamburger, con patatine fritte e una birra ghiacciata?» Mi chiese il pelatone, tentando probabilmente di fare il simpatico con la bella ragazza di turno.
‘Cominciamo male’ pensai, concentrandomi sull’ordine e scrivendolo frettolosamente sulla pagina vuota di un taccuino già mezzo scribacchiato, ‘dolcezza a chi, brutto maiale?’
«E per lei? » Proseguii con le ordinazioni e cercai di non dar peso al modo in cui lo sguardo dell’uomo si posò sfrontatamente sul mio seno coperto dalla vistosa divisa da cameriera.
«Lo stesso, dolcezza. Mi raccomando, la birra deve essere bella fredda eh! » Scarabocchiai un “x 2” accanto a ciò che avevo scritto in precedenza e mi spostai di lato, dietro il bancone, per raggiungere l’ultimo cliente. I suoi occhi verdi si sollevarono per guardarmi e ancora una volta dimenticai dove mi trovavo e cosa stavo facendo.
«Hamburger, patatine e birra anche per lui.» Senza neanche darmi il tempo di chiedere il collega più anziano si intromise e mi riportò bruscamente alla realtà. Le mie guance si colorarono di rosso mentre mi affrettai a registrare anche la terza ordinazione.
«Solo un hamburger.» Lo corresse invece lui, senza badare alle loro espressioni di puro disappunto e continuando a scrutarmi con attenzione, come ad attendere una mia qualche reazione.
«Oh, non fare il solito guastafeste Sam! Portagli anche la birra, bambolina e fai presto che ho fame.»
Mi trattenni a stento dallo sbuffare sonoramente e mi apprestai a correggere di nuovo quanto scritto.
«Credo che alla signorina non piaccia essere apostrofata in quella maniera. Per me solo un hamburger.» Il suo tono di voce era calmo, eppure riuscì a mettermi in soggezione al punto che mi convinsi di non voler discutere affatto con un tipo come lui.
Strabuzzai gli occhi, ma non mi azzardai ad alzare lo sguardo da sopra il foglio, anzi strinsi ulteriormente la penna ed annuii in silenzio. Decisi di dar retta al giovane Sam e presi nota per un terzo hamburger, tralasciando la birra.
«Torno da voi in un attimo…» Balbettai imbarazzata, dileguandomi oltre le porte della cucina, purtroppo non abbastanza velocemente. Uno dei due poliziotti, sicuramente quello più anziano si rivolse infatti al ragazzo riccioluto.
«E’ solo una cameriera, sarà abituata ad un po’ di esuberanza da parte dei clienti no? E poi cosa ne sai tu di donne? L’ultima che ti sei portato a letto per mesi era una rompi palle di primordine!»
Solo una cameriera. Solo una cameriera.
Già, del resto era così che dovevo apparire agli occhi del mondo quando me ne andavo in giro vestita con quella orrenda divisa color zucca, anni 50, che il proprietario si ostinava a propinare a me e alla mia collega.
E pensare che la mia vita avrebbe potuto essere completamente differente, se le cose fossero andate in maniera diversa. Se solo
Feci un profondo respiro e mostrai al cuoco il foglietto con le ordinazioni appena raccolte, poi attesi in silenzio che le pietanze venissero preparate e sistemate su anonimi piatti bianchi.
Non volevo tornare di là, non per ricevere nuovamente occhiate lascive da parte dei due anziani agenti, ne per lasciarmi fissare con insistenza dal ragazzo di nome Sam.
Mi appoggiai al tavolo di freddo acciaio e mi permisi, per appena un secondo, di pensare al giovane poliziotto seduto di fronte al bancone in quel momento, al modo in cui i suoi occhi mi avevano guardata e fatta sentire, a come il mio cuore avesse cominciato a battere veloce, similmente alle ali di un colibrì. Si era trattato solo di un attimo, eppure era stato più di quanto mi fossi concessa di provare nell’ultimo periodo. E quegli occhi, verdi come i suoi… Non riuscivo a togliermi dalla testa quello sguardo intenso e penetrante, così come non riuscivo a scacciare una fastidiosa sensazione di déjà-vu.
«Se hai finito di fantasticare, il primo hamburger e le patatine sono pronte.» La voce baritonale di Ed, il cuoco, fortunatamente mi strappò a quelle elucubrazioni e la sua mano grossa e tozza mi indicò il vassoio in attesa. Gli mostrai un sorriso colmo di gratitudine che probabilmente lui non comprese e presi una birra dal frigorifero. Versai il suo contenuto chiaro in un bicchiere di vetro e sistemai quest’ultimo accanto al resto delle pietanze.
Quando uscii dalla cucina, Jessie, la cameriera che avrebbe dovuto sostituirmi per la notte, stava entrando dalla porta principale. I capelli rosa erano nascosti in un pesante berretto di lana e il piercing al labbro catturò una delle luci al neon del locale, luccicando. 
«Dio Lee, non sai cos’è successo!» Proruppe ad alta voce, raggiungendomi dietro il bancone con aria trafelata e portandosi dietro un po’ del freddo inverno di Manhattan.  
«Io e Noel ci siamo lasciati e come se non bastasse una stronza in divisa mi ha trattenuta praticamente per un’ ora giù in fondo all’isolato… Mi ha categoricamente vietato di proseguire per la mia sicurezza! Ci crederesti? Stavo per mandarla al diavolo, quella put… Ops! » Fortunatamente Jess si accorse dei clienti seduti al bancone e si zittì. Appena in tempo, pensai.
Non era una novità che Jessie si esprimesse con un linguaggio così “diretto”, ma farlo di fronte a dei poliziotti parlando tra l’altro di una loro collega, sarebbe stato troppo persino per una tipa chiassosa e spontanea come lei.
«Mi dispiace aver fatto tardi, Lee. So che detesti tornare a casa di notte…» La voce della mia migliore amica si affievolì all’improvviso, palesando quanto dispiaciuta fosse e mostrando quel sorprendente lato del suo carattere capace di farla apparire adorabile, nonostante il modo di fare a volte esasperante.
«Inizio subito il turno, vai pure se vuoi! Magari domani ti racconto di Noel, se ti va.»
Conoscevo fin troppo bene la situazione, così non mi preoccupai affatto; sapevo per certo che il giorno seguente un ragazzone alto e muscoloso si sarebbe presentato con un mazzo di fiori grosso quanto il suo testone: sarebbe rimasto sul marciapiede, proprio di fronte al locale, finché Jessie non fosse uscita per abbracciarlo e dirgli quanto lo ama.
La mia amica era fatta così, lei e Noel litigavano un giorno si e l’altro pure, poi lui diceva di amarla e di non poter vivere senza la sua costante ed esuberante presenza e Jessie si scioglieva come neve d’estate, gli credeva e per un paio di settimane tornavano a tubare più di prima. Poi lo scimmione faceva qualche stupidaggine, alzavano entrambi la voce, si lanciavano pentole e piatti e il giorno dopo era come se non fosse successo nulla.
Probabilmente non li avrei mai compresi, eppure li invidiavo. Ero gelosa di quel loro amore folle e sconsiderato, del loro gravitare ognuno verso l’altra come due pianeti, senza neppure accorgersene e di quei piccoli gesti che rendevano magica la loro storia. 
«D’accordo. Magari me lo racconterete entrambi mentre sarò occupata a sistemare un mazzo di fiori in un bel vaso!» Jessie finse di non cogliere la sottile ironia, io invece trovai la situazione parecchio divertente.
«Finisco di servire al bancone e vado via.» Aggiunsi, tornando in cucina a prendere il resto delle ordinazioni.
Generalmente avrei accettato l’offerta senza ripensamenti, mi sarei tolta il grembiule rosso in un batter d’occhio, avrei indossato sciarpa e cappotto e sarei schizzata via dalla tavola calda in un lampo. Quella sera qualcosa mi stava trattenendo, anche se non avrei saputo spiegare cosa.
Presi l’ingombrante vassoio che il cuoco aveva già preparato per me e spinsi con il piede la porta della cucina. Mr Roger era impegnato a rimproverare la mia collega, senza neppure sforzarsi di apparire convincente; Jessie, dal canto suo, stava invece obbligando se stessa a non ridere e a mostrarsi il più dispiaciuta possibile.
Scossi la testa, divertita, e rivolsi la mia completa attenzione ai clienti da servire, cercando di ignorare quegli occhi verdi che sembravano seguire ogni mio gesto.
«Spero che sia valsa la pena aspettare.» 
Brontolò il poliziotto più anziano quando posai di fronte a lui il piatto con hamburger e patatine fritte e la birra fredda di frigorifero.
«Scommetto che tua moglie dice la stessa cosa.» Risposi senza pensarci, posando l’ultimo hamburger sul bancone e ritirando la scodella vuota del signor Jenkins.
Impiegai un attimo ad accorgermi di ciò che avevo detto, di quanto maleducata fossi stata e di come avessi mancato di rispetto ad un agente di polizia. Persino Jessie, ora alle mie spalle, trattenne il respiro, mentre Mr Roger mi guardava come se fossi impazzita di colpo.
Poi, all’improvviso, mentre il poliziotto iniziava a diventare rosso di rabbia e il suo collega sbiancava, nel locale mezzo vuoto si levò una fragorosa risata. Il mio sguardo confuso si posò sul poliziotto riccioluto che si stava tenendo la pancia e non smetteva di ridere. Persino il signor Jenkins sghignazzò sotto i bassi grigi spruzzati di bianco, posando sul bancone cinque dollari e una piccola mancia.
«Harold, te l’avevo detto che la signorina non gradiva essere apostrofata in quella maniera!»
Sam aggiunse carne al fuoco, facendomi venire voglia di scappare il più lontano possibile a cercare un buco in cui nascondermi.
A quel punto però, persino il collega dalla testa calva che prima gli aveva dato man forte non riuscì a trattenersi e prese a battere piccoli colpi sulla spalla di Harold.
«Non te la prendere! Sono sicuro che persino Rose la troverebbe divertente!»
Nonostante il pensiero che sua moglie potesse trovarmi spassosa, l’umore di Harold non sembrò migliorare, anzi con il passare dei secondi il suo faccione diventò di un rosso più intenso, dandomi l’impressione che di lì a poco sarebbe esploso.
Forse per non dare soddisfazione a me o ai suoi compagni mal assortiti, riprese a mangiare in silenzio, mettendoci più foga del necessario e scolandosi la bottiglia di birra ghiacciata in due minuti.
Pensai sia il caso di approfittarne e di defilarmi prima di potermi mettere ulteriormente nei guai, così salutai velocemente una Jessie visibilmente divertita e un Arthur ancora scioccato. Infine, dopo aver indossato il pesante cappotto di stoffa e aver annodato la lunga sciarpa attorno al collo, mi affrettai ad uscire assieme al signor Jenkins.
Una volta fuori lo salutai con un grosso sorriso, augurandogli la buonanotte.
«Buonanotte bambina.» Mi disse con dolcezza, prima di voltarsi e prendere una strada diversa dalla mia.
Il vecchio basso e ricurvo su se stesso si strinse nell’impermeabile scuro, girò l’angolo e salì placidamente i primi due scalini per raggiungere il portone d’ingresso del condominio in cui risiedeva; il suo appartamento si trovava infatti proprio sopra il Metro, per l’esattezza due piani più sopra. Io attraversai invece la Broadway e proseguii lungo la strada che mi avrebbe condotto all’entrata nord-ovest di Central Park. Mi sarebbe bastato attraversare una piccola porzione di parco e qualche isolato tra Madison e Park Avenue, ma East Harlem non era decisamente il quartiere in cui mi piaceva girare di notte.
I newyorkesi, quelli veri, quelli della colazione con i bagels e il caffè nei grossi bicchieri di carta da portar via, evitavano El Barrio come la peste.
Vivere appena prima della ferrovia sopraelevata mi garantiva solo un piccolo margine di sicurezza in più e la zona brulica in ogni caso di piccoli delinquenti: per una donna sola non era il massimo del divertimento, senza contare l’orario a dir poco spiacevole.
Mi feci coraggio e allungai il passo, percorrendo i pochi isolati che mi separavano dall’entrata del parco.
In corrispondenza della Columbus Ave fui costretta a fermarmi, poiché il semaforo per i pedoni era rosso. Proprio in quel momento un’auto della polizia girò l’angolo e accostò praticamente davanti ai miei piedi indolenziti da una giornata di lavoro.
Fissai imbambolata il mio riflesso nel finestrino del passeggero, finché quest’ultimo non si abbassò con un leggero ronzio.
Un paio di occhi verdi mi guardavano incuriositi. 
  
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