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Autore: gateship    01/06/2015    1 recensioni
Si fermò e guardò l'orologio. Deglutì, schiarendosi nervosamente la gola e guardò in alto. Chiuse gli occhi, mentre lacrime, scintillanti alla luce del sole calante, iniziavano a rigargli il viso. Strinse i denti quasi fino a farsi male, costringendosi ad alzare le palpebre per vederlo.
Quel posto.
Il tetto del Bart's.

Basta. Prometto che è l'ultimo che scrivo, non scoccio più. Post-Reichenbach, again. Ispira semplicemente troppo quell'episodio!
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota della matta che ha scritto...

Si. È ancora post-reichebach. Mi dispiace! Ho visto quell'episodio solo una volta (lo tengo per la sera prima degli orali...) ma mi ha stregata.

La prossima volta flufferò. Farò tantissimo fluff. O almeno cambierò episodio. Davvero. Per ora è sempre angst reichenbachiana.

Non so come sia il paring, ho messo “Nessuna coppia”. Può essere interpretata sia come slash, molto leggero, sia come forte amicizia. Me la interpreta come Johnlock.

Buona lettura! :)

 

 

Quando Sherlock era piccolo, sua madre gli aveva insegnato una cosa importante: non si mente. Non si mente alle maestre, ai compagni di classe. Non si mente alla famiglia e agli amici: si può far male alle persone.

Il bambino aveva cancellato quelle parole in pochi secondi, non erano poi così importanti: le insegnanti erano inutili, i campagni di classe degli idioti, i suoi genitori non si sarebbero accorti che aveva mentito loro neanche se fosse stato lampante e beh... Sherlock Holmes non aveva amici... e le bugie non facevano soffrire, non quelle che Mycroft chiamava a fin di bene. Le uniche che lui diceva, naturalmente. Le altre erano complicate, era difficile poi ricordarsi che tipo di verità contorta si è detta, faticoso, inutile. Faceva perdere tempo.

 

Si sbagliava.

 

Da quell'angolazione del tetto della rosticceria poteva vedere John chiaramente: avanzava tra la folla, arrancando, zoppicando leggermente. Lo sguardo vacuo, gli occhi lucidi e rughe di epressione che gli segnavano il volto, troppo giovane per tutto quello che aveva passato.

Il telefono di John vibrò nella tasca, lo estrasse lentamente, quasi con malavoglia.

 

John, ti stiamo cercando tutti. Dove sei? GL

 

Il medico sospirò, rimettendo il cellulare nella giacca. Non importava. Non importava niente, assolutamente niente. Né Greg, né Molly. Non erano importanti, non in quel momento. Accelerò il passo, dirigendosi verso il Bart's; gli occhi sul terreno, quasi il timore di guardare verso l'altro, dove ormai il sole calava: le ombre che si allungavano sempre di più, fino a sparire nell'oscurità di una notte senza stelle.

Si fermò e guardò l'orologio. Deglutì, schiarendosi nervosamente la gola e guardò in alto. Chiuse gli occhi, mentre lacrime, scintillanti alla luce del sole calante, iniziavano a rigargli il viso. Strinse i denti quasi fino a farsi male, costringendosi ad alzare le palpebre per vederlo.

Quel posto.

Il tetto del Bart's.

Dove aveva visto Sherlock l'ultima volta.

Si chinò per terra, facendo scorrere le dita sul marciapiede. C'erano ancora tracce di sangue. Tracce che la pioggia e i piedi persone non avevano lavato. La sua testa, rotta. Quei polsi che diventavano sempre più freddi.

Cadde in ginocchio, mentre un piccolo singhiozzo gli si faceva strada in gola.

Non poteva. Non poteva salire, non adesso. Forse mai. Non in quel luogo dove Sherlock aveva trascorso i suoi ultimi istanti, guardando il mondo dall'altro in basso, come aveva sempre fatto. Probabilmente c'era ancora il suo cellulare, distrutto dalle intemperie dell'anno passato. A quella zona Lestrade aveva vietato l'accesso. Rispetto forse, oppure colpa? D'altronde, non era per lo stesso motivo che lui si trovava su quel marciapiede, invece che alla lapide del suo migliore amico? Esattamente un anno dopo. Un anno, che però era come una vita intera.

No, era meno. Era un anno di niente. Perchè non avere Sherlock affianco a lui significava niente.

Devi andare avanti, gli dicevano. Devi dimenticare. Ma come si può dimenticare l'unico consulente investigativo al mondo? Come si può dimenticare la persona che per te è stata la vita? Come si può dimenticare Sherlock Holmes?

Si era suicidato.

No, non si era fatto uccidere. Si era suicidato, facendo precipitare assieme a sé il suo nome, tutto ciò che aveva, avevano, costruito.

Si era suicidato, e mentre lo faceva lo aveva chiamato.

Cosa pensava? Non poteva dirgli tutto, non in un secondo. E c'erano così tante cose... così tante... e non gliele aveva mai potute dire. Quanto gli volesse bene, quanto significasse per lui.

Lo aveva chiamato, quasi a dirgli che quello che aveva non era abbastanza. Che lui, John Watson, non era sufficiente.

Gli aveva detto addio.

Si appiatti contro la parete esterna del Bart's mentre con la manica del giubbotto si asciugava le lacrime. “Sherlock...”

Sentì qualcuno muoversi accanto a lui e alzò di scatto la testa, solo per un momento, gli era sembrato di vedere uno strascico di quel Belstaff che tanto amava.

Ma non c'era niente. Solo anonime persone.

 

 

Pochi metri più avanti, tra la fitta folla di Londra, un uomo dai ricci capelli corvini, con le falde del cappotto alzate, chinò il capo, “Mi dispiace John.”

  
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