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Autore: Classicboy    02/06/2015    3 recensioni
Fraleo Frienship, AU!Modern
Frank e Leo, Leo e Frank. Diversi ma legati da un legame di amicizia-odio che nessuno potrà mai capire.
Ma come reagirebbe uno se l'altro non ci fosse più?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calipso, Frank Zhang, Leo Valdez, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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                          E' SEMPRE DIFFICILE DIRE ADDIO

 

 

Frank se ne stava sdraiato nel letto di casa sua, a Vancouver. Era mattina presto, ma lui non stava dormendo. No, lui era sveglio, pronto ad affrontare quella dozzinale mattinata.

Come al solito partì la sveglia che lo avvisava di andare a scuola, come al solito lui la chiuse senza prestarle ascolto, come al solito sua nonna dal piano di sotto cominciò a chiamarlo con la sua “dolce” voce affinché si svegliasse.

“Muoviti, Fai Zhang! Non si è mai visto un uomo della nostra famiglia che si rifiuta di affrontare il nuovo giorno a testa alta!”

Il solito tran tran, o almeno così credeva.

Infatti non appena sua nonna smise sentì una voce divertita dirgli: “Sì, avanti Frank muoviti! Oggi ho proprio voglia di divertirmi e di metterti in imbarazzo!”

Lui sussultò un attimo nel riconoscerlo, ma poi emise un sospiro, si tirò a sedere e si mise a fissarlo

Seduto con una posa naturale sulla scrivania se ne stava un ragazzo piuttosto mingherlino di origini ispaniche, i capelli castani erano lunghi e ricci, gli occhi dello stesso colore della cioccolata lo osservavano divertiti, mentre le mani continuavano a muoversi su e giù e a tamburellare.

Frank lo guardò storto: “Che ci fai tu qui?” chiese scontroso. In tutti quegli anni da quando aveva lasciato l'America per tornare in Canada si era fatto più acido.

Il ragazzo finse di guardarsi intorno per vedere se stava parlando con qualcun altro ben sapendo che la stanza era vuota: “Ah, ti stai rivolgendo a me?” chiese alla fine fintamente sorpreso per poi attaccare con il broncio “Dovresti essere meno scontroso Frank. Pensavo che noi due fossimo amici!”

“Che. Ci. Fai. Qui!” ripeté deciso sillabando ogni parola.

L'altro alzò noncurante le spalle: “Non lo so effettivamente. È che adoro la tua compagnia e...”

“Vattene!” disse l'asiatico quasi urlando.

“Ti sembra il modo di rivolgerti a tua nonna, piccolo bue ottuso?!” chiese l'anziana donna al di là della porta credendo che il nipote, avendola sentita arrivare, si stesse rivolgendo a lei.

“No, nonna” si affrettò a correggersi il ragazzo “Non stavo parlando con te”

“Ah sì, e allora con chi?”

Lui osservò la stanza completamente vuota.

“Con nessuno...” mormorò sentendosi sprofondare. Come al solito se ne era andato.


 

Arrivato a scuola si guardò un attimo attorno per vedere se scorgeva qualcuno dei suoi amici.

“Non ti ricordavo così intraprendente. Solitamente ti nascondevi tra la folla per non farti vedere” disse una voce al suo fianco.

Lui si voltò spaventato, ma vedendo di nuovo il ragazzo latino assunse invece un'espressione seccata: “Dovresti smetterla di comparire così all'improvviso” gli sussurrò astioso.

“Oh, ma a me è permesso tutto. Ti ricordo che io sono il bad boy supreme Leo Valdez. Non c'è nulla che mi sia precluso” esclamò allegro.

L'altro sospirò, poi vide una ragazzina fargli cenno con la mano e salutarlo. Sorrise e rispose al saluto.

Leo al suo fianco guardò nella sua stessa direzione e sorrise furbo.

“Quella è Hazel?” chiese.

“Sì” ribatté il moro.

“Si è fatta proprio carina”

“Oh, piantala” disse con un leggero sorriso. Lui adorava Hazel, vederla lo metteva sempre di buon umore.

“Ma tu e lei avete mai..” chiese poi con aria furba e con una voce carica di sottintesi.

Il ragazzone si fece rosso: “Smettila subito. Di che ti impicci della mia vita sentimentale? Ti ricordo che ce l'hai anche tu la ragazza”

“Sì sì, dico solo che entrambi siete maggiorenni e inoltre con una fidanzata del genere io...”

“Valdez” disse a mezza voce, arrabbiato e imbarazzato.

“Con chi stai parlando?” chiese qualcuno alle sue spalle.

Il cino-canadese sussultò e si voltò per trovarsi di fronte gli occhi simili a due pozze di oro liquido della fidanzata.

Si calmò: “Nessuno. Solo... con me stesso, ecco tutto” rispose con un sorriso forse un po forzato.

La castana lo fissò interrogativa per poi scrollare le spalle. Del resto non c'era anima viva al suo fianco.

“Allora che ne dici se più tardi andiamo a prenderci un gelato assieme, solo io e te?” chiese la ragazzina sorridente.

Lui parve essere leggermente in imbarazzo: “Scusa, ma sai oggi ho... Hai capito?”

“Ah già, giusto. Scusa me ne ero dimenticata” disse un po triste.

Si era scordata che ogni venerdì il suo fidanzato andava dallo strizzacervelli.


 

Qualcuno bussò alla porta di Chirone, uno degli psichiatri più noti di Vancouver.

“Avanti” disse l'uomo sulla cinquantina mentre era intento a firmare alcune carte.

Qualcuno entrò. Quando alzò gli occhi si trovò di fronte un ragazzone di circa diciannove forse vent'anni, i capelli neri tagliati alla militare, i tratti leggermente orientaleggianti ed un'espressione di puro imbarazzo.

Chirone sorrise paterno: “Ah Frank. È bello vederti. Entra pure, mettiti comodo nel frattempo che io finisco di mettere a posto un paio di cose”

Il ragazzo borbottò un “grazie” e prese posto su di una poltroncina con lo schienale leggermente inclinato .

L'uomo smise di firmare e avanzò con la sedia a rotelle fino di fronte a lui.

“Allora, come vanno le cose a scuola e a casa?” chiese con l'attacco tipico delle sue sedute.

L'altro scrollò le spalle: “Tutto piuttosto bene. Continuo a prendere voti più che discreti, mia nonna è sempre la solita adorabile tiranna, Hazel continua ad essere la ragazza più dolce che abbia mai incontrato... Tutto nella norma”

“E come va con... lui?”

Il silenzio calò tra di loro.

Chirone era l'unico a sapere del vero fatto che lo aveva portato ad andare a quegli incontri. Gli altri pensavano che lo facesse per superare il post-trauma dell'incendio, ma in realtà era un'altra la motivazione.

“Non molto bene. Ogni tanto continua ad apparire” sussurrò imbarazzato.

“E quando è stata l'ultima volta che lo hai visto?”

“Beh, ecco... a dire il vero è qui” ammise rosso in viso.

Lo psichiatra lo guardò sorpreso: “Davvero? Ma non ti sta facendo irritare? Solitamente, mi dicevi, quando compare ti fa perdere la testa”

“Davvero Zhang? Lo psichiatra? Ti sei ridotto così male? Non pensavo di esercitare una tale influenza su di te, mi sento onorato. Ma fate anche la cosa delle macchie? Dai sarebbe fortissimo! Fate la cosa delle macchie!” esclamava Leo eccitato nel frattempo mentre andava da una parte all'altra dello studio e toccava ogni singolo oggetto.

Il ragazzone guardò di nuovo l'uomo: “Si fidi: mi sto trattenendo a stento”

Chirone incurvò gli angoli della bocca e si annotò qualcosa sul suo taccuino. Poi riprese: “Lo so che ti chiedo molto, ma vorrei che tu ritornassi indietro a quel giorno. Sei in grado di sopportare questo peso ancora per una volta?”

Frank era tentato di urlargli di no, che non sarebbe mai e po mai stato in grado, invece sospirò, chiuse gli occhi e parlò: “Va bene”

E incominciò a raccontare di quel fatidico giorno di tre anni fa.


 

È incredibile come, prima di un incidente che può cambiare la vita, la gente si ricordi ogni singolo fotogramma dei momenti precedenti.

Sei pazzo Jason, ti ripeto che Thor non ha speranze contro Hulk” sta esclamando Percy al cugino.

Stiamo tornando a casa dopo una mattinata di scuola. Siamo noi quattro ragazzi: io, Percy cioè uno dei miei migliori amici, Jason suo cugino nonché mio buon amico, e Leo. Il mio rapporto con Leo è strano. È nato come io che insulto lui, lui che insulta me e così via, ma col passare del tempo siamo diventati molto affiatati.

Quel giorno stavamo parlando dell'ultimo film di Avengers, uscito qualche giorno prima, film che su insistenza di Leo eravamo andati a vedere. I due cugini inizialmente avevano provato a protestare, ma alla fine erano diventati dei veri e propri fanatici di tutto ciò che riguardava la Marvel.

Il biondo alza gli occhi al cielo: “Percy, ti ricordo che Thor è un dio. Il dio nordico dei fulmini! Ovvio che vince contro un ammasso di muscoli come Hulk”

A parte il fatto che tu sei fissato coi fulmini...” lo interrompe Percy “Ti ricordo che l'ammasso di muscoli, come lo hai chiamato tu, è uno dei più forti eroi della terra”

Per l'amor del... Leo, Hulk o Thor?”

Lui li fissa con gli occhi che scintillano di una luce gioiosa. Capisco che l'intervento dell'ispanico non farà altro che peggiorare le cose.

A me piace Quicksilver!” esclama divertito. Appunto.

A lui piace seminare caos e vedere quei due discutere.

I suddetti stanno per ribattere qualcosa, come il fatto che Quicksilver a parere loro è l'eroe più stupido che si possa immaginare, quando accade.

Dura una frazione di secondo ed è talmente violento che mi ricordo soltanto qualche fotogramma: un'esplosione, la sensazione di calore, io e gli altri che veniamo sbalzati via.

L'attimo dopo mi rialzo dolorante: “Che è successo? State bene?”

Poi lo vedo e le parole mi muoiono in gola.

Incendio. Una palazzina sta andando a fuoco.

Le varie persone stanno uscendo, chi col viso sporco di fuliggine, chi sorregge l'amico o il familiare stordito dall'esplosione.

Sento Percy imprecare e tirare fuori il cellulare per chiamare i pompieri.

Poi sento quella voce, un rumore che mi fa accapponare la pelle tuttoggi: “Aiuto! Aiuto, mamma!”

È una bambina. Sta gridando per chiamare sua madre.

Mi volto. Leo ha sul viso un'espressione indecifrabile. Ricordo che tempo prima mi disse che aveva perso sua madre in un incendio.

Preoccupato per le sue eventuali reazioni, mi avvicino e faccio per prendergli il braccio: “Leo, qualunque cosa succeda tu non...” ma lui scatta in avanti, incurante delle mie parole.

Leo non fare pazzie!” gli urlo dietro, ma lui è sordo a qualunque suono a parte la voce della bambina che chiede aiuto.

Lo vedo svanire oltre il portone in fiamme. Sussurro qualcosa, forse un'imprecazione, prima di gettarmi al suo inseguimento.

Non ricordo di preciso come fosse l'interno. Caldo, certamente. Vedo il fuoco ovunque, il fuoco che divora ogni cosa.

Prendo la mia felpa e ne faccio un tampone contro il fumo. Comincio a chiamarlo tra un colpo di tosse e l'altro.

Poi sento la sua voce che mi chiama qualche metro alla mia destra: “Frank sono qui! Presto vieni!”

Mi volto e lo vedo, intento a cercare di togliere una trave da una porta attraverso la quale si sente la voce disperata della bambina.

Lo affianco: “Ma che cosa credi di fare?!” gli urlo.

Salvare qualcuno, no?” mi dice mentre tenta invano di compiere una fatica impossibile per un tipetto mingherlino come lui.

Esistono i vigili del fuoco per questo. Stai commettendo un'azione suicida!” provo a dissuaderlo.

Prima che arrivino sarà già morta soffocata!” mi ribatte lui con un urlo. Quando vuole sa essere davvero testardo.

Rassegnato lo affianco sbuffando e incomincio ad aiutarlo.

Ricordo il calore, i muscoli che vanno a fuoco per lo sforzo, la voce della bambina e i mugholii di Leo.

Riusciamo a spalancare la porta e lui veloce la afferra.

Le sussurra parole dolci e me la porge perché me la carichi in spalla. Ha un piede ferito e non può praticamente stare in piedi.

Incominciamo a correre. Ricordo la fievole speranza che provai quando arrivammo in vista dell'uscita. Poi sento quel rumore. Il rumore di qualcosa che si spezza. Mi volto e faccio in tempo a vedere Leo con un sorriso strafottente e un'espressione di sommo rammarico che mi sillaba: “Scusa”

Poi il pianerottolo si rompe e lui cade nell'inferno.

Ricordo di aver urlato. Poi qualcuno mi prende e mi porta fuori; i pompieri. Ma io chiedo che mi lascino andare, che Leo è ancora lì dentro, che bisogna salvarlo.

Poi loro mi portano qualcosa alla bocca ed io perdo i sensi.


 

Frank riaprì gli occhi e guardò serio lo psichiatra. Non era la prima volta che parlava dell'incendio con lui, ma ogni volta che lo faceva era come rivivere l'orrore e le sensazioni provate: caldo, dolore, rabbia e impotenza.

Continuò con la gola secca: “Ciò che ricordo dopo è la sveglia nell'ospedale. Affianco al mio letto se ne stava Hazel, addormentata. Con voce roca riuscì a chiamarla. Lei si svegliò e provò a chiamare l'infermiera che tentò di mettermi comodo. Mi disse di non muovermi per non aggravare eventuali ferite. Presentavo parecchie ustioni ed un'intossicazione dovuta all'inalamento di fumo. Ma a me non interessava e chiesi ad Hazel la cosa più importante, cioè dov'era Leo. Lei chinò la testa e con le lacrime agli occhi me lo comunicò: Leo non ce l'aveva fatta. Se non l'aveva ucciso la caduta nella cantina sicuramente l'avevano fatto le macerie del pianerottolo o il fuoco.

Io la guardai perso. I giorni seguenti sono un ricordo confuso. Credo che voi la chiamate “elaborazione del lutto”, ovvero quando una persona cerca di convincersi che qualcuno vicino a lui sia morto. Mi vennero a visitare in molti: Percy e Jason, le loro fidanzate Annabeth e Piper, Hazel e suo fratello Nico, la mia amica Reyna, i due compagni del mio corso di tiro con l'arco Bianca e Will, e così via. Mi parlarono, cercarono di farmi tornare al mondo reale, ma io non li ascoltai. Il mondo reale non esisteva. Non poteva esistere senza Leo e la sua risata. Poi grazie all'aiuto di Hazel incominciai a ragionare e a riprendere a vivere. Ma non ce la facevo comunque ad alzarmi dal letto e ad abbandonare l'ospedale sapendo che la sua bara non era ancora stata calata. Chiesi che mi dimettessero due giorni dopo il funerale e loro, su suggerimento dello psichiatra dell'ospedale, lo fecero.

Due mesi dopo incominciarono le apparizioni. Inizialmente erano solo nel mondo dei sogni, poi incominciai a vederlo nei volti degli altri e con la coda dell'occhio, ed infine incominciò ad interagire con me, cominciai a vederlo come se non se ne fosse mai andato, come se fosse ancora vivo mentre io sapevo che era morto.

Non ce la feci: sette mesi dopo l'incidente lasciai l'America e tornai in Canada. Hazel fu l'unica a seguirmi”

Frank se ne stette zitto. Aveva finito il racconto.

Chirone gli si avvicinò e gli chiese dolcemente: “È ancora qui?”

Frank si conficcò le unghie nei palmi per impedirsi di piangere e scosse la testa: il fantasma del suo migliore amico se ne era andato, ma lui sapeva che era solo temporaneamente. Tempo domattina e sarebbe ricomparso, facendogli rivivere ogni giorno con la sua sola presenza quel pomeriggio d'inferno.

L'uomo sospirò, scribacchiò qualche appunto e lo invitò ad alzarsi: “Allora Frank” disse mentre l'altro si metteva sulla sedia sulla quale lui discuteva con i pazienti a fine seduta “Ormai sei praticamente guarito: non hai più incubi sull'incendio, riesci a fissare anche se ancora con un po di timore un fuoco, hai riorganizzato perfettamente la tua vita. Il tuo unico problema è Leo. Il tuo subconscio non riesce ad elaborare il lutto e continua a mostrartelo come se fosse ancora vivo”

“E che dovrei fare?”

“Ecco, forse ho la soluzione, ma prima devo chiederti conferma di un mio sospetto: tu sei mai andato alla sua tomba?”

Il ragazzo si sentì stringere le budella: “No, non ci sono mai riuscito”

Lui sorrise lievemente: “Scusa, è che questo conferma la mia tesi. L'unico modo che hai per sbarazzartene è andare dove è sepolto e dirgli definitivamente addio”

Il moro lo guardò dubbioso: “È sicuro che così funzionerà?”
“Fidati di me” dopodiché sorrise “Mi sembra che la sua ora sia finita, signor Zhang. È sempre un piacere chiacchierare con lei. Mi stia bene” e lo congedò.


 

Una settimana dopo era previsto un ponte di quattro giorni a scuola, e Frank decise di sfruttarlo per sistemare la “faccenda Leo” come ormai aveva incominciato a chiamarla.

Assieme ad Hazel comprò dei biglietti sia di andata sia di ritorno per quella cittadina che per sei anni era stata la sua casa, fino all'incidente di tre anni prima.

“Chissà com'è cambiata” disse Leo eccitato dal sedile di fronte a lui “Secondo te ci sarà ancora il Kebab?”

La sua fidanzata stava dormendo al suo fianco e non c'era nessun'altro nella cabina, pertanto il ragazzo decise di chiacchierare con lui. Aveva scoperto che lo rilassava parecchio: “Non lo so, però di certo dei cambiamenti ci saranno stati”

“Non vedo l'ora di arrivare” gli occhi gli brillavano.

“Dovresti calmarti un po” gli sussurrò il moro mettendosi a guardare fuori dal finestrino “Non vorrei mai che di fronte agli altri ti venisse una botta di sonno”
“A proposito degli altri, chissà come stanno! Tu hai avuto loro notizie?”

L'altro sollevò le spalle: “Stanno tutti quanti frequentando l'università come me. So che Percy e Annabeth hanno inoltre incominciato a vivere da soli. Notizie più specifiche non ne ho. Quando sono tornato in Canada ho cercato di troncare il più possibile i rapporti col passato. Lo sai per via di... te”

Leo sorrise triste: “È sempre la solita solfa di me che ti rendo impossibile la vita. Continuo anche da morto, eh Zhang?”

In quel momento l'altoparlante avvisò che entro tre minuti sarebbero arrivati a destinazione. Frank si asciugò gli occhi umidi e svegliò lentamente la sua fidanzata, preparandosi ad affrontare un delle più grandi sfide della sua vita.

 


“Eccoci arrivati. Lui è qui dentro” disse piano Percy uscendo dalla macchina. Il ragazzo era venuto a trovarlo alla stazione e, dopo aver accompagnato Hazel nel suo appartamento cosicché salutasse Annabeth e potesse riposarsi dal lungo viaggio, aveva portato Frank fino al cimitero.

Il ragazzo guardò l'imponente arco di pietra che svettava sopra l'ingresso.

“Domanda: perché le entrate dei cimiteri sono sempre così monumentali? Gli architetti le progettano apposta per far sentire coloro che ci stanno per entrare impotenti e intimoriti?” chiese Leo affianco a Frank.

“Non lo so, ma può essere” mormorò il moro. Effettivamente si sentiva un po a disagio.

“Hai detto qualcosa?” chiese Percy

“Nulla” e si avviò.

“Sicuro di non volere che venga con te?” gli chiese il maggiore preoccupato.

“Sì, tranquillo. Vado e torno in meno di dieci minuti” e fece un sorriso forzato.

Una volta entrato constatò che in quel posto si respiravano due cose: morte e calma. Era proprio vero che il decesso altro non era che il riposo eterno. Non c'era luogo più pacifico di quello.

Si fece strada per alcuni metri finché non arrivò in vista della tomba di Leo, ma c'era già qualcuno.

“Calipso?” chiese sorpreso avvicinandosi e riconoscendo la figura della fidanzata dell'amico.

Lei si alzò e lo guardò stupita: “Frank, che sorpresa vederti. Avevo sentito che saresti tornato per un po di giorni in città, ma non ti aspettavo così presto”

Si abbracciarono e si informarono su come andavano le cose tra l'uno e l'altra.

Dopo un po la ragazza adagiò di fronte alla tomba di Leo un mazzo di fiori bianchi e fece per andarsene: “Immagino che tu sia venuto fin qui per parlargli, quindi ti lascio un po di privacy. Ci vediamo dopo”

“Aspetta” la fermò il moro prima che se ne andasse. Se c'era una persona che poteva davvero aiutarlo a capire il perché continuava a vederlo era lei, cioè colei a cui era più legato sentimentalmente.

“Che c'è?”

“Calipso, so che forse come domanda ti sembrerà strana ma...” prese coraggio “Tu vedi mai il suo spirito?”
Lei lo guardò stupita, poi sorrise: “È qui?”

“No, da quando sono entrato non si vede più”

“Capisco. Comunque sì, i primi tempi me lo trovavo affianco, con le sue battute e le sue smorfie. Era terribile, perché sapevo che era morto eppure era lì, che si comportava esattamente come sempre. Poi ho incominciato a venire qui regolarmente, a portargli fiori e a informarlo su ciò che mi sta succedendo. Da allora non mi da più fastidio” sorrise “Frank, tu devi dirgli addio, non è più un opzione che si può ignorare. Solo così potrai definitivamente lasciarlo andare. Ci vediamo” e se ne andò.

Frank si ritrovò a fissare la lapide bronzea in un muto silenzio.

Per alcuni minuti non ci fu altro rumore se non quello del vento negli alberi. Poi si decise a parlare: “Beh, ciao. Immagino che tu mi aspettassi già da un po”

Gli rispose il silenzio e lui fu tentato di andarsene. Gli pareva impossibile che dialogare con una stupida lastra di pietra potesse essergli di aiuto in qualche modo. Ma poi gli ritornarono in mente le parole di Calipso: non era questione se lui voleva o meno parlargli, doveva farlo punto e basta.

Prese coraggio e continuò: “Scusa se non sono venuto prima, ma il fatto è che... No, questo attacco non va bene, devo trovarne un altro. È che ci sono così tante cose da dire. Forse però è il caso di cominciare dal principio” respirò a fondo “Io ti odiavo. In passato ti ho odiato come nessun altro in vita mia. Eri scostante, infantile, strafottente, rompiballe, stupido, cretino e decisamente la persona meno educata che io avessi mai incontrato. Poi però ho imparato a conoscerti. Ho imparato a capirti e a sostenerti. Ho appreso che la maschera di risate con la quale ti celavi serviva solo a nascondere un disagio più grande di quello che si pensava. Abbiamo legato, siamo diventati amici. Io proteggevo te, tu proteggevi me, anche se non l'avevamo mai e poi mai scritto da nessuna parte. La nostra amicizia agli altri pareva un mistero: eravamo gli opposti che si attraevano. Ci completavamo l'uno con l'altro. E quando te ne sei andato... Quando te ne sei andato mi sono sentito vuoto. Era come se la mia vita fosse stata privata di uno scopo. Non ci volevo credere quando me l'hanno detto. Alla fine credevo di averlo accettato con l'aiuto di Hazel e degli altri, ma non era così. A proposito di Hazel ci siamo fidanzati, ci tenevo a dirtelo di persona. A quanto pare la nostra sfida per il suo cuore l'ho vinta io, eh Valdez?” sorrise amaramente “Ma tu del resto eri già fuori gara da quando era comparsa Calipso. Ti viene spesso a trovare a quanto ho capito. Tu l'amavi e lei ti amava, lo so. Vorrei davvero che le tue ultime parole fossero state rivolte a lei piuttosto che a me. Un'altra cosa: ora vivo in Canda. È un bel posto, so che una volta mi hai detto che ti sarebbe piaciuto andarci. Non so cos'altro dire. Ah già, sei un rompiscatole” sentì le lacrime salirgli agli occhi “Te ne sei andato ma continui a perseguitarmi? Certo che dovevi avercela con me dal profondo del cuore” singhiozzò un paio di volte ma riuscì a continuare “Io ho dei rimpianti, sai? Il fatto che continuo a pensare che mi sarebbe bastato esitare un attimo di meno o uno di più ad entrare in quella casa affinché entrambi saremmo riusciti a oltrepassare quella passerella o che a cadere fossi io invece che tu. Invece... Mi sento responsabile. Sono tre anni che mi sento responsabile per la tua morte anche se so che non è così!”

Si fermò. Le parole gli erano uscite come un torrente dopo l'attacco iniziale. Parole senza nesso logico, che non seguivano nessun filo. Parole che avevano solo lo scopo di esprimere quei sentimenti repressi da troppo tempo.

Si asciugò gli occhi umidi: “Penso di aver detto tutto. Spero, spero che tu abbia gradito la mia visita. Vedrò di venirti a trovare più spesso, lo prometto!” guardò la tomba “Addio Leo, e stavolta definitivamente”

E un attimo prima di lasciare quel posto, Frank fu certo di sentire la voce dell'amico sussurrargli: “Addio Frank”

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autore:

Scritto in un momento giù.

Trovo che il rapporto tra Frank e Leo sia poco evidenziato, o che comunque tutti pensino che i due in realtà non si sopportino. Per me invece tengono molto l'uno all'altro. Ho voluto scrivere questa storia con Frank vivo e Leo morto (scusatemi per questo fan di Leo) perché riesco a immaginare più facilmente i pensieri del cino-canadese piuttosto che quelli dell'ispanico.

Inoltre io non penso che Quicksilver sia un personaggio stupido, anzi credo che la supervelocità sia una cosa fantastica.

Spero lascerete un commento.

Bye!!!!!!!!!

   
 
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