Premessa. Questa one-shot è stata scritta per il “Contest delle canzoni senza senso” indetto da S_Lily_S. La storia è stata scritta
anche per l’iniziativa Ready, Set, Prompt indetta dal gruppo Facebook
The Capitol con i seguenti prompt:
“Un orfano di guerra [periodo della
rivolta o post-rivolta]”; “Un
ragazzino del Distretto 12 con gli occhi di colore diverso (eterocromia)”; “Claudio Baglioni – Avrai”.
La one-shot
è ambientata durante Mockingjay, nel periodo che i
sopravvissuti ai bombardamenti del 12
trascorrono nel Distretto 13. I protagonisti sono Rory, Prim e un piccolissimo orfano del Distretto 12. La famiglia
Callister menzionata nel racconto (Maki e Dru), così come il piccolo Coal,
sono personaggi di mia invenzione che avevano già fatto qualche comparsata in
alcune mie storie. Coal è l’orfanello che Prim
aveva fatto conoscere a Rory in “E.Y.E.S. O.P.E.N”. Dru è il futuro fidanzatino (e in seguito marito)
di Posy.
Avrai
Un ponte per il futuro
«What am I looking for, exactly?»
«You’ll see.
Just close your eyes… And keep your mind
wide open.»
Bridge to Terabithia. 2007
Il silenzio sterile della nursery del Distretto Tredici era intervallato
dal rumore di una matita su un foglio e dal succhiare avido di uno dei neonati
attaccato al biberon.
Rory sollevò lo sguardo dal suo disegno e indirizzò un’occhiata annoiata a Prim. La ragazzina era seduta di fronte ai tre lettini e
stava dando da mangiare a un bimbo, quello che di solito occupava la culla di
mezzo.
Erano trascorse due settimane dalla prima volta che Prim l’aveva portato nella
nursery. In quell’occasione lui e la ragazzina si erano infilati in quella
stanza di nascosto, ma un paio di giorni prima Prim si era offerta volontaria
per dare il biberon all’orfanello del Distretto Dodici, il piccolo che occupava
il lettino centrale. Da allora i due adolescenti potevano entrare nella
stanzetta anche senza permesso e la nursery era diventata la loro tappa fissa
nei trenta minuti che precedevano l’ora di cena.
Rory non era particolarmente entusiasta di quel passatempo. I bambini lo
annoiavano e avrebbe di gran lunga preferito una partita a scacchi o una
passeggiata nel giardinetto interno, al tempo trascorso con loro.
Tuttavia, quando il giorno prima la migliore amica gli aveva chiesto di
accompagnarla, lui non aveva mosso obiezioni; i bambini erano barbosi, certo,
ma le ore passate in compagnia di Prim valevano più di qualsiasi partita a
scacchi. Lei, poi, era particolarmente carina quando prendeva in braccio il
piccolo orfano per parlargli con dolcezza. Sembrava già grande, una giovane
mamma con i lineamenti e l’entusiasmo di una bambina.
Rory arrossì, scacciando quei pensieri. Distolse lo sguardo da Prim e tornò
al suo disegno; con una smorfia annoiata tracciò qualche linea per disegnare il
Prato, ma gli uscirono storte e leggermente ricurve: sembravano le estremità di
un ponte, più che i confini di uno spazio verde.
Incontrò lo sguardo di Prim e le fece l’occhiolino, imitando uno dei gesti
più comuni di suo padre.
La ragazzina arrossì lievemente e tornò a sorridere al neonato fra le sue
braccia.
“Ti annoi?” chiese poi rivolta a Rory. Il giovane si affrettò a stringersi
nelle spalle.
“Nah” mentì, strappando il foglio.
Lo appallottolò e se lo infilò in tasca, sperando di non offendere l’amica
con quel gesto: era stata Prim a regalargli il nuovo blocco da disegno. L’aveva
ricevuto in regalo al corso per infermiere e l’aveva ceduto volentieri a Rory,
ben conoscendo la sua passione per il disegno. Era una delle poche a
conoscerla, al di fuori dei familiari del ragazzo; Rory, di solito, tendeva a
nascondere quello che produceva, imbarazzato al pensiero che la sua passione
non fosse sufficientemente ‘virile’ per un ragazzo della sua età. Tuttavia con Prim la vergogna veniva meno. Gli piaceva mostrarle i suoi
disegni e osservare di sottecchi le sue reazioni. Spesso glieli regalava,
beandosi dei suoi sorrisi grati e del luccichio di ammirazione che faceva presa
nei suoi occhi. Prim era stata la prima a dispiacersi per i vecchi blocchi da
disegno di Rory andati persi durante i bombardamenti. Era anche per quello che
non aveva avuto esitazioni nel regalare al ragazzo il suo blocco per appunti.
Rory si alzò da terra e raggiunse Prim, che aveva smesso di nutrire il
piccolo. Il neonato aveva gli occhi spalancati e faceva smorfie al nulla sopra
di lui, agitando di tanto in tanto le braccia.
L’avevano soprannominato Coal – carbone – affinché ricordasse sempre il suo
luogo di origine, lui che aveva perso entrambi i genitori durante i
bombardamenti nel Dodici. La sua mamma aveva lasciato la presa sulla vita ancor
prima di riuscire a dargli un nome. Aveva fatto appena in tempo a guardarlo,
avvertendo il calore rassicurante di quel corpicino adagiato sul suo petto,
prima di cedere alle ferite subite mentre fuggiva e al troppo sangue perso.
“Guarda” mormorò Prim, fissando il volto arrossato del piccolo. “Guardagli
gli occhi.”
Rory eseguì; notò che le iridi del piccolo, la cui famiglia proveniva dal
Giacimento, erano di tonalità leggermente diverse. Una era grigio chiaro,
mentre l’altra sembrava tendere all’azzurro.
“Si chiama eterocromia” spiegò a quel punto la ragazzina, sorridendo con
affetto al bambino. “Un occhio probabilmente resterà grigio, l’altro diventerà
azzurro. Così porterà per sempre dentro di sé un po’ di Giacimento e un po’ del
ceto dei commercianti.”
“Un po’ di me e un po’ di te” aggiunse Rory, incastrando lo sguardo in
quello blu chiaro della ragazzina. Prim gli sorrise con fare timido, prima di
tornare a fissare il neonato.
“Chissà come vivrà” mormorò dopo un po’, sfiorandogli con affetto una
guancia. “Non ti chiedi mai chi lo adotterà, se a rivolta conclusa tornerà a
vivere nel Dodici o resterà qui per sempre?”
Rory si strinse nelle spalle.
“Non proprio” ammise, facendo roteare la matita. “Non so nemmeno se ci
torneremo noi, nel Dodici.”
“Ma non ti capita mai di immaginare il suo futuro?” domandò ancora la
ragazzina, voltandosi verso l’amico. “Io ci penso spesso; ogni tanto mi sento
come se fossimo un po’ dei padrini, per lui. In fondo gli abbiamo scelto un
nome e veniamo a trovarlo ogni giorno. E allora, quando ci penso, incomincio a
immaginare il suo futuro. Qualcosa di bello: quello che sceglierei anche per
noi o i ragazzini del Distretto Dodici sopravvissuti, ma anche quei pochi che
ci sono qui nel Tredici. Quello che vorrei per i bambini piccoli come Posy.”
Rory l’ascoltò con attenzione, tamburellando con le dita sul suo blocco da
disegno. Uno dei tanti motivi per cui Prim gli piaceva era quella sua indole di
sognatrice. Lei fantasticava senza sforzo, sorridendo di un futuro dove le
guerre o gli Hunger Games non erano altro che un ricordo, nonostante li avesse
vissuti entrambi sulla sua pelle. Rory, invece, non riusciva ad abbandonarsi
all’immaginazione; era sempre stato un ragazzino razionale e perfino un po’
scettico, con i piedi ben piantati per terra. Quando disegnava raffigurava le
cose esattamente come le vedeva, a differenza di Vick e di Posy, che si
divertivano a riempire fogli di mondi e animali immaginari.
“Lo so che il tuo motto è tieni
sempre gli occhi aperti” intervenne in quel momento Prim, quasi gli avesse
letto nel pensiero. “Ma prova a chiuderli per una volta, tenendo la mente bene
aperta. Che cosa vedi?”
Rory le rifilò un’occhiata poco convinta, prima di sbuffare e riprendere a
tamburellare con le dita contro il blocco. Infine serrò le palpebre. Vagò nel
buio più totale per quella che gli parve una sequenza interminabile di secondi,
fino a quando la voce di Prim non giunse in suo aiuto.
“Io immagino Coal assieme a una famiglia piena di affetto, con tanti
fratelli più grandi che lo coccolano e si prendono cura di lui. Un po’ come
fate voi con Posy.”
L’espressione scettica di Rory sfumò e un lieve sorriso compiaciuto si fece
strada sul suo volto.
“Immagino che vivrà in un posto dove potrà correre all’aria aperta. Un
posto vicino a un parco o a uno spiazzo d’erba bello grande, tipo il Prato, ma
ancora più verde e luminoso. Pieno di alberi e di fiori.”
“Pieno di primule” si lasciò sfuggire Rory a bassa voce. “Come te[1].”
Le orecchie gli diventarono rosse, quando lo sguardo della ragazzina si
illuminò incrociando il suo.
Quell’espressione allegra lo convinse a mettere da parte il cinismo per
stare al gioco proposto dall’amica. Chiuse gli occhi, sforzandosi di seguire le
istruzioni di Prim. La sua mente incominciò a viaggiare su un foglio a
quadretti immaginario, simile a quelli del suo blocco. Mentre Rory
fantasticava, cercando di farsi venire qualche idea interessante, la pagina
bianca si riempiva dei suoi pensieri, proprio come quando disegnava.
“Vivrà in un Distretto completamente nuovo e sconosciuto” azzardò infine il
giovane, riaprendo gli occhi. In quel momento, Coal agitò le manine e spalancò
la bocca, sbavando un po’. I due ragazzi si misero a ridere. “Un reame ben
protetto dai pericoli; io e te ne saremo i sovrani.”
“Tu sarai il Re Rosso…” intervenne Prim, accennando al significato del nome
del ragazzo. Rory, che amava sentirsi chiamare così, sorrise fiero.
“… E tu sarai la mia lady, la mia regina” aggiunse compiaciuto, mettendosi
a braccia conserte.
La giovane alzò gli occhi al cielo, non riuscendo tuttavia a nascondere un
sorrisetto.
“E come ci si arriva a questo fantomatico Distretto?” domandò poi cullando
Coal, che stava incominciando ad agitarsi.
Rory aggrottò le sopracciglia e riprese a tamburellare con le dita sul suo
blocco. Il foglio appallottolato che si era messo in tasca poco prima cadde a
terra e il giovane si chinò per raccoglierlo. Un lampo di comprensione gli
illuminò il volto, mentre tornava a sedersi a terra. Incominciò a passarsi la
palla di carta da una mano all’altra.
“Tramite un ponte…” esclamò, sorridendo compiaciuto alla ragazza. “… Anzi,
cento ponti. Perché è un Distretto lontano, situato in un punto strategico,
bello distante dai problemi di Panem. Un giorno il principino Coal, che verrà
cresciuto da persone simpatiche e affettuose, attraverserà questi ponti e
raggiungerà il nostro fantomatico Distretto.”
“… Saranno ponti canterini, con le ringhiere che risuonano di note allegre
a ogni passo percorso da chi ci cammina sopra” intervenne Prim, affascinata
dalla piega che stava prendendo il loro gioco.
A Rory quel dettaglio sembrava un po’ troppo irrealistico – troppo
femminile, anche – ma non disse nulla. Non aveva cuore di correggere l’amica,
quando gli sorrideva in quel modo. Era così carina, con quello sguardo luminoso
e il neonato mezzo addormentato fra le braccia, che probabilmente avrebbe
acconsentito a inventare anche un regno color rosa confetto pieno di arcobaleni
e palloncini a forma di cuore.
“La musica dei ponti e la lontananza del nuovo Distretto cancelleranno i
rumori dei bombardamenti in sottofondo” aggiunse, aprendo il suo blocco alla
prima pagina vuota. Rosicchiò la matita per qualche istante e poi incominciò a
disegnare, lasciandosi guidare dalle proprie parole e da quelle di Prim.
“Lì, in quel reame dove noi saremo sovrani, Coal andrà a scuola e potrà
studiare quello che vuole, diventare quello che vuole” proseguì la ragazzina,
sfiorando con tenerezza una guancia del neonato. “Il nostro Distretto non
fabbricherà carbone, ma…”
S’interruppe, cercando ispirazione nello sguardo di Rory e il coetaneo le
sorrise con fare malandrino.
“… Fabbricherà parole” concluse, facendo roteare la sua matita. Lui amava
giocare con le parole; si divertiva a inventare sciogli lingua, indovinelli e
storielle divertenti, per far sorridere i suoi fratelli. “Ogni sera Coal andrà
a caccia di parole e noi sovrani gliele insegneremo. Parole da quattro lettere,
ovviamente” aggiunse, ammiccando: come suo padre, aveva da sempre un’ossessione
per il numero quattro.
Prim gli diede una gomitata scherzosa.
“Vorrei proprio vederlo, questo reame” sussurrò infine, fissando con
dolcezza un Coal ormai addormentato.
“Lo vedrai” promise Rory, riprendendo a disegnare. La matita si muoveva in
fretta, dando forma ad archi e ringhiere. E, dall’altra parte del foglio, un
lungo prato e dei bambini che ci correvano sopra, zig-zando tra fiori e file di
alberi. “Perché questo posto è il Distretto Dodici del futuro. Quello che costruirà
la nostra gente quando la guerra sarà finita.”
Sorrise a Prim, ignorando lo scetticismo che protestava a gran voce da
qualche parte, dentro di lui.
La ragazzina ricambiò, prima di chiudere gli occhi. I suoi lineamenti si
distesero ulteriormente, mentre la sua mente si apriva.
“Lo vedo” mormorò infine, con il volto che sorrideva.
Rory la osservò compiaciuto, prima di chinare lo sguardo per rimirare la
fila di ponti che aveva disegnato: ponti che conducevano al futuro.
Lo vedo anch’io, pensò, prima di
alzarsi per raggiungere l’amica. Accarezzò
una mano del neonato con l’indice e poi gliela strinse.
“Starai bene, Coal” promise, incontrando lo sguardo di Prim. La ragazza
annuì, guardandolo con quel miscuglio di ammirazione e affetto che di solito,
rifletté Rory, dedicava soltanto a Katniss. Quello sguardo lo fece sentire
forte, lo fece sentire coraggioso. Lo fece sentire un re; e Prim era la sua
regina.
“Lo giuro.”
***
«Avrai parole nuove da cercare quando
viene sera
E cento ponti da passare, per far
suonare la ringhiera.»
Avrai. Claudio Baglioni
Diede un calcio a un sassolino e l’osservò rotolare lungo il viottolo.
Mentre la pietruzza viaggiava e Rory la inseguiva con lo sguardo, sprazzi di
paesaggio attiravano la sua attenzione. Dettagli, come la fila di casette
bianche ordinatamente impilate l’una dietro l’altra alla sua sinistra; quelle
ancora in costruzione erano incorniciate da impalcature di metallo. Particolari,
come le grida dei ragazzini che si rincorrevano nel Prato, approfittando degli
ultimi minuti di libertà prima del coprifuoco imposto loro dai genitori.
Il Distretto Dodici era cambiato rispetto al ricordo impolverato di una
volta che Rory conservava con cura in un angolo di mente. Non era perfetto come
il mondo del futuro su cui il giovane aveva fantasticato anni prima, però era
già qualcosa. In fondo, lui lo sapeva bene che c’era ben di peggio. E poi il
Prato adesso era cresciuto più rigoglioso ed erano stati piantati diversi
alberi e un piccolo giardino fiorito in un angolo, proprio come aveva predetto
Prim.
Rory sbuffò, appoggiandosi alla parete di casa sua con una spalla. Il suo
sguardo inseguiva vigile un gruppo di ragazzini che stavano giocando a
nascondino. Una di loro, la bambina con le trecce nere e la camicetta a quadri
bianchi e azzurri, era la sua sorellina. In quel momento stava ridendo, mentre
un ragazzino un po’ più grande, con una massa di capelli rossi, le sussurrava
qualcosa all’orecchio: Dru Callister. Il compagno di giochi preferito di Posy.
Rory continuò a tenerli d’occhio, malgrado sapesse perfettamente che nulla
di male avrebbe potuto succedere ai suoi fratelli, al di fuori di qualche
ginocchio sbucciato o di un battibecco fra amici. Faticava a separarsi dal
ruolo di uomo di casa, adesso che Gale si era trasferito nel Distretto Due. Tuttavia
era estate e, in quella stagione, era solito dedicare ogni sera qualche minuto
per mettere via i panni da fratello maggiore e indossare la sua corona da Re
Rosso. Nei momenti come quello, il giovane si concedeva anche di essere
malinconico e richiamava alla mente il ricordo di un Distretto immaginario e
della persona che avrebbe dovuto governarlo assieme a lui. La sua lady, la
regina del regno al di là dei cento ponti.
Sceglieva sempre la sera per ricordarla, perché quello era il periodo della
giornata in cui i due fratelli di Dru Callister uscivano per fare una
passeggiata. Lo stavano facendo anche in quel momento, scendendo i gradini di
una delle case bianche di fronte a quella di Rory. Il ragazzo sorrise,
osservandoli camminare mano nella mano. Fisicamente erano agli antipodi. Maki,
la maggiore di casa Callister, aveva quasi diciassette anni, i capelli color
carota – come Dru – e profondi occhi castani. Il piccolo Joseph, invece, di
anni non ne aveva neanche tre e camminava goffamente, stropicciandosi i capelli
neri con la mano libera. Quando i suoi occhi chiari individuarono Rory, si
accesero di vivacità. Nel momento in cui lui e la sorella furono
sufficientemente vicini, il giovane poté notare la differenza di tonalità nelle
iridi del piccolo: una era grigia, come le sue. L’altra tendeva all’azzurro.
Maki fece un cenno a Rory con la mano e gli rivolse il solito sorriso
sbarazzino.
“Guarda chi c’è, ‘Seph!” esclamò allegramente, posando una mano sulla testa
del fratellino.
Il sorriso di Joseph si fece più vistoso; correndo, il bambino raggiunse
Rory, che lo afferrò al volo.
“Ci-Ciao” esclamò, come faceva sempre per salutare le persone che
conosceva. Il giovane finse di lasciarlo cadere, provocando nel bambino un
attacco di ridarella.
“Ci-Ciao anche a te, Coal” lo salutò, sotto lo sguardo divertito di Maki.
Da quando era stato adottato, il piccolo orfano del Distretto Dodici era
diventato per tutti Joseph “Seph” Callister. Tuttavia, quando Rory aveva raccontato
alla famiglia del piccolo di Prim e del periodo in cui loro due si erano presi
cura del neonato nel Distretto Tredici, i suoi genitori adottivi avevano deciso
di mantenere Coal come secondo nome.
“Sei pronto
per la parola del giorno?” domandò Rory, facendo il solletico al bambino.
Coal annuì,
sorridendo orgoglioso.
“Dunque, la
parola che ti insegnerò oggi è…” il ragazzo s’interruppe per fare una smorfia
orripilante. Il piccolo si mise a ridere e si rannicchiò contro il suo petto,
cercando nel frattempo lo sguardo della sorella maggiore.
Maki si
strinse nelle spalle e diede un colpetto dietro la nuca a Rory.
“Che vuoi
farci, è il solito clown” osservò con un sorriso, scuotendo rassegnata la
testa.
Rory
indirizzò la smorfia anche a lei.
“La parola di
oggi è grossa, brutta, cattiva e con il naso peloso…” concluse, tornando a
rivolgersi al bambino. “… E ovviamente ha quattro lettere: orco!”
Finse di
mangiare la pancia del piccolo, che si ritirò ridendo su se stesso.
“Olco!” ripeté
‘Seph, mentre il ragazzo lo metteva a terra. “Olco!” esclamò ancora, indicando
un muratore: l’uomo era appena sceso dall’impalcatura che circondava una delle
case in costruzione.
Maki e il giovane Hawthorne si misero a ridere. Il muratore rivolse un’occhiata
sorpresa al piccolo, prima di sorridere a sua volta. Fece segno al bambino di
raggiungerlo e si accovacciò a terra. Coal cercò sicurezza nello sguardo di
Maki e, quando la ragazza annuì per incoraggiarlo, incominciò a correre sotto
l’impalcatura di ferro. Mentre trottava in direzione del muratore fece scorrere
la manina lungo le gambe di quel ponte metallico, facendole risuonare.
E rise, semi-illuminato dal sole rosato della sera, mentre il rumore delle
sue dita a contatto con il ferro si mescolava al frinire dei grilli. Rideva e
sembrava quasi che corresse incontro al Prato dall’altra parte delle
impalcature, al cielo e alle prime stelle che stavano spuntando sperdute in
quel mare dai colori caldi.
Rory sorrise, ignorando l’alone di rimpianto che aveva fatto capolino nel
suo sguardo; ai suoi occhi, le impalcature erano diventate ponti e Coal le
stava facendo suonare, correndo verso quel Distretto immaginario che la sua
mente e quella di Prim avevano costruito per lui quasi tre anni prima. Un regno
dove la fame, il freddo e la paura erano solo ricordi lontani e i ragazzini
vivevano e basta, andando a scuola e imparando parole nuove. Parole da cantare
ogni volta che percorrevano uno di quei cento ponti che portavano al futuro.
Lo vedo, Prim, pensò il ragazzo fra sé un’ultima volta, strizzando gli
occhi per evitare che le lacrime li appannassero. Coal stava ancora ridendo.
Rory Hawthorne aveva mantenuto la sua promessa.
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Questa storia fa parte della serie su Rory e Prim intitolata «Di
Re Rossi e Brutti Anatroccoli».