Premesso che è meglio che le cose
siano andate come le hanno raccontate Steven Moffat e Mark Gatiss, scrivere fan
fiction è creare un universo alternativo delle nostre serie preferite.
Ecco qui l’ennesima fan fiction
che esplora quello che accade dopo l’episodio 2x03 “The Reichenbach Fall”, rivisitando,
però, la serie dall’inizio.
I titoli dei capitoli saranno gli
stessi degli episodi o dei racconti di Sir Arthur Conan Doyle, a volte con un
significato diverso, che spiegherò a fine capitolo.
I personaggi non mi appartengono,
ma sono di Sir Arthur Conan Doyle, Steven Moffat e Mark Gatiss.
Se qualcosa di quello che scrivo
dovesse essere già apparso in qualche altra fan fiction, chiedo scusa, ma
sarebbe assolutamente involontario.
Naturalmente, questo racconto non
ha scopo di lucro.
Buona lettura! J
John Watson era seduto nel
salotto silenzioso del 221B di Baker Street.
La testa era appoggiata ad una
mano, i piedi scalzi, con le piante rivolte l’una verso l’altra, che non si
toccavano.
Era incredulo.
Distrutto.
Sherlock Holmes si era suicidato davanti
ai suoi occhi , buttandosi dal tetto del Bart’s, lasciandogli come messaggio d’addio
una telefonata.
The Reichenbach Fall
Era rientrato da poco
dall’Afghanistan ed era stato congedato dall’esercito a seguito delle ferite
riportate.
Camminava con un bastone.
Era stato ferito alla spalla, ma
zoppicava.
Sapeva anche lui che si trattava
di un problema psicosomatico, ma non era sicuro di volerlo risolvere.
Se avesse saputo cosa farsene
della propria vita, sarebbe stato diverso, ma, da come stavano le cose,
risolvere o meno questo problema sembrava irrilevante.
La cosa che lo disturbava di più,
comunque, erano gli incubi.
Era una mattina di sole e sperava
che una passeggiata al parco gli permettesse di trovare un po’ di serenità.
La prima volta che sentì chiamare
il proprio nome, non si girò nemmeno.
Esistevano troppi John al mondo,
non stavano certo chiamando lui.
La seconda volta gli sembrò che
la voce fosse familiare.
La terza si voltò.
“John Watson! – disse sorridendo
felice un uomo della sua età un po’ in sovrappeso – Sono Mike. Mike Stamford.
Ti ricordi di me?”
Dalle nebbie del passato emerse
il viso sorridente di un Michael Stamford decisamente più giovane, ma sempre in
sovrappeso, che condivideva con John le notti in bianco, trascorse sui libri
degli esami del corso di medicina.
John non aveva molta voglia di
parlare con il resto del mondo, ma Mike gli era sempre piaciuto:
“Ciao Mike, come stai?” chiese
più per cortesia che per curiosità.
Sperava in un veloce scambio di
saluti, invece finirono per sedere su una panchina a fare quattro chiacchiere.
John Watson tutto si sarebbe aspettato quel giorno, tranne di sentirsi proporre
un coinquilino.
Rimase spiazzato dalla strana
proposta di Mike, che non gli aveva detto molto dell’uomo che voleva presentargli,
eppure era riuscito ad incuriosirlo.
In fin dei conti, cosa aveva da
perdere?
Non aveva un lavoro.
Non aveva molti amici e quei
pochi che aveva non voleva vederli per non dover raccontare loro della guerra.
Non parlava con Harry.
Non aveva molti soldi e dividere
un affitto a Londra era sempre conveniente.
Seguì Mike al Bart’s senza grandi
aspettative, perché non poteva immaginare che nella sua vita stesse per fare
irruzione un tornado che la avrebbe sconvolta completamente.
Entrando nel laboratorio, fu
sommerso dai ricordi di quando, studente di medicina, si chinava sui
microscopi, sperando di riuscire a stare sveglio dopo una notte insonne
trascorsa sui libri.
L’uomo nella stanza era alto e
troppo magro.
Doveva avere più o meno la sua
stessa età, forse qualche anno in meno, ma non troppi.
I capelli, neri e ricci,
contrastavano con la pelle bianchissima e gli occhi erano di un azzurro così
chiaro da sembrare di ghiaccio.
Fu lo sguardo rapido che l’uomo
moro gli lanciò ad intrigare John.
Gli sembrò di essere passato
velocemente attraverso lo scanner di una risonanza magnetica.
“Afghanistan o Iraq?” gli chiese
lo sconosciuto, senza troppi preamboli.
John lo fissò più incuriosito che
infastidito:
“Afghanistan. Come ha fatto a
capirlo?”
L’uomo iniziò a parlare
velocemente, con voce bassa ed un tono così profondo da essere quasi difficile
da capire.
John non sapeva come potesse dire
tante parole in così poco tempo.
Quando l’amico di Mike ebbe
finito di parlare, John si era sentito raccontare praticamente la propria vita
in pochi secondi.
Si ritrovò a fissare quello
strano uomo con sguardo affascinato, quasi incredulo di come fosse riuscito a
dedurre tante cose di lui, solo traendo qualche conclusione da quello che aveva
osservato in pochi istanti.
John si chiese cosa avrebbe
potuto capire se fossero stati insieme più a lungo.
Stranamente, non fu infastidito
da quello che l’uomo gli aveva detto.
“Allora? È interessato a dividere
le spese dell’affitto? Ho già visto un appartamento al 221B di Baker Street.
Possiamo incontrarci lì domani.”
“Va bene.” si sentì rispondere
John.
L’uomo sorrise soddisfatto e fece
per andarsene.
“Ma lei come si chiama?” domandò
Watson, prima che l’uomo uscisse.
“Il mio nome è Sherlock Holmes.”
rispose l’altro e sparì dalla sua vista.
Il giorno dopo, si trovarono in
questo appartamento, avvolto completamente nel caos.
La padrona di casa, una donna
anziana, ma molto simpatica, li accolse dimostrando pazienza materna verso
l’iperattivo Sherlock Holmes.
“Volete anche la stanza di sopra o
ve ne basta una?” chiese la signora Hudson con un sorriso felice.
John rimase spiazzato da quella
strana domanda:
“Naturalmente ci servono due
stanze.” rispose senza esitare.
“Oh, caro. – aggiunse l’anziana
donna – Non c’è nulla di cui vergognarsi. La mia vicina prende quelli sposati!”
John si chiese dove fosse
capitato.
Era proprio sicuro di voler
rimanere lì?
Eppure, stranamente, si sentiva
già a casa, malgrado lo strano coinquilino e le strampalate conclusioni a cui
era arrivata la padrona di casa.
John Watson si trovò catapultato
nella vita convulsa e caotica di Sherlock Holmes.
Conobbe poliziotti che lo
ammiravano.
Poliziotti che lo detestavano.
E lo seguì senza una ragione in
un’avventura dopo l’altra, perché Sherlock Holmes lo faceva sentire vivo per la
prima volta, dopo tanto tempo.
Ci fu un altro incontro che segnò
la vita di John Watson, in quei giorni.
Il suo nuovo coinquilino lo aveva
abbandonato sul luogo di un delitto.
Nel tentativo di tornare a casa,
John si era trovato a sentire squillare i telefoni intorno a lui.
Curioso, rispose e si trovò
invitato, più o meno gentilmente, ad un incontro clandestino.
Un’auto nera lo aveva caricato e
la ragazza al suo interno era molto bella, ma troppo e solo interessata al
proprio telefono.
Il luogo in cui venne portato era
isolato ed adatto a tenerlo prigioniero, senza che nessuno potesse trovarlo per
lungo tempo.
John Watson si chiese cosa stesse
accadendo alla propria vita, da quando aveva incontrato Sherlock Holmes.
L’uomo non gli disse come si
chiamasse.
“Se lo chiedesse a Sherlock
Holmes, le direbbe che sono il suo arcinemico.”
“Perché, esiste qualcuno che
abbia un arcinemico?” chiese John più curioso che spaventato.
Non sapeva perché non avesse
paura.
Era cosciente del fatto che una
persona normale avrebbe dovuto essere perlomeno preoccupata da quello che gli
stava accadendo, invece John era tranquillo.
L’uomo davanti a lui gli propose
dei soldi per spiare il suo coinquilino.
Ecco, questa cosa lo fece
veramente arrabbiare.
Quell’uomo pensava di poterlo
indurre a tradire una persona, solo perché l’aveva appena conosciuta!
Rifiutò con decisione e sdegno
l’offerta di denaro.
Per un attimo, John ebbe
l’impressione che gli occhi dell’uomo fossero attraversati da un lampo di
soddisfazione, come se fosse stato felice per quella risposta.
Ciò non diminuì la sensazione che
l’uomo con l’ombrello fosse più pericoloso di quanto l’abito firmato ed i modi
educati e signorili lasciassero supporre.
John venne riaccompagnato a casa
sano e salvo.
Sherlock non si preoccupò del
fatto che John fosse stato praticamente rapito per colpa sua.
“Avresti dovuto accettare quel
denaro. – disse sorprendentemente – Ci avrebbe fatto comodo.”
Questa fu solo una delle tante
stranezze che iniziarono a capitare nella vita di John Watson dal momento in
cui Mike Stamford gli aveva presentato Sherlock Holmes.
John uccise un uomo, senza
esitare, per salvare Sherlock.
Non si arrabbiò con il suo folle
coinquilino, quando lo drogò, solo per fare un esperimento.
Sopportò con stoica pazienza
quando lo insultò, solo perché Sherlock aveva provato un sentimento umano come
la paura e ne accettò le quasi scuse senza andare troppo per il sottile.
Lasciò le ragazze con cui usciva,
ogni volta che Sherlock ne distruggeva l’immagine ai suoi occhi o le maltrattava
quando andavano a trovarlo a Baker Street.
Si lamentò con tono rassegnato e poco
convinto delle continue violazioni alla propria privacy, avendo perfettamente
capito come quello fosse un concetto completamente estraneo al modo di
intendere la vita in comune da parte del suo coinquilino.
Finì per non essere più sorpreso
dal fatto che Sherlock non si accorgesse che lui fosse uscito e gli parlasse
come se fosse sempre presente nella stanza.
Arrivò a non essere nemmeno più
infastidito dai continui e pressanti sms che Sherlock gli inviava esigendo la
sua immediata attenzione e presenza, incurante di qualsiasi cosa stesse facendo
John.
Imparò a convivere con la cucina
adibita più a laboratorio scientifico che alla preparazione dei cibi e con le
parti dei corpi conservate nel frigorifero, sempre utili per qualche bizzarro
esperimento.
Tutti i lati negativi di Sherlock
Holmes erano nascosti, agli occhi di John Watson, dall’ammirazione che il
dottore provava verso la mente brillante e geniale dell’unico consulente
investigativo del mondo.
Malgrado Sherlock insultasse
continuamente il resto dell’umanità, trovandola noiosa e banale, John, che pure
sapeva di essere parte di quella bistrattata specie, non poteva che rimanere
sempre meravigliato davanti alla capacità di deduzione ed all’intelligenza,
decisamente superiore alla media, del suo coinquilino.
John sapeva di poter condividere
con Sherlock le sue avventure solo perché il consulente investigativo sentiva
l’assoluta necessità di avere un pubblico adorante che ascoltasse le sue
elucubrazioni.
E quel pubblico adorante era
proprio John Watson.
Nulla soddisfaceva più Sherlock
del vedere lo sguardo meravigliato ed orgoglioso che illuminava gli occhi di
John quando lui risolveva un caso.
Nulla era più importante per
Sherlock che ammirare il sorriso di John, quando districava un caso complicato
con poche geniali parole.
Persino l’arcinemico di Sherlock,
che alla fine si rivelò essere solo il suo fratello maggiore Mycroft, arrivò
alla conclusione che la cooperazione fra i due uomini fosse la cosa migliore
che potesse loro capitare.
Almeno fino a quando nelle loro
vite non fece irruzione James Moriarty.
All’inizio il caso fu divertente
e stimolante.
Quando, però, morì l’anziana
signora, persino Sherlock capì che il loro avversario fosse più pericoloso di
quanto lo avessero valutato in un primo momento.
Sherlock arrivò alla piscina e,
con somma sorpresa, trovò John, che lo accolse come se lui fosse James
Moriarty.
Possibile che si fosse sbagliato
così tanto nel valutare l’uomo che stava diventando la persona più importante
della sua vita?
Possibile che fosse veramente lui
quello che piazzava le bombe addosso alla gente?
No.
John aveva una bomba addosso lui
stesso e sarebbe stato disposto a morire, pur di salvare Sherlock.
Quando, finalmente, il vero James
Moriarty decise di andarsene, Sherlock aiutò John a levarsi velocemente il
giubbotto esplosivo.
“Per fortuna non ci possono
vedere. – disse John mentre Sherlock lo spogliava – Chissà cosa potrebbero
pensare, altrimenti.”
John si girò verso Sherlock e
sentì le proprie gambe mancare, a seguito delle violente emozioni a cui era
stato sottoposto.
Sherlock lo sorresse,
afferrandolo ai fianchi con un braccio e stringendolo a sé.
Le loro labbra si trovarono
pericolosamente troppo vicine.
Sherlock sollevò John,
costringendolo quasi sulle punte dei piedi ed appoggiò le proprie labbra a
quelle del dottore.
John fu talmente sorpreso da
quello che stava accadendo, che aprì la bocca.
Sherlock ne approfittò per
entrare con la propria lingua, giocando con quella dell’amico, dolcemente e
sistematicamente, come se stesse studiando, catalogando e valutando la scena di
un crimine.
Improvvisamente una voce stridula
e canzonatoria rimbombò nel silenzio della piscina:
“Disturbo?”
Sherlock lasciò andare lentamente
John, voltandosi verso Moriarty.
“Se avessi immaginato cosa
stavate facendo, vi avrei lasciato qualche minuto ancora.”
“Non sono gay!” sbottò John,
rosso in viso.
Si girò verso Sherlock, in attesa
che l’amico confermasse quello che aveva appena detto lui.
Invece, il consulente
investigativo rimase in silenzio.
Il sorriso malizioso dipinto
sulla faccia di Moriarty aumentò l’irritazione di John.
“Lo so, lo so. – continuò il
consulente criminale – Avevo detto che me ne sarei andato e che vi avrei
lasciato vivere, però, sapete, sono così volubile.”
Le luci rosse tornarono a danzare
sui corpi di John e Sherlock.
John si appoggiò alla parete
della piscina e si lasciò scivolare fino a sedersi sui talloni.
Sherlock scambiò uno sguardo
d’intesa con John e puntò la propria arma sul giubbotto esplosivo, pronto a
farlo saltare in aria.
Il silenzio era teso, i due
consulenti si guardavano, valutando cosa potessero fare per sconfiggersi a
vicenda, quando “Stayin’ Alive” fece irruzione nella piscina.
Con una smorfia, Moriarty rispose
al telefono e decise che non fosse il giorno giusto per eliminare il suo
nemico.
Durante il tragitto in taxi dalla
piscina a Baker Street, John guardò sempre fuori dal finestrino, chiuso in un
ostinato mutismo.
Sherlock gli lanciò qualche
occhiata in tralice, ma non sapeva come affrontare il discorso su ciò che era
accaduto.
Arrivati nel salotto di casa,
Sherlock decise di rompere il silenzio:
“John?” il tono di voce era
stranamente esitante.
John si girò verso Sherlock, con
espressione assolutamente neutra:
“Sì?”
“Possiamo parlare?” Holmes si
sentiva imbarazzato.
“Di cosa?” chiese John, facendo
finta di non capire.
“Sai benissimo di cosa voglia
parlare!” ribatté Sherlock infastidito.
John sospirò:
“Adrenalina.” disse
semplicemente.
Sherlock lo fissò interdetto:
“Cosa vorresti dire?”
“Io non sono gay. – rispose John
– Tu sei sposato con il tuo lavoro. Il bacio è stato solo il risultato
dell’adrenalina che ci scorreva nelle vene a causa del pericolo che avevamo corso.”
“Davvero?” domandò Sherlock, non
proprio convinto dalla risposta di John.
“Sì.” ribatté seccamente John,
come se volesse mettere fine alla discussione.
Sherlock lasciò perdere, avendo
capito come l’argomento mettesse in imbarazzo John.
Non sapeva bene nemmeno lui
perché avesse baciato John, quindi, forse, il dottore aveva ragione: era stata
solo una reazione chimica al pericolo corso.
Decisamente piacevole, comunque.
Voleva chiedere a John se
potessero ripetere l’esperienza, come esperimento ovviamente, ma il dottore si
era già ritirato nella propria stanza e Sherlock pensò che non fosse il caso di
farlo arrabbiare.
John non sarebbe andato da
nessuna parte e lui avrebbe avuto tempo per fare il proprio esperimento.
Poche ore dopo, nella vita dei
due uomini entrò Irene Adler.
La donna intrigò Sherlock al
punto da causare un piccolo moto di gelosia in John.
Audace ed intelligente, Irene
Adler affascinò Sherlock, che non riusciva a leggerla come faceva con il resto
dell’umanità.
John vide nascere questa attrazione
e sentì una fitta al cuore:
“Io non sono gay. – si disse – Ed
il bacio è stato solo adrenalina.”
Stranamente per il dottore, una
parte di lui continuava a sentirsi gelosa ed avrebbe voluto che quella donna
sparisse dalla vita di Sherlock.
Quando scoprirono che Irene era
stata uccisa, vedendo quanto Sherlock soffrisse, John si sentì in colpa.
Irene, però, non era morta e si
fece viva proprio con il dottore.
“Deve dire a Sherlock che è viva
o lo farò io.” le disse John in tono risoluto.
Irene mandò un messaggio a
Sherlock.
“Non è geloso, dottore?” chiese
Irene, più con curiosità che con malizia.
“Non siamo una coppia.” ribatté
John, sulla difensiva.
“Oh, sì che lo siete.” sorrise
Irene.
“Non sono gay.” sbuffò John,
seccato dal dover sempre ricordare a tutti che non gli piacessero gli uomini.
Il sorriso di Irene divenne
malizioso:
“Non ne sarei così sicura,
dottore. – sussurrò – Penso che almeno uno di voi sia molto preso dall’altro.”
Non terminò la frase perché un
suono rimbombò nella stanza, provenendo dal corridoio attiguo.
Entrambi capirono che Sherlock
era nell’edificio e stava ascoltando la loro conversazione.
Tornato a casa, John non affrontò
l’argomento con Sherlock, perché le cose precipitarono.
Irene era più abile e
manipolatrice di quanto si fossero aspettati.
Sherlock rimase ferito dal modo
di agire di Irene.
Una parte di John ne gioì perché
voleva dire che Sherlock la avrebbe dimenticata.
L’altra parte si sentì in colpa,
perché non voleva che Sherlock soffrisse.
Irene Adler uscì dalle loro vite
come era entrata: come un tornado.
John comunicò a Sherlock che la
donna era stata uccisa, stavolta per davvero.
Per tutta risposta, Sherlock
chiese:
“Posso fare un esperimento?”
John lo fissò perplesso. Era
sempre pericoloso acconsentire a partecipare ad un esperimento di Sherlock, ma
in quel momento non se la sentì di dirgli di no.
“Va bene. – rispose – In cosa
posso esserti utile?”
Sherlock si alzò dalla scrivania,
andò verso John, gli prese il volto con le mani e lo baciò.
Preso completamente alla sprovvista,
anche questa volta John aprì le labbra e Sherlock entrò nella bocca del
dottore, riprendendone la sua sistematica esplorazione.
Sherlock tolse le mani dal volto
di John e lo abbracciò.
Il bacio fu dolce, tenero e molto
prolungato.
John si ritrovò a corrisponderlo,
accettando di giocare con la lingua di Sherlock.
Quando Sherlock si ritenne
soddisfatto, si staccò da John.
“Grazie. – disse con un sorriso –
Ho avuto la risposta che stavo cercando.”
E se ne andò, lasciando John
completamente interdetto.
Non parlarono del secondo bacio.
John si rifiutò di affrontare
l’argomento.
Si disse che Sherlock stesse solo
cercando di elaborare il lutto per la perdita di Irene.
E non si chiese minimamente quale
fosse l’esperimento a cui Sherlock lo avesse sottoposto o cosa credesse di
avere dedotto dal loro secondo bacio.
Tutto riprese a scorrere come
sempre, fino al ritorno di James Moriarty.
Sherlock stava diventando famoso.
Era osannato dai giornali, ma
questo preoccupava John.
La fama era portatrice di guai.
John cercò di mettere in guardia
Sherlock, ma il giovane Holmes era troppo attratto dai casi che gli venivano
sottoposti e non diede peso alle preoccupazioni dell’amico.
Quando James Moriarty si fece
arrestare, Sherlock non riuscì a rimanere in disparte, ma si lasciò coinvolgere
nel piano del folle consulente criminale, che lo portò alla rovina.
In fuga dalla polizia, John e
Sherlock si rifugiarono al Bart’s, accolti e protetti da Molly.
James Moriarty aveva tentato di
convincere John di essere un attore di nome Richard Brook, pagato da Sherlock
per passare come il consulente criminale più pericoloso al mondo.
John non aveva creduto ad una
sola parola uscita dalla bocca di Moriarty.
John aveva una completa ed
assoluta fiducia in Sherlock Holmes e nelle sue incredibili capacità deduttive.
Nulla lo avrebbe convinto del
fatto che Sherlock fosse un imbroglione.
Molly li lasciò soli, salutandoli
e dicendo loro che sarebbe tornata la mattina dopo.
John era stanco.
Era stata una giornata molto
intensa.
Scappare dalla polizia e fare la
vita del latitante era sfiancante.
Stava per addormentarsi
appoggiato al tavolo, quando Sherlock gli si avvicinò:
“John, posso chiederti una cosa?”
il tono era malinconico.
“Dimmi.” gli sorrise John
incoraggiante.
Sherlock lo guardava negli occhi,
così triste e rassegnato che a John si strinse il cuore:
“Vorrei fare l’amore con te.”
disse Sherlock.
John rimase senza fiato.
“Io ti amo, John. – continuò
Sherlock – So che dici di non essere gay, ma ti piace baciarmi. Forse ti
piacerà anche fare l’amore con me.”
Sherlock rimase in attesa di una
risposta, fissando John negli occhi.
Il dottore non sapeva cosa
rispondere.
Non si sarebbe mai aspettato quella
richiesta.
Sentì una parte di sé esultare
contenta per la proposta.
Un’altra, invece, gridava “Assolutamente no!”, perché era cosciente
che sarebbe stato un grande errore.
John continuava a guardare
Sherlock negli occhi, in quegli occhi di un azzurro così chiaro da essere quasi
trasparenti, nel fondo dei quali poteva leggere una profonda disperazione.
John gli sorrise e lo baciò,
teneramente e dolcemente.
Mentre si baciavano, Sherlock lo
fece alzare dallo sgabello e lo fece sdraiare in terra.
Una parte della mente di John
inorridì al pensiero di quanti germi e batteri vi fossero sul pavimento.
L’altra si lasciò trasportare, in
attesa di accogliere Sherlock dentro di sé, pronta a fare qualsiasi cosa per
rassicurarlo che non lo avrebbe mai lasciato solo.
Sherlock amò il suo John con
dolcezza e passione, tenerezza e delicatezza.
John si lasciò amare, sorpreso
dalla competenza che Sherlock dimostrò nel fare l’amore.
Il dottore si chiese se Sherlock
fosse sempre stato gay ed avesse avuto altre storie.
Questo pensiero gli procurò un
piccolo moto di gelosia, che John tacitò immediatamente.
Durante il periodo in cui aveva
condiviso l’appartamento con Sherlock, John aveva avuto tante brevi avventure,
quindi non poteva certo biasimare l’amico, se in passato aveva avuto qualche
relazione.
Amico.
Erano ancora amici?
No, non sarebbero più potuti
essere amici.
Non dopo quella notte.
John sentì una parte di sé
gridare disperata:
“È un errore! Ora perderete il vostro legame unico e straordinario! Per
una notte d’amore. Ne è valsa la pena?”
La risposta, in quel momento, fu
“Sì.”
Si addormentarono, stretti l’uno
all’altro, felici e consapevoli di non essere più solo amici.
La mattina dopo, John fu
svegliato da un incubo.
Diversamente dalle altre volte,
non ricordava se avesse sognato l’Afghanistan, però sentiva un peso sul cuore.
Si accorse che Sherlock non era
più sdraiato accanto a lui e lo cercò nella stanza.
Non c’era.
Preoccupato, si chiese dove
potesse essere andato.
Si vestì in fretta ed uscì dal
Bart’s.
Era appena arrivato al
marciapiede e stava per chiamare un taxi, quando il cellulare squillò.
Era Sherlock.
“Sherlock, dove sei?” chiese,
cercando di tenere sotto controllo il panico presente nella voce.
“Alza lo sguardo.” rispose il
consulente investigativo.
John obbedì e lo vide.
L’alta figura slanciata, il
cappotto svolazzante, Sherlock era in piedi sul cornicione del Bart’s.
“Sherlock cosa stai facendo!”
John stava per riattraversare la
strada, ma la voce al telefono lo bloccò:
“No, fermati. Stai lì. Non ti
muovere. Tieni gli occhi fissi su di me.”
John sentì nel tono di Sherlock
una disperazione che gli era sconosciuta.
Preoccupato, cercò di
rassicurarlo:
“Sherlock, andrà tutto bene. Non
fare nulla di folle.”
“Questa è la mia lettera, John, e
voglio che tu mi guardi.”
“Lettera?”
“Non è così che fanno?”
“Sherlock, ti prego … no …”
“Sono un imbroglione, John, dillo
a chiunque ti ascolti.”
“No, non è vero. Tu sei la
persona più intelligente che io conosca.”
“Era tutto un trucco, John. Ti ho
sempre preso in giro.”
“No, non è vero. – ripeté
caparbiamente John – Avrei saputo se mi avessi mentito. Io ti amo, Sherlock.”
Dall’altra parte non si sentì
nulla.
“Mi hai sentito? – chiese John
con una nota di angoscia nella voce – Io ti amo. Si risolverà tutto.”
Un lungo momento di silenzio,
prima di un sussurro:
“Anche io ti amo John.”
John sorrise, come se questa
conferma potesse risolvere tutto:
“Finché saremo insieme, andrà
tutto bene. – disse rassicurante – Vengo su da te e parliamo.”
“Non muoverti da lì.”
Sherlock riattaccò il telefono.
“Sherlock?” chiamò John, ma gli
rispose solo il segnale di linea libera.
Paralizzato dal terrore di quello
che l’altro potesse fare, John aveva sempre gli occhi incollati su Sherlock, pregando
che scendesse dal parapetto e che lo raggiungesse.
Invece, con sommo orrore di John,
Sherlock si buttò dal tetto del Bart’s.
Ed il cuore e la vita di John si
fermarono in quell’istante.
Oggi
Seduto nella sua poltrona a Baker
Street, nella mente di John era ripassata la sua vita con Sherlock.
Una figura silenziosa entrò nella
stanza e si andò a sedere nella poltrona di Sherlock.
Con gli occhi offuscati dalle
lacrime, John non riuscì a capire chi fosse l’uomo davanti a lui:
“Sherlock?” chiese con una
speranza assurda che fosse stato solo un brutto sogno.
“No, John.”
Il dottore conosceva quella voce,
anche se non vi aveva mai sentito una nota di tristezza e commiserazione così
profonde.
John si passò velocemente la mano
sugli occhi e si ricompose, assumendo la sua tipica posa rigida da militare, la
corazza che lo isolava e lo proteggeva dal mondo esterno:
“Mycroft. – disse con tono gelido
– Dove eri? Perché non lo hai aiutato?”
“Non mi ha dato il tempo di
farlo.” sospirò Mycroft.
John si alzò in piedi, le mani
strette a pugno, furioso, pronto a colpire Mycroft.
L’altro uomo non si mosse, non
fece nulla per difendersi, pronto a ricevere il colpo, senza evitarlo.
“Vattene. – sibilò John – Non
voglio più vederti.”
Mycroft lo fissò a lungo negli
occhi.
Occhi azzurri, del colore
dell’oceano più profondo.
Furiosi e fieri, nel loro immenso
dolore.
Mycroft si alzò in piedi,
lentamente, e si avviò alla porta.
Prima di uscire, si voltò
indietro:
“Se dovessi avere bisogno di
qualcosa, basta che tu me lo faccia sapere. Io ci sarò sempre.”
Mycroft attese un qualunque tipo
di risposta da parte di John, che non arrivò.
John Watson rimase fermo in mezzo
alla stanza, le spalle rigide, i pugni stretti.
Non aveva mai voluto accettare di
essere innamorato di Sherlock Holmes.
Sherlock aveva tentato di fargli
capire che lo amava, ma lui non aveva voluto ascoltarlo.
Era solo colpa sua se si era
ucciso.
Era solo colpa sua se l’uomo che
amava non era più al suo fianco.
La sua punizione sarebbe stata
vivere con questa consapevolezza.
La sua espiazione sarebbe stata
vivere per sempre solo.
Senza più amore.
Nota dell’autrice
Non credo ci sia molto da
spiegare sul titolo: la storia parte dal primo incontro per arrivare al salto
di Sherlock dal tetto del Bart’s.
So che il racconto può
sembrare un po’ slegato, ma le cose si
svolgono come sono raccontate nelle prime due stagioni, con solo quelle piccole
differenze che sono narrate dalla storia.
Quindi, chiunque stia leggendo
questa fan fiction, sa perfettamente cosa sia accaduto nella serie.
In attesa dei vostri commenti, a lunedì
per il prossimo capitolo! J