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Autore: Stella Dark Star    05/06/2015    0 recensioni
[Le cronache di Narnia]
Ricordo molto bene le avventure vissute nel mondo incantato di Narnia, ma non è solo questo che vi racconterò. Nonostante mio marito e i miei cognati ripetano continuamente che Narnia è stata l’occasione per cambiare e migliorare le loro vite, io mi sento in dovere di aggiungere che quel luogo è stato anche la sorgente di molti problemi.
Ora come ora non riesco a contare le volte in cui ho pianto in quel mondo forse immaginario o forse reale, ma so che i sentimenti e le emozioni che ho provato erano assolutamente vere.
Ammetto che anch’io sono cambiata dopo il primo soggiorno a Narnia e che, nonostante tutto, ho trascorso dei momenti felici, ho conosciuto genti e creature che ricorderò per sempre.
Quello che desidero raccontare è l’avventura che ha cambiato per sempre la mia vita: l’amore. Un amore tormentato e appassionato al contempo, tutt’oggi vivo e forte. Iniziato quel giorno lontano, il 14 Febbraio 1943, nella villa di campagna di mio nonno, il Professor Kirke.
Una parte di me è rimasta a Narnia, letteralmente, come presto scoprirete, eppure non potrei chiedere di più di quello che ho ora.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 2
L’arte gentile e la prepotenza
 
Io e Peter eravamo soliti uscire in giardino dopo pranzo, camminare nell’ampio spazio che si estendeva a perdita d’occhio, dove spuntavano qua e là vari tipi di alberi. Ormai la primavera era giunta, perciò quando splendeva il sole potevamo uscire senza cappotto e camminare scaldati dai raggi. Nonostante l’esitazione dei primi tempi, Peter aveva preso a passeggiare tenendomi per mano regolarmente.
Quel pomeriggio in particolare ci eravamo accampati sotto un nocciolo, dove avevamo steso una vecchia coperta. Peter stava con la schiena poggiata al tronco e le gambe distese, io accanto a lui cercavo di tenere una posa aggraziata, seduta ma con le gambe leggermente sovrapposte e piegate all’indietro. Ero felice del fatto che Peter non avesse lasciato la mia mano neanche un istante e che perfino in quel momento vi disegnasse dei piccoli cerchi col pollice.
“Peter, credi che i nostri padri si conoscano?” La buttai lì.
Rispose con tono vago: “Non saprei. E’ vero che sono entrambi piloti però non sono nella stessa squadra.”
“E non sappiamo nemmeno dove siano in questo periodo. Perfino la mia mamma non resta mai nello stesso posto.”
“Bé è un’infermiera, è naturale che sia richiesta la sua presenza in più zone, in base alla necessità.” Abbozzò un sorriso, guardandomi negli occhi:  “Vedrai che torneranno presto.”
Sospirai: “E tu che vorresti partire.”
Pensò qualche istante prima di rispondere: “Appena avrò compiuto diciotto anni, se la guerra non sarà ancora finita, partirò di certo.”
“Non mancano molti mesi.”
“Lo so.”
“Ed Edmund cosa ne pensa?”
“Lui non pensa proprio! Non ha mai detto la sua opinione al riguardo.”
“Ti ha mai detto cosa farebbe se fosse abbastanza grande?”
“No. E credo che non si ponga il problema.”
Se nella precedente risposta il suo sarcasmo era evidente, ora in quest’ultima era addirittura lampante.
Gli feci notare: “C’è una punta di amarezza nella tua voce. Dovresti cercare di capirlo.”
Scosse lentamente la testa: “Non ce la farò mai.”
Alzai lo sguardo al cielo in contemplazione delle nuvole bianche, quando mi accorsi che Peter mi stava carezzando una guancia con la punta di un dito.
Arrossii.
Lui disse dolce: “Finché sono qui voglio pensare solo a te. Mio fratello lo conosco da una vita, ho tutto il tempo per trovare un punto d’accordo con lui. Ma tu? Quanto tempo avrò per stare con te?”
Mi morsi le labbra, sapendo che era arrivato il momento di toccare quel tasto importante: “Dipende da te, Peter. Io sono qui e  aspetto solo che tu…”
Non terminai la frase perché lui avvicinò il suo viso al mio, lentamente, facendomi desiderare il contatto. Un suono roco di protesta uscì dalle mie labbra durante l’attesa e finalmente lui si decise ad unire le sue labbra alle mie. Erano labbra calde e umide, piacevoli da baciare. Fu tutto romantico, ma presto sentii il bisogno di andare oltre. Di principio gli portai le braccia al collo per stringerlo più forte a me, poi osai prendergli una mano e poggiarla sul mio seno. L’avessi mai fatto!
Peter si ritirò di scatto: “Scusami, non me la sento di procedere.”
Io ripresi fiato: “Scusami tu, sono troppo sfacciata. E’ che pensavo di piacerti ‘in quel modo’.”
“Sì! Non fraintendere! Mi piaci, in tutti i modi! Solo che non voglio bruciare tutte le tappe in un pomeriggio!”
Cercai una risposta ma non la trovai, quindi lui continuò: “Anzi sarebbe meglio evitare le passeggiate da soli per un po’ di tempo. Vieni, rientriamo.”
Con una frase aveva messo tra noi non un macigno, bensì un’intera montagna. Il mio orgoglio pianse.
Mi aiutò ad alzarmi da terra e riprese la coperta. Mentre la piegava mi voltai verso la villa. L’istinto mi diceva che qualcuno aveva visto tutta la scena, percepivo come una presenza buia, dietro ad un vetro, ma non vidi nessuno.
Quando rientrammo in casa ci unimmo ai tre fratelli nel salotto. In un momento in cui Susan chiamò Peter per chiedergli un’opinione sul libro che stava leggendo, Edmund mi passò accanto e mi bisbigliò all’orecchio: “Stasera, quando saranno andati tutti a dormire, vorrei vederti.”
Io lo guardai spinta da timore e curiosità: “Ti aspetto in camera mia.”
Lui fece un cenno positivo col capo, senza manifestare alcuna emozione,  e si allontanò da me.
 
Passai tutto il tempo ad interrogarmi sul motivo della sua visita. Perché voleva vedermi?
Seduta sul letto con addosso la camicia da notte e la vestaglia di seta bianca, sentii il grande orologio rintoccare le dieci. Passarono pochi secondi quando qualcuno batté dei leggeri colpi alla  mia porta. Andai ad aprire e mi ritrovai davanti Edmund, vestito con la stessa camicia e gli stessi pantaloni neri che indossava a cena. Lo feci entrare, controllando che per i corridoi non ci fosse nessuno. Nel frattempo lui andò al centro della stanza, dandomi di spalle.
Mi avvicinai a lui: “Per quale motivo sei qui?”
Lui si voltò e mi guardò con occhi misteriosi come la notte. Senza dire una parola, mi avvolse in un abbraccio possessivo e mi rapì le labbra con forza. Io risposi a quel bacio violento senza porre resistenza. Quando si staccò per riprendere fiato, si accorse del mio viso impaurito, perciò iniziò a dire: “Vera, io…”
Gli poggiai un dito sulle labbra per non farlo continuare, poi lo lasciai. Presi a camminare a brevi passi fino ad arrivare accanto al letto, sapendo che lui mi stava seguendo con lo sguardo. Tolsi la vestaglia e la gettai nell’angolo, poi sfilai la camicia da notte dalla testa e la gettai nello stesso punto. Sentii Edmund emettere un gemito alla vista del mio corpo nudo. Mi voltai verso di lui permettendogli di guardare anche il resto.
Edmund rimase qualche istante a guardarmi tutta,  si sbottonò la camicia e la gettò alle proprie spalle, poi sfilò i pantaloni e la biancheria mentre camminava. Invece di venire da me, si recò al lato opposto del letto e vi salì ginocchioni. Lo imitai e insieme ci ritrovammo al centro del letto. Gli sguardi incollati carichi di desiderio. Mi afferrò nuovamente, ma stavolta iniziò a baciarmi dai seni e solo in seguito raggiunse le mie labbra. Il suo tocco per me era come un velo, nonostante le sue mani fossero fredde e forti, e quasi da subito sentii il bisogno irrefrenabile di ansimare e chiedere di più. Non facendoselo ripetere due volte, mi stese sul materasso e si sdraiò su di me, così io ne approfittai per stringerlo tra le mie gambe, come per incatenarlo a me.
 
Al mattino, svegliandomi tra le sue braccia, mi resi conto della realtà: ero completamente ed irrimediabilmente sua. Lo ero sempre stata.
Quando anche lui si svegliò, la prima cosa che fece fu sorridermi in modo gentile ma pur sempre enigmatico. Poi mi sfiorò le labbra con un bacio.
Sospirai: “Edmund, dobbiamo trovare il modo di dirlo a Peter.”
Lui sospirò a sua volta: “Lo farò io, anche se non so quando. Non preoccuparti.”
“Non vorrei mai farlo soffrire, ma d’altra parte, deve sapere.”
Invece di rispondere mi stampò dei bacetti lungo la spalla, risalì lentamente la lunghezza del collo e solo quando giunse all’orecchio mi bisbigliò: “Vieni qui, piccola.”
Inutile dire che mi sciolsi tra le sue braccia come il burro!
  
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