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Autore: Inu_Ran    06/06/2015    3 recensioni
Un finale di 3º stagione un po' alternativo della coppia Oliver e Felicity.
tratto dalla storia:[“Sicurissima. Ora se mi vuole scusare devo andare, il lavoro mi aspetta.” E richiuse subito la porta e finalmente smise di fingere. Distese i muscoli della faccia smettendo di sorridere. E pensare che Oliver amava tanto il suo sorriso.]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi.
Il suono assordante del telefono di casa invase la stanza svegliando la ragazza. Non aprì neanche gli occhi e con una mano chiuse la chiamava disinteressandosi sul mittente. Cercò di riprendere il sonno ma un altro suono le reco disturbo: la suoneria del suo cellulare. Quella mattina non volevano che dormisse. Lo prese e rispose.
“Pronto.”
“Felicity sono John, vuoi venire oggi a pranzo?” la ragazza farfugliò una risposta poco chiara.
“Felicity tutto bene? Non ti capisco.”
“Sì, tutto bene. Stavo dormendo.”
“Ancora? Ma sono le dodici.” La voce di Diggle le apparve stupita.
“Sì e avrei continuato se non mi avessi chiamato. Comunque John ti ringrazio ma per pranzo ho un impegno, ciao.”
“Felicity hai bisogno di stare in compagn…” La donna riagganciò, non era la giornata giusta per sorbirsi una predica.
 
L’uomo entrò nel covo soddisfatto del lavoro appena svolto. Ripose il suo fedele arco e si tolse il cappuccio rivelando la sua faccia. Felicity lo guardò attenta a cogliere ogni espressione nel volto dell’uomo. Si meravigliava nello scoprire che ogni volta notava cose diverse in Oliver, un neo in più, una cicatrice nuova ed altre piccolezze che potevano sembrare insignificanti ma non per lei. Lei voleva conoscere ogni cosa di lui, voleva capire, comprendere il suo dolore, la sua amarezza, il suo rancore e curarlo come lui faceva con quella città ormai talmente malata da aver bisogno d’aiuto.
“Felicity, ottimo lavoro stasera.” Le disse Oliver e lei gli sorrise.
“Senti ti andrebbe…sempre che tu…non per forza, cioè insomma volevo dirti…”Oliver Queen il playboy per eccellenza non riusciva a fare una frase  di senso compiuto per invitare la donna  di fronte a lui a cena. Aveva paura che rifiutasse dopo il primo appuntamento e tutto quello che era successo con Ra’s Al Ghul. Finalmente lui non si rivelava più una minaccia ma Oliver continuava ad essere il vigilante, dopo essere riuscito a riscattare la sua reputazione. Durante la “guerra” con Ra’s Al Ghul si era reso conto che Felicity poteva essere in pericolo in qualsiasi momento e quindi perché vietarsi di stare con lei. L’avrebbe protetta da chiunque. Doveva smettere di sopravvivere ed iniziare a vivere ed era qualcosa che poteva farlo solo con il suo aiuto.
“Oliver ti andrebbe di uscire con me domani sera?” Felicity aveva preso tutto il coraggio e gliel’aveva chiesto. Non ci fu bisogno che Oliver le rispondesse perché il suo sorriso fu meglio di mille parole.
 
Si trascinò fino al bagno per poi osservassi allo specchio. Profonde occhiaie le segnavano gli occhi ed i capelli arruffati ed annodati le contornavano il volto. Era un mostro e se qualcuno l’avesse vista si sarebbe potuto spaventare. Ma a lei non importava, come non le importava della vicina che insistentemente bussava alla sua porta, alle chiamate di Diggle o che il mondo andasse avanti mentre lei era inchiodata in quelle quattro mura. Voleva solo che la lasciassero in pace ma sapeva di dover riprendere la sua vita, di riprendere la sua anima ridotta in mille pezzi e come se fosse un puzzle unirli per sentirsi di nuovo bene, di nuovo viva. Si guardò di nuovo alla specchio ma ,rassegnata da quell’aspetto, si diresse in cucina.
 
La ragazza prese il gelato alla menta, il suo preferito, dal frigo e lo ripose sul tavolino di fronte al divano. Oliver non appena lo vide velocemente lo aprì per poi affondare il cucchiaio.
“Oliver si può sapere cos’hai?” Chiese la ragazza sedendosi accanto a lui sul divano.
“Niente.” Le rispose lapidario. La bionda sbuffò. Ormai erano due mesi che stavano insieme e sapeva che quel ‘niente’ in realtà significava che una cosa lo irritava tantissimo.
“Non è vero? Non mi hai rivolto la parola dopo che sei venuto a prendermi in ufficio. Se c’è un problema dimmelo, risolviamolo insieme.”Lui lasciò cadere il cucchiaio e fissò Felicity negli occhi.
“ Ti ho vista con Ray Palmer.” Le disse senza staccare gli occhi da lei.
“E quindi? E’ il mio capo è ovvio che tu mi trova con lui, lavoriamo insieme.” Felicity non capiva davvero quale fosse il suo problema. Era pur sempre la vicepresidente c’erano cose di lavoro che doveva discutere con lui.
“Questo lo so. Ma non c’è bisogno che tu gli stia così vicino e poi non capisco perché, quando termini di lavorare, per salutarlo lo baci o lo abbracci.”A quelle parole la donna non poté che sorridere.
“Oliver ma per salutarlo lo bacio sulle guancie mica in bocca. Non sarai geloso?” A quella domanda l’uomo distolse lo sguardo.
“Io geloso? E poi di chi? Di Ray Palmer? Ma non farmi ridere.” Mentì Oliver e lei lo conosceva troppo bene e sapeva che Ray Palmer non era tra le persone che più amava, se ne avesse avuto la possibilità l’avrebbe infilzato con una freccia.
“Ray Palmer non è male. E’ alto, bello, muscoloso, gentile, simpatico…”
“Felicity.” Urlò Oliver stanco di conoscere tutte le qualità di quel finto eroe. La ragazza si avvicinò ad Oliver e incatenò con le sue mani il suo viso. Voleva che la fissasse, voleva specchiarsi in quella distesa d’azzurro.
“Però lui non mi fa sentire la persona più importante del mondo, non mi fa sentire realizzata, felice. Solo tu ci riesci. Solo con te io mi sento viva.” Lo baciò per levargli di dosso tutte le sue insicurezze.
“Però digli che se lo trovo di nuovo troppo vicino a te lo infilzerò con una freccia. Capito signorina Smoak?” Chiese sorridendo.
“Sì, signor Queen.” Ed entrambi scoppiarono a ridere per poi unire le loro labbra.


Aprì il frigo ma l’unica cosa che vi trovo fu del formaggio. Doveva fare la spesa se non voleva morire di fame. Il campanello iniziò imperterrito a suonare. Felicity sapeva chi era: la sua vicina. Troppe volte non aveva risposto facendo finta di essere fuori casa eppure lei puntualmente, come un orologio svizzero, suonava il campanello e rimaneva ad aspettare cinque minuti. Si avvicinò alla porta, respiro ed espiro e infine aprì. A contornarle il viso un enorme sorriso. Non voleva che si preoccupasse o che iniziasse a fare domande.
“Felicity tutto bene? Sono giorni che vengo ma non rispondi mai.”La donna ,sui cinquant’anni all’incirca, mostrava in faccia, con delle piccole rughe, la sua preoccupazione. Aveva subito preso a simpatia Felicity, le ricordava tanto la sua nipotina.
“ Benissimo, in questi giorni sono stata impegnata con il lavoro e sono andata a dormire da un’amica sarà per questo che non mi ha trovato a casa.”Felicity continuava a parlare con quel sorriso falso. Lo stesso sorriso falso che rivolgeva a chi non le piaceva, a chi doveva farlo  per forza e lo stesso per mostrare a tutti che era forte, che poteva superare l’inferno quando quest’ultimo era all’interno di lei.
“Sicura? Eppure io non ti ho vista né uscire, né entrare.”Insistette la vicina.
“Sicurissima. Ora se mi vuole scusare devo andare, il lavoro mi aspetta.” E richiuse subito la porta e finalmente smise di fingere. Distese i muscoli della faccia smettendo di sorridere. E pensare che Oliver amava tanto il suo sorriso.
 
“Oliver stai attento, ti prego.”Le suppliche della ragazza gli straziarono l’anima. Odiava vederla preoccupata soprattutto se la colpa era sua.
“Tranquilla andrà tutto bene. Lo sai che non posso esimermi da questo compito. Non posso lasciare che uno della lega, che crede di essere il successore di Ra’a Al Ghul, per provarlo distrugga la città, la mia città, solo per sfidarmi.” La voce seria di Oliver non rassicurò la bionda. Si ricordava perfettamente cosa quella lega aveva fatto, cosa aveva fatto Oliver e come lui in più di un’occasione avesse rischiato la vita per mano di uno psicopatico e della sua allegra combriccola.
“Lo so. Ma non mi puoi chiedere di non preoccuparmi perché voglio dire lui è allenato, anche tu lo sei. Dio se lo sei e ne ho la prova tutte le volte che fai quei meravigliosi esercizi a petto nudo o durante la notte e credimi i muscoli sono sicuramente la cosa che non ti manca ma…”
“Felicity, ho capito.” La ragazza aveva quel brutto vizio di straparlare quando era nervosa, un vizio che rendeva Felicity, Felicity.
“Tornerò. E sai come lo so?”Chiese guardandola fissa negli occhi.
“Perché hai un ego smisurato e credi di essere invincibile?”Chiese scherzando e questo alleggerì l’atmosfera.
“No. Perché non ho intenzione di lasciarti sola.” L’attirò a sé e la bacio. La sua bocca si schiuse subito pronta ad attendere la sua lingua che non tardo ad arrivare. Si cercavano, si bramavano, si volevano, si esprimevano meglio delle parole. E poi tutto finì. Era ora di andare. Era l’ora di essere Arrow, di essere un eroe. Prima di lasciarla definitivamente le sorrise. Un sorriso che non aveva mostrato mai nessuno, né a Sara, a Laurel o a Shado. Un sorriso che mostrava solo a Felicity, che mostrava un Oliver felice grazie a lei.
“A dopo.”
“A dopo.”
E poi nel silenzio scomparve.
 
Aveva bisogno di una camomilla per calmarsi. Prese una tazza dalla dispensa. Lesse sopra di essa Oliver e non poté non ricordare la felicità quando tempo addietro l’aveva trovata in un piccolo negozietto.
“Così quando tu non sarai a casa, ci sarà per sempre un qualcosa di tuo. Una piccola parte di te.” L’aveva detto a lui con allegria e l’uomo gliene era grato. L’aveva subito presa e ci aveva messo un po’ di gelato alla menta. Ormai quasi come un rito, quando erano tristi per una missione andata un po’ male o perché alcuni ricordi in certe giornate emergevano appesantendo l’anima, prendevano il gelato e lo mangiavano insieme condividendo il dolore. E quando questo non bastava, si cercavano, si saziavano del loro amore, dei loro corpi a contatto, dei loro corpi uniti. Ma adesso vedendo quella tazza le salì la tristezza, la malinconia e nessuno avrebbe condiviso quel male. Senza pensarci la scagliò contro il muro. Si accasciò al suolo, appoggiandosi contro il muro, le lacrime le rigavano il volto mentre con le mani si tappava le orecchie dal quel silenzio che ormai era diventato troppo assordante e dai quei ricordi che le apparivano davanti agli occhi per poi scomparire lasciandola sola. E i singhiozzi diventarono più forti, le lacrime sempre di più, la sua anima sempre più lacerata. Sentì due forti braccia stringerla e una voce sussurrarle di calmarsi che c’era lui ad aiutarla. Gli occhi finora chiusi si aprirono.
“Oliver.”Sussurrò e si stupì che potesse essere lì con lei.
 
“Cos’è successo a Oliver?”Chiese Felicity con affanno. Non appena Diggle l’aveva informata che aveva portato Oliver all’ospedale si era precipitata immediatamente sfrecciando per le strade di Starling City e correndo per i corridoi dell’ospedale alla ricerca dei suoi compagni.
“Io stavo per dare il colpo di grazia all’ alleato di quel pazzo mentre Oliver aveva infilzato l’assassino con una freccia. Pensavamo di aver vinto quando altri tre arcieri, nascosti nell’ombra, l’hanno attaccato. Tre frecce l’hanno preso e hanno colpito dei punti vitali. Credo fossero anche avvelenate quindi gli ho dato quelle erbe che ci siamo portati per sicurezza. Non sono riuscito a prenderli ma sono scappati non appena ho iniziato a sparare, forse uno l’ho pres…”
“Non m’interessa di loro, voglio sapere di Oliver.” Lo interrupe l’informatica.
“Ha perso molto sangue. L’ho portato all’ospedale perché solo un medico può aiutarlo. E’ in sala operatoria.” La donna non poteva credere alle sue parole. Un attimo prima si stavano baciando ed adesso era su un letto di ospedale in fin di vita. Si sedette su una sedia e non degnò di uno sguardo gli altri che alla notizia erano accorsi. Con lo sguardo fisso sul pavimento cercava di pensare in positivo. I minuti si susseguirono diventando ore. Nessuno osava fiatare troppo presi dai propri pensieri. Quando arrivò il medico tutti lo fissarono preoccupati mentre Felicity si avvicinò a lui chiedendo delle condizioni dell’uomo.
“Mi dispiace, abbiamo fatto tutto il possibile ma non ce l’ha fatta.” Disse a loro qualche frase di circostanza per poi andarsene. Felicity rimase ferma,  non un’espressione facciale, né un movimento, né una lacrima. Rimase immobile. E sentiva i lamenti di Laurel, le imprecazioni di Diggle, il pianto disperato di Thea e le inutili rassicurazioni di un Roy addolorato, che da poco era tornato in città. La giovane informatica non si sentiva triste, rammaricata, addolorata, sentiva solo una enorme rabbia montarle dentro. Era arrabbiata con quegli assassini, con i suoi compagni che non l’avevano salvato, con i medici che avevano permesso che morisse e con sé stessa per averlo lasciato andare. 
“E’ colpa vostra.” Sussurrò ma fu lo stesso udito da tutti.
“Cosa dici? Capisco come ti senti ma lo sai che non è cosi.” Le disse Laurel fino a quel momento rimasta in disparte. Sapeva cosa stava provando anche a lei era successo con Tommy.
“E’ colpa vostra.” Stavolta Felicity lo disse ad alta voce.” Voi non c’eravate per lui. Lui vi ha sempre salvato,  vi ha aiutato quando ne avevate bisogno. L’avete lasciato andare da solo quando sapevate che i combattenti delle lega non sono da sottovalutare. Tu, Diggle, che dovevi aiutarlo l’hai lasciato morire. E’vostra la colpa…è solo colpa vostra.”Le sue parole erano piene di ira e dolore. L’indomani si sarebbe sicuramente sentita in colpa perché quello che stava dicendo era tremendamente sbagliato,  li stava ferendo più di un freccia o una spada ma in quel momento non le importava. Voleva sfogarsi, doveva sfogarsi. Perché se si fosse concessa di provare altro oltre la rabbia sarebbe stata schiacciata da un dolore troppo grande.
“Felicity, ci dispiace ma non sei la sola a soffrire. Non dire cose di cui ti potresti pentire.”La voce di John provò a calmarla. Avvicinò una mano e le accarezzò il braccio affettuosamente per infonderle coraggio. Ma lei si scansò, non voleva sentire sul suo corpo una mano che non fosse la sua.
“Non m’importa. Non m’importa di niente perché lui è morto.”
 
“Oliver.”
“Felicity,sono Diggle.” La donna chiuse ed aprì gli occhi e vide la figura del suo amico. Stava impazzendo. Ormai vedeva Oliver ovunque, aveva anche pensato di fare una cosa crudele con la speranza che dopo potesse apparire il giustiziere dicendole di aver tradito questa città. Ma nessuno sarebbe arrivato, nessuno. Solo silenzio. Si rivelava vano, ora, rimembrare quello che era stato, quelle dolci giornate tra baci e sorrisi perché il ricordo era solo un semplice ricordo, perché ciò che era stato non sarebbe ritornato. E la consapevolezza di ciò la torturava fino a toglierle il respiro. Diggle osservava la sua amica continuare a piangere mentre tra un singhiozzo e un altro sussurrava il suo nome. Si stava distruggendo e rimanere in quell’abitazione non l’aiutava. La prese in braccio e la porto via da lì. Felicity osservò per un’ultima volta la sua casa e , per un istante, un piccolissimo istante, sorrise immaginando Oliver sorriderle per poi lasciarla andare via a riprendersi la sua vita.

 
“Felicity, devi proprio andare?” Chiese Oliver assonnato mentre vedeva la sua compagna vestirsi.
“ Oggi ho una riunione importante a lavoro. “ Oliver sbuffò passandole il caffè.
“Non fare così.” Gli disse finendo rapidamente la sua bevanda. Guardò l’orologio, doveva sbrigarsi se non voleva fare tardi. Prima che potesse varcare la soglia della porta la spinse a sé e l’abbracciò. S’inebriò della sua fragranza. Passo le dita tra i suoi capelli così morbidi e lucenti. La bionda si staccò dall’abbraccio e lo baciò appassionatamente. Aveva bisogno di sentire il contatto con quelle labbra, ne era diventata ormai dipendente.  
“Ti amo.” Le disse.
“Ti amo anche io.” Rispose unendo di nuovo le bocche. Sembrava che il tempo si fosse fermato ma il cellulare li riporto alla realtà. Felicity si stacco e prese la borsa dalla sedia.
“Torna presto. Ti aspetto.” Le disse Oliver e lei sorrise consapevole di trovarlo come sempre al suo ritorno.
 
 
 
 
Salve a tutti =), è la prima volta che scrivo su Arrow ma più in generale sulle serie tv. Ho voluto creare una storia dove Oliver fosse morto ma anche renderlo personaggio principale, per questo motivo ho messo questo scambio tra passato e presente. Nel passato oltre a specificare com’è morto, ho voluto introdurre momenti quotidiani. Ditemi voi se i personaggi sono troppo OOC, io ho provato a renderli più IC possibili. Oltre ai due innamorati, come personaggi principali, ho introdotto i ricordi che possono essere belli ma quando ti perseguitano, come in questo caso, mostrandoti in continuazione cosa hai perso ti rendi conto che devi smettere di vivere quelli per vivere il presente. Cosi abbandonare la casa di Felicity e di Oliver l’ha aiutata ad andare avanti. Ho voluto lasciare un finale aperto, per il presente, e concludere la storia con una scena della loro passata quotidianità. Una domanda quando leggevate pensavate che lui l’avesse lasciata o che fosse morto? Il mio intento era farvi pensare la prima per poi dirvi alla fine la verità. Ringrazio a tutti voi e spero vi sia piaciuto il mio lavoro. Una buona serata <3 
  
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