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Autore: HisieLara    09/06/2015    1 recensioni
- Ti libererò. Ma dovete andare via. Non c’è nulla da cacciare qui.
- A me sembra proprio che tu sia un mostro. – lo dice con un certo tono di sfida e una piega delle labbra che mi ricorda il fratello. Ridacchio, riavvicinandomi a passo lieve, chinandomi.
- Una signorina potrebbe anche offendersi.
Non lo vedo. È veloce, e bravo. Il suo braccio destro è solo una macchia indistinta, mentre si muove letale. Sento il bruciore di un taglio sulla coscia, la carne aprirsi, versare il mio sangue nero, denso e viscoso. Lancio un grido, constatando che porca puttana mi ha fatto male.
Lo afferro per il collo e stringo, ringhiando, sentendo le sue dita cercare il mio polso e tirare. Blocco la sedia con un piede, e sollevo il cacciatore fin sopra la testa, strappando le corde che lo tenevano legato. L’aria vibra, la sento, e la mia testa muta nella forma animale, mentre gli artigli premono per uscire e affondare nella morbida giugulare.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Prima stagione
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Chapter 1
Chapter 1.
 Welcome to Salem.

 
Il ticchettio delle scarpe contro l’asfalto risuona nel parcheggio semivuoto. Accanto alla mia vecchia e scassata Mustang, solo un paio di macchine, fra cui una Chevrolet Impala tirata a lucido.
La mia macchina non è che sia proprio un granché – e con tutti gli incidenti che ci ho fatto, è davvero sorprendente che ancora tenga – ma a fianco a quella bellezza, sfigura tremendamente.
Le giro intorno, illumino il telaio col display del telefono, ed esso riflette la luce fredda con ammiccante bagliore. Sorrido, passando gli occhi sulla superficie dei cerchioni, abbassandomi per osservarli e cammino lentamente, ispezionandola con occhi ammirati.
Se sapessi guidare, probabilmente anche la mia macchina sarebbe bella così.
 Vuoi farci un giro?
Il tono strafottente è di un maschio dalla voce calda. Un’alfa, dall’odore sembra umano. Neanche mi giro, so già che il tizio è bello. Ridacchio appena, indicando la mia macchina con un gesto del braccio nudo.
 Se vuoi che te la riduca in quel modo, molto volentieri. – Mi sollevo sforzando le ginocchia, e mi volto a tre quarti, concedendogli uno sguardo rapido d’analisi.
Giacca di pelle, non più di trent’anni, occhi verdi e una lieve barba a irruvidire la pelle delle guance e del collo. Ha le braccia incrociate e le caviglie accavallate, ed è poggiato su una colonna portante di quel triste parcheggio malamente illuminato.
 Santo cielo, no. Se quella è la tua auto, sta lontana dalla mia. – E sebbene siano parole aspre, il tono è divertito. Flirta, il piccolo umano.
Poggio una mano sul fianco, riprendendo il passo verso la macchina, e roteo fra le dita le chiavi, che risuonano anch’esse in un’eco sottile. Sento ancora il suo sguardo, ma non me ne preoccupo. Sistemo i capelli guardando il riflesso sul finestrino. Non bado ad altro, visto che nemmeno mi trucco per andare a lavoro. Le ciocche rosse impreziosiscono una fronte troppo alta e cosparsa di lentiggini scure sulla pelle pallida da far schifo. Macchiette moleste che ho un po’ ovunque. Fronte, guance, naso, spalle e gomiti, persino sulle cosce.
Sono disgustose.
 Senti… comincia lui, in un tono che richiede attenzioni minime. – Sto cercando una persona. Mio fratello. – Dice, inclinando la testa di lato. – Forse l’hai visto. È alto circa così  e solleva la mano sopra il proprio capo, indicando un’altezza di circa due metri, dato che lui non è ciò che definirei basso. – Capelli da checca, camicia di flanella.
Ridacchio. Che descrizione eloquente.
 Mi ha fatto delle domande, ma poi non l’ho più visto.
Il suo sguardo si accende all’improvviso ed il suo interesse muta di forma ma prende ancor più vita.
 Come ti chiami?
 Riley. Riley Jenson. Sì, sono la sorella gemella di Jean, la ragazza sventrata da un orso al decimo piano di un palazzo.  lo dico in tono distante, freddo. In realtà, non vedevo la mia gemella da anni. Dimostrare quanto quello mi aveva ferito, è il modo migliore per essere spedita a calci in culo fuori dalla Famiglia, come era successo a Jean.
Nessuna emozione.
Non ora.
 Mi dispiace molto.
 A me dispiace che non ci sia modo che io venga lasciata in pace. È morta, fine. Non c’è niente da dire, niente da scoprire, è solo... morta. – Fisso i miei occhi castani nei suoi verdi, illuminati da una luce che non riesco a decifrare.
È un interesse ancor diverso dai due precedenti.
 Sei un poliziotto? – domando, con la sincera speranza che non lo sia, dato che ho almeno otto grammi di erba nel cruscotto della mia auto. Inclino la testa di lato, estraendo una sigaretta e accendendomela. Lui non sembra nemmeno notare quel gesto.
 Diciamo di sì. Una polizia non esattamente convenzionale. – con un sorriso sghembo che dovrebbe essere affascinante, conclude la frase. Un cacciatore, quindi. Non se ne vede uno qui da molto tempo, almeno trent’anni. Si spinge in avanti, portando le mani nelle tasche della giacca di pelle, e cammina chinando il capo verso di me.
 Riley, se ti offro una birra, ti va di parlarmi dei rapporti che avevi con tua sorella?
Sta facendo gli occhi da cucciolo.
Non posso credere che usi quella tecnica per convincermi.
Ma soprattutto…
Non posso credere di aver accettato.
Siamo seduti faccia a faccia, birra alla spina in boccali larghi come la mia testa e alti quasi quanto me. Questo ragazzo ha un evidente problema con l’alcol, ma nemmeno io scherzo.
La sua vicinanza stuzzica le mie narici con un odore di maschio intenso, piacevole per l’olfatto, soprattutto con la luna quasi giunta al suo zenit.
Le parole fluiscono dalla mia bocca in tono stanco.
 Hai un fratello. Quindi sai come ci si senta, a non sapere dove sia, come sta, cosa fa… mia sorella se ne è andata dieci anni fa. Ha avuto una brutta lite con i miei genitori, e dopo che si è chiusa la porta alle spalle, non ho avuto modo di rintracciarla, nonostante i nostri legami. Non ho mai avuto problemi con Jean. Ma lei ne aveva con la Famiglia, e… e…
Prendo aria. Tengo fra le dita il vetro freddo e bevo, cercando sollievo nell’ebbrezza, ma l’intorpidimento dell’intelletto peggiora solo le cose.
Dean (così aveva detto di chiamarsi, senza pronunciare uno straccio di un cognome) prende la parola.
 Non aveva una madre con cui litigare, mio fratello. Solo papà. Voleva studiare, voleva… voleva prendere in mano il suo futuro e non entrare negli affari di famiglia. – lo ascolto senza giudicare. A quanto pare, siamo entrambi i figli fedeli, i fratelli dei ribelli. – Nostro padre era sempre assente per via del lavoro. Siamo cresciuti da soli, in posti sempre diversi in giro per l’America. Non ricordo di aver trascorso più di un anno in un posto. – Sorride amaro.
 In questo, non posso capirti. La mia famiglia è confinata qui da anni, secoli. I miei antenati sono risalenti ai puritani di Salem. Alle volte, vorrei solo mettere in moto e andare. Non so dove, solo imboccare un’autostrada e lasciarmi guidare dal flusso di macchine.
 Meglio di no, non vorrai causare qualche genocidio. Tu sei pericolosa al volante. – Mi scappa una sincera risata. Quanto è vero! – Ti prego, però, non interromperti. Stavamo parlando di Jean.
Mi incita a parlare con una nota dolce nella voce bollente, resa ancora più bassa dall’alcol.
 Non c’è molto da dire. È andata contro le regole di Salem e in quel caso non c’è molto che si possa fare. O scappi, o vieni punito. E scappare è la soluzione di gran lunga migliore, fidati Dean. Se fossi stata in lei, avrei cambiato Paese, non solo città. E nemmeno capisco perché sia tornata qui, visto che sapeva quanto poteva risultare pericoloso. O è impazzita, oppure voleva fare i conti con sé stessa, e assumersi le proprie responsabilità. – Cosa che credo improbabile, e spero sinceramente che non sia questa la ragione del suo rientro in città.
Jean, la mia Jean, non lo avrebbe mai fatto.
 Ti serve una mano a rintracciare tuo fratello? – chiedo poi, facendogli capire che il discorso è concluso. Non posso dire altro, non ad un cacciatore.
 No. Abbiamo i nostri metodi, grazie. – mi sorride, sollevandosi, e si direziona verso il bancone per pagare le due birre.
Finisco la mia al volo, e me ne vado prima che lui possa tornare al tavolo e tentare di continuare a parlare. Gli ho detto fin troppo, indagherà.
 
Torno a casa fin troppo ubriaca per pensare a qualcosa di sensato. L’odore speziato della foresta, un misto fra pini, abeti, felci e rovi, mi solletica e tenta.
L’occhio si volge alla luna, non ancora piena ma già oltre il suo zenit. Saranno le due del mattino.
I vestiti cadono ai miei piedi, davanti l’uscio di casa mia, troppo vuota per essere riempita dalla mia sola presenza.
Ce l’ho una Famiglia. Ho una madre, ho un padre, ma la Famiglia non è solo questo. Il mio, è un branco.
Non siamo lupi.
Siamo famigli senza streghe. Cresciuti per essere al servizio di coloro che praticano le Ars. Ma a Salem non ci sono più streghe da secoli.
E noi siamo bloccati qui, finché qualcuna non ci reclama, in stasi nella nostra eterna attesa.
Mia sorella voleva sradicare la propria natura, essere indipendente, cercarsi una strega da sola, nel folle desiderio di invecchiare. Ed è a lei che penso quando prendo la mia forma animale, una volpe dalle sette code. Anche lei era come me. Famigli come noi – originali di Salem – sono estremamente rari, ed è per questo che la sua morte ha scatenato così tanto furore. Sebbene la comunità magica cercasse di farla fuori da quella che ormai è una decade, il modo in cui è successo ha dato seri problemi.
È stato un famiglio orso a ucciderla, ma è stato tanto stupido da creare una situazione improbabile.
E i cacciatori sono venuti a fare il loro lavoro. Casi del genere, la polizia “convenzionale” – se il mio muso me lo permettesse, sorriderei – li archivia senza pensarci troppo. Cose complesse, cose strane, cose che non possono capire e che fanno paura.
Il naso umido odora il sottobosco alla ricerca di conigli da cacciare. La notte veste il mio corpo come le fronde dei cespugli. Punto gli occhi gialli su una radura.
L’aria vibra intorno a me, mentre cambio ancora una volta forma. Mi stendo nell’erba gelida, che solletica la mia pelle con gentilezza. Le mani della Grande Madre che mi sostengono sono la consolazione più dolce.
Ormai, ho circa quattrocento anni. Ne avevo ventisei quando l’ultima strega fu annegata.
Abbiamo vissuto in queste foreste finché l’umanità non ha deciso che creature come noi non esistono. Il miglior modo per integrarci era arrivare pochi per volta, e così è stato.
Mi manca Jean.
Non ci parlavamo da anni, eppure il nostro legame mi permetteva di percepirla. Nate insieme, per una stessa strega, molto potente. Morta ancor prima di scoprire il suo talento. Ed ora che anche Jean è scomparsa, mi sento tremendamente sola.
Solo la luna capisce la mia solitudine.
 
   
 
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