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Autore: ELE106    09/06/2015    11 recensioni
Wincest post morte di John e patto di Dean per salvare Sam. Perché il wincest vero è tutto lì.
Buona lettura ;)
[...] Non c’è nessun cenno o gesto che faccia partire la cosa, tra loro. A un certo punto, Dean si stanca di aspettare un rifiuto che non è mai arrivato, cammina piano verso Sam senza guardarlo e lui si scosta quel tanto che basta a fargli spazio, permettendo che gli si sieda accanto, sul bordo del materasso.
Di solito Dean non è gentile e gli fa male.
Deve farlo, deve essere così. Non sopporterebbe altrimenti.
Si infila con lui tra le lenzuola e lo volta a pancia sotto.
Di solito Sam non protesta.
E Dean si arrabbia così tanto che la voglia di fargli ancora più male è così tanta e così forte, che deve pregare di finire in fretta, o non sa davvero cosa arriverebbe a fargli. [...]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incest | Contesto: Terza stagione
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Solo andata per l'Inferno

Disclaimer: I personaggi descritti non mi appartengono, questa è una storia di fantasia, l’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

 

Solo andata per l’Inferno

 

 

 

Dean Winchester viene dal Kansas e al caldo micidiale delle estati locali dovrebbe essere abituato.

 

Le ha sempre odiate, invece, e passarle addirittura più a sud è il suo incubo peggiore.

 

Non si rassegna di fronte all’inevitabilità del clima con un’alzata di spalle, no, è fuori discussione. Che si fotta il clima! Perché non può incollarsi ad un condizionatore ed abbracciarlo fino alla caduta della prima foglia?

 

Ha visto più o meno tutto il Paese e, potesse scegliere, metterebbe radici in una capanna nel Montana, purché ben rifornita di birra e riviste.

 

 

Sono passati tre mesi dal patto. Quasi un anno dalla morte di John. Lui e Sam stanno dietro a un mannaro da quasi otto settimane, senza essere ancora riusciti a fermarlo. Hanno attraversato tre stati, prima di finire in Texas per seguirne le tracce. È alla frutta, ha esaurito forze e pazienza, comincia a diventare paranoico e per più di un motivo, a dire il vero. Uno più valido dell’altro.

 

Pensa spesso (e ci crede sul serio) che lui e suo fratello siano vittime di una qualche perversa maledizione: perché non è possibile, nemmeno per chi fa una vita assurda come la loro, essere incappati nell’unico lupo mannaro genio della fuga su strada, che esista sul maledetto pianeta.

 

Lo vuole morto e, lo giura su Dio, lo ammazzerà qui a Houston, perché non ha intenzione di trascinarsi, sudato e stanco, ancora più in fondo al culo dell’America, soltanto perché il cane rognoso super istruito cerca un posticino mite per svernare al calduccio.

 

 

*

 

 

Il motel in cui si fermano, appena fuori città, è potenzialmente il peggiore mai visto: non c’è una pianta a pagarla, l’odore è nauseante quanto una fogna a cielo aperto, l’asfalto talmente bollente e usurato da sembrare gomma liscia e due dozzine di alloggi fatiscenti, che sarebbe più corretto definire prefabbricati post-terremotati, ancora in piedi per non si capisce quale legge della fisica, non ancora scoperta.

 

Il gracchiare delle cicale è assordante, fastidioso, ha quella capacità soprannaturale di rendere l’afa ancora più insopportabile.

 

Potrebbe anche non essere così male, però... potrebbe essere il crescente fastidio per il caldo ad alterare la sua percezione delle cose, Dean deve ammettere di essere parecchio più nervoso del solito.

 

Sono le due del pomeriggio, i borsoni pesano, la sua t-shirt è bagnata e praticamente appiccicata alla schiena, e la dannata chiave non si gira nella dannata serratura. Dean bestemmia e scardina la porta con un calcio ben assestato.

 

“Poi i danni li paghi tu, giusto?

 

Domanda Sam, passandogli davanti ed entrando col fiato corto; è affaticato e si cura di non nasconderlo.

 

“Sei più bravo con la stecca e hai la faccia da schiaffi adatta. Ti prego, non farmi fare la recita del povero ragazzino idiota che si perde in un bar. Non ne ho la forza.”

 

Mentre appoggia il suo bagaglio sul letto (ovviamente ancora da rifare), il minore si asciuga la fronte con un braccio. È forse più stanco di Dean, ha i capelli troppo lunghi che si appiccicano alla fronte e alla nuca, la pelle che gocciola sudore nello scollo largo della magliettina grigia, stropicciata e umidiccia.

 

Stanno uno schifo, ma dopo dodici ore di macchina senza soste, potrebbero anche essere ridotti peggio. E la stanza ha le pale per l’aerazione. Non girano, ma sono dettagli. Se in sorte gli capita il bicchiere mezzo vuoto, un Winchester si beve la poca acqua rimasta, non perde tempo decidendo da che angolazione conviene osservarlo.

 

 

“Vada per il bigliardo. Si fa sempre un gran bel gruzzolo, quando uno ci sa fare.”

 

Dean ammicca, molla a terra i borsoni davanti alla porta ancora aperta e si fionda in bagno a rinfrescarsi, scansando Sam con una spallata, che stava entrando prima di lui.

 

“Bastardo!”

 

Ringhia il minore.

 

“Tu sistema l’impianto di ventilazione! Ci sarà qualcosa in macchina per aggiustare quelle cavolo di pale.”

Sam lo scimmiotta da fuori la porta e poi si mette a lavoro.

 

 

Sistema le pale in un attimo (è sempre stato bravo con gli aggeggi elettronici), quindi riparano l’ingresso alla buona e, dopo una doccia pidocchiosa con tanto di getto d’acqua ridicolmente moscio, dormono entrambi, sfiniti, finché il sole tramonta e dalla finestra spalancata sventaglia un alito di vento non proprio fresco, ma piacevole.

 

La notte successiva ci sarà luna piena e avranno parecchio da fare. Catturare quella bestiaccia non sarà semplice, hanno un piano solido ma già troppi fallimenti alle spalle, e la scia di cadaveri che si sono lasciati dietro, inizia ad essere troppo lunga. Meglio ricaricare per bene le batterie, finché c’è calma.

 

Dean più che altro sonnecchia, di tanto in tanto apre gli occhi, dà una controllatina in giro e torna a dormire.

 

È notte fonda quando si sveglia definitivamente, di soprassalto, sudato e ansimante, con ancora negli occhi lo spettro dell’incubo che è diventata la sua vita.

 

Non si è mai immaginato da vecchio, non ci è mai riuscito, come se una vocina da dentro lo avesse sempre avvertito che chi fa il suo mestiere alla vecchiaia difficilmente ci arriva. Onestamente è contento così, perché se una persona comune convive coi normali tormenti del proprio passato, figurarsi con cosa dovrebbe fare i conti lui, che prima dei trent’anni ha visto quanto di più disgustoso il mondo abbia vomitato.

 

Ad ogni modo, come quasi ogni notte, che faccia freddo o caldo, che si trovi in un motel o nella sua auto, in mezzo a un campo, sul ciglio di una strada semi-abbandonata o in un parcheggio affollato e ancora illuminato, Dean si raddrizza lentamente a sedere e si tiene una mano sul cuore, stringe forte la stoffa zuppa della sua maglietta e inspira una, due, tre volte.

 

Non ricorda se suo padre soffrisse di insonnia, ma da un po’ di tempo se lo chiede spesso.

Quello che sa è che non ha mai visto John addormentato; quando lui e Sam erano svegli, lo era anche lui. Quello che sa è che non ha più dormito bene da quando suo padre è morto.

 

Ora è lui a vegliare su Sam.

 

In gioco c’è troppo, a Dean resta poco tempo da vivere e inizia a non incassare bene i colpi. Cedere sotto il peso delle responsabilità che negli anni si sono accumulate sulle sue spalle, è inevitabile.

 

Se non fosse sufficiente questo a provocargli incubi e attacchi di panico improvvisi, gli basterebbe ricordarsi che al buio si acquattano molte delle cose che caccia e chissà quante ancora da affrontare.

 

Appena il respiro si regolarizza, Dean districa le dita dalla maglietta e fa scivolare la mano sotto al cuscino, dove nasconde la pistola. La tiene solo pochi secondi, finché anche il battito cardiaco si convince di essere al sicuro e può abbassare la guardia.

 

Di solito, a questo punto si volta a guardare Sam che dorme nel letto accanto.

 

Sa già cosa sta per succedere, sente quel bisogno scorrergli nel sangue, ribollirgli dentro, sente il sudore ormai freddo appiccicarsi ovunque, il tremolio dei nervi e i muscoli che non son più capaci di stare fermi.

 

 

Si alza in silenzio (è la sua routine d’insonnia, ormai, gesti automatici che compie ogni volta), si avvicina alla finestra e scosta appena la tendina striminzita, lasciando che la tenue luce proveniente dall’esterno illumini abbastanza da non inciampare nei propri piedi.

 

 

Come da copione, Sam si sveglia in quell’istante e lo guarda. Dean distingue chiaramente il luccichio dei suoi occhi su di sé, li vedrebbe anche nella più oscura delle tenebre, nella più buia delle notti. Rabbrividisce sempre quando Sam lo scansiona a quel modo, perché non c’è persona al mondo che lo faccia sentire così. Solo Sam.

 

C’è qualcosa di inquietante e insieme bellissimo nel suo sguardo. Sembra vedere, sapere, sembra capire ogni suo più intimo pensiero e desiderio, prima ancora che Dean stesso lo formuli.

 

Si sente in trappola e gli monta dentro una rabbia profonda, folle. Perché sì, cazzo, ormai scopano da un paio di mesi e non capisce, non ha mai capito di chi sia la colpa, chi sia a cominciare ogni volta, chi a chiederlo, chi il responsabile di tutto.

 

E le paranoie su fantomatiche maledizioni non reggono, ci ha provato.

 

Capisce solo che vorrebbe essere l’unico imputato alla sbarra, vorrebbe una condanna certa e definitiva, vorrebbe convincersi di essere lui e solo lui il mostro che violenta suo fratello minore, spinto da un demone sconosciuto, al quale ha promesso l’anima. Che ha da perdere? Lui è già morto.

 

Ma non è così.

 

E si incazza come una furia. Perché Sam non lo ferma. Mai.

 

Non lo fa neanche quella notte.

 

*

 

Non scambiano una parola. Nessuno dei due dice niente di niente.

 

Dean sta in piedi alla finestra e Sam rimane a guardarlo dal suo letto, girato sul fianco, le lenzuola leggere che gli abbracciano le anche, la maglietta larghissima un po’ alzata, il fianco magro appena visibile, bianco e liscio come latte.

 

Voltati. Girati dall’altra parte. Tagliami fuori!

 

Ogni volta implora che Sam lo respinga e insieme smania di andare da lui.

 

Non può nascondersi dietro menzogne ipocrite e false attenuanti. Non è stata la morte di John, non è stato l’essere soli al mondo, vivere e respirare l’uno per l’altro, non è stato il demone degli incroci a corrompergli l’anima, perché l’anima di Dean non è mai stata davvero sua, è sempre appartenuta a Sam.

 

L’ha divisa a metà con lui la notte in cui l’ha portato fuori dalla loro casa in fiamme, gliel’ha regalata quando ha giurato di proteggerlo per sempre, con gli occhi lucidi di un bambino diventato uomo troppo presto, fissi e risoluti in quelli di suo padre.

 

Quello che fanno lo fanno perché lo vogliono e Dean sa perfettamente di averlo sempre voluto.

 

Si ricorda benissimo la prima volta che, guardando Sam, ha immaginato cose. E tanto è bastato a farglielo venire duro nei pantaloni; è stata la prima volta in cui si è sentito sporco per davvero, marcio dentro.

 

Suo fratello avrà avuto sì e non quindici anni e la corporatura androgina tipica di un adolescente in ritardo con lo sviluppo. Sedeva sui sedili posteriori dell’Impala, mentre Dean, davanti con John, lo spiava dallo specchietto retrovisore: il mento poggiato sulla mano, il braccio accomodato sul finestrino, lo sguardo assorto fuori, tra la boscaglia che stavano attraversando sfrecciando veloci, appena qualche chilometro ai confini di Atlanta. La t-shirt bianca troppo grande che svolazzava ovunque, gonfiata dall’aria soffocante che entrava dai finestrini abbassati.

 

Dean lo guardava e… lì, in quel momento esatto, capiva che l’Inferno, quello vero, lui lo avrebbe visto ogni giorno, finché fosse stato vivo.

 

Da lì al baciarsi sotto a un salice, nascosti tra l’abbraccio dei suoi rami verdissimi, sporchi e con acqua di palude fino alle ginocchia, pistola e pugnale alla mano, è stata questione di giorni. Due, per l’esattezza. Aspettavano acquattati nel fango che la trappola di John scattasse e catturasse lo Sheti* che stavano cacciando.

 

Dopo, più niente. La repulsione verso quella parte di se stesso e dei suoi impulsi, la vergogna per i suoi sentimenti, il terrore che suo padre potesse mai scoprirli e gli occhi di Sam, Dio gli occhi di Sam, che invece vedevano ogni cosa e sembravano dirgli sì, sì e ancora sì, in tutti i modi in cui uno sguardo può farlo; tutto questo assieme, in un groviglio fragile quanto intricato, ha mandato avanti la baracca per anni.

 

Da allora la vita di Dean è un complesso e faticoso equilibrio tra autocontrollo e negazione. Una bugia dentro una bugia più grande, alla quale tutt’ora cerca disperatamente di credere.

 

È tuo fratello, non puoi.

Non. Puoi.

 

 

Ma la paura, per un uomo che sta per morire e sa esattamente quando, diventa qualcosa di molto diverso. Se stai per morire, temi tutt’altre cose. Se stai per morire, non ti interessa più delle conseguenze. Ma delle occasioni mancate.

 

 

Per cui no: la colpa non è di eventi traumatici recenti. Ha smesso di raccontarsi le favole da un pezzo, l’unica con la quale ancora cerca di cullarsi, racconta di come Sammy gli piaccia nel modo sbagliato, ma arriverà il giorno in cui tette e curve, gli piaceranno di più.

 

 

*

 

Non c’è nessun cenno o gesto che faccia partire la cosa, tra loro.

A un certo punto, Dean si stanca di aspettare un rifiuto che non è mai arrivato, cammina piano verso Sam senza guardarlo e lui si scosta quel tanto che basta a fargli spazio, permettendo che gli si sieda accanto, sul bordo del materasso.

 

*

 

Di solito Dean non è gentile e gli fa male.

Deve farlo, deve essere così. Non sopporterebbe altrimenti.

Si infila con lui tra le lenzuola e lo volta a pancia sotto.

 

Di solito Sam non protesta.

E Dean si arrabbia così tanto che la voglia di fargli ancora più male è così tanta e così forte, che deve pregare di finire in fretta, o non sa davvero cosa arriverebbe a fargli.

 

Di' qualcosa. Fa' qualcosa.

 

Niente.

 

Quando le danze sono quasi al culmine, Sam si fa scivolare una mano tra le gambe, nasconde il viso nel cuscino e soffoca ogni suono. Dean sente solo quel suo gemere trattenuto, lo sente contrarsi attorno a lui ed è la sua fine.

 

Tutto esplode, dentro e fuori, brucia dappertutto, rimbomba tra lombi e cervello, fa un fracasso del diavolo e si chiede come cazzo possa succedere un tale casino, se tutto quello che in realtà di sente in quella stanza, sono i lamenti indecenti della carne.

 

 

Di solito Dean si fa schifo.

Sguscia via da sotto le coperte, si veste di corsa e sbatte la porta per andarsene, per fuggire via, sgommando con l’Impala il più lontano possibile. Torna poche ore dopo, odora di puttane e di sesso a un miglio di distanza ed è certo che Sam lo senta.

 

Spera che Sam lo senta.

 

Spera che gli sputi in faccia e se ne vada per sempre, che lo insulti e lo riempia di botte, invece di lasciarsi scopare senza reagire, tutte le dannate volte in cui a Dean viene voglia di farselo fino a svenirgli addosso.

 

Spera di avergli fatto abbastanza male, di averlo umiliato a sufficienza, di fargli così orrore da spingerlo a scappare una volta per tutte, via da lui, via da questa cosa mostruosa che li lega, dalla ferocia con cui lo vuole, dalla morbosità con cui lo sente suo, dal bisogno di averlo solo e solamente per sé.

 

Perché ad aggravare le cose, se mai già non fossero state considerevolmente gravi, c’è la consapevolezza di non fare con nessun altro quello che fa con Sam. Prega sia lo stesso per lui. O di non venire mai a sapere il contrario.

Dio aiuti il tale (se mai esistesse e Dean se lo trovasse per le mani) che si scopa suo fratello. Scuoiare la cacciagione non gli è mai particolarmente piaciuto, ma lo sa fare. E con una persona, beh… la tecnica non dovrebbe essere poi molto diversa.

 

 

Di solito, Sam non fa una piega quando Dean torna da lui. Lo guarda con un misto di sollievo e rimprovero che gli fa contorcere le budella. Poi l’alba arriva, Dean non chiude più occhio e quando la luce squarcia il buio, i segni di tutto quello che hanno fatto, sono sulla pelle di Sam. Rossi. Profondi.

 

Dean si fa schifo ancora per un po’.


Ogni volta, ogni singola, pietosa volta, si ripete che è l’ultima.

 

Ma ogni notte si sveglia sudato e spaventato, si volta verso Sam e si ricorda la vera ragione per cui merita di bruciare all’Inferno.

 

 

*

 

Quella notte succede tutto in modo diverso.

Ed è spaventoso, atroce.

 

Quella notte Sam non è disposto ad assecondare il teatrino che Dean si è costruito nel tempo.

 

Quando fa per voltarlo, Sam se lo tira addosso e si stende meglio sulla schiena, lo afferra tra le cosce, gliele avvolge in vita e stringe.

 

I suoi occhi sono lì e non lo mollano.

 

Dean è paralizzato e per un lungo attimo non si muove; ha paura, una paura fottuta di quello che significa quel gesto, di quello che succederebbe se lasciasse che accadesse.

 

Perché una cosa è convincersi di scoparselo con la forza, mentre Sam sta a pancia sotto e non lo guarda, non fa niente, piagnucola e basta. La colpa è sua. Punto. Ma un’altra... un’altra è fare l’amore guardandosi e polverizzare anche l’ultima barriera rimasta tra loro; quella che li salva, che ancora divide uno dall’altro mantenendoli al sicuro da una verità troppo pesante.

 

Un’altra è accettare che quello che li lega è amore, senza filtri ad attutirne il significato. Senza una vita intera davanti per accettarlo.

 

Dean semplicemente non è pronto. Forse non lo sarà mai e forse è persino l’unica cosa giusta che si è imposto di rispettare, fino ad ora.

 

Gli afferra una coscia e si libera di scatto da quella morsa languida ed esigente in cui lo aveva costretto, corre di nuovo fino alla finestra e inizia ad agitarsi sul posto. Cammina avanti e indietro, sfregandosi gli occhi, la bocca, respira a fatica, sembra impazzire.

 

Sam si mette a sedere lentamente, le gambe nude, lunghissime, che escono dal lenzuolo, i piedi che poggiano piano a terra; ha brividi sulle braccia e Dean riesce a vederli.

 

La bugia si è infranta, l’equilibrio è rotto.

 

“Sta calmo...”

Gli dice.

 

La risposta del maggiore è un fanculo masticato tra i denti, ma molto ben scandito.

 

“Vuoi che continui a fingere, Dean? È così?”

“Sta zitto.”

“Ti fa sentire meglio? Essere il fratellone cattivo che fa del male al povero fratellino indifeso…”

 

La voce di Sam cambia, ora è distorta e si alza man mano che i nervi di Dean cedono alla disperazione.

 

“È così che te la racconti?”


“Zitto ho detto!”

Gli urla contro il maggiore.

 

“Ho pensato che a questo punto fosse ridicolo…”

 

“Smetti di parlare, cazzo! Non hai idea di cosa potrei...”

 

“Invece lo so. E non è quello che succede tra noi. Per quale motivo credi che non mi sia mai ribellato?”

 

Sam si alza e gli si avvicina con lentezza terrificante.

 

E allora va bene. Se è giunto il momento di farla finita, così sia.

 

“Perché non te ne vai?”

 

Gli chiede Dean. Freddo, calmo, dritto davanti a lui a solo un passo di distanza.

 

Sam sembra arrendersi per un attimo.


La verità la sanno entrambi, ma dirsela ad alta voce è tutto un altro paio di maniche.

 

“Hai sempre voluto starmi lontano, sempre! Perché adesso... perché proprio adesso non tagli la corda?”

 

Sam gli ripunta gli occhi addosso e sembra furioso, come non si capacitasse che Dean lo abbia detto sul serio.

 

“Pensi di farmi un favore, visto che mi resta meno di un anno da vivere? È questo?”

 

Dean è aggressivo, gli animali in trappola lo sono sempre.  Si aspetta un bel destro sotto la mascella che non arriva, ma lo avrebbe voluto, perché guardare Sam negli occhi in quel momento, fa molto più male.

 

“Sei un idiota… uno stupidissimo idiota!”

 

Gli risponde il minore restando al suo posto, distante eppure già troppo vicino. Un sussurro tremolante il suo, una sottile scia di parole fragili come vetro, pericolose come schegge. Solo riuscire a sentirle è un’impresa, ma Dean capisce benissimo, capisce che suo fratello sta per rompere la diga.

 

“Caso mai te ne fossi scordato, Sam: io sto per crepare.”

 

Così, Dean decide di iniziare a sgretolare gli argini. Gli si avvicina di un passo e lo vede indietreggiare d’istinto, guardarlo spaventato per quello che sa bene sta per dirgli, che non vuole sentire, che non ha mai voluto accettare.

 

La verità.

 

“Strapperanno la mia stupidissima anima di stupidissimo idiota dal mio stupidissimo corpo. E sai perché non mi frega un cazzo di niente, Sam?”

 

 

“Smettila!”

 

No che non la smette. Sam non arretra più, ma abbassa lo sguardo e stringe i pugni.

 

Se si vuole che il colpo sia letale, il pugnale va infilato nei punti giusti. Sono le basi dell’addestramento di un cacciatore, il maggiore lo sa bene.

 

 

“Perché non esiste al mondo Inferno peggiore di questo...”

 

Dean ingoia a vuoto e continua, osservando suo fratello mentre pian piano lo distrugge; ogni colpo, ogni parola che infligge a Sam, gli provoca dolore come fosse lui a subirlo. Crede di essere pronto alle conseguenze, ma sa perfettamente che non è così, che è un’altra delle sue bugie, che gli si ritorcerà contro come tutto il resto.

 

“Questo è il mio Inferno, Sam. Sei tu.”

 

Sam non crolla.

Ricaccia indietro le lacrime per puro e semplice orgoglio, alza gli occhi e d’un tratto Dean se li ritrova addosso che lo trafiggono inclementi; dentro di essi vede ogni cosa ed è spaventoso scoprire quanto di sé riesce a percepire nello sguardo Sam.

 

“Mostralo anche a me.”

 

Gli dice.

 

 

*

 

 

Dean non si aspetta niente di quello che accade dopo.

 

Ma, come detto, quella notte succede tutto in modo diverso.

 

Sam dà un calcio al suo risentimento e la sua rabbia per un passato che non ha voluto e ha sempre combattuto.

Dà un calcio alla elaborata bugia creatasi tra loro.

Un calcio a un destino che lo vede da solo, senza quel fratello che morirebbe (che morirà) per lui, e niente al mondo riuscirà ad impedirglielo.

 

Non colpisce Dean, non urla, non piange.

 

Sam gli si accosta e allunga una mano per accarezzargli una guancia. Ha gli occhi lucidi, ma risoluti, sicuri. Dean chiude i suoi e trattiene il respiro. Dentro, urla come un disperato.

 

No... no, no, Sammy...

 

Il minore non ha più bisogno di alzarsi sulle punte per essere faccia a faccia con lui; avvicina il volto finché le loro labbra si sfiorano, gli circonda il collo con entrambe le mani.

 

 “Mostrami il tuo Inferno...”

 

Gli sussurra piano. E lo bacia.

Non si baciano da quell’unica volta sotto il salice. Mai, nemmeno quando scopano.

Dean è stordito, perso. Sconfitto su tutti i fronti, si lascia andare a un bacio struggente e umido di pianto. Il suo.

 

Avvolge Sam tra le braccia e lo stringe così forte da sentirgli un lamento direttamente nella bocca. Schiude le labbra, è l’inesorabile vittoria del bisogno di un piacere sbagliato e bellissimo che conosce bene, eppure non è mai stato come adesso.

 

Il letto è vicino, ci arrivano scoordinati e goffi, ci cadono sopra e riprendono da dove Dean aveva interrotto.

Una infinità di notti insonni e parole, parole, parole, gettate via assieme ai vestiti.

 

Sam è sdraiato sulla schiena, languido, abbandonato, gli si offre, si apre sotto di lui, gli concede ogni cosa. Lo ha sempre fatto. Ma Dean non ha voluto guardarlo, prima.

 

 

“Non mi hai mai fatto male, Dean. Mai...”

 

Sam glielo soffia in un orecchio, mentre col bacino si muove contro il suo.

 

Dean non capisce più niente.

Fa l’amore con lui e lo fa come avrebbe sempre voluto farlo, senza essersi mai permesso di ammetterlo nemmeno a sé stesso.

 

Lo accarezza e lo tocca dove più sente reagire il suo corpo; con la bocca, con le dita o con i palmi, finché i gemiti di Sam non diventano lamenti, finché i lamenti non sembrano preghiere e le preghiere un piagnucolio confuso di piacere e dolore mescolati.

 

Lo prende guardandolo negli occhi e non gli sembra possibile sentire tutto in modo così diverso. Non gli sembra possibile essere ancora vivo, poterlo avere così, senza che quel mostro che gli ruggisce dentro da anni, lo trascini nella più oscura delle disperazioni, per aver ceduto ai suoi sentimenti.

 

Non gli sembra possibile averne avuto paura fino a pochi minuti prima.

 

Ed è così bello e così sbagliato che non gliene frega più niente di niente.

 

Sam lo abbraccia prima di venire. Lo stringe gambe e braccia, gli dice cose struggenti che mai dovrebbero dirsi. Gliele dice perché non hanno più tempo per negarsele.

 

“Ti amo” 

Gli dice una, due, mille volte.

 

“Ti amo. Non lasciarmi.”

 

L’orgasmo di Dean arriva un attimo dopo. Gli crolla sopra, lo abbraccia e aspetta che entrambi smettano di tremare uno addosso all’altro.

 

 

Sam si addormenta appoggiato al suo fianco, gli stringe l’amuleto con la mano poggiata al petto. La mattina è già insopportabilmente afosa, sono sudaticci e sporchi, ma a nessuno dei due sembra interessare.

 

Hanno distrutto ogni cosa che era possibile distruggere.

Ma sono ancora gli stessi, sono sempre loro.

O è cambiato tutto?

Non lo sa, non ha nessuna importanza ormai.

 

Dean guarda Sam dormire tutto il tempo e non pensa a niente.

 

Al tramonto, inizia la caccia e non c’è più tempo per preoccuparsene.

 

 

*

 

Stanano il mannaro col vecchio trucco dell’esca: Dean.

È sempre stato un cacciatore pratico più che cerebrale: visto che morirà comunque, tanto vale offrirsi volontari e buttarsi nelle missioni suicide.

 

Attirano l’uomo in una zona semi-deserta del porto: il piano è farlo secco prima che si trasformi e diventi troppo forte, troppo veloce. Ma è un osso duro anche con sembianze umane, lo inseguono per più di due ore e, quando si trasforma, le cose si complicano ulteriormente.

 

Un paio di volte credono di averlo perso, finché non è la bestia a piombare loro addosso, nella rimessa abbandonata e fatiscente che si erano scelti per fermarsi e riprendere fiato.

 

Si avventa su Dean.

 

Sam è veloce e letale, non lo ha mai visto così concentrato, freddo.

 

 

Prima che affondi le zanne nel collo di suo fratello, gli arriva alle spalle e gli punta la canna della pistola alla nuca. 

“Non muoverti.” 

Gli intima.

 

Il mannaro molla la presa, riprende velocemente forma umana ma non si volta.

 

“Verrete all’Inferno con me!”

 

Ringhia, gli occhi sbarrati e fissi in quelli di Dean, che gli infila i gomiti sotto al collo e lo immobilizza.

 

 

“L’Inferno è questo, amico.”

 

Gli risponde Sam, il timbro di voce privo di qualsiasi emozione.

 

Un attimo dopo, gli spara.

 

La pallottola d’argento si conficca nel cranio e il foro è netto, pulito; solo due gocce di sangue sporcano la guancia sinistra di Dean mentre il mannaro piomba a terra sulla destra, morto.

 

 

Il maggiore per un momento è frastornato. C’è stato un istante in cui il suo Sam gli è scivolato via da qualche parte; lo ha guardato e non lo ha riconosciuto. L’istante è passato e ora ce lo ha di nuovo davanti. Gli sorride, poi gli dà le spalle e si incammina per tornare alla macchina (parcheggiata a quasi 2 miglia di distanza dalla rimessa).

 

Dean scavalca il corpo e lo raggiunge in due falcate; Sam non è neanche sudato, mentre lui è ansimante e sfiancato dalle ore di corsa forsennata. L’adrenalina è forse l’unica cosa che lo tiene in piedi. Per fortuna almeno la notte sembra aver concesso un po’ di tregua dall’afa soffocante di quelle ultime settimane, altrimenti sospetta che a quest’ora sarebbe morto.

 

“Cos’era quello?”

Gli chiede quando è al suo fianco. Sam gli sorride ancora, si ferma (finalmente), si volta verso di lui e lo guarda in un modo che Dean non ha mai visto; c’è una luce diversa nei suoi occhi, che non sa se temere o amare ancora di più.

 

“Non lascerò che ti prendano.”

 

Gli comunica come fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo.

Sono uno di fronte all’altro, Sam gli si avvicina e posa la mano sul petto di Dean, dita allargate, calde e sporche, mosse da un leggero tremolio, lascito tipico del rinculo di uno sparo.

 

 

“Resteremo qui insieme.”

 

Gli dice, con gli occhi che brillano.

 

 

“All’Inferno.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Cliccami e scoprirai cosa sono: Sheti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda: c’era una volta una povera mentecatta (IO), che prima di addormentarsi si immaginava cose strane e poi pensava di scriverci una storia. Ma nella sua vita succedevano cataclismi e ci metteva qualcosa come ottomila settimane a scriverla (tra l’altro a singhiozzi). Lei detestava scrivere così, continuava a riprendere in mano ogni riga, parola e non era mai soddisfatta del risultato. Alla fine la mentecatta pubblicava, più per disperazione che perché veramente convinta a farlo. La sua tastiera volava dalla finestra il secondo dopo, infatti.  The end...

XD

E niente, in realtà volevo tipo proseguire con una serie di OS da appiccicare a Fantasma, visto che il contesto di quest'ultima è consecutivo alla precedente, ma siccome sono impedita e faccio molta fatica a destreggiarmi con edit vari, l'ideONA è morta sul nascere. Ecco.

Comunque, non lo so mica cosa è venuto fuori. Se siete riusciti a leggere fino alla fine GRAZIE, se commenterete GRAZIEMAPROPRIOGRAZIE, se sopravvivo scrivo ancora. Forse.

Ciao

Ele106 (@orsettobiondo)

 

   
 
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