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Autore: EffyBk    09/01/2009    0 recensioni
Sapevo che sarebbe arrivato questo momento, ma non credevo così in fretta. E soprattutto non credevo sarebbe stato così doloroso...
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: [FF sospesa] questa storia è completamente inventata. Ogni riferimento a persone o fatti reali è puramente casuale.


Der letzte Tag - L'ultimo giorno

Capitolo 1

Sapevo che sarebbe arrivato questo momento, ma non credevo così in fretta.
E soprattutto non credevo sarebbe stato così doloroso; sapevo che non sarebbe stato facile,
ma non avrei mai immaginato tanto. Ero preparato, ma in fondo mi ha colto di sorpresa.

“La neve! Che bella… guardate! Oddio ma ce n’è tantissima!” esclamai estasiato guardando fuori
dal finestrino del furgoncino grigio.
“La neve.. pff che brutta cosa. E’ così fredda e…
bagnata” sbuffò una voce molto simile alla mia, ma un
po’ più roca, dalla mia sinistra.
“Tom sei il solito insensibile. Guarda che bel paesaggio! Tutto innevato… è così romantico” rimproverai
bonariamente il mio gemello.
“Sì Bill, è romantico, ma ci vorrebbe una ragazza” disse Georg da dietro di me, facendo ridacchiare
Tom, che era stato imbronciato per tutto il viaggio.
“E poi non si dovrebbe andare in giro in macchina con questo tempo. Siamo fermi in coda da
mezz’ora!” constatò Gustav, forse il più serio di noi quattro.
“E probabilmente staremo così ancora un bel po’” ci avvertì Saki, il nostro autista e bodyguard di fiducia.
I due dietro continuarono un elenco più o meno serio dei pro e contro della neve, strappando ancora
qualche sorriso al muso lungo di mio fratello. Io intanto fissavo i fiocchi bianchi cadere leggeri e
posarsi a terra accrescendo sempre più lo strato di neve che già ricopriva l’intera città.
Mi piaceva viaggiare con Tom, Georg e Gustav, erano i miei migliori amici, nonché colleghi di lavoro sin
da quando eravamo bambini. E poi la neve era meravigliosa, l’adoravo da sempre. Perciò non mi
dava fastidio stare lì fermo in coda, al contrario di Tom. Ma in fondo sapevo che anche lui si stava
divertendo, solo che era troppo orgoglioso per ammetterlo.
Avanzammo di qualche metro, per poi ribloccarci in quella massa di automobili che intasava le strade.
Dalla nuova posizione potevo scorgere le prime luci natalizie che significavano che ci stavamo
avvicinando al centro. Il paesaggio innevato insieme agli addobbi natalizi mi infondevano un calore
smisurato e mi facevano sentire particolarmente sereno. Ero fatto così, qualsiasi cosa, anche la
più piccola e semplice che molti avrebbero giudicato insignificante, per me era affascinante. Tom
diceva sempre che vedevo il mondo ancora con gli occhi di un bambino, e forse aveva ragione, ma
a me non dispiaceva affatto.
Distolsi lo sguardo dai fiocchi di neve che mi stavano ipnotizzando e mi soffermai su quello che
occupava un piccolo pezzo del lato destro della strada. Era un prato non troppo esteso, dal quale
spuntavano uno scivolo e un’altalena, circondati da qualche panchina. Un paio di lampioni
facevano risplendere il bianco che ricopriva il parco giochi deserto… o quasi.
Fu in quel momento che ti vidi per la prima volta. Stavi seduta da sola sull’altalena dondolandoti
leggermente. Tenevi la testa bassa coperta dal cappuccio della giacca, ignorando la neve che si
posava su di te. Non riuscivo a vederti il viso, ma notai dalle mani magre e affusolate che eri molto
pallida; forse era un effetto della luce, forse era a causa del contrasto con le lunghe unghie laccate
di nero, o forse eri davvero così. Ma al momento non me lo chiesi. Ti fissai per qualche secondo
mentre oscillavi leggera, sfiorando il terreno bianco con le scarpe scure.
Poco dopo alzasti la testa e ti vidi. I lineamenti sottili, eleganti del tuo viso erano incorniciati di lisci
capelli corvini che ti toccavano appena le spalle. I tuoi occhi fissavano dritto davanti a te, nella mia
direzione; erano grandi, profondi, scuri, circondati da lunghe ciglia e da una riga di matita nera.
Furono forse la cosa che mi colpì di più; i tuoi occhi brillavano alla luce dei lampioni, e io riuscii a
guardarti dentro. Vidi confusione, dubbio, paura, frustrazione. Mi guardavano come chiedendomi
aiuto, anche se non ero sicuro che mi vedessi davvero.
Ma quando gli angoli della tua bocca disegnarono un sorriso accennato ma sincero verso di me, capii
che mi avevi visto. Mi avevi anche riconosciuto? Non mi importava. Quel tuo sguardo mi aveva
stregato. Continuavo a fissare i tuoi occhi, ora accesi da una scintilla di meraviglia; continuavi a
guardare verso di me con il leggero sorriso sulle labbra. Mimasti un “ciao” e io ti risposi muto.
Abbassasti ancora un attimo il viso e vidi qualcosa cadere silenzioso per terra, come un diamante,
una gemma preziosa… una lacrima. Quando riuscii di nuovo vedere il tuo volto, era come lo avevo
appena visto, come se quella lacrima fosse stata un’illusione.
In un attimo presi la decisione. Dicendo soltanto “Aspettatemi qui” scesi dall’auto senza neanche
infilarmi il cappuccio e mi diressi verso di te. Sentii le voci dei miei amici provenienti dalla macchina
che dicevano “E dove potremmo andare se no?” “Ma dove va quell’idiota?” “Ma sì, tornerà”.
  
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