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Autore: SAD_robot    14/06/2015    1 recensioni
L'illusione di poter avere la verità sotto ai propri occhi.
Un sentiero che neppure al termine ti porta ad abbracciare il sapere estremo.
Il capolinea dai diversi punti di vista di chi ha "chiuso".
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stanza

 

 

 

Nulla che possa suggerire una possibile via di fuga.

Vecchie mura dall'aspetto robusto e inattaccabile. Una lampadina che ondeggia trascinandosi grige ragnatele, avvelenate quanto le ombre che si agitano confuse attorno a lei. Quattro gatti che la scrutano dagli angoli della stanza chiedendosi quando verrà il momento giusto per poter inghiottire le sue carni. Guardano in continuazione la sua aguzzina in cerca di un segno d'approvazione ma la donna, persa conoscenza senza ragione apparente, sembra essere priva di vita.
Amelia è spaventata, abbattuta, imbruttita da tutti i cattivi pensieri che hanno preso possesso del suo lato razionale. Legata ad una sedia non le rimane altro che disperarsi e contemplare la possibilità di mozzarsi la lingua con un unico, saettante movimento di mascella. Agita i piedi sugli escrementi delle bestie, il cui puzzo impregna la stanza intera, immaginando un limbo tra il parquet di casa e quello del più intimo girone infernale.
Strilla, sperando che la voce che ode non sia la sua.
Casa la starà cercando. Casa sarà già sulle sue traccie.
Mamma e papà, figli e marito che lasciano scorrere il proprio naso sulla scia che si è lasciata alle spalle. Al loro fianco rappresentanti della polizia locale, giornalisti, infermieri e medium corazzati di frasi fatte e risposte già pronte.
Un allerta nazionale: il mondo alla ricerca di una donna comune, paiolo di ferro e ruggine.
La vecchia si riprende a poco a poco e i piccoli lamenti di Amelia vengono ammutoliti dal gracile movimento dei muscoli della sua aguzzina. Lei strilla di nuovo, vomita il cuore in un unico conato selvaggio e animale lanciato nella speranza di poter intimorire il predatore. Non funziona. La vecchia, schiaffeggiata dalle grida, riprende coscienza di quel che ha fatto e si erge in piedi minacciosa.
«Stà zitta!» esclama reggendosi il capo rugoso tra le mani.
Piovono insulti e imprecazioni.
«Stà zitta!» esclama nuovamente la vecchia in preda alla nausea.
Ha alzato troppo la voce, non avrebbe dovuto farlo. Il giramento di capo muta in un indomabile dolore che costringe la megera a piegarsi in due per vomitare proprio ai piedi dell'ostaggio. Sangue, bile e tracce di un indefinibile pasto appena consumato che ricoprono le scarpe di Amelia, trasfigurata in un animale dal senso di pericolo che la attanaglia da più di trentasette ore.
L'aguzzina si accascia di nuovo a terra e, così come era tornata, di nuovo se ne và: lasciando la propria carcassa stramazzata tra il vomito e la polvere che infestano i polmoni di Amelia.
«Il Diavolo se ne farà un bel boccone.» prende a ripetere Amelia come a scongiurare tutta la sua paura: il capo chino, gli occhi serrati e la voce instabile. Non ha indizi sull'identità della sua aguzzina ma spera di averla già vista da qualche parte: forse associare il suo volto sconosciuto al ricordo di una giornata felice avrebbe reso la sua terrificante presenza qualcosa di più umano.
Il suo volto. Il suo vecchio, orribile volto lacerato dal tempo e dall'invidia. Gli insetti che le camminano tra i capelli unti non fanno altro che inasprire l'orrore che Amelia sta provando. Non sarebbe mai potuta finire in un modo migliore. Dopotutto, quel che era accaduto durante la settimana non aveva lasciato presagire nulla di buono.
Uno scatto; il dolore; la sensazione di avere un mare di sangue che sgorga dalla propria bocca.
Convulsioni, il panico e il vuoto.
Il proprio corpo abbandonato a sé stesso tra le mani di un universo ostile.

 

 

Dopo aver osservato la scena dall'alto di uno scaffale, il piccolo uomo si prese qualche secondo per poter riflettere su ciò che aveva appena visto. Analizzò la stanza in ogni suo piccolo particolare, compreso il modo in cui le bottiglie riverse a terra riflettevano i colori in cui affogavano, e si appuntò qualche dettaglio su un lembo di stoffa grigia.
Ritrasse con piglio artistico addirittura la donna che, legata ad una sedia e imbrattata di sangue, fissava con occhi spalancati il mozzicone della propria lingua adagiato in grembo.
Il piccolo uomo adorava studiare la vita e le sue conseguenze. Ogni plenilunio, borsa in spalla, usciva allo scoperto e si avventurava nel meraviglioso mondo dei "vivi" per ritrarre artisticamente ciò che vedeva o per poter accarezzare semplicemente qualche roccia ai bordi di una strada. Possedeva, all'interno della bisaccia, centinaia di stoffe pasticciate con l'ausilio di tutto ciò che il mondo aveva avuto da mostrargli: appunti, paesaggi, ritratti e considerazioni stesi sul tessuto vecchio che raccoglieva tra i cassonetti dell'immondizia. Il suo più grande tesoro erano i campioni e i profumi sbrigativamente sottratti a decine di fiori ed esseri viventi che nel sonno avevano ignorato la sua presenza ma, certamente, non se li portava a spasso per le sue avventure.
Quella notte, curioso come sempre, aveva raggiunto l'interno di quel grande fiore che i suoi abitanti chiamavano universo per stillare l'essenza di morte direttamente dalla sorgente.
Dopo aver terminato la stesura dei suoi appunti, piegò lo straccietto e lo ripose. Rimase per qualche secondo in contemplazione della stanza ricercando i piccoli particolari nascosti dal suo desiderio di agire. La morte aveva già cominciato a impregnare ogni centimetro del locale. Il piccolo uomo poteva già percepire la scia ch'essa si lasciava alle spalle. Doveva muoversi in fretta, altrimenti l'occasione sarebbe andata perduta.
Estrasse una piccola ampolla dalla borsa e, dopo aver aperto le narici alla ricerca di traccie della Fine, iniziò a rincorrerle eccitato. Balzò giù dallo scaffale e, avventurandosi cauto sotto agli occhi dei gatti che lo guardavano incuriositi, si avvicinò alla morte tentando di sorprenderla alle spalle.
Aveva sempre avuto un mucchio di strane fantasie riguardo al modo in cui la vita veniva sbalzata fuori dal potente flusso di vita e emozioni. La fine arrivava lentamente inseguendo le creature nel corso di decine e decine di anni ma, quando giungeva finalmente a posarvi una mano sulla spalla, si prendeva l'anima di qualsiasi essere vivente in un solo istante. Qualsiasi organismo che abitasse su quel mondo era condannato ad arrestare la propria avanzata in favore della fame di vita della Fine. Quasi come se quest'ultima conoscesse volto e sembianze di qualsiasi cosa nascesse sotto al suo controllo.
Era scritto tra i geni di tutti gli abitanti dell'universo ma lui, minuscola eccezione, di certo non era stato previsto.
Più si avvicinava cautamente verso l'origine del pungente odore che gli invadeva i polmoni tanto più l'agitazione gli bolliva nelle vene. Poteva già intravedere la fioca coltre di nebbia che preannunciava l'arrivo delle banshee che, se non sarebbe stato abbastanza veloce, avrebbero sicuramente informato la Morte della sua presenza Aveva già avuto l'occasione di poter intravedere le sagome di quelle tenebrose creature in passato, ma solo da una distanza ragguardevole. Non poteva sapere in che modo avrebbero potuto reagire notando una presenza estranea al loro mondo.
Era così preso dal proprio obiettivo che non si accorse che due dei felini che sorvegliavano la stanza erano scesi dal proprio scranno e avevano incominciato a incamminarsi lentamente verso di lui. Seguivano i suoi passi in fila indiana esattamente come il piccolo uomo inseguiva la sua preda. La situazione era diventata una minuscola rappresentazione della catena alimentare ma nessuna della tre specie poteva sapere di trovarsi all'interno dell'anello sbagliato.
D'un tratto, quando la preda fece la sua apparizione, il piccolo uomo raggelò e rimase immobile sulle proprie gambe.
Il tempo non si era fermato e la temperatura, al contrario di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, rimase tale e quale i livelli di poco prima. Solo la nebbia si manifestava come carattere estraneo alla situazione ma la naturalezza con cui riempiva la stanza non suggeriva nulla di anormalo. Dinanzi ai suoi occhi, però, come se venisse versata da un ampolla imvisibile, una figura informe iniziava a colare sulle superfici di quel mondo.
Era bassa, tozza e illuminata da una luce insolita che non poteva che provenire dalla sua stessa sagoma. Guardandola dalle spalle il piccolo uomo non poteva stabilire alcuna somiglianza con qualsiasi altra razza che avesse visto nel corso dei suoi viaggi, eppure non poteva fare a meno che scrutarla con familiarità.
Immobile, così come i gatti che lo inseguivano fino a un attimo prima, l'ometto osservò l'apparizione stendere un arto sul capo della donna legata e cibarsi in un solo istante della sua anima. Inevitabilemente, un gemito sfuggì dalla sua minuscola bocca.

 

 

Non c'era molto da dire. Tutto era arrivato proprio come aveva immaginato.
Il corpo che scivola oltre alla sua stessa sostanza rendendo indefinibili le sensazioni provate. Il buio; il freddo: e poi una nebbia chiara, cristallina che, seppur glaciale, l'abbracciò con fare incredibilmente materno. Si sentiva stranamente leggera, la pura essenza del suo essere contaminato da ricordi e emozioni illusorie provate nel corso di chissà quanti anni. Ci mise del tempo per realizzare ciò che poteva esserle accaduto.
Tentò di muoversi a tastoni nel muro di nebbia, persa in un paradiso terrificante dove l'angoscia iniziava a invadere sempre più gli ultimi spasmi della sua coscienza. Vide con i propri occhi gli arti che le erano appartenuti squagliarsi come gelatina in un un bicchiere vuoto. Era morta, era tutto finito, e non aveva idea di come potesse essere successo.
Eppure stava bene. Fino a un attimo prima di lasciare la propria carne in pasto ai vermi poteva dire di essere la persona più sana al mondo. Certo, se solo si fosse trattata meglio sarebbe certamente campata qualche anno in più. Ma la vita, d'altronde, doveva essere vissuta in qualche modo.
Tentò di urlare, di chiamare soccorso, ma non neppure l'eco della propria voce le diede risposta. Si trovava all'inferno o erano forse le porte del paradiso? Non vide angeli nè diavoli, non udì nessuno squillo di tromba nè le avide mani della morte la sfiorarono. Restò completamente immobile per del tempo indefinibile fino a che la sagoma del suo corpo non si squagliò del tutto tra i flussi invisibili di quel nuovo mondo.
Fu allora che la sua essenza le mostrò il dettaglio di ogni particella che componeva il luogo che aveva lasciato. La visione si diramò lentamente fino a permetterle di poter visionare la stanza di trecentosessanta gradi in un solo istante. La penombra dominava l'interno delle quattro, vecchie mura dall'aspetto logoro e instabile, e la nebbia in cui era immersa fino a poco prima disegnava ora mistici disegni nello spazio. Le parve un luogo lontano e mai visto prima. Fu come entrare di nascosto nella casa di un estraneo, ma sapeva di aver passato un intera esistenza là dentro.
Studiò priva di pietà la donna che, legata ad una vecchia sedia, sedeva inerte e impregnata del suo stesso sangue. Non era stata lei a ridurla così: si trattava di un suicidio.
Il suo corpo, invece, giaceva con il volto schiacciato a terra tra la polvere e minuscoli insetti dall'aspetto incredibile. Era un corpo anziano, straziato dal tempo e dall'invidia. In quel momento non avrebbe mai detto di poter essere vissuta così a lungo.
Ma c'era qualcun'altro nella stanza. Una creatura dalle sembianze fantastiche di cui aveva letto solo nei libri dell'occulto che la fissava con occhi del colore del sangue. Vestiva in modo strano, come se stesse per compiere il macabro rituale che l'avrebbe fatta definitivamente trapassare. Alle sue spalle, due gatti neri come l'odio che ella stessa aveva provato nel corso dell'esistenza sembravano essere lì per proteggerlo da ogni sua eventuale azione di difesa.
Notando il suo spirito che aleggiava nella stanza, la piccola creatura emise un gemito e le mostrò i suoi denti aguzzi e macchiati di sangue rappreso. Si sarebbe pappata la sua anima. Era l'inferno quel che l'aspettava.
Durò tutto un solo istante. Il gemito emesso dalla creatura si trasformò ben presto in un terribile ruggito che fece tremare le mura della stanza.
Iniziò a udire un fischio dal volume crescente fino a che non divenne l'unica cosa percepibile.
Ogni visione venne spappolata nello spazio insieme alla Morte che si stava pappando la sua anima.
Poi non ci furono né nebbia né buio, e la stanza divenne solo un ricordo lontano.
Le sue memorie si mischiarono con quelle di chi era vissuto prima di lei, confondendola fino allo stremo.
Non era più nessuno. Non c'era più nulla da ricordare. Era stata cancellata ma la sua essenza ancora esisteva.

 

E tutto quel che in quel momento rimase fu la strana sensazione di esser trascinata lontano.

  
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