Anime & Manga > Slam Dunk
Ricorda la storia  |      
Autore: hollien    14/06/2015    11 recensioni
«Lo sai che saresti in grado di ubriacarti con l’acqua frizzante» lo disse piano, ma il rosso era talmente preso a sentire cosa stavano confabulando che comprese le sue parole.
Sul volto di Hanamichi si ergeva ora un sorriso che non prometteva nulla di buono.
«Ru-ka-wa-kun» sillabò Sakuragi con una certa euforia, incurante di avere tutti gli sguardi del suo tavolo puntati addosso.
«Che ne dici di una sfida?» chiese con sorrisetto strafottente che istigò non poco i nervi di Rukawa. «A chi regge di più l’alcol, ovviamente».
Se non poteva batterlo nel basket, sicuramente lo avrebbe stracciato e umiliato in quell’occasione.

[Slam Dunk - RuHana]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Scleri pre-capitolo: Buonasssssssssera to all.
Questa è la seconda volta che pubblico nella sezione di Slam Dunk, ma alla fine è come se fosse la prima visto che è passato giusto un po' di tempo. 
All'inizio questa sarebbe dovuta essere una one-shot molto fluffuosa ed innocente, lo giuro. E' stata la mia parte perversa una forza più grande di me a farmi cambiare rotta. (?) Non credo di aver mai scritto così tanto per un capitolo unico, per questo spero possa venir apprezzato il mio impegno. (Y)
Anyway, mi mancava TROPPISSIMO l'idea di scrivere fino in fondo qualcosa sulla RuHana/HanaRu. Ora che ce l'ho fatta mi sento una ragazza importante.
Non voglio dilungarmi nel mio soliloquio perché se mi parte l'embolo scrivo un commento più lungo della one-shot (è una minaccia, sì).
Mi auguro gradiate la storia e spero in qualche vostro commento per sapere cosa ne pensate. 
Disclaimer: I personaggi di Slam Dunk non mi appartengono, ma se mi appartenessero farei in modo che Sendoh si trasferisse allo Shohoku. Mi salgono i brividi lungo la schiena al solo pensiero. (?)


 
 




 
 
Hangover
 
 

 
 
«Non credo di aver capito bene».
Era stata questa la prima cosa che Sakuragi aveva decretato alla proposta di Gori, assumendo l’espressione tipica di un tontolone che non c’arrivava alle cose neanche se gli si fosse prostrato davanti il Buddha.
Akagi si schiarì la gola, cercando di mantenere i nervi saldi.
«Ho detto che alcuni membri del Ryonan c’hanno invitato stasera ad andare a berci qualcosa insieme da Mizumachi visto che si trovano a Kanagawa per un ritiro».
Hanamichi si grattò il mento, dando l’idea di star pensando a qualcosa d’intelligente da rispondere. Riportò poi lo sguardo su Akagi e ribadì meccanicamente: «Non ho capito».
Mitsui s’infilò le mani tra i capelli con disperazione, seguito da un Miyagi che si limitò a sbuffare.
Cosa c’era di così difficile da comprendere? Si domandò l’ex-teppista. D’accordo che Sakuragi non era la persona più spiccata del mondo, ma da lì a non afferrare un diavolo di invito c’erano di mezzo oceani, montagne e pianure.
«Ma ti ci metti d’impegno per esser così tardo?» sbottò Hisashi senza neanche pensarci, anticipando la sfuriata di Akagi.
Hanamichi gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo, puntandogli un dito contro. «Se c’è qualcuno di tardo qua siete voi! Io non ci penso neanche morto a fraternizzare con il nemico. Vi siete tutti rincretiniti d’improvviso?!»
Il commento di Mitsui e Miyagi avrebbe voluto essere “Senti chi parla”, ma la ginocchiata allo stinco che partì da Akagi non fece volare neanche una mosca.
«Non ci andiamo per raccontargli le nostre tattiche di gioco, stupido zotico!» inveì il Gorilla, fissando il rosso riverso sul pavimento della palestra senza l’ombra di rimorso. Perché il destino avverso aveva deciso di rifilargli come compagno di squadra una piaga come Sakuragi?
«Se tu non vuoi venire puoi pure portare il tuo culo a casa tua. Di sicuro non ci metteremo a piangere se non ci farai l’onore della tua presenza».
Hanamichi si massaggiò la parte lesa, emettendo un verso gutturale.
«Ovvio che me ne vado. Io sono fedele allo Shohoku! Non come te che ti mandi messaggini segreti con i giocatori del Ryonan. A questo punto perché non inviti anche quelli del Kainan e dello Shoyo?»
Akagi alzò gli occhi al cielo, le braccia conserte al petto.
«Perché dai per scontato che sia io quello in contatto con loro?»
Il cipiglio di Hanamichi si fece via via sempre meno evidente per lasciare spazio alla confusione.
In quel momento comprese di aver tratto le conclusioni troppo in fretta – come al solito. Non ci si poteva aspettare nulla di diverso data la sua natura impulsiva.
«E allora chi se non tu?»
Seguì gli sguardi di Mitsui, Miyagi e Akagi che guizzarono simultaneamente su una figura, o meglio, la causa di tutti i sui mali.
Zitto zitto, nonostante la discussione in corso, il freezer ambulante si era estraniato per continuare a fare dei tiri a canestro come se niente fosse.
La Kitsune sapeva essere scaltra quando voleva.
«Avrei dovuto immaginarlo che c’eri di mezzo tu, Volpe!» sbottò Hanamichi.
Rukawa smise di palleggiare quando venne chiamato in causa.
Fissò Hanamichi con lo stesso interesse con cui si guarderebbe un insetto spiaccicato al muro, tanto per dare l’idea.
«Hai qualcosa da dire a tua discolpa?» grugnì Sakuragi, sollevandosi da terra per affrontarlo a testa alta.
Kaede si limitò a farfugliare qualcosa che nessuno riuscì a decifrare – il volpese non era ancora stato riconosciuto come lingua nazionale -, dopodiché la sua attenzione si rivolse nuovamente al canestro.
In verità non aveva seguito un accidenti di quello che avevano detto, per questo non aveva saputo rispondere per le rime.
Forse avrebbe potuto cavarsela con un liberatorio “vaffanculo”.
Era diventata normale routine, per lui, mandare a quel paese la Scimmia Rossa. Una volta in più non avrebbe di certo nociuto la sua salute.
«Ohi, ascolta il Tensai quando ti sta parlando!» abbaiò il rosso nella sua direzione, bruciando i metri che li distanziavano a passi pesanti.
Col cavolo che l’avrebbe data vinta ai suoi monosillabi.
«Com’è che c’hai tutta ‘sta confidenza con i nostri avversari?»
Kaede, davanti a quella domanda, afferrò l’argomento di discussione dei suoi compagni: dovevano aver parlato dell’uscita di quella sera con la squadra del Ryonan.
«Affari miei» tagliò corto.
«Affari tuoi un bel niente! Sbaglio o hai coinvolto anche noi nell’uscita con quei cosi?»
«Nessuno ti costringe a venire, Do’aho».
«Infatti non ho nessunissima intenzione di condividere lo stesso ossigeno dei miei nemici!» replicò Sakuragi. «E smettila di darmi dell’idiota se vuoi vedere l’alba di domani!»
Rukawa scrollò le spalle. «Hn, non si può negare la verità».
Il rosso avrebbe tanto voluto spaccargli il suo bel faccino con una testata all’Hanamichi –oggettivamente parlando non si poteva dire che la Volpe fosse orripilante – tuttavia venne fermato da una mano che si appoggiò placidamente sulla sua spalla.
Era Miyagi.
«Hana» cominciò Ryota, facendogli notare l’atmosfera in escandescenza alle sue spalle.
Se avesse continuato con quella sceneggiata il Gorilla lo avrebbe fatto volare giù dal primo balcone che raggiungeva un’altezza di almeno cinque piani. «Io credo ti converrebbe venire stasera».
L’attenzione di Rukawa, insieme a quella di Sakuragi, si spostò sul loro Playmaker.
Era relativamente interessato a scoprire in quale modo Miyagi avrebbe convinto il Do’aho ad aggiungersi a loro.
Non che gli importasse. Francamente stava meglio senza quella scimmia chiassosa tra i piedi; anzi, avrebbe dovuto fargli causa per ogni mal di testa che gli aveva procurato a causa della sua voce che non riusciva a mantenere un volume accettabile per la società.
«Dammi anche solo un motivo valido, Ryo-chan» disse Sakuragi, portandosi le mani ai fianchi con disappunto. «Io non credo sia una buona idea ch-»
«Ci sarà anche la tua Harukina cara».
Bisbigliò per non imbattersi nella furia omicida di Akagi: se avesse saputo che aveva divulgato quella notizia a Sakuragi lo avrebbe scuoiato vivo.   
Hanamichi rimase in silenzio, ma era chiaro dai suoi occhi e dalle guance arrossate che la notizia lo avesse reso felice come una pasqua.
«Allora verrai?» ridomandò Ryota, il tono di voce più alto per farsi sentire anche dal Gori.
Sakuragi sapeva che avrebbe fatto la figura dell’incoerente, ma non poteva perdersi l’occasione di vedere Haruko – non poteva lasciare neanche che si avvicinasse troppo ai giocatori del Ryonan, e men che meno a Rukawa, colui per cui lei aveva una cotta.
Ricordarlo gli provocava sempre un moto di rabbia incontrollabile, anche se ultimamente doveva dire di esser migliorato nel tenere al guinzaglio la sua ira.
Rukawa non ricambiava i sentimenti della Akagi, quegli stessi sentimenti per cui Hanamichi, tempo prima, si sarebbe tagliato un braccio pur di ottenerli; quello era poco ma sicuro. Forse era quella consapevolezza che riusciva a tenerlo moderatamente tranquillo.
«Sì, verrò» decretò arrendevole, mentre sul viso di Miyagi iniziò ad incresparsi un sorriso vittorioso.
«Davvero?» domandò sorpreso Mitsui. «Hai forse avuto un’illuminazione dall’alto? O meglio, dal basso». Era chiaro che la battuta non fosse puramente casuale, e sia Hanamichi che Miyagi si sentirono di rilanciare con un dolcissimo: “Fottiti Baciapiselli”.
Akagi, pur sapendo che c’era qualcosa di losco dietro all’improvviso ritrattare di Sakuragi, decise di non indagare. Non aveva voglia di incazzarsi ulteriormente.
Quei ragazzi, troppe volte, mettevano davvero a dura prova la sua già poca pazienza – a forza di urlargli dietro doveva aver perso almeno una decina di anni di vita -, tuttavia non poteva esattamente lamentarsi della loro tenacia quando si trattava del basket.
Al di là di alcune sue pecche – gli attacchi megalomani di Hanamichi, l’asocialità di Rukawa, i siparietti di Hisashi insieme alla Scimmia Rossa e il Nano e le continue dichiarazioni di amore di Miyagi nei confronti di Ayako - la sua era davvero una buona squadra.
«Bene» disse Takenori, battendo un paio di volte le mani. «Riprendiamo ad allenarci: dell’orario di ritrovo ne parleremo dopo».
Annuirono con enfasi, tutti tranne Kaede che l’entusiasmo non sapeva nemmeno che cosa fosse.
A proposito della Volpe, Hanamichi si era voltato di centottanta gradi per lanciargli l’ultima frecciatina, dopotutto gliela doveva dato che aveva avuto l’ultima parola a causa dell’interruzione di Miyagi.
Il rosso ammutolì ancor prima di spiaccicare parola. 
Per qualche strano motivo gli occhi azzurri come il ghiaccio di Rukawa lo stavano fissando con un’inconfondibile aria omicida.
Era la prima volta che gli capitava di scorgere un’emozione tanto forte da parte sua, lui che era l’ameba per eccellenza, l’inespressività fatta persona.
Che diavolo aveva fatto per meritarsi un’occhiata così carica di…disprezzo?
«Kits-» iniziò, senza sapere esattamente che cosa dire.
Non concluse mai.
Rukawa lo aveva sorpassato, ignorando bellamente il suo tentativo di approcciarsi a lui per tornare a correre sul campo.
Hanamichi lo seguì a ruota dopo un paio di minuti, la rabbia che gli ribolliva nelle vene ma che riuscì a sfruttare come carburante per dare il massimo nell’allenamento.
Non riusciva proprio a tollerare quel ragazzo: il suo atteggiamento a tratti borioso, a tratti scazzato, il suo continuo voler primeggiare sugli altri come se fosse l’unico in grado di giocare veramente bene a basket, la sua pigrizia, la sua narcolessia, il suo essere infinitamente…lontano.  
Non c’erano aspetti positivi in lui, o se c’erano non li aveva mai visti per colpa del suo essere così insofferente verso ciò che lo circonda.
Scosse la testa, Sakuragi, sbarazzandosi dell’immagine di Rukawa che si stava facendo sempre più spazio tra i suoi pensieri.
Non gli avrebbe permesso di primeggiare anche nella mente del Tensai, nossignore.


 
**
 
  
Hanamichi aveva attraversato le strade di Kanagawa con il volto corrucciato e le mani rigorosamente in tasca per salvaguardarle dal freddo quasi invernale.
Nel tragitto aveva maledetto Yohei più volte perché, nonostante l’avesse invitato all’incontro di quella sera, gli aveva dato il due di picche per rimanere a casa ad ammazzarsi di videogiochi insieme agli altri tre idioti.
Che razza di amici erano se lo abbandonavano nel momento del bisogno?
Per raggiungere il bar c’aveva impiegato una mezz’ora buona al gelo di metà dicembre.
Se Yohei lo avesse accompagnato su quel catorcio rosa che si ritrovava come motorino avrebbe di certo risparmiato un po’ di tempo ed energia.  
Il rosso si chiuse nelle spalle, stando attento ad ogni movimento per le strade. Non aveva mai smesso di guardarsi in giro per il timore di fare qualche incontro sgradito con vecchie conoscenze.
Era sempre stato una calamita naturale delle risse per colpa del colore dei suoi capelli e della sua faccia da teppista – teoria non così infondata -, per questo si era tirato su in testa il cappuccio del suo giaccone e aveva quasi sempre tenuto lo sguardo basso.
Voleva arrivare alla meta solamente perché fremeva dal desiderio di vedere la sua Harukina, o almeno si stava autoconvincendo che fosse così.
Non poteva di certo permettersi di perder minuti preziosi per una scazzottata – anche se doveva dire che se quest’ultima fosse stata con Rukawa non l’avrebbe disdegnata.
Aveva ancora impressa in mente la sua espressione sprezzante di quella mattina: tante volte Rukawa lo aveva guardato storto per le sue buffonate o per il suo essere irritante – non è che pensasse di essere irritante, erano gli altri a crederlo -, ma poteva giurare che quel tipo di occhiata da parte sua non lo avesse mai raggiunto prima.
Hanamichi strinse i denti.
Come diamine si era permessa quella Kitsune malefica di guardarlo in quel modo, facendolo addirittura sentire in colpa? Se c’era qualcuno che meritava di essere fissato in quella maniera era di certo Rukawa.
«Quello è Sakuragi?» sentì qualcuno domandare.
Repentinamente Hanamichi levò gli occhi da terra ed incontrò gli sguardi di tre del Ryonan - Uekusa, Koshino e Ikegami – e gli altri tre di Ryota, Mitsui e il Gori.
Inutile dire che dopo un breve saluto al trio Medusa, si posizionò dalla parte dei suoi compagni di squadra e si tirò giù il cappuccio.
Non aveva niente da spartire con i nemici.
Hisashi ghignò sotto i baffi. «Paura dei nostri avversari, Scimmia?»
«Vaffanculo Teppista, non cominciare già a tritare le palle come al solito».
Miyagi s’aggiunse a Sakuragi ghignando. «E’ una sua specialità, non puoi neanche pretendere che cambi».
Mitsui lo fulminò con lo sguardo. «Sta zitto Nano, torna nel mondo delle fiabe» ribatté con un diavolo per capello.
«E tu sta attento a non perdere la dentiera per strada!»
Cominciò una vera e propria sfida a chi riusciva a trovare l’offesa più originale mentre Akagi si licenziava ufficialmente dal compito di spaccare la testa ad ognuno di loro per salutare la nuova arrivata.
«Avete sempre bisogno di farvi riconoscere voi tre, non è vero?»
Quella voce così cristallina risuonò nelle orecchie di Miyagi come un canto angelico.
«Ayakuccia!» esclamò con una dolcezza da diabete, andandole incontro come le peggio ragazzine dei manga shoujo.
Hanamichi e Hisashi dovettero trattenere la nausea.
«Cosa ci fai qui di bello?» chiese il Nano con gli occhi a forma di cuore.
Ayako indicò Akagi, il quale era andato ad accogliere Uozumi con una stretta di mano.
Tra tutti era l’unico che cercava di trovare un punto di incontro con i loro avversari.
«Akagi aveva bisogno di supporto morale, e dato che Kogure sta male e di solito è lui ad occuparsi di voi, oggi sono qui io» spiegò con un finto sorriso entusiasta stampato sulle labbra. «Se non volete che vi prenda a mazzate è meglio che facciate i bravi».
Sakuragi e Mitsui annuirono senza pensarci due volte; Miyagi era troppo impegnato a leccarle i piedi per rispondere di sì.
Tenere a bada quei quattro scalmanati, pensò la Manager dello Shohoku, era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma mettendosi nei panni di Akagi non aveva potuto ignorare la sua richiesta d’aiuto.
«Ryo» chiamò a bassa voce Hanamichi con una certa urgenza, ma Miyagi lo ignorò bellamente per inseguire Ayako, i quattro del Ryonan e Akagi dentro il locale per prenotare il loro tavolo.
Ad Hanamichi e a Hisashi, invece, era stato assegnato l’ingrato compito dal Gorilla di aspettare il resto della ciurmaglia – che poi neanche sapevano quanti mancassero all’appello.
«Per me possiamo pure entrare» aveva detto la Scimmia dopo pochi minuti, incrociando le braccia al petto. «Pensare di aspettare altra gentaglia del Ryonan mi fa venire l’orticaria».
«Se vuoi andare incontro alla furia di Ayako o Akagi, prego, io non sono ancora così masochista» fece Mitsui, appoggiandosi a una delle due colonne di marmo che si trovavano a pochi metri dall’entrata.
Hanamichi mugugnò qualcosa prima di prendere posto sulla colonna disoccupata.
Sospirò.
«Stai aspettando l’arrivo della tua bella?» chiese Mitsui senza tanti giri di parole, sogghignando appena.
La Scimmia sbuffò appena. «Ho paura che Ryo-chan mi abbia preso per il culo riguardo alla sua presenza stasera solo per convincermi a venire».
Odiava pensare di esser il pesce che aveva abboccato all’amo come un allocco.
Hisashi scosse la testa. «Ti assicuro di no. Miyagi è tante cose: uno stronzo, un Tappo, un Nano malefico e-» l’occhiata torva di Hanamichi lo fece smettere con gli insulti poco amichevoli. «Il succo è che arriverà, non ti abbattere perché non è ancora qui». S’infilò una mano tra i capelli per dargli più volume. «Francamente credevo che i tuoi gusti sarebbero cambiati, sai?»
Hanamichi lo fissò senza capire. «In che senso?»
«Lascia stare. Vorrei evitare che mi prendessi a pugni» fece l’ex-Teppista, dando un calcio ad un sassolino solitario sul marciapiede.
«Prometto di starmene buono, Baciapiselli» insistette Sakuragi. «Non sarà nulla di così scandaloso».
Hisashi lo guardò. «Non ne sarei così sicuro fossi in te».
Sakuragi increspò la fronte. Okay, ora si stava ufficialmente preoccupando.
«Sputa il rospo».
Mitsui alzò gli occhi al cielo. «Non mettermi ansia! Così mi fai davvero passare la voglia di continuare questa conversazione».
In cuor suo, Hisashi si maledisse. Non avrebbe mai dovuto tirare fuori il discorso così di punto in bianco.
Perché per una buona volta non imparava a cucirsi la bocca e cominciava a farsi un po’ di cazzi propri? Tutti sarebbero stati più contenti, lui compreso.
«Ti avviso che potrebbe nuocere gravemente alla tua salute da sedicenne» come se non fossi già abbastanza mentecatto di tuo.
«Non fare il saggio solo perché hai due anni in più di me, Teppista».
«Chiamalo poco, Tensai dei miei stivali» sbuffò Mitsui, grattandosi la nuca.     
Dopo qualche secondo, Hisashi prese coraggio – molto ossigeno dai suoi polmoni - e parlò.
«Hai mai provato attrazione per uno del tuo stesso sesso?»
Hanamichi, ora, guardava Mitsui con gli occhi grandi come due palloni da basket mentre quest’ultimo attendeva la morte con la consapevolezza che non ne sarebbe mai uscito vivo.
Ribadì, dentro la sua mente, che avrebbe dovuto tranciarsi la lingua una volta per tutte.
«Mit-chan» mormorò Sakuragi quando riuscì a recuperare le sue facoltà mentali – per chi ci credesse o meno, ne aveva da vendere. «…tu batti per l’altra squadra?»
L’ex-Teppista inarcò un sopracciglio, non nascondendo una leggera risata divertita. «È una metafora per chiedermi se mi piacciono gli uomini?» Lo chiese a bassa voce per evitare che la gente si facesse gli affari suoi.
Sakuragi annuì con un po’ di esitazione.
Mitsui sospirò. «Diciamo che non li disdegno, anche se in cuor mio preferisco il gentil sesso. Mi è capitato due o tre volte di pensare ardentemente “oh, mi scoperei quel ragazzo”».
Il volto di Hanamichi assunse la stessa tonalità dei suoi capelli. Non si capacitava di quella nonchalance nel dire una cosa tanto…imbarazzante.
Hisashi sorrise davanti al disagio della Scimmia: poteva sembrare un ragazzo che non si faceva riguardi su niente, ma quando si parlava di sesso si tramutava improvvisamente nella persona più pudica del mondo.
Era un verginello dopotutto.
Non sarebbe stato normale se Hanamichi avesse dimostrato troppa spavalderia su un argomento di cui, a livello pratico, non sapeva nulla.
«Ti fa schifo?» domandò Mitsui. «Intendo sapere che non sono devoto solo alle donne».
Sakuragi, ripresosi dal momento di imbarazzo, scrollò il capo. «Non sei il primo che conosco. Non ho mai avuto problemi, insomma, a relazionarmi con chi ha gusti diversi dai miei» borbottò, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Tutti abbiamo le nostre preferenze, no? Lo stesso vale per i gusti se…sess…»
«Sessuali, Scimmia» andò in suo aiuto Mitsui, ridendosela di gusto. «Hai paura che una forza oscura ti inghiottisca se proverai mai a dire ad alta voce parole a sfondo sessuale?»
Hanamichi lo fissò minacciosamente, quasi volesse incenerirlo con lo sguardo. «Non osare troppo, Teppista. Non ci metterei molto a spedirti sulla Luna a suon di calci».
Mitsui inghiottì l’ennesima risata.
Aveva a cuore la sua pellaccia.
«Quando hai detto che rare hai volte hai pensato di volerti…sì, hai capito». No. Sakuragi non ce la faceva proprio ad esser volgare in certi contesti. «Io non sono compreso nel pacchetto, vero?»
Mitsui dovette metterci tutto se stesso per non scoppiargli a ridere in faccia; percepì addirittura il suo stomaco fare le capriole durante quel tentativo.
«Tranquillo» lo rassicurò con un sorriso tremolante, dandogli una pacca sulla spalla. «Non sei esattamente il mio tipo». Ma di qualcun altro sì.
Sakuragi lo guardò incerto. «Non so se prenderlo come un complimento o un’offesa».
Hisashi fece spallucce. «La prima opzione credo sia la più appropriata».          
Il rosso annuì. Preferiva sapere di non essere oggetto di fantasia di quel Teppista piuttosto che venire a scoprire di esserlo.
«Chi è il tuo tipo quindi? Mi preoccuperò di metterlo in guardia».
Per Mitsui, quella domanda posta ingenuamente, corrispose al ricevere la palla da basket in mano e poter finalmente tirare per fare uno dei suoi splendidi tiri da tre punti.
Ringraziò mentalmente la Scimmia per l’opportunità di scoprire ciò che gli interessava senza che dovesse affrontare il calvario di chiederglielo direttamente.        
«Non è che abbia un prototipo di ragazzo ideale» iniziò, lasciandosi sfuggire apposta un sorriso malizioso che Hanamichi non comprese fino a quando Hisashi non sganciò la bomba. «Ma se devo indicarne uno, quel qualcuno sarebbe sicuramente Rukawa».   
Il silenzio cadde su di loro come un macigno.
Solo il rumore del motore delle macchine era chiaramente udibile adesso.
Il volto di Sakuragi, al contrario di poco prima, era diventato bianco come il gesso, le labbra ridotte a una linea sottile e le mani chiuse in un pugno.
Mitsui, da quella reazione, capì di aver fatto centro.
«È bello Rukawa» disse il numero quattrodici dello Shohoku come se fosse una verità innegabile. «Non è vero?»     
Hanamichi provò a parlare, ma per qualche strana ragione dalla sua bocca non uscì nemmeno un fiato. Fu come se la sua voce gli fosse rimasta incastrata nella glottide, spaventata da quello che avrebbe potuto dire.
«Ma guarda, Sakuragi e Mitsui!»
La voce di una persona che i due membri dello Shohoku conoscevano molto bene arrivò in tempo per salvare Hanamichi da quella situazione surreale.
Entrambi voltarono il capo e vennero travolti dal sorriso accecante dell’Asso indiscusso del Ryonan.
«Porcospino!» «Sendoh!» esclamarono in contemporanea, anche se Sakuragi con un po’ più di enfasi.
Avrebbe dovuto ringraziarlo per la sua entrata in scena nel momento del bisogno, ma una presenza ostile, specialmente una del suo calibro, non meritava alcun elogio.
Sendoh ridacchiò senza scherno alcuno. Era il pezzo di pane di cui il mondo non riusciva a fare a meno. «È da un po’ che non ci incontriamo. Come va?»
«Bene» dissero all’unisono, scambiandosi un’occhiata furtiva.
«Scusateci per il ritardo, ci siamo persi via e senza rendercene conto erano già le otto».
La Scimmia e il Teppista si domandarono perché cavolo stesse parlando al plurale.
Quando dietro la sua schiena sbucò la persona che Hanamichi aveva meno bisogno di vedere in quel momento, quest’ultimo perse un colpo, mentre Mitsui fece gesto di saluto come ogni civile essere umano, anche se, doveva dire, tutto si aspettava tranne che Rukawa arrivasse al Mizumachi in compagnia del suo acerrimo rivale.
«Yo, Rukawa» disse Mitsui. «Dite la verità: siete arrivati tardi perché avete passato tutto il tempo a fare le treccine alle barbie».
Kaede alzò gli occhi al cielo.
Erano passati tre secondi e già era stufo della presenza di quel cretino: era secondo solo al Do’aho per via di farlo incazzare.
Sendoh, vedendo l’amico alterato, rispose al suo posto. «Abbiamo giocato a basket. Non che ci si aspetti nulla di diverso da noi».
«No macché» fece Hisashi, chiaramente ironico. «Non c’è niente di più ovvio».
Akira sorvolò senza problemi sulle frecciatine di Mitsui, rivolgendo la sua attenzione sul rosso.
«È strano sentirti così silenzioso, Sakuragi. È successo qualcosa?»
Hanamichi si sentì improvvisamente schiacciato dal peso di tre paia di occhi. L’ultima cosa che voleva in quel momento era ricevere considerazione.
Rispose nella maniera più logica che conosceva.
«Vedere la faccia della Kitsune mi fa passare la voglia di conversare».
Mitsui si spiaccicò una mano in faccia mentre Sendoh la prese alla leggera e cominciò a ridacchiare come suo solito.
«Hn, tutto ricambiato idiota» grugnì Rukawa, fulminandolo con lo sguardo.
Il disagio di Hanamichi non fece altro che aumentare quando lo sentì parlare: aveva sempre avuto quella voce così calda o era lui che non c’aveva mai fatto caso?
Cazzo, pensò.
Aveva una voglia matta di prendersi a testate contro il muro per scacciare via quei pensieri.
Era la Volpe! Quando mai si era sentito così fuori luogo quando c’era lei di mezzo?
D’accordo che affiancarlo consisteva nell’esser divorati dalla sua aura intensa, ma così era un’esagerazione fuori misura.
Era tutta colpa di quel Teppista da quattro soldi se ora si sentiva incapace di ragionare a mente lucida.
Sakuragi aveva lo sguardo basso in quell’istante, per questo non vide che Rukawa lo stava scrutando, o meglio, analizzando.
Si era reso conto fin da subito, Kaede, che c’era qualcosa che non andava nella Scimmia.
Il modo in cui l’aveva guardato al suo arrivo, quasi fosse rimasto impietrito per la sorpresa, non era per niente da lui.
Solitamente non aveva che sguardi carichi di rabbia nei suoi confronti.
«Io credo sia meglio entrare» fece Akira, attirando l’attenzione su di sé. «Se non ci tagliano la testa sarà già un miracolo».
«Sono d’accordo con Sendoh» concordò Mitsui. «Ho bisogno di bere per dimenticare».
«Che cosa? Di essere un grande stronzo?» sibilò Sakuragi. «Non sei neanche maggiorenne».
Hisashi sorrise sibillino. «Ho qualche conoscenza qui dentro. Vedrai che non avranno problemi a procurarci qualche alcolico».
«Una birra la prenderei volentieri anche io» s’aggiunse Sendoh, rovinandosi ufficialmente l’immagine di Stinco di Santo dell’anno.
«Credevo fossi uno che non andava contro la legge neanche con una pistola puntata alla testa» ammise Mitsui, gli occhi leggermente sgranati.
Akira fece spallucce. «Non lo considero un reato. C’è chi fa di peggio».
Hanamichi e Hisashi si sentirono tirati in causa pur sapendo che Sendoh non si stava riferendo a loro.
Rukawa, dal canto suo, si era sinceramente stufato di stare a sentire i loro blaterare. Diede la schiena a tutti e tre, pronto a dirigersi verso l’uscio della porta per entrare nel locale.
Sendoh fu il primo ad accorgersi delle sue intenzioni e, essendo il più vicino, riuscì a fermarlo afferrandolo per il bordo laterale della giacca.
«Sei scortese a non aspettare i tuoi amici, Kaede». 
Per Hanamichi fu come esser colpiti in pieno da un fulmine.
Voltò il capo meccanicamente, quasi fosse mosso da una forza superiore e non dalla sua coscienza.
Davvero quel Porcospino aveva appena chiamato la Kitsune per…nome?
Quella mattina, rimembrava, aveva chiesto indirettamente alla Volpe con chi fosse in contatto di quelli del Ryonan. Ora non aveva più bisogno di risposte.
«Hn, siete lenti e continuate a sparare cazzate» si giustificò Rukawa, ma non lo rimproverò per quella confidenza come Mitsui e Sakuragi si sarebbero aspettati.
A rigor di logica, quella non doveva essere la prima volta che Sendoh si prendeva tutte quelle libertà con il Ghiacciolo.
Akira sfoderò uno dei suoi sorrisi da bonaccione, poi lo seguì a ruota, lasciando i due giocatori dello Shohoku sconcertati alle sue spalle, chi più e chi meno.
Hisashi fu il primo a riprendersi, e alla domanda ad Hanamichi: «Tutto okay?», quest’ultimo rispose con tranquillità: «Oh sì. Va tutto benissimo».
Mitsui lo guardò con timore in volto.
Bastava guardare i suoi occhi ridotti a due fessure per capire che no, non andava per niente bene.
 
 
**
 
 
Una volta che gli ultimi arrivati fecero la loro comparsa ai due tavoli – abbastanza lontani l’uno dall’altro - dove si era radunato il resto del gruppo, tutti e quattro, nessuno escluso, si beccarono una strigliata di quelle pesanti.
Sendoh venne “malmenato” da Uozumi e Koshino, Rukawa venne preso a ventagliate da Ayako e gli altri due vennero sgridati per il semplice fatto che era bello insultarli. 
Conclusi i convenevoli, i baldi giovani si sedettero dove era rimasto qualche posticino per loro.
Hanamichi si preoccupò di distanziarsi il più possibile dal Porcospino e dalla Volpe pur essendo nel loro stesso tavolo, giusto per evitare di assistere ad altre scene pietose in cui doveva sorbirsi Sendoh “Benedetto dal Signore” Akira che chiamava il Ghiacciolo con il suo nome, senza neanche aggiungerci uno straccio di onorifico.
Se gli aveva dato fastidio? No. Avrebbe solo voluto far saltare per aria tutti i porcospini e volpi umane che si trovavano nel raggio di dieci metri.
Era incazzato nero. Specialmente con se stesso perché non riusciva a spiegarsi come mai provasse tutto quel rancore per una banalità.
Se non si conoscesse abbastanza bene direbbe addirittura che era geloso. Geloso marcio. 
Sapendo però che non aveva alcuna ragione di esserlo, decretò che era così imbufalito per il semplice fatto che Rukawa era un membro dello Shohoku, e come tale non poteva permettersi tutta quella familiarità con il Ryonan, in primis con il suo Asso nella manica.
«Che cos’ha Hanamichi?» domandò Miyagi a Mitsui quando quest’ultimo gli si sedette vicino. «Mi pare parecchio su di giri».
Hisashi sospirò. «Non è solo apparenza. Se è così è anche colpa mia».
Ryota lo guardò storto. «Che cavolo hai combinato Baciapiselli?»
“Potrei inavvertitamente aver forzato la mano per togliere i prosciutti sugli occhi alla Scimmia” sarebbe stata la sua risposta, ma il Nano non sapeva nulla perché a cose come un interesse amoroso tra due suoi compagni di squadra non gli passavano nemmeno per l’anticamera del cervello.
«L’ho solo stuzzicato un po’ sulla sorellina del capitano» mentì, ghignando appena.
Miyagi gli diede un colpo diretto sul coppino. «Sei sempre il solito idiota».
Dopo un paio di minuti il cameriere, amico di Hisashi, si avvicinò al loro tavolo per prendere le ordinazioni.
Spifferò a bassa voce che, chi voleva, poteva prendere anche l’alcol.
«Io passo» fece Akagi, dimostrando ancora una volta quanto fosse un maschione diligente. «Prenderò un succo di mela».
Uozumi, Ayako, Uekusa, Koshino, Ikegami s’aggiunsero al gruppo degli astemi. Tutti gli altri o erano indecisi, o c’era chi aveva preso birra e Malibu senza battere ciglio – senza far nomi: Sendoh e Mitsui.
Miyagi seguì gli altri due, ordinando un bicchierino di Baileys.
Rimanevano solamente Sakuragi e Rukawa, dopodiché il cameriere se ne sarebbe andato.
«Non so che prendere» ammise la Scimmia. Non era un grande fan dell’alcol. «Mit-chan, qualche suggerimento?»
Hisashi lo avrebbe voluto uccidere.
Che cazzo lo chiamava con quel nomignolo squallido in mezzo alla loro squadra rivale.
«Arrangiati» fu la risposta secca. «…ma se proprio prenditi un Mojito».
Accidenti a lui. Non riusciva a resistere quando si trattava di consigliare quale cocktail prendere. Dopotutto era un intenditore di roba buona.
«Vada per un Mojito allora» disse Hanamichi. 
Mancava solo la Volpe ora, e chissà perché sembrava guardare il listino con tremenda sofferenza.
«Non abbiamo tutto il giorno» asserì il rosso, in missione per rompergli i coglioni.
Rukawa non si scompose, troppo concentrato su cosa scegliere o non scegliere, e questo lo indispettì non poco.
«Non sei costretto a prendere qualcosa» arrivò in suo aiuto Super Sendoh, appoggiandogli una mano sulla spalla.
Te la brucio quella mano, pensò Sakuragi con un diavolo per capello, stringendo forte i denti. Anzi, ti do fuoco direttamente.
«Lo sai che saresti in grado di ubriacarti con l’acqua frizzante» lo disse piano, ma il rosso era talmente preso a sentire cosa stavano confabulando che comprese le sue parole.
Tutto intorno ad Hanamichi sembrò fermarsi davanti a quella rivelazione.
Aveva capito bene? La Kitsune non reggeva l’alcol?
A giudicare dall’espressione spaventosa che assunse il suo volto sì, il perfetto e imbattibile Kaede Rukawa non aveva lo stomaco di ferro. Per niente.
Sul volto di Hanamichi si ergeva ora un sorriso che non prometteva nulla di buono.
Mitsui fu il primo ad accorgersene. Non aveva mai abbandonato le occhiate veloci in direzione della Scimmia per la paura che combinasse qualche cazzata.
«Ru-ka-wa-kun» sillabò Sakuragi con una certa euforia, incurante di avere tutti gli sguardi del suo tavolo – quindi di Hisashi, Miyagi, Sendoh, Koshino e ovviamente della Volpe – puntati addosso.
«Cosa vuoi, Do’aho?» Gli domandò senza mostrare particolare interesse, anche se il fatto che lo avesse chiamato in quella maniera non voleva significare nulla di buono.
Hanamichi si appoggiò il palmo della mano alla bocca per evitare di rendere troppo evidente la sua risatina sotto i baffi.
Era l’ora della rivincita su quella Baka Kitsune, e lo avrebbe fatto in grande stile.
«Che ne dici di una sfida?» chiese con sorrisetto strafottente che istigò non poco i nervi di Rukawa. «A chi regge di più l’alcol, ovviamente».   
Se non poteva batterlo nel basket, sicuramente lo avrebbe stracciato e umiliato in quell’occasione. Non si sarebbe mai lasciato sfuggire un’opportunità simile.
«Se ti dicessi di no?» rilanciò la Volpe, battendo le dita sul tavolo.
Mitsui, forse, era l’unico a rendersi conto che non sarebbe finita bene se la sfida avesse davvero avuto luogo.
Hanamichi avrebbe giocato tutte le carte false che aveva a disposizione per convincerlo.
«Saresti un codardo». Non lo provocò con scherno ma con disappunto. «Non mi stupirei, in ogni caso. Oltre a fare il figo a basket non sai fare altro».
Quella sarebbe stata una botta pesante per chiunque, anche per un pacifista come Sendoh.
Rukawa si voltò verso il cameriere e, glaciale come solo lui poteva esserlo, ringhiò: «Portami la cosa più forte che hai».
«Kaede» provò a dissuaderlo Sendoh, ma non ottenne i risultati sperati.
Glielo leggeva in faccia che Rukawa non avrebbe mollato la presa proprio adesso che aveva accettato la competizione.
«Fai anche per me» disse Hanamichi, cambiando idea sulla sua ordinazione. «Non posso permettermi di essere da meno».
Nessuno fiatò più fino a quando non venne portato ciò che era stato richiesto.
Nel momento in cui Hanamichi e Kaede cominciarono ad ingerire i primi sorsi, in testa l’obiettivo di distruggere l’altro, Mitsui individuò con la coda dell’occhio una figura minuta che si stava avvicinando verso di loro con il sorriso stampato sulle labbra.
«Porca merda» fu tutto quello che riuscì a mormorare.
     
 
**
 
 
Alla fine non vi furono né vincitori né vinti, solo due teste di cazzo che al secondo bicchiere erano miseramente collassate sulle loro sedie peggio delle patate lesse.
Mitsui, al di là della preoccupazione che quei due pagliacci ubriachi avessero potuto distruggere il locale, aveva nutrito grandi aspettative sul loro scontro.
Dopo aver impedito alla sorellina del Capitano di raggiungere gli sfidanti con una scusa – banalissima tra l’altro, ma era risaputo che la Akagi non eccellesse per via di neuroni -, era ritornato al suo posto con un peso in meno sul cuore, convinto di godersi uno spettacolo unico nel suo genere.
Non era stato nemmeno divertente, all’inizio.
Si erano scambiati insulti reciproci come era loro solito fare.
«Vedrai stupida Kitsuneeh!» aveva sbottato Hanamichi, mantenendo con qualche difficoltà l’equilibrio mentre indicava la figura di Rukawa davanti a sé, la quale continuava a ciondolare in avanti e indietro. «Un giorno riuscirò a stopppparti e ti piegherai al coshpeto del Tensaiii» aveva continuato a biascicare, additando il suolo come prova che non stava scherzando.
Rukawa aveva scosso la testa ripetutamente, sbattendo un pugno sul tavolo.
«Nei tuoi sogni, baaaaaaka».
Erano andati avanti a quel modo per i primi buoni quaranta minuti, sfidando ogni presente alla loro tavolata a non picchiarli fino a quando non si fossero cuciti la bocca.
In quell’arco di tempo, Sendoh – riluttante - e Koshino si erano spostati momentaneamente come uccellini migratori nell’altro gruppo perché chiamati da Uozumi. 
A pochi minuti dalla loro scomparsa, i metabolismi della Scimmia e della Volpe avevano cominciato a lavorarsi per bene l’alcol e le cose avevano iniziato a diventare interessanti.
Dallo schernirsi a vicenda, il duo vincente era passato a ridersela per ogni minima cosa.
Vedere Sakuragi abbandonarsi alle sue risate di fabbrica non era così strano; era Rukawa il vero miracolo in mezzo al bordello.
Miyagi e Mitsui si erano strofinati più volte gli occhi per esser sicuri di non aver le traveggole.
La Volpe che mostrava di divertirsi era l’evento più raro e imperdibile della storia dell’umanità, ma la cosa ancora più sconcertante era che se la stava spassando con Sakuragi, il Do’aho che offendeva almeno un centinaio di volte al giorno per sport dopo il basket.
Quei due, a lungo andare, rischiavano di far diventare l’impossibile possibile.   
«Devi registrare tutto» aveva detto Mitsui al Nano con una certa urgenza. «Prendi fuori il telefono e fai un dannato video».
Miyagi si ficcò le mani tra i capelli. «L’ho dimenticato!»
Hisashi sospirò pesantemente. «Sei inutile come la tua altezza!» fu la risposta sprezzante.
Si beccò immediatamente una fulminata. «Perché non lo fai tu? Ah no aspetta, i tuoi non ti comprano un bel niente perché sei un mentecatto fannullone!»
Dopo più di un paio di offese, erano finiti con l’allontanarsi per andare alla ricerca disperata di un qualsiasi oggetto tecnologico che gli permettesse di girare un video, abbandonando così la coppia che si stava cimentando nel gioco di sasso, carta e forbice.
Erano piuttosto sicuri che in quelle condizioni non sarebbero finiti per fare a botte o combinare cazzate di altro tipo.
«Ho perso di nuovooo…» si lagnava Hanamichi, storcendo il labbro inferiore. Era davvero frustrante perdere con il sasso, pensò. Non era forse il materiale che in teoria spaccava tutto?
Rukawa, che nel frattempo si era spostato sulla sedia accanto a quella del rosso – azione che da sobrio non avrebbe mai fatto -, gli diede un’amichevole pacca sulla spalla.
«Sarà per la prossima volta» gli aveva detto rassicurandolo, poi gli propose di rigiocare. «Un’altra?»
Il numero dieci dello Shohoku accettò subito con entusiasmo, pronto a rivendicare la sconfitta.
Contarono fino a tre, uno più scoordinato dell’altro, con voce altalenante.
Al contrario, le loro mani si spalancarono in contemporanea, facendo il gesto che simboleggiava la carta.
«Pari…» farfugliò Rukawa amareggiato.
Gli dispiaceva che Sakuragi non fosse riuscito a vincere neanche questa volta.
Se avesse avuto il potere di leggergli nella mente avrebbe sicuramente cambiato segno.
Il rosso scosse la testa. «Conosco una mossa segreta!» esclamò tutto contento, come se avesse appena scoperto l’acqua calda. «Posso fartela vedere?»
Kaede annuì, attendendo la genialata che Sakuragi si era appena inventato.
Hanamichi, allora, avvicinò il suo palmo fino a toccare quello della Kitsune, poi intrecciò le sue dita con quelle dell’altro.
«Che ne dici?» domandò con l’ingenuità e la spensieratezza di un bambino, stringendo la presa con forza moderata per percepire meglio il contatto con la pelle calda dell’altro.
Rukawa studiò attentamente quel groviglio di falangi prima di sciogliersi in un sorriso che avrebbe fatto strisciare ai suoi piedi anche l’animo più imperturbabile dell’universo.
Hanamichi non era proprio nelle sue piene facoltà mentali per rendersi conto di quanto quel sorriso sul viso della Volpe fosse prezioso, ma per quanto il suo cervello potesse essere annebbiato dall’alcol una cosa era certa.
«Sei bellissimo, lo sai?»
Avete presente cosa vuol dire quando si ha un pensiero fisso che non ci si riesce a togliere dalla testa fino a quando non lo si è detto ad alta voce? Ecco.
Sakuragi sentiva la necessità di ammettere quella verità inconfutabile da quando si era scontrato con Rukawa per la prima volta sul tetto della scuola.
Ricordava ancora come il suo cuore avesse perso un battito per colpa del suo sguardo azzurro e freddo come il ghiaccio. Bello e dannato.
Aveva passato mesi e mesi a negarsi ogni tipo di apprezzamento nei confronti della Volpe, rimpiazzandoli con parole avvelenate da un odio che non era così radicale come voleva far credere - non poteva dire che Rukawa si facesse amare con il carattere che aveva e con la sua apatia, ma Hanamichi era più che sicuro di non odiarlo.
Aveva provato che cosa volesse dire odiare fino al punto di voler uccidere quando non era riuscito a salvare suo padre.
Quello che provava per la Kitsune non era minimamente paragonabile a quel tipo di ostilità.
Che cos’era, allora?
Per Yohei, per esempio, provava un forte amore fraterno; per Haruko…per Haruko provava un grande affetto per innumerevoli motivi, primo tra tutti il suo contributo ad averlo avvicinato al basket.
Il cuore gli batteva ancora quando pensava alla sua dolcezza ed ingenuità, ma non con la stessa intensità dei primi tempi.
L’amore per lei si era lentamente assopito con il passare dei giorni, e di questo ne era a conoscenza solo il suo migliore amico.
Con gli altri, invece, teneva allestito il suo solito teatrino per non andare incontro a domande scomode alle quali non sarebbe riuscito a dare una risposta.
Era una preoccupazione infondata eppure, chissà perché, era terrorizzato dal fatto che potessero vedere al di là delle mura le sue debolezze.
Una di queste, guarda caso, era proprio Rukawa.  
Gli occhi lucidi per la sbornia del Rosso tornarono a fissare l’altro non appena si rese conto di averli inavvertitamente portati sul parquet, la testa che ciondolava da una parte all’altra.
I pensieri, realizzò, diventavano davvero pesanti quando si beveva.
Non si era nemmeno accorto che Rukawa aveva abbandonato il loro contatto per portarsi una mano alla bocca, le sopracciglia pericolosamente corrugate.
Un codice rosso gli scattò nel cervello, tuttavia era troppo fuori come un balcone per rispondere agli stimoli esterni e comprendere la situazione.
Azzardò un: «stai bene?»
La Kitsune scosse la testa e, prima di scappare via come un cerbiatto, affermò: «Devo vomitare».
Hanamichi ci mise un po’ prima di comprendere il significato di quell’informazione; quando finalmente lo afferrò, si alzò anche lui di botto dalla sedia e seguì il percorso del compagno di squadra.
Vacillò, inciampò sui suoi stessi piedi un paio di volte e si scontrò pure con dei clienti, i quali imbufaliti gli avevano urlato dietro quanto maleducato fosse.
Si lasciò scivolare quelle parole addosso come acqua: fosse stato in sé li avrebbe pestati a sangue.
Riuscì a superare l’uscio di quello che doveva essere il bagno, trovando equilibrio solo quando riuscì ad appoggiarsi con la mano al muro bluette.
Si guardò attorno con lentezza, constatando che di cinque porte solo una era chiusa.
«V-Volpe» chiamò goffamente, andando contro all’anta della porta di peso. Si chiedeva come cazzo avesse fatto a giungere fino a lì quando faceva fatica a tenersi in piedi. «Volpe sei lì?»
Non ricevette risposta.
Decise di bussare delicatamente, quasi avesse paura di svegliare un bambino che dormiva profondamente.
Nessuna risposta neanche quella volta.
Diede un’occhiata fugace alla serratura e si rese conto che, chiunque ci fosse lì dentro, non aveva chiuso a chiave.
A quel punto agì d’istinto – strano no? – e spalancò la porta, trovandosi davanti Rukawa appoggiato con la schiena all’ampia parete del bagno, il capo leggermente inclinato verso il basso e i palmi delle mani spiattellati in faccia.
Ad occhio e croce non doveva aver rigettato l’alcol che aveva in corpo.
«Volpe…?» disse per l’ennesima volta anche se con più esitazione, ostentando un passo in avanti. «Sei vivo? Posso fare qual-»
Si ritrovò addosso gli occhi di Rukawa, occhi pieni della stessa rabbia ingiustificata di quella mattina; e così come quell’occhiata funesta si era abbattuta improvvisamente su di lui, così Rukawa si era scollato senza preavviso dalla sua postazione per prendere Hanamichi dal bavero della maglia e sbatterlo letteralmente contro la parete laterale.
«Stai…zittoo» biascicò stringendo la presa, il volto niveo che si faceva sempre più vicino a quello olivastro dell’altro. «Voglio solo che tu stia zitto».
Hanamichi si sentì mancare l’ossigeno al sol percepire il respiro caldo di Rukawa all’altezza dell’incavo del suo collo.
Cos’era poi quel profumo fresco che sembrava emanare la sua pelle?
Si abbassò leggermente per poterlo assaporare meglio, ma la Volpe si scansò di scatto come scottato, dandogli un colpo fiacco sul petto.
Era stato lui il primo a ridurre le distanze. Perché allora ritrattare?
Kaede si passò le dita tra i capelli neri come il carbone. La parte razionale di sé stava cercando di combattere contro quella che voleva lasciarsi andare alle sensazioni che scalpitavano come cavalli impazziti nel suo corpo.
Se solo non avesse accettato l’idiotissima sfida della Scimmia non si sarebbe trovato in quella situazione che gli stava completamente sfuggendo di mano.
«Devo…» iniziò, voltando le spalle alla sua tentazione che ora lo osservava senza capire che cosa avesse intenzione di fare. «…tornare indietro».
Fece un passo, poi un altro in direzione della porta della sua salvezza.
«P-perché?» chiese Sakuragi, il tono quasi dispiaciuto. 
Lo stomaco di Rukawa si accartocciò su se stesso. Le sue orecchie non potevano sopportare oltre la presenza della sua voce che, per quanto potesse esser distorta a causa del bere, manteneva quella cadenza mascolina che Kaede reputava la più provocante che avesse mai udito.  
Sarebbe impazzito.
Seguì la prima idea che gli venne in mente, replicando un: «…Sendoh mi aspetta».
Fu la scelta più sbagliata, tanto è vero che Hanamichi venne travolto da un’ira indescrivibile quando Rukawa tirò in ballo il nome del Porcospino, furia che si trasformò presto in una risata sommessa.
La Kitsune si voltò con lentezza a prova di bradipo, non comprendendo la natura delle sue risa.
«Capiscooo…» sospirò il numero dieci dello Shohoku, appoggiando la testa contro la parete. L’alcol ti faceva incazzare, ti rendeva triste, perso o felice. Nel pacchetto era compresa pure la franchezza. «Corri dal tuo principe allora». E la volgarità a limiti estremi. «Fatti scopare per bene da lui, Kaede».     
Rukawa, nella lucidità del momento, vide nero.
Lo prese per la collottola per la seconda volta con rinnovata forza e con un pugno secco lo colpì sullo zigomo.
Hanamichi cadde rovinosamente indietro all’impatto, i muscoli che non risposero adeguatamente alla sua richiesta di aiuto.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, sia Rukawa che Sakuragi sarebbero morti di certo.
Non si erano mai fissati con così tanto sprezzo neanche nei loro periodi peggiori.
Fu però proprio quel disprezzo a guidarli oltre i loro confini, abbattendo il muro che avevano innalzato tra loro per non cedere a tentazioni distruttive.
Hanamichi, nonostante lo stordimento iniziale, allungò un braccio per afferrare Rukawa per la camicia e trascinarlo sul pavimento con sé, i grandi occhi castani pregni di rabbia ma anche di una sensazione nuova con cui non credeva avrebbe mai dovuto fare i conti.
Kaede non provò nemmeno a combatterlo, aspettando la sua prossima mossa, che fosse un pugno o altro.
«Non ti…sopporto» disse Sakuragi senza che nessuno dei due ci credesse davvero, prima di annullare la distanza dolorosa tra le loro labbra.
Rukawa tralasciò lo stupore e rispose immediatamente a quel contatto con la stessa irruenza di uno che non aspettava altro da anni, allacciando le braccia attorno all’ampia schiena di Hanamichi.
Per Sakuragi, quello era il suo primo bacio, per questo si lasciò guidare dai lembi rosei di Kaede – quanto bello era il nome Kaede? – che sembravano tutt’altro che inesperti.
Non fu un bacio casto, per niente: avevano dischiuso le labbra non appena si erano toccate, in modo tale da permettere alle loro lingue di trovarsi, accarezzarsi e gustarsi come se non esistesse nulla di meglio al mondo.
L’adrenalina, l’alcol in circolo e la passione per lungo tempo assopita guidavano ora i loro movimenti lascivi e curiosi di scoprirsi.
Era in momenti del genere che ricordavano di avere solo sedici anni, di esser dotati di ormoni galoppanti e di organi genitali che rispondevano in maniera anche troppo funzionante agli stimoli.
Attraverso le loro movenza scoordinate, Hanamichi era finito con il schiacciare la schiena di Rukawa contro la parete per poter slacciare i bottoni fastidiosi della camicia.
Che senso aveva nascondere tutto il suo ben di Dio dietro a strati di tessuto così scomodi?
Quando si rese conto che non ce l’avrebbe mai fatta a coordinare i movimenti delle sue dita decise di usare i metodi forti.
Non chiese alcun consenso a Kaede, semplicemente afferrò la parte superiore dell’indumento e tirò giù fino a quando non saltarono per aria, uno dopo l’altro, tutti i bottoni.
Rukawa non riuscì a protestare di fronte a quel gesto per due motivi: il primo perché, cazzo, fare il frigido in momenti simili sarebbe stato proprio da stupidi; il secondo perché Sakuragi gli stava fissando il busto scoperto con una venerazione quasi imbarazzante.
«Dio…» lo sentì sussurrare a pochi centimetri dal suo viso prima che le sue dita andassero a tastare i capezzoli turgidi dall’eccitazione. Kaede ebbe quasi uno spasmo. «Sei così fottutamente…bello».
Detto quello, Hanamichi si rituffò sulla bocca dell’altro, facendo morire sulle sue labbra tutti i gemiti che Rukawa emetteva ogni qualvolta che Hanamichi stuzzicava le sue areole con una meticolosità che nessuno dei due si aspettava potesse avere.
Deliziato dalle sue attenzioni, Kaede s’abbandonò a lui tra un mugolio e l’altro, facendogli credere di avere il completo controllo della situazione.
Aveva desiderato quel momento da mesi, Rukawa, ma per ovvie ragioni non c’aveva mai sperato davvero.
Credeva che l’amore che Sakuragi nutriva per quell’idiota della Akagi non sarebbe venuto meno neanche con il passare degli anni, per questo non si era mai azzardato a fare un passo in avanti per reclamare un’attenzione diversa dall’ostilità che Hanamichi provava nei suoi confronti.
Cos’era cambiato? Gli avrebbe voluto chiedere; tuttavia non era così masochista da lasciarsi sfuggire forse l’unica occasione che aveva per riuscire ad ottenere quello che voleva.
In un movimento rapido, Rukawa riuscì a bloccare il percorso di Sakuragi per sfilargli la maglietta; dopodiché fece scorrere le dita lunghe dapprima sulla zip dei suoi pantaloni, poi su quella di Hanamichi.
Gli lanciò un’occhiata, aspettando che il rosso intuisse dove voleva arrivare.
Quando lo vide esitare decise di accelerare i tempi: agguantò l’elastico dei suoi boxer e lo abbassò, lasciando la possibilità alla sua erezione di trovare finalmente respiro.
Gli occhi di Hanamichi si accesero di stupore e nemmeno per un secondo vennero attraversati da emozioni come paura o disgusto.
Fu la prova del nove con cui Rukawa comprese che Sakuragi, alla fine, non fosse così etero come lasciava trasparire dal suo essere costantemente ai piedi della sorella del capitano.
Si lasciò scappare un breve sorriso che non sfuggì allo sguardo attento dell’altro.
Hanamichi gli accarezzò una guancia prima ancora di realizzare di aver fatto quel gesto. «Dovresti sorridere più spesso, Kaede» gli suggerì, regalandogli anch’egli un sorriso splendente.
Quanto suonava bene il suo nome quando era lui a pronunciarlo?
«Hn…ci penserò…»
Senza accorgersene erano ritornati a baciarsi, se possibile, con ancora più foga. Si cercavano, si volevano con la stessa intensità con cui un uomo bramerebbe l’aria dopo lunghi ed interminabili secondi in apnea.
Rukawa fece scivolare le falangi sul basso ventre scolpito di Sakuragi fino a raggiungere la sua intimità, la punta rovente e bagnata quanto la sua.
Gli doleva ammetterlo da una parte ma Madre Natura era stata davvero premurosa con Sakuragi, più di quanto non lo fosse stato con lui.
Non che avesse da lamentarsi, in ogni caso. 
Hanamichi ansimò all’istante, per niente abituato a ricevere certe attenzioni da mani che non fossero le sue.
Riuscirono a trovare la maniera per incastrare le gambe in modo tale che riuscissero a far combaciare i loro bacini senza interrompere il contatto tra le loro labbra. Nessuno dei due, quella sera, sarebbe tornato a casa insaziato.
Rukawa prese l’iniziativa, e con la mano destra afferrò entrambi i loro sessi, facendo scorrere ritmicamente le dita verso l’alto e poi verso il basso.
Per Hanamichi fu una sensazione devastante tanto era l’eccitazione che stava provando. Senza vergogna si abbandonò a gemiti sconnessi ogni qualvolta Rukawa toccava punti che lo facevano letteralmente impazzire.
Neanche Kaede si trattenne. Avrebbe avuto tempo per pentirsene, ma ora non cercava pretesti per avere dei rimorsi e tirarsi indietro.
«Ah…Vol…pe» ansimò arrochito il rosso tra i tremiti, aggrappandosi al corpo marmoreo e sudato della sua nemesi per il terrore di cadere all’indietro da un momento all’altro. Gli stavano venendo meno le forze per colpa dei suoi tocchi.
Rukawa, in risposta, gli morse l’incavo del collo, intimandogli minacciosamente: «Non…Volpe».
Hanamichi, nel pieno delle sue facoltà, avrebbe inveito o perlomeno reagito; invece venne percorso da un brivido lungo tutta la schiena.
Non sapeva che esser “comandati” in certe situazioni potesse essere così eccitante.
Nonostante ciò, non voleva essere da meno di Kaede.
Unì la sua mano a quella dell’altro sulle loro erezioni ed iniziò a masturbarle, seguendo il ritmo dettato da Rukawa. 
Anche se rispetto a lui recitava dei movimenti piuttosto goffi per via della sua inesperienza, Kaede sembrò gradire il suo contributo.
I suoi gemiti cominciarono a crescere, gli occhi a inumidirsi, le guance ad imporporarsi, rendendo il contrasto della sua carnagione lattea con il rosso un miscuglio delizioso.
Hanamichi gli baciò le labbra umide, gli zigomi, la mascella, il collo; tutto. Ogni singola parte del corpo di Kaede era così bella che non poteva fare a meno di lambirla.
Voleva imprimere su quella pelle una parte indelebile di sé.
Vennero quasi in contemporanea dopo istanti che sembrarono interminabili, l’uno sul basso ventre dell’altro.
Stanchi per lo sforzo, non si degnarono di una parola, all’inizio. Si preoccuparono maggiormente di distanziarsi, riprendere fiato e ripulirsi dal loro seme con qualche pezzo di carta igienica.
Nonostante l’imbarazzo palpabile, il primo dei due a sciogliere il ghiaccio fu incredibilmente Hanamichi.
«Che si fa…?»
Rukawa si portò le ginocchia al petto. «Non saprei. La mia camicia è andata».
«Ah sì…» farfugliò Sakuragi, giocando con una ciocca rossa scombinata. «Mi dispiace…credo».
Rukawa lo guardò con stupore velato. Non gli aveva mai chiesto scusa prima d’ora.
«Sei ancora ubriaco?»
Hanamichi scosse il capo, mordendosi il labbro inferiore.
Se avesse finto si sarebbe salvato in calcio d’angolo. Purtroppo per lui non valeva un soldo come bugiardo.
«Solo mal di testa e un po’ di stordimento. Tu?»
«Hn, anche io» affermò Kaede. «Ti stai pentendo?» chiese diretto, senza farsi un occhio di riguardo.
Hanamichi alzò lo sguardo lentamente, incontrando le iridi azzurre di Rukawa.
Non riusciva a leggere che cosa si aspettasse. I suoi occhi non esprimevano alcun tipo di emozione in particolare.
«Non penso. Cioè…è capitato tutto così in fretta e io boh, non me ne intendo di queste cose. Non me la sento di parlarne adesso, ecco il fatto». Fu la risposta inconcludente.
Rukawa non s’incazzò. Forse rimase un po’ deluso – senza mostrarlo –, ma non venne attraversato neanche per un istante dalla rabbia o altro.
Non si era aspettato certo che la Scimmia gli proclamasse il suo amore. Gliel’aveva letto fin da subito in viso che non era pienamente cosciente di quello a cui stava andando incontro.
Lui, al contrario, sì. Aveva deciso di buttarsi pur sapendo che avrebbe potuto pagarla cara.
«Va bene» si limitò a dire Kaede, dandosi una spinta per potersi tirare su in piedi. Se fosse rimasto seduto a terra altri cinque minuti avrebbe perso la sensibilità del fondo schiena.
Con sua sorpresa, le dita di Sakuragi lo afferrarono per il polso per la seconda volta.
«La domanda la rivolgo io a te adesso» disse Hanamichi, lo sguardo deciso. «Tu ti penti?»
Ah, Do’aho. Quanto sei imbecille da uno all’infinito e oltre?
«No». Disse la verità. «Sarei stupido ad avere rimorsi per qualcosa che mi ha fatto godere». Una mezza verità.
«Capisco…» mormorò l’altro con voce bassa, allentando la presa. «È strano che tu abbia fatto una cosa del genere con una persona che odi».
Rukawa si fece accigliato di botto.
Non accettava che gli venissero messe in bocca parole che non aveva mai nemmeno pensato.
«Guarda che tra i due sei tu quello che odia me. Sbaglio o ad inizio anno sei stato tu ad attaccar briga senza nemmeno conoscermi?»
Per qualche motivo sconosciuto Sakuragi si fece sorpreso. «Te lo ricordi?»
Kaede alzò gli occhi al cielo. «Difficile scordarlo. Sono stato all’ospedale a farmi fasciare la fronte per colpa delle tue testate, Do’aho».
Hanamichi si schiarì la voce. «Già. Ho sempre avuto la zucca di ferro sin da piccolo».
Si vede.
«E comunque…» continuò alzandosi anche lui in piedi, le gote leggermente arrossate. «Io non ti odio. È vero che spesso ti urlo addosso che sei una Baka Kitsune o altro di un po’ meno ortodosso, però non ti odio» mugugnò, girandosi i pollici per non sostenere lo sguardo di Rukawa. «Mi fai incazzare perché vorrei riuscire almeno nella metà delle cose in cui riesci tu».
Rare volte a Rukawa era capitato di rimanere a bocca aperta davanti ad una rivelazione.
Quello era uno di quei pochi casi.
Sentirsi dire onestamente in faccia dalla Scimmia che non lo odiava era più di quanto si potesse aspettare.
Forse non avrebbe dovuto mollare così in fretta come credeva.
«Non hai nulla da dire, Volpe?!» sbottò in preda all’imbarazzo, stringendo i denti. «Non con mugugni ma con parole possibilmen-»
Non riuscì a concludere.
Rukawa lo aveva attirato a sé e lo aveva baciato. Lo aveva baciato senza il pretesto dell’alcol o di altre scusanti poco credibili.
Hanamichi credette di collassare per lo stupore.
«Sì, ho qualcosa da dire» replicò Rukawa sulle sue labbra, appoggiando l’indice all’altezza del petto di Sakuragi. «Non dimenticarti chi ti ha fatto battere il cuore in questa maniera».
Detto quello recuperò la camicia disfatta, se la mise addosso e s’avviò verso la porta del bagno, lasciandosi alle spalle un Hanamichi completamente sconvolto.
Avrebbero avuto tempo di riparlarne nei giorni a venire, ma ora era meglio tagliare la corda e lasciare che arrivasse alla conclusione di quello che voleva da solo.
«Vi siete divertiti là dentro, Kohai?» fu la domanda retorica che travolse Kaede non appena varcò la soglia, l’allusione diretta alla camicia completamente sbottonata.
Rukawa fissò la figura del compagno di squadra con un sopracciglio inarcato.
«Sei stato qui tutto il tempo, Senpai
Mitsui annuì con un sorrisetto furbo, le braccia conserte al petto. «Se non fossi rimasto a fare da guardia avreste dato spettacolo a molti clienti, credimi». Incrociò le gambe. «Non sai quanto mi è costato convincere gli altri a non venirvi a cercare. Se ti interessa sono rimasti solo il Porcospino ed Ayako di là».
Kaede gli fu grato nel profondo, ma liquidò la faccenda con uno scorbutico: «Hn, immagino dovrei ringraziarti».
L’altro scrollò il capo. «Non vorrei che ti affaticassi troppo ora che sei sobrio. In compenso potresti ringraziare il tuo amico Sendoh visto che ha assecondato il mio piano».
Gli occhi di Rukawa s’accesero all’istante, ma non per il motivo che Mitsui credette. «Akira?»
Hisashi corrugò la fronte all’istante. «Cos’è tutta questa informalità con Sendoh, Rukawa?» Voleva vederci chiaro in quella situazione prima di incazzarsi. «Se hai intenzione di fare il doppio gioco con la Scimmia e il Porcospino sappi che non ti per-»
«Amici d’infanzia».
A Mitsui morì il resto del discorso in gola.
«…scusa?»
Kaede alzò gli occhi al cielo. Non sopportava ripetersi.
«Amici-di-infanzia». Fece una pausa tra una parola e l’altra. Forse così avrebbe capito. «I nostri genitori sono amici da prima della nostra nascita».
Solo Akagi ed Ayako erano a conoscenza del loro legame. Kaede non aveva mai voluto renderlo uno scoop per non influenzare il pensiero della gente quando si scontravano in partita.
Il Teppista fece fatica ad abbandonare il suo sbigottimento.
Si stava immaginando una serie di scene pazzesche: Sendoh e Rukawa col ciuccio e in pannolone che dormivano nella stessa culla; mini-Sendoh e mini-Rukawa che giocavano a pallone; mini-Sendoh e mini-Rukawa che facevano i compiti insieme – meglio dire che il Porcospino spronava la Volpe narcolettica a fare qualcosa che non fosse dormire o giocare a basket.
Si portò una mano alla bocca per evitare di ridergli spudoratamente in faccia.
«Qualunque cosa tu stia pensando, risparmiamela Teppista» disse Rukawa accigliato. «E tieniti per te quello che ti ho detto».
Mitsui tossicchiò appena. «Manterrò il silenzio», poi gli lanciò uno sguardo. «Dovresti farlo presente alla Scimmia però. Quando prima Sendoh ti ha chiamato per nome sembrava volesse sgozzarlo».
Gli occhi del moro si fecero più grandi del solito.
Fatti scopare per bene da lui, Kaede.
…Ora riusciva a capire perché avesse blaterato una frase tanto idiota nel bagno.
“Era geloso”.
Kaede s’impedì di sorridere di fronte a Mitsui, ma in cuor suo era compiaciuto a livelli estremi.
«Ah sì. Poi gli ho detto che tu sei il mio tipo tanto per rincarare la dose».
I muscoli facciali di Rukawa si tesero simultaneamente come corde di violino. Gli stava per venire da vomitare, e stavolta non era l’alcol.
«Dovresti solo che dire grazie invece di fare quella faccia schifata!» sbottò il Teppista, le mani che gli prudevano per l’offesa arrecatagli. Era un bel ragazzo dannazione, non un essere ripugnante! «Sono stato io a far svegliare fuori Sakuragi. Lento come sei tu avresti aspettato le prossime due vite prima di farti avanti».
«Hn, non è vero» mentì la Volpe. «Se al Do’aho piace far finta di esser schiavizzato dall’amore per la Akagi non è colpa mia».
Mitsui fece un lungo sospiro di rassegnazione.
Kaede Rukawa non capiva che, affascinante com’era, avrebbe messo in discussione l’eterosessualità di qualunque uomo sulla Terra.    
«Chiudiamo qua il discorso» disse Hisashi con uno sbuffo, grattandosi la nuca. «Cosa intendi fare adesso con la Scimmia?»
Era anche preoccupato del fatto che quest’ultimo non fosse ancora uscito dal bagno.
«Se avessi qualcosa in mente» cominciò Rukawa, un sopracciglio inarcato con sufficienza. «Pensi lo verrei a dire a te
Giurava che un giorno o l’altro l’avrebbe ucciso per la sua arroganza. Era più piccolo di lui eppure l’insolenza sembrava esser di casa come se nulla fosse.
«Io me ne vado» asserì poi con tranquillità, facendo un paio di passi in avanti. «Recupera il Do’aho. Se entrassi io potrebbe avere un collasso».
Che dolce, pensò ironicamente Mitsui, levando gli occhi al cielo. «Ai suoi ordini, Maestà».
Si scambiarono l’ultima occhiata di intesa prima che Rukawa lo sorpassasse per raggiungere gli altri due. Era quasi del tutto sicuro che Ayako l’avrebbe bacchettato per bene in testa per esser sparito senza preavviso; in quanto ad Akira si sarebbe goduto lo spettacolo.
Sia mai che fosse lui ad alzare la voce. Il suo compito era quello di far da spettatore alle sue torture.
Si ficcò le mani in tasca, infischiandosene di essere a petto mezzo scoperto in un luogo pubblico.
Era troppo su di giri per la soddisfazione – senza che la sua espressività ne risentisse – per lasciarsi toccare dal giudizio della gente - non che di solito gliene sbattesse qualcosa, comunque.
Adesso che sapeva di poter osare con il Do’aho, avrebbe osato.
Non si sarebbe lasciato sfuggire oltre l’occasione di strapparlo da quella decerebrata della Akagi.  
Sorrise mentalmente, Kaede, realizzando che, d’ora in poi, ne era certo, non avrebbe più avuto un’avversione nei confronti dell’alcol.
Tra tutti, in fin dei conti, era stato il collaboratore più efficiente.  





 
      
    

 
  
 
   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slam Dunk / Vai alla pagina dell'autore: hollien