Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    14/06/2015    3 recensioni
“Si vive solo due volte: una volta quando si nasce e una volta quando si guarda la morte in faccia.” (Ian Fleming).
Una verità rimasta celata per troppo tempo; un’amicizia forse perduta per sempre; un gioco mortale che non lascia scampo.
Seguito di “Vittima Innocente”, è consigliabile ma non necessario aver seguito la prima parte.
Buona lettura!
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ben Jager, Hartmut Freund, Kim Kruger, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«No Susanne, hai capito benissimo!» gridò Semir al telefono «Devi cercarmi Petra Schubert... no, richiamami quando l’hai trovata e dille di andare in Freiss Straβe. Va bene, grazie.».
Il turco chiuse la comunicazione e vide che l’ex collega alla guida faceva altrettanto, tralasciando spudoratamente le regole della strada.
«Okay, io ho avvisato la Engelhardt che andiamo a casa sua.» fece Tom trasferendosi sulla corsia sinistra dell’autostrada.
«Io l’ho detto a Dieter e Hartmut e ho chiesto a Susanne di cercare Petra che evidentemente nel frattempo aveva cambiato scheda telefonica.» spiegò Semir «Povera Susanne, tra un po’ è mezzanotte e non le ho nemmeno spiegato cosa sta succedendo.».
«La Engelhardt invece si è trasferita da un po’, lo sapevi? È fuori Colonia, ma entro le cinque dovremmo esserci.».
«Anna Engelhardt... mi sembrerà strano rivederla non in veste di mio superiore.» commentò l’ispettore con un sospiro.
«Fidati, è sempre uguale.» sorrise Tom, premendo ancora con il piede sull’acceleratore.

Erano le quattro passate quando la Mercedes sulla quale viaggiavano i due ispettori si fermò davanti alla casetta indipendente illuminata in mezzo alla via in cui quasi tutti gli altri appartamenti avevano già le luci spente.
Semir fece per aprire lo sportello, ma si fermò notando che l’altro non si fosse ancora nemmeno slacciato la cintura, intento com’era nel fissare il vuoto davanti a sé.
La preoccupazione per quello che era stato il suo migliore amico un tempo prevalse sulla rabbia e la delusione che la persona che aveva affianco gli aveva provocato nelle ultime ore.
«Cosa c’è?» domandò in un sussurro.
Tom sembrò riscuotersi e guardò l’ex collega con un mezzo sorriso «Niente è solo... niente.».
«Ehi... penso di conoscerti abbastanza bene per capire che c’è qualcosa che non va...» replicò il turco richiudendo il proprio sportello.
«Ma no, niente, andiamo.».
Semir gli bloccò la mano prima che potesse togliersi la cintura «Petra?».
L’uomo lo fissò negli occhi con uno sguardo che fece comprendere all’ispettore di aver centrato il problema.
«Anche per lei dovrei essere morto.» cominciò Tom «E lei mi amava...».
«Infatti è stata malissimo.» confermò Semir «Ma vedrai che sarà contenta di vederti. Tutti saranno contenti di vederti.».
Tom annuì, sollevato dalle poche parole dell’amico «Grazie, collega.».
Semir provò a non far caso a quella parola. A quell’ultima parola che per troppo tempo non aveva sentito pronunciare da quelle labbra.

Il turco riaprì lo sportello e scese dalla macchina, ma un forte giramento di testa lo costrinse ad appoggiarsi al cofano dell’auto.
«Semir! Semir, che succede?» domandò Tom correndo accanto a lui.
«Niente... niente, mi gira solo un po’ la testa.».
«Più passano le ore e più mi pento di averti fatto uscire da quell’ospedale.».
«Sto bene.» ripeté Semir «Andiamo.».

 

Anna Engelhardt guardò un po’ spaesata i suoi ospiti.
Ormai erano tutti arrivati già da una decina di minuti, Hartmut, Dieter, Petra... era stato strano rivederli tutti insieme dopo tanto tempo.
Mancavano soltanto Tom e Semir, e la donna era sicura che rivederli insieme le avrebbe fatto un certo effetto.
Per questo quando sentì suonare il campanello quasi le balzò il cuore in gola.
Veloce, lasciò il salotto dove aveva fatto accomodare gli altri e raggiunse l’ingresso accendendo la luce.
Posò la mano sulla maniglia della porta e aprì con un sospiro.

 

Nessuno seppe quanto tempo trascorsero sulla soglia i due uomini prima di entrare.
Semir rimase immobile davanti al suo ex capo senza proferire parola e la Engelhardt restò altrettanto attonita nell’osservare insieme quelli che erano stati i suoi due uomini migliori molti anni prima.
Fu Tom a rompere il ghiaccio, dopo tutto era stato lui a vedere l’ex commissario più ultimamente tra i due.
«Gli altri sono già arrivati, capo?».
«Quando la smetterai di chiamarmi così?» sorrise la donna in risposta «Sì, sono tutti di là, venite.».
I due entrarono e la porta si chiuse alle loro spalle.
«Semir, come stai?».
«Lei come sta?» chiese il turco evitando così di rispondere alla domanda.
La Engelhardt annuì, preoccupata dalla cera del suo ex ispettore «Ma... ti senti bene?».
No. Semir non stava bene per niente. La testa aveva ripreso a girargli come una trottola, la ferita gli faceva male, aveva nausea e percepiva tutti i suoni lievemente ovattati.
«Sediamoci, ce l’ha un po’ di acqua e zucchero?» rispose Tom al suo posto «Ora le raccontiamo per bene cosa è successo.».

 

Un po’ di tempo dopo, seduti attorno alla piccola stufa che la padrona di casa aveva acceso al centro del salotto, i membri della squadra di otto anni prima si erano finalmente ripresi dallo shock.
Tutti meno Petra Schubert, che attonita guardava il pavimento per evitare di fissare troppo a lungo Tom Kranich.
L’ex ispettore aveva appena finito di raccontare loro tutta la storia.
Aveva parlato della sua morte, della sua scomparsa, di Gehlen, della prigionia, del percorso, di Ben.
Aveva anche spiegato cosa il criminale avesse chiesto loro di fare, ossia di riunire la squadra e aspettare che egli stesso li contattasse di nuovo.
L’atmosfera che si era creata in quella stanza era surreale, quasi magica. Uno strano alone di mistero aleggiava nell’aria e si diffondeva accompagnato dalle parole di Tom, che raccontava lentamente e si scusava con tutti i presenti per i precedenti, lunghi, otto anni.
Semir, nel frattempo, non aveva proferito parola.
Dopo aver salutato tutti aveva lasciato parlare Tom e si era seduto, concentrandosi sul tentare di non perdere conoscenza in quel momento, anche se la tentazione di chiudere gli occhi visto come si sentiva era grandissima.
Non udì nemmeno le ultime frasi pronunciate dall’ex collega, ma improvvisamente venne riscosso dallo squillo del cellulare che aveva in tasca.
Irrigidendosi per un istante, lo prese in mano e lesse il numero che era comparso sullo schermo.
Lanciò un’occhiata d’intesa a Tom e tutti si ammutolirono in un istante.
«Pronto?» rispose Semir temendo ciò che l’uomo dall’altro capo del telefono gli avrebbe chiesto.
«Gerkhan, eccoci di nuovo. Come prosegue la riunione, sentiamo?».
«Gehlen, dicci cosa dobbiamo fare e facciamola finita.».
«Io penso, Gerkhan, che dopo otto lunghi anni sia giunto finalmente il momento che vittima e carnefice si vedano, non trovi? Voglio incontrarti, Gerkhan.».
«Dove e quando?» domandò il turco sperando per un attimo che la questione si potesse risolvere solo tra loro due, senza coinvolgere gli altri colleghi.
«Non troppa fretta, Gerkhan. Allora... io voglio che veniate tutti voi al cinema abbandonato di Gülliver Straβe. È un’intera palazzina abbandonata su due piani in realtà, te la ricordi? Dopo di che vi dirò cosa fare e magari otterrete anche l’antidoto. La palazzina è molto in periferia, impiegherete circa due ore e mezza a raggiungerla, sempre che non troviate ostacoli, e visto che adesso sono quasi le sei e mezza del mattino, poi vi rimarranno circa venticinque ore per salvare Jager. Sono stato generoso, non trovate?».
«Non l’avrai vinta, Gehlen.».
«Vedremo Gerkhan, vedremo...» rise il criminale divertito «Dimenticavo, non portatevi la cavalleria. Sappiate che vi controllo, una sola mossa sbagliata e la mia unica boccetta di antidoto finisce tra la polvere. Chiaro?».
Semir fece per ribattere, ma l’uomo aveva già riattaccato.
L’ispettore guardò gli altri con aria stanca.
Poi Dieter e Hartmut si alzarono per primi, facendo cenno agli altri presenti di seguirli verso l’uscita.

 

Andrea si svegliò di soprassalto quando la sveglia suonò alle sette esatte del mattino.
Senza perdere tempo, gettò i piedi fuori dal letto e preparò il caffè per lei, prima di pensare alla colazione delle bambine che si sarebbero svegliate più tardi.
Aspettando che la bevanda fosse pronta, afferrò il telefono per comporre il numero del marito: era presto, ma lei era sicura che a quell’ora essendo in ospedale sarebbe stato già sveglio e in più aveva uno strano presentimento.
Aprì la comunicazione e rimase in attesa di una risposta che non arrivò.

 

Ci avviciniamo alla resa dei conti...
Grazie mille a tutti voi e un bacione!
Sophie :D

  
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