«No
Susanne, hai capito
benissimo!» gridò Semir al telefono
«Devi cercarmi Petra Schubert... no,
richiamami quando l’hai trovata e dille di andare in Freiss
Straβe. Va bene,
grazie.».
Il turco chiuse la comunicazione e vide che l’ex collega alla
guida faceva
altrettanto, tralasciando spudoratamente le regole della strada.
«Okay, io ho avvisato la Engelhardt che andiamo a casa
sua.» fece Tom
trasferendosi sulla corsia sinistra dell’autostrada.
«Io l’ho detto a Dieter e Hartmut e ho chiesto a
Susanne di cercare Petra che
evidentemente nel frattempo aveva cambiato scheda
telefonica.» spiegò Semir
«Povera Susanne, tra un po’ è mezzanotte
e non le ho nemmeno spiegato cosa sta
succedendo.».
«La Engelhardt invece si è trasferita da un
po’, lo sapevi? È fuori Colonia, ma
entro le cinque dovremmo esserci.».
«Anna Engelhardt... mi sembrerà strano rivederla
non in veste di mio
superiore.» commentò l’ispettore con un
sospiro.
«Fidati, è sempre uguale.» sorrise Tom,
premendo ancora con il piede
sull’acceleratore.
Erano le quattro
passate quando la Mercedes sulla quale viaggiavano i due ispettori si
fermò
davanti alla casetta indipendente illuminata in mezzo alla via in cui
quasi
tutti gli altri appartamenti avevano già le luci spente.
Semir fece per aprire lo sportello, ma si fermò notando che
l’altro non si
fosse ancora nemmeno slacciato la cintura, intento com’era
nel fissare il vuoto
davanti a sé.
La preoccupazione per quello che era stato il suo migliore amico un
tempo
prevalse sulla rabbia e la delusione che la persona che aveva affianco
gli
aveva provocato nelle ultime ore.
«Cosa c’è?» domandò
in un sussurro.
Tom sembrò riscuotersi e guardò l’ex
collega con un mezzo sorriso «Niente è
solo... niente.».
«Ehi... penso di conoscerti abbastanza bene per capire che
c’è qualcosa che non
va...» replicò il turco richiudendo il proprio
sportello.
«Ma no, niente, andiamo.».
Semir gli bloccò la mano prima che potesse togliersi la
cintura «Petra?».
L’uomo lo fissò negli occhi con uno sguardo che
fece comprendere all’ispettore
di aver centrato il problema.
«Anche per lei dovrei essere morto.»
cominciò Tom «E lei mi amava...».
«Infatti è stata malissimo.»
confermò Semir «Ma vedrai che sarà
contenta di
vederti. Tutti saranno contenti di vederti.».
Tom annuì, sollevato dalle poche parole dell’amico
«Grazie, collega.».
Semir provò a non far caso a quella parola. A
quell’ultima parola che per
troppo tempo non aveva sentito pronunciare da quelle labbra.
Il turco
riaprì lo
sportello e scese dalla macchina, ma un forte giramento di testa lo
costrinse ad
appoggiarsi al cofano dell’auto.
«Semir! Semir, che succede?» domandò Tom
correndo accanto a lui.
«Niente... niente, mi gira solo un po’ la
testa.».
«Più passano le ore e più mi pento di
averti fatto uscire da quell’ospedale.».
«Sto bene.» ripeté Semir
«Andiamo.».
Anna Engelhardt
guardò
un po’ spaesata i suoi ospiti.
Ormai erano tutti arrivati già da una decina di minuti,
Hartmut, Dieter,
Petra... era stato strano rivederli tutti insieme dopo tanto tempo.
Mancavano soltanto Tom e Semir, e la donna era sicura che rivederli
insieme le
avrebbe fatto un certo effetto.
Per questo quando sentì suonare il campanello quasi le
balzò il cuore in gola.
Veloce, lasciò il salotto dove aveva fatto accomodare gli
altri e raggiunse
l’ingresso accendendo la luce.
Posò la mano sulla maniglia della porta e aprì
con un sospiro.
Nessuno seppe
quanto
tempo trascorsero sulla soglia i due uomini prima di entrare.
Semir rimase immobile davanti al suo ex capo senza proferire parola e
la
Engelhardt restò altrettanto attonita
nell’osservare insieme quelli che erano
stati i suoi due uomini migliori molti anni prima.
Fu Tom a rompere il ghiaccio, dopo tutto era stato lui a vedere
l’ex
commissario più ultimamente tra i due.
«Gli altri sono già arrivati, capo?».
«Quando la smetterai di chiamarmi così?»
sorrise la donna in risposta «Sì, sono
tutti di là, venite.».
I due entrarono e la porta si chiuse alle loro spalle.
«Semir, come stai?».
«Lei come sta?» chiese il turco evitando
così di rispondere alla domanda.
La Engelhardt annuì, preoccupata dalla cera del suo ex
ispettore «Ma... ti
senti bene?».
No. Semir non stava bene per niente. La testa aveva ripreso a girargli
come una
trottola, la ferita gli faceva male, aveva nausea e percepiva tutti i
suoni
lievemente ovattati.
«Sediamoci, ce l’ha un po’ di acqua e
zucchero?» rispose Tom al suo posto «Ora
le raccontiamo per bene cosa è successo.».
Un po’
di tempo dopo, seduti
attorno alla piccola stufa che la padrona di casa aveva acceso al
centro del
salotto, i membri della squadra di otto anni prima si erano finalmente
ripresi
dallo shock.
Tutti meno Petra Schubert, che attonita guardava il pavimento per
evitare di
fissare troppo a lungo Tom Kranich.
L’ex ispettore aveva appena finito di raccontare loro tutta
la storia.
Aveva parlato della sua morte, della sua scomparsa, di Gehlen, della
prigionia,
del percorso, di Ben.
Aveva anche spiegato cosa il criminale avesse chiesto loro di fare,
ossia di
riunire la squadra e aspettare che egli stesso li contattasse di nuovo.
L’atmosfera che si era creata in quella stanza era surreale,
quasi magica. Uno
strano alone di mistero aleggiava nell’aria e si diffondeva
accompagnato dalle
parole di Tom, che raccontava lentamente e si scusava con tutti i
presenti per
i precedenti, lunghi, otto anni.
Semir, nel frattempo, non aveva proferito parola.
Dopo aver salutato tutti aveva lasciato parlare Tom e si era seduto,
concentrandosi sul tentare di non perdere conoscenza in quel momento,
anche se
la tentazione di chiudere gli occhi visto come si sentiva era
grandissima.
Non udì nemmeno le ultime frasi pronunciate
dall’ex collega, ma improvvisamente
venne riscosso dallo squillo del cellulare che aveva in tasca.
Irrigidendosi per un istante, lo prese in mano e lesse il numero che
era
comparso sullo schermo.
Lanciò un’occhiata d’intesa a Tom e
tutti si ammutolirono in un istante.
«Pronto?» rispose Semir temendo ciò che
l’uomo dall’altro capo del telefono gli
avrebbe chiesto.
«Gerkhan, eccoci di nuovo. Come prosegue la riunione,
sentiamo?».
«Gehlen, dicci cosa dobbiamo fare e facciamola
finita.».
«Io penso, Gerkhan, che dopo otto lunghi anni sia giunto
finalmente il momento
che vittima e carnefice si vedano, non trovi? Voglio incontrarti,
Gerkhan.».
«Dove e quando?» domandò il turco
sperando per un attimo che la questione si
potesse risolvere solo tra loro due, senza coinvolgere gli altri
colleghi.
«Non troppa fretta, Gerkhan. Allora... io voglio che veniate
tutti voi al
cinema abbandonato di Gülliver Straβe. È
un’intera palazzina abbandonata su due
piani in realtà, te la ricordi? Dopo di che vi
dirò cosa fare e magari
otterrete anche l’antidoto. La palazzina è molto
in periferia, impiegherete
circa due ore e mezza a raggiungerla, sempre che non troviate ostacoli,
e visto
che adesso sono quasi le sei e mezza del mattino, poi vi rimarranno
circa
venticinque ore per salvare Jager. Sono stato generoso, non
trovate?».
«Non l’avrai vinta, Gehlen.».
«Vedremo Gerkhan, vedremo...» rise il criminale
divertito «Dimenticavo, non
portatevi la cavalleria. Sappiate che vi controllo, una sola mossa
sbagliata e
la mia unica boccetta di antidoto finisce tra la polvere.
Chiaro?».
Semir fece per ribattere, ma l’uomo aveva già
riattaccato.
L’ispettore guardò gli altri con aria stanca.
Poi Dieter e Hartmut si alzarono per primi, facendo cenno agli altri
presenti
di seguirli verso l’uscita.
Andrea si
svegliò di
soprassalto quando la sveglia suonò alle sette esatte del
mattino.
Senza perdere tempo, gettò i piedi fuori dal letto e
preparò il caffè per lei,
prima di pensare alla colazione delle bambine che si sarebbero
svegliate più
tardi.
Aspettando che la bevanda fosse pronta, afferrò il telefono
per comporre il
numero del marito: era presto, ma lei era sicura che a
quell’ora essendo in
ospedale sarebbe stato già sveglio e in più aveva
uno strano presentimento.
Aprì la comunicazione e rimase in attesa di una risposta che
non arrivò.
Ci
avviciniamo alla
resa dei conti...
Grazie
mille a tutti voi e un bacione!
Sophie
:D