Strength and Weakness
Era il primo
giorno d’apprendistato per Samvise
Gamgee.
Aveva appena
compiuto sette anni, e suo padre
Hamfast lo aveva reputato abbastanza grande da cominciare ad apprendere
la
bellissima e complicata arte del giardinaggio; e per farlo aveva deciso
di
portarlo nel giardino di Casa Baggins. A dispetto di tutte le voci che
circolavano intorno alle due figure di Bilbo e di suo nipote Frodo, il
Gaffiere
gli aveva sempre parlato bene di loro, e se lo diceva lui Sam non aveva
niente
di cui preoccuparsi.
Ma
sentì che, nonostante questo, la sua innata
insicurezza stava per manifestarsi proprio nel preciso momento in cui,
in
lontananza, vide la grande porta verde e rotonda del buco Hobbit sotto
il colle.
Percepì la sua manina stretta in quella di suo padre
ricoprirsi di sudore
freddo, e come se avesse capito che il suo piccolo era nervoso fino
alle ossa, Hamfast
si affrettò a rassicurarlo.
“Non
preoccuparti, ragazzo mio!” esordì con voce
allegra, desiderando arruffargli i capelli, un gesto
d’affetto che a Sam
piaceva molto. “Quando li vedrai e farai amicizia con loro,
dimenticherai tutta
la tua timidezza!”
Sam
annuì, eppure non era molto convinto. Ma erano
già arrivati alla staccionata; e quando fu ad un passo dalle
scale che
conducevano alla porta si riscosse come se fosse stato risvegliato da
un
languido torpore. I suoi piedi pelosi si irrigidirono come tutti i
muscoli
delle gambe, rendendo quegli istanti in cui salì la
scalinata i più lunghi che
avesse mai trascorso in vita sua, a parte la sera in cui quella bella
bambina
di nome Rosie gli sorrise per la prima volta.
Scosse
violentemente la testa. Non era il momento di
pensare a nessuno in quel frangente così delicato.
L’idea di dover incontrare i
Baggins e parlare con loro lo atterriva, il pensiero di Rosie e le sue
guance
rosse e paffute lo mandava ancora di più in agitazione. Non
era proprio il caso
di perdersi in simili elucubrazioni.
Si
sforzò di pensare ad altro, a qualsiasi cosa che
lo facesse rimanere fermo e concentrato, qualsiasi cosa che gli
impedisse di
arrossire come un pomodoro, coprirsi la faccia con le mani o scappare
via. Si
concentrò sui gradini, contandoli ad uno ad uno.
Ma la
vegetazione attorno a lui lo distrasse molto
di più di quanto potessero fare i numeri.
Non
c’era nulla di nuovo in quel giardino che
somigliava a tanti altri nella Contea; eppure quelle pianticelle, quei
fiori
che spuntavano timidamente oltre le nuvolette di foglie che li
circondavano
erano chiaramente così belle e rigogliose che apparivano del
tutto nuove ai
suoi occhi. Forse era merito del suo papà, oppure era
proprio il giardino del
signor Bilbo che doveva essere speciale per una qualche ragione. O
forse era
lui, troppo incantato per non sognare, che vide in quel giardino
qualcosa di
unico solo per sollecitare la sua fantasia e costringersi a restare.
Certo che
però, una quercia simile a quella non l’aveva
vista da nessuna parte.
Udì
il bussare di Hamfast, e Sam interpretò quel
gesto come un’esortazione ad accantonare tutta la sua
immaginazione per poter
far fronte all’evento. Fece per prendere un bel respiro
profondo, ma l’ansia
gli aveva letteralmente attorcigliato i polmoni.
“Siamo
pieni, grazie!” si
udì una voce infastidita oltre la
porta.
“Sono
io, signor Bilbo” rise il Gaffiere. “Non mi
spaventi il piccolo Sam!”
Una risata
perforò il legno massiccio dell’uscio, e
un vecchio e radioso Bilbo Baggins comparve sulla soglia. Anche se era
passato
dalla stizza all’allegria così in fretta, la sua
presenza era così rassicurante,
constatò Sam. Ma questo non l’avrebbe mai fatto
desistere dal mantenere un
certo distacco. Suo padre poteva permettersi quella confidenza solo
perché era
molto, molto più grande di lui. Ed in ogni caso, il Gaffiere
aveva sempre una
buona dose di riverenza ad accompagnare la sua familiarità
con i Baggins. Mai
avrebbe oltrepassato quel limite.
Timorosamente,
le guance rosse per l’imbarazzo di
chi non è abituato a far la conoscenza di estranei, fece un
leggero inchino che
fece scoppiare a ridere Bilbo.
“Così
piccolo, eppure così educato!” commentò
il
vecchio Baggins sorridendo. “Quella piccola peste di Frodo
è decisamente più sfacciata
di te!”
Sam rimase a
bocca aperta mentre ascoltava l’anziano
Hobbit commentare il caratteraccio del nipote. Non aveva mai sentito
nessuno
criticare con un sorriso tenero sulle labbra, prima. Rispose allo
Hobbit con un
mugolio confuso, mentre Bilbo gli arruffò i capelli e li
invitò ad entrare.
“Frodo,
vieni qui! C’è qualcuno che dovresti
conoscere!”
Si
udì il tonfo di un libro abbandonato a terra, e
dei passi che correvano verso di loro. Il Baggins più
anziano nel frattempo
chiuse la porta, e nel momento in cui si udì lo scatto del
legno contro lo
stipite, Frodo gli fu accanto. Aveva dei cerotti sulla guancia sinistra
e su
entrambi i gomiti, e dovevano fare un gran male, a giudicare dal sangue
che
tentava di penetrare al di fuori della garza. Aveva graffi quasi
ovunque e
lividi giallastri soprattutto sulle braccia, sul punto di guarire.
Ciononostante,
sfoggiò un sorriso ospitale, tutto per Sam.
“Ciao,
come ti chiami?”
Il fatto che
quel ragazzo più grande di lui, pieno
di ferite, sicuri risultati di una qualche zuffa gli fosse
così amico a prima
vista lo impauriva ancor di più dei subitanei cambiamenti
d’umore di Bilbo
Baggins. Tuttavia, rispose come dettavano le buone maniere.
“Samvise
Gamgee, signore.”
Con una
timidezza decisamente più sottile della sua,
Frodo gli porse la sua mano, che Sam strinse con malcelata esitazione.
Aveva una
presa salda, ma piacevole: non stringeva troppo,
ma era forte abbastanza perché Sam cominciasse
a temere di rimanere così ancora per molto. E Sam voleva
lasciarlo il prima
possibile. Quello era un gesto d’amicizia fin troppo
compromettente.
“Io
Frodo, e non chiamarmi signore.”
“Sì,
signore.”
Frodo non parve
gradire molto la risposta. “Siamo
amici adesso, Sam. Non c’è bisogno di chiamarmi
signore!”
C’era
una cadenza piuttosto avvilita nei lineamenti
del giovane Baggins, e questo a Sam dispiacque molto. Ma anche se
glielo aveva
espressamente chiesto, non avrebbe mai accennato ad accorciare la
lontananza
che li distingueva in quanto padrone e servo.
“Sì,
signore.”
Non
perché volesse negargli la sua amicizia. Anzi,
il piccolo Gamgee ne fu troppo lusingato per ignorare una richiesta
così sentita.
Però per quanto bella potesse essere quella prospettiva, per
Sam il concetto
parve tanto strano quanto distante.
Frodo Baggins,
uno dei rampolli più benestanti di
Hobbiville, voleva la sua amicizia. Proprio lui, che faticava a fare
amicizia con
il più semplice dei bambini, era desiderato da qualcuno
più in alto di lui in
qualità di amico, e non di servitore.
Suo
papà gli aveva concesso di diventare suo amico
nonostante il divieto di rivolgersi a lui senza un appellativo
onorifico che
marcasse la soglia della loro differenza sociale, ma Sam proprio non
riusciva a
concepire il motivo per cui si dovesse mantenere una freddezza
colloquiale fra
amici che ricordasse sempre loro chi era l’uno rispetto
all’altro. Decise di
limitarsi alla saggezza paterna, assecondandola e facendone un antidoto
contro
le sue perenni perplessità. Anche perché
si sarebbe sentito in una situazione di disagio ben
più grave di quella
se avesse seguito le volontà di Frodo. Anzi, no. Del signor
Frodo. Eppure la
voleva, quell’amicizia, perché era una delle poche
al di fuori della sua
cerchia familiare, e di sicuro non ci avrebbe rinunciato.
Fu sul punto di
scoppiare a piangere, per ragioni
che neanche lui riuscì a definire bene, ma si
guardò bene dal farlo lì, davanti
a tutti.
Aveva una
così gran confusione in testa che a stento
si ricordava perché fosse in quella casa.
“Bene,
Sam” esordì Bilbo, “Sei un ragazzo
sveglio,
perciò mi aspetto tu impari in fretta quel che tuo padre ti
insegnerà.”
Trovata una via
di fuga al marasma di sentimenti che
aleggiavano nella sua testa, Sam annuì con vigore,
assicurando con i suoi
occhietti che ce l’avrebbe messa tutta per imparare.
“Ogni
pianta ha le proprie caratteristiche e le
proprie esigenze. Ciascuna è diversa, così come
sono diversi i fiori che le
adornano e le foglie che le ricoprono. Ma bada, Sam: anche quelle della
stessa
specie sono diverse le une dalle altre. Non dare per scontato che una
margherita
sia diversa da una viola solo perché hanno un nome
differente.”
“Va
bene.”
“Ora
vedrai come travisare una pianta da un vaso
alla terra. Sai già che se si vogliono fare delle prove si
semina prima nei
vasi, e che se cresce bene si devono piantare in giardino. Ecco,
guarda!” disse
Hamfast. Conficcò una paletta di metallo nella terra di un
vasetto dai bordi
bassi, e con quella estrasse parzialmente la pianticella.
Attirò la completa
attenzione di suo figlio mentre prendeva l’esile fusto, e con
calma e determinazione
la tirò via, tenendo la pianta stretta nella sua mano.
“Asporta la pianta con
forza e cura insieme, ma non strappare mai le radici. Cerca di non
farlo
neanche per errore. Quel che serve ad una pianta è la
potatura, e quella te la
spiegherò e te la farò vedere un’altra
volta. Ecco, questo vale per quasi tutte
le specie.”
Mentre parlava,
fece una piccola buca dove avrebbe
piantato l’arbusto, e quando fu sul punto di adagiarla
dentro, Hamfast frugò
nella tasca del suo grembiule e ne fece uscire del concime naturale
costituito
da soffice cenere di piante secche. Ne disperse un po’ sotto,
e finalmente vi
piantò il vegetale.
“L’acqua
la preferiscono la sera, come un buon
Hobbit preferisce mangiare quando è a casa con la propria
famiglia e i propri
amici, lontano dalle fatiche del mattino. Ma se non ti è
possibile, nel tardo
pomeriggio andrà bene ugualmente.”
Sam ascoltava e
seguiva attentamente ogni suo
movimento. Non era proprio la prima volta che vedeva suo padre
lavorare, ma era
la prima in cui fosse partecipe del suo mestiere.
Ma qualcosa lo
distrasse. Il vento si alzò,
soffiando e vorticando, e prese a frustare una piantina decisamente
più piccola
degli enormi cespugli che capeggiavano il giardino. Sam
cominciò a fissarla. I
fiorellini candidi si agitavano con violenza, tanto che il piccolo
Gamgee
credette con dispiacere di vederne cedere gli steli.
Interruppe il
padre, facendogli notare quel che
stava per accadere tirandogli con forza il grembiule. Hamfast si
voltò con aria
interrogativa, e quando si rese conto del fatto si
accovacciò vicino alla
pianta estraendola dal terreno come aveva fatto prima con
l’altra. E, cosa più
importante, la piantò sotto la quercia che Sam aveva
adocchiato appena entrato
nella proprietà dei Baggins.
Mentre lavorava,
Hamfast sorrise; e quando ultimò il
tutto, il suo sorriso diventò ancora più largo,
ma in qualche modo anche più
serio.
“Ora
ascolta bene, Sam, perché questa è una lezione
che vale sempre, in qualunque circostanza. Quando vedi una pianta
piegata sotto
i colpi della pioggia, o del vento, cerca sempre di trovarle un riparo,
qualsiasi esso sia, ma che la ripari bene, mi spiego? Una pianta
più robusta o
qualsiasi cosa possa costituire un buon ricovero. Che il più
forte protegga
sempre il più debole, Sam. Ricordalo bene.”
Vide lo sguardo
del figlio ritornare sulla pianta
che ondeggiava appena, ormai al sicuro, constatando che effettivamente
l’aveva
reso estremamente pensieroso.
“Come
si fa a capire chi è forte e chi no?”
Perché
Sam si sentiva debole, completamente
dipendente dalla protezione dei suoi genitori e dei suoi fratelli e
sorelle. A
parte la vegetazione dei giardini in cui un giorno avrebbe lavorato,
non aveva
la più pallida idea di come dovesse impiegare il suo senso
di protezione nei
confronti degli altri. Pensò a Frodo, a come a prima vista
fosse di gran lunga
più autonomo di lui, a come fosse in grado di prendersi
graffi e sbucciature
con noncuranza, a come riuscisse ad essere spigliato con tutti.
“Lo si
vedrà a tempo debito. Chissà, magari persino
il signor Frodo avrà bisogno di te e della tua forza, un
giorno. E non solo per
il giardino di casa sua.”
“Lui
non è debole” disse Sam.
“No, e
se lo è lo nasconde bene.”
“Ed
io... sono forte o debole?” chiese, un leggero
velo d’imbarazzo ad arrossargli il volto. Si
vergognò di aver esternato un
pensiero simile, ma non poteva fare affidamento sul proprio giudizio
per quanto
riguardava le sue competenze, perché sarebbe stato sempre
appena sufficiente.
“Sei
quello che vorrai essere. Puoi combattere per
coloro che ami, proteggerli, o nasconderti spaventato e lasciare i tuoi
amici
al loro destino. Scegli, e scegli liberamente, ma fa’ in modo
di non pentirti
della tua scelta.”
Vide il figlio
aggrottare le sopracciglia, mentre le
prime gocce di pioggia cadevano sulla terra.
“Entriamo,
Sam. Andiamo a ripararci anche noi.”
Il Gaffiere
disse che quando una piantina è esposta
troppo alle intemperie la si deve far riparare da una più
grande. Sam non era
grande: anzi, era forse il più basso e tondo fra gli Hobbit
della Contea, ma
scelse di essere forte e di combattere, per coraggio o per collera,
contro le
più orride creature della malvagità per
proteggere il suo signore.
NDA
Scusate il
titolo, sono pessima! xD
Sono contenta,
però, di averla finita. L’ispirazione
ha chiamato, più o meno proprio con una scena simile, e se non finivo
ora questa piccola
sciocchezzuola
chissà quando l'avrei fatto. :P
Grazie per essere
passati! :*