Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Ricorda la storia  |      
Autore: xingchan    14/06/2015    3 recensioni
“Il Gaffiere disse che quando una piantina è esposta troppo alle intemperie la si deve far riparare da una più grande.”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bilbo, Frodo, Sam
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Strength and Weakness

 

 

Era il primo giorno d’apprendistato per Samvise Gamgee.

Aveva appena compiuto sette anni, e suo padre Hamfast lo aveva reputato abbastanza grande da cominciare ad apprendere la bellissima e complicata arte del giardinaggio; e per farlo aveva deciso di portarlo nel giardino di Casa Baggins. A dispetto di tutte le voci che circolavano intorno alle due figure di Bilbo e di suo nipote Frodo, il Gaffiere gli aveva sempre parlato bene di loro, e se lo diceva lui Sam non aveva niente di cui preoccuparsi.

Ma sentì che, nonostante questo, la sua innata insicurezza stava per manifestarsi proprio nel preciso momento in cui, in lontananza, vide la grande porta verde e rotonda del buco Hobbit sotto il colle. Percepì la sua manina stretta in quella di suo padre ricoprirsi di sudore freddo, e come se avesse capito che il suo piccolo era nervoso fino alle ossa, Hamfast si affrettò a rassicurarlo.

“Non preoccuparti, ragazzo mio!” esordì con voce allegra, desiderando arruffargli i capelli, un gesto d’affetto che a Sam piaceva molto. “Quando li vedrai e farai amicizia con loro, dimenticherai tutta la tua timidezza!”

Sam annuì, eppure non era molto convinto. Ma erano già arrivati alla staccionata; e quando fu ad un passo dalle scale che conducevano alla porta si riscosse come se fosse stato risvegliato da un languido torpore. I suoi piedi pelosi si irrigidirono come tutti i muscoli delle gambe, rendendo quegli istanti in cui salì la scalinata i più lunghi che avesse mai trascorso in vita sua, a parte la sera in cui quella bella bambina di nome Rosie gli sorrise per la prima volta.

Scosse violentemente la testa. Non era il momento di pensare a nessuno in quel frangente così delicato. L’idea di dover incontrare i Baggins e parlare con loro lo atterriva, il pensiero di Rosie e le sue guance rosse e paffute lo mandava ancora di più in agitazione. Non era proprio il caso di perdersi in simili elucubrazioni.

Si sforzò di pensare ad altro, a qualsiasi cosa che lo facesse rimanere fermo e concentrato, qualsiasi cosa che gli impedisse di arrossire come un pomodoro, coprirsi la faccia con le mani o scappare via. Si concentrò sui gradini, contandoli ad uno ad uno.

Ma la vegetazione attorno a lui lo distrasse molto di più di quanto potessero fare i numeri.

Non c’era nulla di nuovo in quel giardino che somigliava a tanti altri nella Contea; eppure quelle pianticelle, quei fiori che spuntavano timidamente oltre le nuvolette di foglie che li circondavano erano chiaramente così belle e rigogliose che apparivano del tutto nuove ai suoi occhi. Forse era merito del suo papà, oppure era proprio il giardino del signor Bilbo che doveva essere speciale per una qualche ragione. O forse era lui, troppo incantato per non sognare, che vide in quel giardino qualcosa di unico solo per sollecitare la sua fantasia e costringersi a restare. Certo che però, una quercia simile a quella non l’aveva vista da nessuna parte.

Udì il bussare di Hamfast, e Sam interpretò quel gesto come un’esortazione ad accantonare tutta la sua immaginazione per poter far fronte all’evento. Fece per prendere un bel respiro profondo, ma l’ansia gli aveva letteralmente attorcigliato i polmoni.

“Siamo pieni, grazie!” si udì una voce infastidita oltre la porta.

“Sono io, signor Bilbo” rise il Gaffiere. “Non mi spaventi il piccolo Sam!”

Una risata perforò il legno massiccio dell’uscio, e un vecchio e radioso Bilbo Baggins comparve sulla soglia. Anche se era passato dalla stizza all’allegria così in fretta, la sua presenza era così rassicurante, constatò Sam. Ma questo non l’avrebbe mai fatto desistere dal mantenere un certo distacco. Suo padre poteva permettersi quella confidenza solo perché era molto, molto più grande di lui. Ed in ogni caso, il Gaffiere aveva sempre una buona dose di riverenza ad accompagnare la sua familiarità con i Baggins. Mai avrebbe oltrepassato quel limite.

Timorosamente, le guance rosse per l’imbarazzo di chi non è abituato a far la conoscenza di estranei, fece un leggero inchino che fece scoppiare a ridere Bilbo.

“Così piccolo, eppure così educato!” commentò il vecchio Baggins sorridendo. “Quella piccola peste di Frodo è decisamente più sfacciata di te!”

Sam rimase a bocca aperta mentre ascoltava l’anziano Hobbit commentare il caratteraccio del nipote. Non aveva mai sentito nessuno criticare con un sorriso tenero sulle labbra, prima. Rispose allo Hobbit con un mugolio confuso, mentre Bilbo gli arruffò i capelli e li invitò ad entrare.

“Frodo, vieni qui! C’è qualcuno che dovresti conoscere!”

Si udì il tonfo di un libro abbandonato a terra, e dei passi che correvano verso di loro. Il Baggins più anziano nel frattempo chiuse la porta, e nel momento in cui si udì lo scatto del legno contro lo stipite, Frodo gli fu accanto. Aveva dei cerotti sulla guancia sinistra e su entrambi i gomiti, e dovevano fare un gran male, a giudicare dal sangue che tentava di penetrare al di fuori della garza. Aveva graffi quasi ovunque e lividi giallastri soprattutto sulle braccia, sul punto di guarire. Ciononostante, sfoggiò un sorriso ospitale, tutto per Sam.

“Ciao, come ti chiami?”

Il fatto che quel ragazzo più grande di lui, pieno di ferite, sicuri risultati di una qualche zuffa gli fosse così amico a prima vista lo impauriva ancor di più dei subitanei cambiamenti d’umore di Bilbo Baggins. Tuttavia, rispose come dettavano le buone maniere.

“Samvise Gamgee, signore.”

Con una timidezza decisamente più sottile della sua, Frodo gli porse la sua mano, che Sam strinse con malcelata esitazione. Aveva una presa salda, ma piacevole: non stringeva troppo,  ma era forte abbastanza perché Sam cominciasse a temere di rimanere così ancora per molto. E Sam voleva lasciarlo il prima possibile. Quello era un gesto d’amicizia fin troppo compromettente.

“Io Frodo, e non chiamarmi signore.”

“Sì, signore.”

Frodo non parve gradire molto la risposta. “Siamo amici adesso, Sam. Non c’è bisogno di chiamarmi signore!”

C’era una cadenza piuttosto avvilita nei lineamenti del giovane Baggins, e questo a Sam dispiacque molto. Ma anche se glielo aveva espressamente chiesto, non avrebbe mai accennato ad accorciare la lontananza che li distingueva in quanto padrone e servo.

“Sì, signore.”

Non perché volesse negargli la sua amicizia. Anzi, il piccolo Gamgee ne fu troppo lusingato per ignorare una richiesta così sentita. Però per quanto bella potesse essere quella prospettiva, per Sam il concetto parve tanto strano quanto distante.

Frodo Baggins, uno dei rampolli più benestanti di Hobbiville, voleva la sua amicizia. Proprio lui, che faticava a fare amicizia con il più semplice dei bambini, era desiderato da qualcuno più in alto di lui in qualità di amico, e non di servitore.

Suo papà gli aveva concesso di diventare suo amico nonostante il divieto di rivolgersi a lui senza un appellativo onorifico che marcasse la soglia della loro differenza sociale, ma Sam proprio non riusciva a concepire il motivo per cui si dovesse mantenere una freddezza colloquiale fra amici che ricordasse sempre loro chi era l’uno rispetto all’altro. Decise di limitarsi alla saggezza paterna, assecondandola e facendone un antidoto contro le sue perenni perplessità. Anche perché  si sarebbe sentito in una situazione di disagio ben più grave di quella se avesse seguito le volontà di Frodo. Anzi, no. Del signor Frodo. Eppure la voleva, quell’amicizia, perché era una delle poche al di fuori della sua cerchia familiare, e di sicuro non ci avrebbe rinunciato.

Fu sul punto di scoppiare a piangere, per ragioni che neanche lui riuscì a definire bene, ma si guardò bene dal farlo lì, davanti a tutti.

Aveva una così gran confusione in testa che a stento si ricordava perché fosse in quella casa.

“Bene, Sam” esordì Bilbo, “Sei un ragazzo sveglio, perciò mi aspetto tu impari in fretta quel che tuo padre ti insegnerà.”

Trovata una via di fuga al marasma di sentimenti che aleggiavano nella sua testa, Sam annuì con vigore, assicurando con i suoi occhietti che ce l’avrebbe messa tutta per imparare.

 

 

 

“Ogni pianta ha le proprie caratteristiche e le proprie esigenze. Ciascuna è diversa, così come sono diversi i fiori che le adornano e le foglie che le ricoprono. Ma bada, Sam: anche quelle della stessa specie sono diverse le une dalle altre. Non dare per scontato che una margherita sia diversa da una viola solo perché hanno un nome differente.”

“Va bene.”

“Ora vedrai come travisare una pianta da un vaso alla terra. Sai già che se si vogliono fare delle prove si semina prima nei vasi, e che se cresce bene si devono piantare in giardino. Ecco, guarda!” disse Hamfast. Conficcò una paletta di metallo nella terra di un vasetto dai bordi bassi, e con quella estrasse parzialmente la pianticella. Attirò la completa attenzione di suo figlio mentre prendeva l’esile fusto, e con calma e determinazione la tirò via, tenendo la pianta stretta nella sua mano. “Asporta la pianta con forza e cura insieme, ma non strappare mai le radici. Cerca di non farlo neanche per errore. Quel che serve ad una pianta è la potatura, e quella te la spiegherò e te la farò vedere un’altra volta. Ecco, questo vale per quasi tutte le specie.”

Mentre parlava, fece una piccola buca dove avrebbe piantato l’arbusto, e quando fu sul punto di adagiarla dentro, Hamfast frugò nella tasca del suo grembiule e ne fece uscire del concime naturale costituito da soffice cenere di piante secche. Ne disperse un po’ sotto, e finalmente vi piantò il vegetale.

“L’acqua la preferiscono la sera, come un buon Hobbit preferisce mangiare quando è a casa con la propria famiglia e i propri amici, lontano dalle fatiche del mattino. Ma se non ti è possibile, nel tardo pomeriggio andrà bene ugualmente.”

Sam ascoltava e seguiva attentamente ogni suo movimento. Non era proprio la prima volta che vedeva suo padre lavorare, ma era la prima in cui fosse partecipe del suo mestiere.

Ma qualcosa lo distrasse. Il vento si alzò, soffiando e vorticando, e prese a frustare una piantina decisamente più piccola degli enormi cespugli che capeggiavano il giardino. Sam cominciò a fissarla. I fiorellini candidi si agitavano con violenza, tanto che il piccolo Gamgee credette con dispiacere di vederne cedere gli steli.

Interruppe il padre, facendogli notare quel che stava per accadere tirandogli con forza il grembiule. Hamfast si voltò con aria interrogativa, e quando si rese conto del fatto si accovacciò vicino alla pianta estraendola dal terreno come aveva fatto prima con l’altra. E, cosa più importante, la piantò sotto la quercia che Sam aveva adocchiato appena entrato nella proprietà dei Baggins.

Mentre lavorava, Hamfast sorrise; e quando ultimò il tutto, il suo sorriso diventò ancora più largo, ma in qualche modo anche più serio.

“Ora ascolta bene, Sam, perché questa è una lezione che vale sempre, in qualunque circostanza. Quando vedi una pianta piegata sotto i colpi della pioggia, o del vento, cerca sempre di trovarle un riparo, qualsiasi esso sia, ma che la ripari bene, mi spiego? Una pianta più robusta o qualsiasi cosa possa costituire un buon ricovero. Che il più forte protegga sempre il più debole, Sam. Ricordalo bene.”

Vide lo sguardo del figlio ritornare sulla pianta che ondeggiava appena, ormai al sicuro, constatando che effettivamente l’aveva reso estremamente pensieroso.

“Come si fa a capire chi è forte e chi no?”

Perché Sam si sentiva debole, completamente dipendente dalla protezione dei suoi genitori e dei suoi fratelli e sorelle. A parte la vegetazione dei giardini in cui un giorno avrebbe lavorato, non aveva la più pallida idea di come dovesse impiegare il suo senso di protezione nei confronti degli altri. Pensò a Frodo, a come a prima vista fosse di gran lunga più autonomo di lui, a come fosse in grado di prendersi graffi e sbucciature con noncuranza, a come riuscisse ad essere spigliato con tutti.

“Lo si vedrà a tempo debito. Chissà, magari persino il signor Frodo avrà bisogno di te e della tua forza, un giorno. E non solo per il giardino di casa sua.”

“Lui non è debole” disse Sam.

“No, e se lo è lo nasconde bene.”

“Ed io... sono forte o debole?” chiese, un leggero velo d’imbarazzo ad arrossargli il volto. Si vergognò di aver esternato un pensiero simile, ma non poteva fare affidamento sul proprio giudizio per quanto riguardava le sue competenze, perché sarebbe stato sempre appena sufficiente.

“Sei quello che vorrai essere. Puoi combattere per coloro che ami, proteggerli, o nasconderti spaventato e lasciare i tuoi amici al loro destino. Scegli, e scegli liberamente, ma fa’ in modo di non pentirti della tua scelta.”

Vide il figlio aggrottare le sopracciglia, mentre le prime gocce di pioggia cadevano sulla terra.

“Entriamo, Sam. Andiamo a ripararci anche noi.”

 

 

Il Gaffiere disse che quando una piantina è esposta troppo alle intemperie la si deve far riparare da una più grande. Sam non era grande: anzi, era forse il più basso e tondo fra gli Hobbit della Contea, ma scelse di essere forte e di combattere, per coraggio o per collera, contro le più orride creature della malvagità per proteggere il suo signore.

 

 

 

 

 

 

 

NDA

Scusate il titolo, sono pessima! xD

Sono contenta, però, di averla finita. L’ispirazione ha chiamato, più o meno proprio con una scena simile, e se non finivo ora questa piccola sciocchezzuola chissà quando l'avrei fatto. :P

Grazie per essere passati! :*

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: xingchan