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Autore: hapworth    10/01/2009    2 recensioni
Chi avrebbe mai immaginato che iniziate le superiori qualcosa sarebbe cambiato? Arrivato allo Shohoku il suo sogno sembrava ancora più vicino, poteva quasi toccarlo. Ma poi ecco che tutto crollava inesorabilmente quando, dopo aver battuto degli stupidi che avevano disturbato il suo sonnellino pomeridiano, aveva incontrato per la prima volta degli occhi marroni, talmente belli da sembrare dorati ai riflessi del sole in alto nel cielo.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Emh... cosa dire su questa ff? Diciamo pure che è nata uno di questi pomeriggi mentre cercavo di allontanarmi dai libri di scuola che mi osservavano sadicamente... e allora io mi sono messa a rileggere delle citazioni che avevo appuntato un po’ di anni fa e... ho trovato quello che mi ha colpito e ispirato.

 

Il Destino è come un Libro

 

“Qualunque sentiero percorri nel Giardino di Destino,

sarai costretto a scegliere, non una, ma tante volte.”

(Sandman - Neil Geiman)

 

Kaede Rukawa era un ragazzo moro dagli occhi blu come due zaffiri cobalto e la pelle candida come solo la neve poteva essere, alto e ben proporzionato; era sempre stato ammirato e invidiato dagli altri che per questo si tenevano a distanza, non che a lui desse fastidio, era sempre stato un ragazzo che amava la solitudine quindi, di rimanere isolato, non gli importava un granché.

Era un ragazzo considerato da tutti apatico ed egoista, il cui unico interesse, oltre a dormire in continuazione, era il Basket, ed era proprio lì che Rukawa faceva innamorare dei suoi movimenti aggraziati e del suo stile impeccabile nel giocare, in quel campo il suo sguardo diventava infuocato di sfida, sembrava voler battere anche il cielo stesso in quei minuti di partita in cui era in campo mentre scattava verso il canestro, scartava gli avversari con finte spettacolari e con azioni memorabili soffiava la palla alla squadra avversaria di turno. Ed in quegli istanti Kaede era sempre guardato con ammirazione e invidia, per quel suo talento che gli permetteva di brillare più delle stelle stesse nel cielo.

Molti pensavano che Kaede fosse stato baciato dalla fortuna con quel talento che si ritrovava, ci avrebbero quasi messo la mano sul fuoco finendo, irrimediabilmente, bruciati. Perché Rukawa aveva si talento, ma non aveva mai avuto altro. Aveva semplicemente scelto di essere quello che era adesso. Perché dico questo? Perché quel ragazzo aveva avuto un’infanzia difficile, ingiusta credo sia la parola giusta per descriverla.

Appena nato Kaede era stato allevato dalla nonna dato che sua madre era morta durante il parto e suo padre, invece, era morto in seguito ad un incidente aereo. Fino all’età di quattro anni tutto era andato bene: l’anziana donna lo amava come un figlio e Kaede era felice, sorrideva dolcemente allegramente, si sentiva amato; ma poi ecco che l’ombra della morte si era estesa anche all’anziana donna che l’aveva lasciato in una fredda giornata di dicembre. E Rukawa era rimasto solo. Solo e senza parenti che potessero prendersi cura di lui era finito in un Istituto, una specie di Orfanotrofio, ma a quattro anni si è ancora troppo piccoli per capire il concetto di morte e il concetto di solitudine. Eppure già allora Kaede aveva capito di essere rimasto solo e che sua nonna, come sua madre e suo padre, non sarebbe tornata a prenderlo, mai più. E lui aveva fatto del suo meglio per continuare la sua vita, quando aveva sentito le maestre preoccupate perché parlava poco, non sorrideva mai e che per questo nessuno lo voleva, aveva pensato che gli andava bene che in fondo era solo da quando era morta sua nonna, avrebbe tranquillamente continuato ad esserlo e sarebbe andato per la strada che aveva scelto da sé. E Kaede era andato avanti, se ne era fregato di tutto e di tutti pur di continuare la sua esistenza solitaria. Aveva trovato il Basket in una giornata di Sole, aveva visto dei ragazzi più grandi giocare e, sorprendendoli, aveva chiesto di insegnargli a giocare... ed era diventato bravo in poco tempo, aveva superato i più grandi. Aveva poi scelto quello sport, programmandosi tutto il suo futuro, i suoi sogni aggrappandosi ad esso nei momenti in cui sentiva di non potercela fare, nei momenti in cui avrebbe voluto una famiglia accanto.

E poi quella donna era arrivata all’Orfanotrofio, non era altro che un’anziana donna ma a Kaede vedendo il suo sorriso era sembrata sua nonna e l’aveva amata dal primo momento, come una madre, meno di sua nonna ma l’aveva amata, tanto. Quel sorriso sempre pronto, quelle sue espressioni buffe che facevano ridere tanto gli altri bambini ma non lui. Lo sapeva che in fondo quella donna voleva solo la felicità di quei bambini e che avrebbe voluto vedere il suo di sorriso, ma Rukawa era solo da tanto e non sorrideva da molto di più. Era rimasta lì tanto, tanto tempo e Kaede era cresciuto sotto quello sguardo dolce sotto quell’aria di protezione che la donna sembrava trasmettergli solo osservandolo come una madre. E poi anche lei, un giorno come tanti, se ne era andata, sorridendo come solo lei sapeva fare guardando gli altri con affetto e lui con amore materno, perché in fondo aveva sempre cercato di capire quel ragazzo così strano e scostante, così triste. Rukawa era andato, ormai aveva dodici anni, al suo capezzale poco prima della fine e l’aveva guardata con i suoi occhi blu profondi e, tenendole la mano grande e rugosa, invecchiata, le aveva sorriso con le piccole labbra pallide di natura e l’anziana aveva rivisto ancora il figlio che aveva perso tanto tempo prima in quel ragazzino dalla pelle bianca e i capelli corvini.

Dopo quell’episodio tutto tornò come prima, Kaede Rukawa non sorrise più, neppure una volta. Non vedeva l’ora di crescere ancora e uscire da quel posto che avrebbe dovuto chiamare casa per tutto il tempo che ci aveva passato ma non lo fece mai, forse perché, molto probabilmente, odiava quel posto e quindi non l’avrebbe mai chiamato con un nome diverso da Orfanotrofio o Istituto, e  una volta uscito avrebbe potuto realizzare, finalmente, i suoi sogni.

Poi, un giorno, improvvisamente comparve un uomo che affermò di essere il fratello di suo padre e, in effetti, si somigliavano molto lui e Kaede e lo adottò o almeno, prese la sua custodia e portò solo in una casa enorme, lasciandolo a se stesso... o per meglio dire, gli pagava i viveri, la retta scolastica e i vestiti, insomma quello che gli serviva. A Rukawa non sembrò strano quel comportamento dato che, in fondo, non amava la compagnia e per lui fu meglio così, non soffriva la solitudine, anzi era felice della scelta di quello zio.

Appena entrato nella nuova scuola media iniziò il suo progetto: si fece ammettere al club di Basket sbalordendo tutti e all’ultimo anno divenne il capitano. Era il primo passo verso la sua meta tanto agognata. Tutti lo ammiravano ma a lui non importava, cominciavano a morirgli dietro tante stupide ragazzine ma a lui non interessava l’amore o la stima di qualcuno quindi continuò la sua vita come se niente fosse, nessuno si era mai messo sulla sua strada e di certo non avrebbe permesso a nessuno di fermarlo adesso che mancava poco, troppo poco.

Chi avrebbe mai immaginato che iniziate le superiori qualcosa sarebbe cambiato? Arrivato allo Shohoku il suo sogno sembrava ancora più vicino, poteva quasi toccarlo. Ma poi ecco che tutto crollava inesorabilmente quando, dopo aver battuto degli stupidi che avevano disturbato il suo sonnellino pomeridiano, aveva incontrato per la prima volta degli occhi marroni, talmente belli da sembrare dorati ai riflessi del sole in alto nel cielo. Si era sentito talmente scombussolato che alla prima occhiata non aveva neppure visto i quattro idioti che accompagnavano quegli occhi, in sostanza nemmeno gli era interessato il sesso del possessore di quegli occhi che già aveva sentito il suo cuore scaldarsi e battere veloce. Poi aveva osservato meglio il ragazzo, si perché era un ragazzo, che aveva di fronte: più alto, o della sua stessa altezza, pelle abbronzata e dei capelli rossi come il fuoco che arde, sembravano quasi vivi quei capelli.

Non sapeva perché ma in quell’istante che sembrò durare quasi secoli sentì di aver scelto ancora, non sapeva neppure lui cosa ma sapeva che aveva deciso qualcosa e che tutta la sua vita si sarebbe modificata girando attorno a quella strada, persino il suo futuro che tanto aveva sognato. E Rukawa in qualche modo, sempre più spesso, si rese conto di divertirsi a picchiarsi con quel ragazzo che invece lo faceva solo per gelosia dato che una stupida ragazzina di cui quel Do’aho si era innamorato moriva dietro a lui. Kaede continuò a fare l’indifferente, sempre, anche se dentro sorrideva dolcemente verso quel ragazzo dai capelli infuocati e gli occhi marroni brillanti.

Sapeva bene che cosa provava, l’aveva capito quasi subito in fondo, non era uno stupido lui, amava quel ragazzo e non gli dava fastidio dato che non aveva mai avuto pregiudizi anche perché sospettava di avere gusti un poco diversi dato che detestava le ragazzine che gli andavano dietro, e odiava atrocemente, senza nemmeno conoscerle, le cinquanta che avevano avuto l’amore di Hanamichi Sakuragi, questo il nome del Do’aho autoproclamatosi Tensai. Gli piacevano le scenette che quell’idiota metteva su ad ogni allenamento, capiva che facevano sentire la squadra viva che quei particolari ormai erano fondamentali nella loro quotidianità, come la classica scazzottata tra di loro.

Aveva rinunciato subito all’essere ricambiato, perché in fondo sapeva benissimo, per quanto la sua mente cercasse di convincerlo del contrario, che Hanamichi era attratto solo ed esclusivamente dalle ragazze, ci aveva fatto il callo a vederlo sbavare tutte le volte che quella... ragazzina entrava in palestra sorridendo così spudoratamente anche se lo considerava meno di niente, forse un buon amico e basta.

E Kaede soffriva, soffriva nel vedere come quella gattaccia morta rivolgesse le sue attenzioni da puttana verso di lui, lui che avrebbe voluto solo lo sguardo innamorato del Do’aho, l’unico che avrebbe voluto su di sé mentre faceva un canestro perfetto, mentre stoppava un avversario, mentre schivava gli avversari... gli sarebbe bastato un unico istante, un solo misero istante, incrociare quegli occhi castani così belli mentre guardavano lui, solo lui... non il frigorifero, non la supermatricola e nemmeno il suo rivale... solo Kaede Rukawa come ragazzo sedicenne e basta. come persona imperfetta nella vita, che ama dormicchiare ovunque e adora il Basket, come un normale sedicenne innamorato che vuole solo essere amato da qualcuno davvero per quello che è non perché è bello o ha talento.

Sapeva benissimo che una cosa del genere non sarebbe mai accaduta, ma in un piccolo angolo del suo cuore continuava a sperarci, perché quel ragazzo era davvero l’unica cosa importante a cui teneva davvero dopo tanto tempo, l’avrebbe voluto vedere con un sorriso vero, almeno una volta, magari rivolto a lui... era consapevole che stava solo sognando, anche se quel sorriso immaginario gli faceva battere forte il cuore.

- Kitsune? – la voce del Do’aho gli fece aprire gli occhi e svegliare dal lieve torpore in cui era caduto - Nh... – rispose come al solito anche se il suo cuore batteva a mille – Che ci fai ancora qua eh volpe rinsecchita? – gli domandò quello appoggiandosi alla porta dello spogliatoio – Niente che ti interessi – disse secco anche se avrebbe voluto rispondergli dolcemente un “- Pensavo a te che amo talmente tanto da andare contro alla mia stessa felicità -” che rimase impresso nella sua mente. – Che grande risposta... illuminante quasi! – sbottò Hanamichi ridendo sguaiatamente – Come se a me interessasse davvero quello che fai ancora qui a quest’ora indecente! Sei solo un egocentrico ragazzino viziato che crede di potersi permettere tutto – e quelle parole gli fecero male, gli fecero davvero male, essere consapevole che la persona che ami, oltre a non poterti ricambiare mai, ti considera anche altezzoso ed egoista... un superiore che può avere davvero tutto... Queste parole nella sua mente ferirono più di un pugno il suo cuore. E Kaede, il leggendario e freddo Kaede Rukawa, raggiunse il suo punto di rottura.

Le gambe gli cedettero e si ritrovò a terra a dare forti pugni sul pavimento mentre sentiva le lacrime, che non aveva mai versato per nessuno, premere forte per uscire finalmente e, incredibilmente,  si ritrovò perfino ad urlare tutto quello che aveva sempre tenuto dentro di sé.

- CREDI CHE MI DIVERTA A ESSERE IDOLATRATO IN QUESTO MODO SENZA POTER SCEGLIERE?! NON VOGLIO CHE LA GENTE MI SCAVI DENTRO GUARDANDOMI COME UNA POVERA VITTIMA SOLO PERCHE’ SONO CRESCIUTO IN UNA MERDA DI ORFANOTROFIO E MIO ZIO MI HA ADOTTATO QUASI UNA VITA DOPO PER POI LASCIARMI IN QUELLA SCHIFOSA CASA ENORME SOLO COME UN CANE! MI CONSIDERANO UNA PERSONA SENZA SENTIMENTI QUANDO INVECE VORREI SPACCARE LA FACCIA A TUTTE QUELLE BASTARDE CHE MI GUARDANO ADORANTI SOLO PERCHE’ SONO NATO COSI’! SE NON SONO CAPACE A SOCIALIZZARE E’ SOLO PERCHE’ NESSUNO ME LO HA MAI INSEGNATO E NON PERCHE’ MI CONSIDERO PIU’ FURBO DEGLI ALTRI! NON HO MAI VOLUTO NIENTE DI QUELLO CHE HO EPPURE CE L’HO E NON CI POSSO FARE NIENTE E L’UNICA COSA CHE HO DESIDERATO IN TUTTA LA MIA SCHIFOSISSIMA ESISTENZA NON L’AVRO’ MAI! – aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola e manco si era reso conto di singhiozzare come un moccioso e le nocche sanguinanti per tutti i colpi che aveva dato al pavimento. Non riusciva nemmeno a vedere quello che aveva davanti, era tutto annebbiato e stava cominciando a tremare e a provare dolore alle mani e alle braccia... aveva mal di testa.

- Ehi... Rukawa... io... – la voce di Hanamichi lo raggiunse, sembrava vicina... – Lasciami stare... lasciami stare... per favore... – sussurrò stanco – Volevo solo un po’ d’amore... solo questo... ho chiesto troppo? – sussurrò singhiozzando e piangendo stringendo forte le mani a pugno. Poi un calore sconosciuto ma conosciuto al tempo stesso lo avvolse, stringendolo forte – Calmati... non piangere – quella dolce voce che aveva tanto desiderato udire nel suo orecchio e quelle grandi braccia che lo avvolgevano... se fosse morto in quel momento avrebbe lasciato tutto felice di essere vissuto solo nell’attesa di quel momento, di aver sofferto così tanto solo per ricevere quell’abbraccio e quelle parole dolci...

- Non voglio che credi che io pensi davvero quello che ho detto, non lo penso affatto... la mia è solo invidia. Solo questo. Non avevo idea di ferirti con il mio comportamento... volevo solo che la smettessi di essere indifferente e... – ma Kaede non lo lasciò finire, ormai aveva smesso di piangere e lo guardava con i suoi occhi blu cobalto lucidi e con una piccola luce di speranza, nel cuore ancora quel piccolo desiderio che aveva osato fare, forse troppo grande, quel giorno in cui l’aveva visto per la prima volta.

- Non dirlo se lo fai solo perché hai dei sensi di colpa... non farlo altrimenti rischierei di amarti più di quanto faccio ora e ne potrei davvero morire... – sussurrò cercando di nascondersi sul petto del rosso che però gli afferrò delicato il mento – Shh... Volpetta non dire stupidate... se muori poi io con chi mi picchio? Chi potrei guardare per trovare un esempio da seguire? Chi mi spronerebbe a diventare migliore? Chi amerei con tutto me stesso poi? Non troverei in nessun altro i tuoi occhi così belli e la tua pessima abitudine di sonnecchiare in giro, nemmeno se cercassi tutta la vita – gli disse sorridendo veramente, quel sorriso che Kaede aveva immaginato... era così bello che poteva far impallidire il sole di mezzogiorno, scaldava così tanto... ed era così dolce.

Ed eccolo il sorriso di Kaede apparire finalmente dopo tanti anni, ed è più bello di quanto Hanamichi potesse mai immaginare quella piccola curva da cui spunta una piccola porzione dei denti del moro, così bello che lui si sente quasi il cuore piangere dall’emozione. Vorrebbe averlo per sempre nella mente quel sorriso e poterlo ricordare in qualunque momento... e allora lo bacia.

Kaede arrossisce lievemente mentre Hanamichi lo sfiora con le labbra sulle sue e delicatamente gli ricopre tutto il viso di lievi baci per poi tornare al punto di partenza. Si sente stringere e ricambia la stretta mentre il rossino approfondisce dolcemente il bacio e le loro lingue si cercano impacciate cercando di incontrarsi e trattenersi insieme.

Quando si staccano sono entrambi accaldati e con il sorriso sulle labbra – Kaede ti amo... – e il moro, anche se è imbarazzato gli sorride e risponde allo stesso modo – Ti amo – prima di alzarsi e prenderlo per mano, delicatamente per colpa delle ferite, per poi farsi trascinare via da quello spogliatoio verso un posto caldo dove ci sarà davvero l’affetto che cercava da sempre.

E lo scriverà sul suo Libro per ricordarselo, quando ne avrà voglia, insieme ad Hanamichi.              

 

Fine

 

Mah... non era proprio così l’idea originale ma devo dire che mi è piaciuto scriverla anche se non è bella... (sto ancora domandandomi il perché del titolo e il perché della citazione dato che poi la storia non centra niente almeno secondo me...).

By athenachan

 

 

       

       

 

 

 

   
 
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