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Autore: General_Winter    15/06/2015    2 recensioni
Ricorda, Americano. Quando anche l’ultimo albero verrà abbattuto, quando l’ultimo pesce sarà pescato, quando l’ultimo fiume finirà avvelenato, quando l’ultimo animale libero ucciso, ti renderai conto … ti renderai conto che non si può vivere mangiando denaro…
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.:Dove volano le aquile:.



L’urlo adirato e infastidito di Arthur attirò l’attenzione di tutti.
« Ma dove diavolo è finito quell’idiota?! ».
Inutile domandarsi chi fosse, tutti lì avevano notato l’assenza dell’Americano. Infatti nessuna voce squillante si stava diffondendo nell’aria, nessuna bizzarra proposta arrivava alle orecchie dei presenti, nessuna affermazione di eroica superiorità infastidiva le nazioni partecipanti al meeting.
Infuriato, Inghilterra afferrò il proprio cellulare dalla tasca, sotto lo sguardo divertito di Russia e annoiato di Francia, che si domandava mentalmente il motivo per cui l’Inglese desiderasse tanto la presenza di America a quell’incontro.
Però dovette anche ammettere che era abbastanza insolito; Alfred non era mai mancato. Sarà stato sempre un megalomane vanitoso, ma era responsabile come nazione, conosceva i propri doveri e sapeva a quali regole non poteva trasgredire. Non gli era consentito saltare alcun tipo di riunione e l’Americano lo sapeva bene, quindi doveva trattarsi di qualcosa di veramente importante per non presentarsi da loro.
« Oh bene! Finalmente rispondi! » a quanto pareva, Arthur era riuscito a contattare America.
-Ah! England! Scusami, l’eroe è impegnato al momento, ti richiamo … forse … bye!-
L’Inglese era troppo sconvolto per poter ribattere e quando ci riuscì, era tuttavia troppo tardi, poiché Alfred aveva già riattaccato con fretta e foga.
Tutti fissavano interdetti sia il cellulare sia Arthur, che stringeva convulsamente i pugni, esplodendo poi in un grosso grido frustrato e, in sottofondo, la risatina divertita del Russo.
L’unico a porsi, però, la fondamentale domanda fu Feliciano, accanto a Germania, che mormorò tra sé e sé: « Chissà cosa avrà dovuto fare America di così importante? » e l’unico a sentirlo fu appunto il Tedesco, lì affianco, che lo guardò con un misto di curiosità e apprensione.
 
Intanto, lontano chilometri dai problemi del mondo, l’Americano guidava con foga il suo Hummer nella sua famosa Death Valley. Guardava freneticamente l’orologio al suo posto, con preoccupazione per il suo ritardo.
In effetti era vero: l’appuntamento era parecchie ore prima, alle dieci del mattino. E tutto sarebbe andato secondo i piani se non gli avessero cancellato il volo e ve ne fossero stati altri dopo qualche ora.
Invece l’aereo per raggiungere la sua meta partiva il giorno dopo e lui non aveva un secondo da perdere, glielo aveva promesso.
Tanto ti perdonerà ugualmente … lei lo fa sempre…
Cercò in tutti i modi di soffocare con pensiero quella vocina che ogni volta compariva nella sua testa quando pensava a lei.
Strizzò forte gli occhi per un secondo, chinando il capo e reprimendo le lacrime, col cuore che esplodeva: lui non meritava il suo perdono, era un essere ignobile e bastardo, marcio nell’animo, mentre lei era pura come l’acqua di una fonte in alta montagna e buona come il pane appena sfornato.
Era dolce come una madre protettiva e libera come un’aquila.
Lei era un’aquila.
Prima che lo stesso Alfred, prepotentemente gli strappasse con divertita cattiveria le piume, per pentirsene dopo, quando ormai era troppo tardi per salvarla.
Il sole stava calando oltre il piatto orizzonte, regalando all’uniforme terra i colori che solo quella antica sabbia poteva vantare, cangiando tra le sfumature arancioni al rosso acceso, all’oro.
Sgommò tra il terriccio secco, scendendo di corsa dal fuoristrada, riuscendo a chiudere a malapena la portiera, controllando un’ennesima volta l’ora e masticando tra i denti un’imprecazione: le sette di sera, era in ritardo di ben nove ore. Non si sarebbe sorpreso di non trovarla, di ricevere una sua chiamata adirata e indignata, che gli ricordava di essere idiota su tutti i fronti.
Invece era ancora là.
Ad Alfred si bloccò il respiro in gola e il cuore nel petto nel vedere quella solenne figura stagliarsi contro il cielo ormai cobalto, nobile come un’aquila o una lupa.
Deglutì un paio di volte a quella visione, ritenendosi quasi indegno di tale maestosità, mettendo per qualche secondo da parte la propria solita presunzione.
Risalì la scala in legno, sentendola secca e scricchiolante sotto le proprie dita. Saggiò con i piedi ogni singolo piolo, sperando che lo reggessero fino alla fine della propria scalata.
La superficie di mattoni cotti emanava ancora un tenue e rilassante tepore di sole, piacevole da avvertire sotto le dita.
Raggiunse di corsa la propria ospite, non guardandola in faccia, troppo l’imbarazzo che provava per quella deplorevole figura appena fatta.
Appena si decise a guardarla, un vano fiume di parole gli uscì dalle labbra: « Megisi, perdonami! È solo che il volo è stato annullato e non ce n’erano altri e il metodo più veloce era la macchina, ma sai quanto ci vuole e quindi… ».
La ragazza, seduta con le gambe accavallate sul bordo della casa più alta del pueblo, sembrò non sapersene che fare di tutta quell’aria sprecata e di quelle giustificazioni, ma il suo cuore tranquillo era sempre stato una rocca inespugnabile per la cattiveria.
Gli rivolse un sorriso, che lo stesso Alfred giudicò pieno e vuoto: pieno di dolcezza e vuoto di forza. America si sentì un mostro.
« Non importa, ora sei qui ».
La sua voce fu una melodia flautata accompagnata dal vento che echeggiava tra i cunicoli della costruzione.
Gli fece segno di sedersi accanto a lei e, anche se con un po’di reticenze, lui si accomodò.
Una brezza fresca rinvigorì gli animi di entrambi, mentre i cerrulei occhi dell’Americano si attardavano a osservare il fisico della ragazza lì vicino: il progresso aveva raggiunto anche lei da lungo tempo, Alfred stesso glielo aveva imposto, ma ora se ne pentiva.
Le lunghe gambe snelle erano fasciate da jeans stretti e una larga maglietta bianca e semplice gli copriva tutto il busto; fu comunque felice di notare che non tutto delle sue origini era andato perduto: sottili strisce di pelle tinta di bianco erano legate attorno al suo collo e sulla sua fronte, in un piacevole contrasto con la sua pelle appena bruna; numerosi bracciali le ricoprivano i polsi e i suoi capelli erano intrecciati con fiori e penne di aquila.
Proprio tra quei fili d’ebano si infilarono le tozze e delicate dita dal ragazzo, quasi involontariamente. Megisi sobbalzò, ma non smise di guardare di fronte sé, verso il sole che ormai calava lasciando il posto a una rinfrescante sera.
Non scacciò la sua mano, ma si voltò di lato, rivolgendogli un dolce sorriso che fece sobbalzare il cuore dell’Americano.
La ragazza prese la chitarra, posata al suo fianco, cominciando a strimpellare alcune calme note che riempirono il silenzio che si era formato.
Quella placida tranquillità fu spezzata però da una parola che uscì dalla bocca di Alfred, una parola che la povera Megisi era stufa di sentirsi dire: « Perdonami ».
Lo ignorò, tornando a suonare, e ciò mandò in frantumi l’animo già diroccato di America. Non disse più nulla, sfilando le mani dai suoi capelli.
« Sai, Alfred? » interruppe quell’apnea dopo alcuni minuti di vuoto assoluto « Ho sentito una canzone italiana che trovo meravigliosa … posso cantartela? ».
Quella strana richiesta sorprese non poco il ragazzo, che acconsentì con un’espressione stupita che non era riuscito a levarsi dalla faccia.
Rise soave, riprendendo a suonare vari accordi.
Non capì molto della parole all’inizio, l’Italiano gli era sempre risultata una lingua difficile da comprendere, per quanto bella e melodiosa.
Quando il significato di quelle criptate parole gli giunse alla mente, i suoi occhi non riuscirono a trattenere le lacrime di colpa e il suo cuore si contrasse in un’orrenda morsa di dolore.
 

Fu un generale di vent’anni,
occhi turchini e giacca uguale.
Fu un generale di vent’anni,
Figlio di un temporale.

Sognai talmente forte
Che mi uscì il sangue dal naso.
Il lampo in un orecchio,
nell’altro il paradiso.
Le lacrime più piccole, le lacrime più grosse,
quando l’albero della neve, fiorì di stelle rosse.
Ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek.
 
La rabbia e lo sconforto riempivano di acido il ventre di America, che piangeva lacrime amare senza togliere gli occhi dal cielo ormai ricolmo di fragili stelle.
Anche quella sera c’era una piccola luna, come nella canzone.
Aveva agito per ciò che credeva giusto, non si era rimproverato niente. Al tempo.
Ora, ogni volta che ripensava agli stupidi errori di una gioventù bruciata nella continua ricerca di effimera ricchezza, si sentiva un idiota che non aveva capito cosa quel terra, quel mondo, poteva insegnarli.
Aveva soppresso ogni singola cosa che poteva impedire la sua fame e la sua voglia di espansione.
E quei popoli si era ritrovati sulla sua strada. Con la morte aveva ripagato coloro che lo avevano aiutato a sopravvivere in quel luogo che all’inizio gli era parso tanto inospitale.
Il grido di una solitaria aquila distolse l’attenzione di Alfred da quei pensieri, per portarlo proprio sul nobile animale che stava solcando il cielo sopra le loro teste.
Il suo simbolo di forza e libertà.
No.
Non era sempre stato suo.
Apparteneva a lei, prima.
Si volta verso la Nativa, lasciandole uno sguardo perplesso, appena finita la canzone.
Le sue iridi di ossidiana ricambiavano lo sguardo con serietà: « Ricorda, Americano. Quando anche l’ultimo albero verrà abbattuto, quando l’ultimo pesce sarà pescato, quando l’ultimo fiume finirà avvelenato, quando l’ultimo animale libero ucciso, ti renderai conto … ti renderai conto che non si può vivere mangiando denaro… ».
Una freccia nel cuore, scoccata come sempre lei era stata brava a fare, dalla notte dei tempi.
Si alzò, lasciandolo solo con i pensieri, la solitudine e le stelle, incamminandosi sulla strada asfaltata, verso l’irraggiungibile orizzonte.
La osservò a lungo, quel corpo snello, coperto da innumerevoli cicatrici che lui stesso ha causato.
Pentito, ma ormai era troppo tardi.





LA TANA DEL LUPO:
Uscita di getto, ascoltando la canzone "Fiume Sand Creek" di Fabrizio de André, canzone di cui non detengo alcun diritto. Il personaggio di Megisi è un OC, per la precisione OC!Riserva Cheyenne. Molto bizzarro lo ammetto, ma mi sembrava un'ottima comparsa per una storia del genere!
Faccio un annuncio. Partirò per le vacanze, per cui per la prossima settimana niente aggiornamenti, ma appena tornerò aggiornerò tutto. 
Un saluto e un bacio,
Lupus.

 
  
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