C’erano poche cose che Spagna odiava. Alzarsi presto alla mattina, quando il cibo non era buono ma, soprattutto, quando Lovino era triste. I giorni in cui il suo Italia piangeva erano pochi, di solito era sempre arrabbiato, ma seppur si potevano contare sulle dita di una mano, distruggevano il cuore dello spagnolo ogni volta. E oggi era uno di quei giorni. A quanto pare l’incontro con Feliciano non doveva essere andato bene perché il suo Lovino ora era là, davanti a lui, in lacrime, a chiedergli -anzi, urlargli- di non disturbarlo chiudendo bruscamente la porta di camera sua. Antonio d’altronde aveva imparato a non dare troppo peso alle parole del più grande dei fratelli Vargas, così, chiesta una tazza di the con dei biscotti alle cuoche e un paio di fazzoletti, si preparò ad affrontare il suo piccolo Lovino.
Si avvicinò cautamente alla porta, come se potesse scoppiare da un momento all’altro, e bussò. Nessuna risposta. Provò di nuovo.

“Vattene Antonio!” Beh, almeno lo aveva chiamato col suo nome e non con uno dei suoi “diminuitivi”, era già qualcosa. Senza avvertire Lovino Spagna aprì la porta urlando qualcosa che assomigliava a “TIPREGONONFARMIMALEHOILTHEINMANO!” Lovino, seduto sul letto con gli occhi gonfi di lacrime, mormorò qualcosa che assomigliava a “stupido spagnolo” e si distese rivolto dalla parte opposta di Antonio.

 “Lovi, mi corazon, cos’è successo con Feli?” Dicendo queste parole lo spagnolo posò tazza e fazzoletti e si sedette a fianco dell’italiano.

“Non chiamarmi Lovi, bastardo.” Sussurrò Lovino.

Antonio era già felice che l’Italia del Sud non l’avesse mandato via a calci, ma quando il suo Lovino lo abbracciò, poteva dirsi di essere l’uomo più felice al mondo. Non perché avesse un bambino piangente in grembo, ma perché Lovino, il suo Lovino, che diceva sempre di odiarlo, di non sopportarlo, in quel momento lo stava abbracciando. Per una volta Antonio aveva abbattuto i muri di Lovino, per una volta l’italiano si era aperto con lo spagnolo. E Antonio voleva davvero aiutarlo, desiderava che il suo piccolo fosse sempre felice, sognava di proteggerlo dal resto del mondo, ambiva a riempirlo dell’affetto che non aveva mai avuto. Così fece una delle poche cose che sapeva fare: cantò.
Cantò una canzone spagnola, una ninna nanna, che parlava di cose stupide, ma in cui Antonio ci mise il cuore. Cantò pensando a tutti i momenti belli che aveva passato con Lovino, come quella volta che era tornato e aveva trovato la casa in disordine, e si era arrabbiato ma la faccia triste dell’italiano l’aveva fatto desistere dal metterlo in punizione. O quando girano insieme per i campi a raccogliere pomodori, a guardare il cielo, a fare qualsiasi cosa tranne il lavoro. Si immerse così tanto nei suoi pensieri che si accorse del dormire di Lovino solo quando iniziò a russare. Si alzò cercando di non svegliarlo e lo sistemò sul letto, decise di lasciargli il the ancora caldo e i fazzoletti per quando si fosse svegliato. Si diresse cercando di non fare rumore verso la porta e la chiuse lentamente, sussurrando un buenas noches, mi corazon.
Antonio non poteva saperlo, ma nel lettino che si era lasciato alle spalle si sentì un sussurro: buona notte bastardo spagnolo.


Note dell’Autrice:
Aloha! Allora è la mia prima flashfic che pubblico qui, spero vi piaccia! Pensavo di lasciarla come flashfic ma se vi piace potrei farla diventare una raccolta con varie coppie di hetalia… Insomma, recensite e ditemi cosa ne pensate! Se lo fate vi do un marshmellow