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Autore: crazyclever_aveatquevale    17/06/2015    3 recensioni
Arthur è costretto a partecipare ad una riunione di condominio, onere che ha evitato con costanza da quando si è trasferito nel nuovo appartamento. Tuttavia, questa situazione non è così negativa come sembra... Non quando conosce un ragazzo irriverente ma incredibilmente affascinante...
La storia partecipa all'iniziativa "Screw prompts, give me points!"
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Questa storia partecipa all’iniziativa “Screw prompts, give me points!” indetta dal gruppo Facebook ‘Prompt me now’

Prompt 35: Riunione di condominio

 

 

MEETING YOU

Erano le otto e mezza di un qualunque mercoledì di aprile. Arthur stava rientrando a casa dopo una giornata interminabile nella Pendragon Company, l’azienda di suo padre di cui era vicepresidente, desideroso esclusivamente di farsi un bagno caldo e lasciarsi avvolgere dalla morbidezza delle sue coperte, quando, uscendo dall’ascensore, trovò qualcuno ad attenderlo sul pianerottolo.

Lo sconosciuto era un uomo sulla cinquantina, dalla corporatura esile e una stempiatura molto pronunciata e stringeva convulsamente fra le mani una cartellina. Non appena sentì lo scampanellio che accompagnava l’arrivo dell’ascensore l’uomo si girò e, probabilmente riconoscendolo, gli si avvicinò con decisione. Era chiaro ad Arthur, sempre impegnato a studiare il comportamento dei soci dell’azienda, che l’umo facesse di tutto per apparire tranquillo nonostante non lo fosse affatto.

Arthur continuò a guardarlo, impassibile, ascoltando passivamente il monologo del suo interlocutore, che si era presentato come George, l’inquilino del 2a, che in quel momento si trovava in trasferta al 4b per consegnargli personalmente l’invito alla prossima riunione di condominio, che si sarebbe tenuta quella sera stessa, alle nove. Prima ancora che Arthur potesse fare mente locale e imbastire su due piedi una scusa qualsiasi, il fantomatico George gli aveva già lasciato in mano il suo invito e aveva imboccato le scale quasi di corsa. Prima di sparire, si voltò e gli rivolse un «Non mancare» che voleva sembrare un saluto amichevole ma che alle orecchie di Arthur suonò più come una condanna definitiva.



Poco più di mezz’ora dopo, con ancora indosso gli scomodi abiti da lavoro, Arthur scese le scale che conducevano al seminterrato del palazzo, in cui, secondo la lettera che George gli aveva consegnato, si sarebbe tenuta la riunione: non appena entrò si accorse di essere in un locale caldaia adibito a sala riunioni, con tanto di file di sedie e palchetto per il moderatore. Non era molto in ritardo: come aveva pensato quasi tutti i posti erano ancora liberi, mentre gli altri erano occupati da alcune signore molto in là con gli anni. Al suo ingresso l’allegro cicaleccio che aveva sentito lungo le scale si interruppe, finché George non gli si avvicinò e, forse capendo di dover fare gli onori di casa, lo presentò agli altri come “il nuovo inquilino”. Arthur non replicò, nonostante vivesse lì ormai da mesi.

Con un sorriso e un «Salve» borbottato fra i denti, Arthur si spostò dal centro della stanza per accomodarsi sulla sedia, scegliendo casualmente quella più esterna e meno in vista di tutte. Questo, tuttavia, non fermò le occhiate curiose che le signore gli lanciavano a più riprese, ma per fortuna l’arrivo di altri inquilini distolse l’attenzione da lui quel tanto che bastava perché non apparisse più come un fenomeno da baraccone, come l’ultima attrazione di un circo itinerante appena tornato in città. Arthur ne approfittò per far vagare lo sguardo attorno la stanza e lasciar vagare libera la mente, ancora focalizzata su quel bagno caldo di cui non aveva potuto godere, avendo preferito mangiare qualcosa nel poco tempo che aveva avuto a sua disposizione.

Era come precipitato in un limbo senza pensieri, come un sogno senza sogni, ad occhi aperti; per cui non fece caso al momento in cui iniziò la riunione, mentre il vociare degli altri gli arrivava ovattato alle orecchie e riusciva a comprendere solo qualche frammento ogni tanto, ma non se ne preoccupava. Non era per nulla interessato, infatti, a scaramucce su “quali alberi fossero più consoni da piantare in giardino” o se fosse il caso di applicare le strisce antiscivolo lungo le scale per evitare ruzzoloni, e il conseguente racconto di quegli sfigati che avevano vissuto il disagio.

Ritornò alla realtà a seguito di una gomitata contro il suo fianco. Se ne uscì con un poco dignitoso «Ancora cinque minuti, per favore», ricevendo in risposta uno sbuffo divertito e un’altra gomitata fra le costole. Si girò verso la fonte del suo fastidio per trovare un sorriso smagliante ad attenderlo. Al sorriso era associato il più bel paio di zigomi che avesse mai visto, insieme alle orecchie più ridicole ed adorabili del mondo, che una massa di capelli neri non riusciva a coprire. Lo sguardo di Arthur fu infine catturato dagli occhi del ragazzo che lo aveva svegliato dal mondo dei sogni, nonostante ora quello gli apparisse come una visione migliore di qualsiasi sogno: erano occhi magnetici, del blu più profondo che avesse mai incontrato e così limpidi ed espressivi che avrebbe potuto perdersi in essi e non ne avrebbe comunque avuto abbastanza.

Poi il ragazzo – l’uomo? sembrava così etereo e fuori dal tempo… - parlò, e l’idillio scomparve: «Ehi, amico, sveglia! Ti stai perdendo tutto il divertimento, qui!» gli sussurrò allegro, scuotendogli il braccio come per svegliarlo.

Arthur si inalberò. Già non gli piaceva la gente che si prendeva fin troppe confidenze, se poi ci si intestardiva a volerlo svegliare o costringere a fare qualsiasi cosa, allora usciva davvero dai gangheri. «Non toccarmi, io e te non ci conosciamo nemmeno, non siamo “amici”.» Scosse il braccio, per liberarsi dalla presa. «E lasciami!» disse, a voce evidentemente troppo alta, dal momento che tutto il circolo attorno ai due si girò per osservare la scena. Arthur si ritrovò d’un tratto circondato da occhi curiosi che lo fissavano, ma un gesto della mano dell’altro sembrò quietare, almeno all’apparenza la muta domanda del loro piccolo pubblico. Il ragazzo moro tornò a guardarlo, alzando entrambe le braccia come a dichiarare la resa «Okay, errore mio. Niente “amici”, niente tocco. Ma non puoi perderti questo momento! Ora inizia la battaglia!»

E d’accordo, magari quegli occhi lo avevano reso un pochino parziale, soprattutto quando erano animati dal quell’evidente fermento, quindi Arthur, invece di rispondere con un commento caustico com’era suo solito, sussurrò un semplice «Cosa?», completamente incantato dall’altro.

«Ad ogni riunione c’è sempre un motivo per cui il signor Tomson, l’amministratore di condominio, si trova in disaccordo con la vecchia Nimueh, la sua dirimpettaia al piano terra: una volta troppa cera sul pavimento, un’altra le cassette della posta che andrebbero chiuse a chiave… per non parlare poi del loro argomento di discussione preferito: chi deve tenere le chiavi di questo posto! Sono uno spasso, sinceramente!” gli raccontò a bassa voce, invadendo il suo spazio vitale per farsi sentire, standogli addosso pur senza sfiorarlo minimamente.

Per Arthur quella vicinanza era a dir poco intossicante. «E… E perché litigano per questo posto?». Non che gli interessasse, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa perché continuasse a parlargli.

“Ah ma allora sei un asino per davvero!» lo schernì quello. Poi, forse notando che Arthur ci era rimasto male, gli fece l’occhiolino, continuando la spiegazione. «Beh, è molto semplice: Tomson pretende di essere l’unico a possederle, essendo amministratore di condominio, mentre Nimueh ogni volta gli fa notare che non è lui a doverle tenere, ma il proprietario dell’appartamento più vicino, ovvero lei. A quel punto lui solitamente replica che se lei avesse le chiavi trasformerebbe questo posto in un gattile, e allora parte veramente lo spettacolo! Comunque inizi il litigio, si finisce sempre a parlare di questo, aspetta e vedrai!”

Ora erano talmente vicini che Arthur sentiva il respiro dell’altro sulla propria bocca. Sarebbe bastato un leggero movimento della testa per unire le loro labbra, e anche l’altro parve accorgersene, visto che finalmente si zittì. Vi fu un momento di stallo, in cui entrambi si guardarono negli occhi, finché una voce riuscì ad entrare nella loro piccola bolla: «Lo sapevo che avresti ricacciato fuori quest’argomento!»

Il ragazzo mosse la testa così velocemente che ad Arthur venne male al collo al posto suo. Lo vide sedersi comodo sulla sua sedia, le braccia appoggiate ai braccioli e il corpo teso a godersi completamente lo spettacolo.

Era… Lui era bellissimo. Realizzò solo in quel momento di non avergli chiesto il nome. Senza pensarci due volte, appoggiò una mano sul suo braccio, catturando la sua attenzione. «Io sono Arthur, comunque»

Il sorriso che l’altro gli rivolse, Arthur l’avrebbe sognato tutte le notti a venire. «Merlin. Mi chiamo Merlin»

  
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