Questa
storia partecipa all’iniziativa “Screw prompts,
give me points!” indetta dal
gruppo Facebook ‘Prompt me now’
Prompt
35: Riunione di condominio
MEETING
YOU
Erano
le otto e mezza di un qualunque mercoledì di
aprile. Arthur stava rientrando a casa dopo una giornata interminabile
nella
Pendragon Company, l’azienda di suo padre di cui era
vicepresidente, desideroso
esclusivamente di farsi un bagno caldo e lasciarsi avvolgere dalla
morbidezza delle
sue coperte, quando, uscendo dall’ascensore, trovò
qualcuno ad attenderlo sul
pianerottolo.
Lo
sconosciuto era un uomo sulla cinquantina, dalla
corporatura esile e una stempiatura molto pronunciata e stringeva
convulsamente
fra le mani una cartellina. Non appena sentì lo scampanellio
che accompagnava l’arrivo
dell’ascensore l’uomo si girò e,
probabilmente riconoscendolo, gli si avvicinò
con decisione. Era chiaro ad Arthur, sempre impegnato a studiare il
comportamento dei soci dell’azienda, che l’umo
facesse di tutto per apparire
tranquillo nonostante non lo fosse affatto.
Poco
più di mezz’ora dopo, con ancora indosso gli
scomodi abiti da lavoro, Arthur scese le scale che conducevano al
seminterrato
del palazzo, in cui, secondo la lettera che George gli aveva
consegnato, si
sarebbe tenuta la riunione: non appena entrò si accorse di
essere in un locale
caldaia adibito a sala riunioni, con tanto di file di sedie e palchetto
per il
moderatore. Non era molto in ritardo: come aveva pensato quasi tutti i
posti
erano ancora liberi, mentre gli altri erano occupati da alcune signore
molto in
là con gli anni. Al suo ingresso l’allegro
cicaleccio che aveva sentito lungo
le scale si interruppe, finché George non gli si
avvicinò e, forse capendo di
dover fare gli onori di casa, lo presentò agli altri come
“il nuovo inquilino”.
Arthur non replicò, nonostante vivesse lì ormai
da mesi.
Con
un sorriso e un «Salve» borbottato fra i denti,
Arthur si spostò dal centro della stanza per accomodarsi
sulla sedia,
scegliendo casualmente quella
più
esterna e meno in vista di tutte. Questo, tuttavia, non
fermò le occhiate
curiose che le signore gli lanciavano a più riprese, ma per
fortuna l’arrivo di
altri inquilini distolse l’attenzione da lui quel tanto che
bastava perché non
apparisse più come un fenomeno da baraccone, come
l’ultima attrazione di un
circo itinerante appena tornato in città. Arthur ne
approfittò per far vagare
lo sguardo attorno la stanza e lasciar vagare libera la mente, ancora
focalizzata su quel bagno caldo di cui non aveva potuto godere, avendo
preferito mangiare qualcosa nel poco tempo che aveva avuto a sua
disposizione.
Era
come precipitato in un limbo senza pensieri, come
un sogno senza sogni, ad occhi aperti; per cui non fece caso al momento
in cui
iniziò la riunione, mentre il vociare degli altri gli
arrivava ovattato alle
orecchie e riusciva a comprendere solo qualche frammento ogni tanto, ma
non se
ne preoccupava. Non era per nulla interessato, infatti, a scaramucce su
“quali
alberi fossero più consoni da piantare in
giardino” o se fosse il caso di applicare
le strisce antiscivolo lungo le scale per evitare ruzzoloni, e il
conseguente racconto
di quegli sfigati che avevano vissuto il disagio.
Ritornò
alla realtà a seguito di una gomitata contro
il suo fianco. Se ne uscì con un poco dignitoso
«Ancora cinque minuti, per
favore», ricevendo in risposta uno sbuffo divertito e
un’altra gomitata fra le
costole. Si girò verso la fonte del suo fastidio per trovare
un sorriso
smagliante ad attenderlo. Al sorriso era associato il più
bel paio di zigomi
che avesse mai visto, insieme alle orecchie più ridicole ed
adorabili del mondo,
che una massa di capelli neri non riusciva a coprire. Lo sguardo di
Arthur fu
infine catturato dagli occhi del ragazzo che lo aveva svegliato dal
mondo dei
sogni, nonostante ora quello gli apparisse come una visione migliore di
qualsiasi sogno: erano occhi magnetici, del blu più profondo
che avesse mai
incontrato e così limpidi ed espressivi che avrebbe potuto
perdersi in essi e
non ne avrebbe comunque avuto abbastanza.
Poi
il ragazzo – l’uomo? sembrava così
etereo e fuori
dal tempo… - parlò, e l’idillio
scomparve: «Ehi,
amico, sveglia! Ti stai perdendo tutto il divertimento, qui!»
gli sussurrò
allegro, scuotendogli il braccio come per svegliarlo.
Arthur
si inalberò. Già non gli piaceva la gente che
si prendeva fin troppe confidenze, se poi ci si intestardiva a volerlo
svegliare o costringere a fare qualsiasi cosa, allora usciva davvero
dai
gangheri. «Non toccarmi, io e te non ci conosciamo nemmeno,
non siamo “amici”.»
Scosse il braccio, per liberarsi dalla presa. «E
lasciami!» disse, a voce
evidentemente troppo alta, dal momento che tutto il circolo attorno ai
due si
girò per osservare la scena. Arthur si ritrovò
d’un tratto circondato da occhi
curiosi che lo fissavano, ma un gesto della mano dell’altro
sembrò quietare,
almeno all’apparenza la muta domanda del loro piccolo
pubblico. Il ragazzo moro
tornò a guardarlo, alzando entrambe le braccia come a
dichiarare la resa «Okay,
errore mio. Niente “amici”, niente tocco. Ma non
puoi perderti questo momento!
Ora inizia la battaglia!»
E
d’accordo, magari quegli occhi lo avevano reso un
pochino parziale, soprattutto quando erano animati dal
quell’evidente fermento,
quindi Arthur, invece di rispondere con un commento caustico
com’era suo
solito, sussurrò un semplice «Cosa?»,
completamente incantato dall’altro.
«Ad
ogni riunione c’è sempre un motivo per cui il
signor Tomson, l’amministratore di condominio, si trova in
disaccordo con la
vecchia Nimueh, la sua dirimpettaia al piano terra: una volta troppa
cera sul
pavimento, un’altra le cassette della posta che andrebbero
chiuse a chiave… per
non parlare poi del loro argomento di discussione preferito: chi deve
tenere le
chiavi di questo posto! Sono uno spasso, sinceramente!” gli
raccontò a bassa
voce, invadendo il suo spazio vitale per farsi sentire, standogli
addosso pur
senza sfiorarlo minimamente.
Per
Arthur quella vicinanza era a dir poco
intossicante. «E… E perché litigano per
questo posto?». Non che gli
interessasse, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa perché
continuasse a parlargli.
“Ah
ma allora sei un asino per davvero!» lo schernì
quello. Poi, forse notando che Arthur ci era rimasto male, gli fece
l’occhiolino,
continuando la spiegazione. «Beh, è molto
semplice: Tomson pretende di essere l’unico
a possederle, essendo amministratore di condominio, mentre Nimueh ogni
volta gli
fa notare che non è lui a doverle tenere, ma il proprietario
dell’appartamento
più vicino, ovvero lei. A quel punto lui solitamente replica
che se lei avesse
le chiavi trasformerebbe questo posto in un gattile, e allora parte
veramente
lo spettacolo! Comunque inizi il litigio, si finisce sempre a parlare
di
questo, aspetta e vedrai!”
Ora
erano talmente vicini che Arthur sentiva il respiro
dell’altro sulla propria bocca. Sarebbe bastato un leggero
movimento della
testa per unire le loro labbra, e anche l’altro parve
accorgersene, visto che finalmente
si zittì. Vi fu un momento di stallo, in cui entrambi si
guardarono negli
occhi, finché una voce riuscì ad entrare nella
loro piccola bolla: «Lo sapevo
che avresti ricacciato fuori quest’argomento!»
Il
ragazzo mosse la testa così velocemente che ad
Arthur venne male al collo al posto suo. Lo vide sedersi comodo sulla
sua
sedia, le braccia appoggiate ai braccioli e il corpo teso a godersi
completamente lo spettacolo.
Era…
Lui era bellissimo. Realizzò solo in quel momento
di non avergli chiesto il nome. Senza pensarci due volte,
appoggiò una mano sul
suo braccio, catturando la sua attenzione. «Io sono Arthur,
comunque»
Il
sorriso che l’altro gli rivolse, Arthur l’avrebbe
sognato tutte le notti a venire. «Merlin. Mi chiamo
Merlin»