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Autore: Alley    17/06/2015    7 recensioni
Si volta e lo trova dall’altra parte del letto, lontano quanto basta per non risvegliargli l’impulso di indietreggiare. Si domanda se sarà sempre così, se ogni volta che proverà ad allontanarlo finirà per ritrovarlo al proprio fianco, ancora e nonostante tutto.
“Tu e Sam non statemi tra i piedi. La prossima volta non ti mancherò.”
Non ha il coraggio di ammettere nemmeno a se stesso quanto lo speri.
[post 10x23] [Destiel, established relationship] [a Vero]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Questa storia si colloca in un ipotetico post finale di stagione in cui non ci sono nè l'Oscurità nè altri cazzi a cui pensare, a parte quelli di Dean e Castiel - niente p0rn, è un'espressione figurata, intendevo dire che non hanno nulla a cui badare oltre ai postumi di quella scena della 10x22. Quella, sì, so che è inutile specificare.
Visto che si suppone che massacrare e quasi ammazzare il proprio ragazzo un amico non sia qualcosa che non lascia strascichi mi sono chiesta "quali conseguenze potrebbero esserci?", e questa è stata la risposta.
Buona lettura a chi ha voglia di proseguire.







*







Quando fanno ritorno al bunker la sua roba è ancora lì, in parte ammucchiata e in parte sparsa sul pavimento. Non sarebbe un problema se Dean non conoscesse il motivo per cui gli oggetti sono sparpagliati a terra, se non ricordasse l’esatto momento in cui ha scagliato Castiel contro la pila facendola franare.

“Non c'è stato il tempo di mettere a posto.”
 
Non gli sfugge la nota di disagio che risuona nella voce di Sam. È sicuro che sappia quello che è accaduto, anche se non riesce ad immaginare le parole utilizzate da Castiel per raccontarglielo.
 
Dean mi ha quasi ucciso e poi se n’è andato.

“Non importa” dice, con una leggerezza che non possiede davvero, e si china per raccattare degli abiti sgualciti “Faccio io.”
 
Sam assente con un cenno e si congeda con una pacca. Sa che non è il caso di provare a strappargli confessioni che non è pronto a fare, e Dean lo aggiunge alla lista di cose per cui, un giorno, dovrà ringraziarlo.

Rimasto solo, ripone gli indumenti raccolti sul bordo del divano e torna a chinarsi accanto al cumulo. Non è affatto alto, eppure, si sente come se le sue dimensioni fossero quelle di una montagna.
 
C’è tutto quello a cui ha quasi voltato le spalle, lì (tutto quello a cui le ha voltate quando ha lasciato Castiel esangue dopo-- dopo), tutto quello che ha rischiato di perdere e di non essere più, e raccoglierlo è un po’ come rimettere insieme i pezzi della vita che ha riconquistato.
 
Ma le crepe restano quando aggiusti qualcosa di rotto.
 
“Vuoi una mano?”
 
Accade in un attimo: il disco che stringe tra le mani si colora di rosso, e c’è sangue sul pavimento e tra le sue dita – tanto, troppo sangue, sangue che l’acqua non riesce a lavare malgrado strofini fino a scorticarsi la pelle e—
 
“Dean?”
 
È solo nella tua testa, si dice, sbattendo le palpebre e inspirando a fondo per regolarizzare il battito cardiaco che va veloce come un treno. Quando riapre gli occhi, il sangue è scomparso e Castiel è in piedi di fronte a lui, un’ombra d’apprensione a ricoprirgli il viso.
 
“Vuoi che ti aiuti?”
 
“No." La ruga che si disegna sulla fronte di Castiel indica che la fretta con cui ha buttato fuori la risposta non è passata inosservata. “Faccio da solo.”

 
*

 
Se c’è una cosa che a Dean è mancata, nei mesi che Castiel ha trascorso lontano dal bunker, sono gli sprazzi di normalità che la convivenza li porta a condividere: piccole cose a cui non credeva avrebbe mai attribuito chissà quale significato e che, come da copione, s'è accorto di ritenere indispensabili solo quando non le ha più avute.
 
“Cerchi questa?” chiede, sventolando davanti a Castiel l'orribile cravatta a strisce bianche e azzurre che si ostina a portare da un po’ di tempo a questa parte. Prima che Castiel abbia il tempo di afferrarla, Dean la allontana, mettendola fuori dalla sua portata. A quel punto, gli fa segno di restare fermo e gliela fa passare attorno al collo.
 
“Credevo che non ti piacesse.”
 
“È così” conferma Dean, sistemandogliela sotto il bavero della camicia “Non solo non mi piace” la annoda e indietreggia di un passo per studiare il risultato “è la cravatta più brutta che abbia mai visto” si riavvicina per spostarla leggermente verso destra e ghigna quando s’accorge che gli occhi di Castiel sono fissi sulla sua bocca “Ma sono rassegnato ai tuoi gusti di merda.”
 
Lo tira verso di sé per baciarlo, ma quel che vede un attimo prima di sollevare il viso lo paralizza: sangue, sangue sulla cravatta e sulle dita strette attorno al nodo e sulla camicia e Dean, ti prego, e la stretta di Castiel torna ad attanagliargli il polso e la sua mano a tremare nello sforzo di non assecondare il Marchio che gli ordina di uccidere.
 
È solo nella tua testa, è solo---
 
Molla la presa e si ritrae come scottato, il respiro che raschia la gola come una sfilza di lame acuminate, e il sangue è sparito ma il panico è ancora lì ad offuscargli la mente e a mozzargli il fiato, è attaccato alle membra e incrostato nell’anima ed è come se la realtà non esistesse più, come se l’unica cosa vera fossero le immagine e le sensazioni costruite dalla sua testa.
 
Mentre si allontana, non sente Castiel che chiama il suo nome.

 
*

 
Quella sera, Castiel lo trova a sistemare il cuscino sul divano.
 
“È meglio se dormiamo separati” dice, a mò di spiegazione, e si odia per quel tono così duro che la fa sembrare una punizione – lo è, ma non è Castiel quello a cui vuole infliggerla.
 
“Va’ nella tua stanza” replica lui, e riesce a non farla suonare come un’imposizione. Forse è questa la differenza tra loro due. Castiel sa dire le cose nel modo giusto. “Dormo io qui.”
 
“Non—“
 
“Sono di nuovo un angelo, non ne ho davvero bisogno. Un letto comodo serve più a te che a me.”
 
Protestare prolungherebbe un’agonia già troppo difficile da sopportare.


*


Il mattino dopo alle sei è già in piedi con una tazza fumante tra le mani, nella speranza che una buona dose di caffeina gli consenta di affrontare la giornata meglio di quanto non abbia fatto con la notte.

È stanco, terribilmente stanco, e non è sicuro che la cosa abbia a che fare con l’insonnia che l’ha tenuto sveglio. È stanco delle cose che continuano a sfuggire al suo controllo, stanco della piega costantemente sbagliata che la sua vita seguita a prendere. 

È stanco, così stanco che s’accorge che la tazza gli è sfuggita di mano solo quando questa s’infrange contro il pavimento e il tintinnio dei cocci lo fa sobbalzare. Impreca tra i denti e si piega per raccoglierli, e mentre sta per afferrarne uno un’altra mano sbuca dal nulla, allungandosi nella stessa direzione, e Dean ritrae la propria un attimo prima di incrociarla.

Si solleva ed indietreggia, si volta per non dover guardare Castiel chino accanto alla macchia di caffè rovesciato che si spande attorno alle schegge di terracotta.

“Dean--”

“No” lo interrompe, in un mormorio tremulo e sommesso, e di nuovo il respiro è bloccato in gola e il cuore sul punto di schizzargli fuori dal petto “Non voglio--”

---farti ancora del male

“Non voglio.”

Se ne va senza rimettere assieme i cocci.

 
*

 
Dean si rigira tra le lenzuola, inquieto, il vuoto dall’altra parte del letto che si fa più concreto ad ogni movimento – un’assenza in cui risuonano parole con cui non ha ancora imparato a convivere.
 
"Tutti quelli che conosci, tutti quelli che ami, saranno morti."
 
Serra le palpebre contro il buio e rivede la tazza cadere e andare in frantumi. Scivola via dalle sue dita senza che riesca a trattenerla, e mentre impatta contro il pavimento lui resta a guardare, immobile.

Guarda senza poter fare nulla.
 
"Tutti, eccetto me. Sono io quello che ti vedrà distruggere il mondo."
 
Se non fosse allergico a stronzate come le metafore, penserebbe che è la perfetta rappresentazione della sua vita; tutto quello che tocca va in pezzi.
 
"Quando Castiel ha messo la mano su di te all'Inferno si è perso."
 
Non chiude occhio per tutta la notte, ma alcuni incubi non hanno bisogno del sonno per raggiunti.
 

*

 
“Perché non hai reagito?”
 
Glielo chiede tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé. È troppo vigliacco per sollevarlo e leggere la risposta nei suoi occhi – in realtà non lo fa per ottenere una risposta, è solo un modo per far uscire la frustrazione ed evitare che lo schiacci più di quanto non stia già facendo.
 
“Hai recuperato la grazia per questo? Per farti massacrare?”
 
È il modo più egoista che potesse trovare, ma in fondo è nella natura dei Winchester agire per sé stessi senza badare agli altri; suo padre è stato egoista quando ha condannato lui e Sam alla vita che sua madre non avrebbe mai voluto per loro, lo è stato Sam quando se n’è andato per inseguire la normalità che gli era stata negata, lo è stato lui per aver vissuto quella scelta come un abbandono.
 
Dev’essere questione di genetica.
 
“Pensi che adesso ti sentiresti meglio se l’avessi fatto?”
 
La domanda non è pungente né velenosa, non è niente di ciò che dovrebbe essere (perché Castiel non è come i Winchester, Castiel non è egoista), ma non è quello a fargli tremare la terra sotto i piedi – è Castiel che ha fatto quella cosa, la stessa con cui, anni prima, gli aveva sbattuto in faccia una verità che credeva sarebbe rimasta sempre e solo sua.
 
“Tu non pensi di meritare di essere salvato”
 
“Penso che dovresti smetterla di proteggermi a tutti i costi.”
 
I Winchester sono così: stronzi e terribilmente egoisti.
 
È più facile dare la colpa alla genetica che ammettere i propri sbagli.
 
 
*

 
La mattina dopo, quando si reca in cucina e trova Castiel intento a fare colazione, Dean è sul punto di dire qualcosa. Non sa bene cosa ma sa che, di qualunque cosa si tratti, ha bisogno d’esser buttata fuori. La sente premere contro le labbra, spingere con forza per uscire.
 
Mi dispiace
 
Gli resta incastrata in gola, e così anche il mattino successivo e quello dopo ancora.

 
*

 
Anche quella mattina, quando si incrociano, Dean prosegue dritto senza nemmeno guardarlo. Quella mattina, però, non è la solita scia di silenzio a seguirlo.
 
“Non posso.” Quelle due parole hanno il potere di inchiodarlo al pavimento, bloccato con in testa una domanda che Castiel non gli dà il tempo di porre. “Non posso smettere di proteggerti. Non riesco a farne a meno.”
 
Dean resta in silenzio davanti all’ennesima promessa che è convinto di non meritare.
 

*


Quindici. Sono quindici notti che Castiel dorme sul divano. Vorrebbe poter dire che non sa cosa l’abbia spinto a tenere il conto, ma i tanti anni trascorsi in mezzo agli umani gli hanno insegnato a mentire agli altri, non a se stesso.
 
Ha lottato per riavere Dean ed era convinto d’esser riuscito a riprenderselo, invece adesso sono lontani più di quanto non lo fossero quando il marchio di Caino campeggiava ancora sul suo braccio – più di quanto non lo siano mai stati. Se si trattasse di qualcun altro averlo salvato gli basterebbe, ma Dean è l’unica cosa che abbia mai sentito sua e non riesce ad accettare il pensiero di perderla, non dopo esser stato così vicino a ritrovarla.
 
Sa che c’è ben poco di angelico in questi pensieri (gli angeli non dovrebbero desiderare nulla al di fuori di Dio e del suo amore), ma sa anche che quello che è adesso ha ben poco a che vedere con ciò che è stato un tempo. Con il senno di poi, si rende conto del fatto che forse ha smesso di essere un angelo nel momento stesso in cui il cammino suo e quello di Dean si sono incrociati, quando lui era ancora un soldato e Dean una missione da portare a termine. Non rimpiange quello che ha perso, perché reputa infinitamente migliore ciò che ha guadagnato.
 
D’un tratto, un lieve bagliore rischiara il buio in cui il bunker è immerso (“si chiama Whatsapp. È un'applicazione che serve per inviare messaggi. Quando lo schermo si illumina vuol dire che te ne è arrivato uno”), e quando Castiel raccoglie il telefonino dal pavimento perde un battito nel leggere il nome del mittente.
 
03.33. Non lo penso davvero.
 
03.33. Cosa?
 
Invia il messaggio e attende con gli occhi incollati al display, si solleva nervosamente contro il cuscino mentre i minuti trascorrono lenendo la speranza di ricevere una risposta.
 
03.38. Che tu debba smetterla.
 
Castiel si aggrappa a quelle parole con tutta la forza di cui è capace.

 
*

 
Quella mattina, quando prende posto di fronte a Castiel, Dean constata con sollievo che la tensione che sfrigolava nell’aria da quando avevano discusso (da quando gli aveva ingiustamente sputato addosso la propria rabbia) è sparita. Nessuno dei due dice nulla, ma non è un silenzio che li divide; è quello che sono soliti condividere, quello che per entrambi ha sempre significato vicinanza e comprensione.
 
È trascorso qualche minuto quando Castiel versa del caffè in una tazza e gliela porge. Dean la osserva, come se stesse valutando quanto pericolosa possa essere (non può esserlo perché è solo una tazza, Dean, solo una tazza, è tutto nella tua testa), e quando si decide ad afferrarla e le loro dita si sfiorano per una frazione di secondo si sforza di ignorare la scossa di panico che gli attraversa la schiena.

 
*

 
Non riesce ancora a dormire. Gli capita di assopirsi di tanto in tanto durante la notte, ma è qualcosa che non si avvicina minimamente al riposo. Ha passato molte notti insonni quando portava il Marchio addosso, ma allora almeno sapeva a cosa attribuire la colpa.
 
Quella notte succede qualcosa di diverso, qualcosa che forse s’era sempre aspettato accadesse e che forse, in fondo, aveva cominciato ad attendere sin dal momento in cui era tornato nella propria stanza con il cuore pesante e il cuscino stretto sotto al braccio.
 
Sa che Castiel è lì - non lo vede ma lo sente. È passato molto tempo da quando ha imparato ad avvertire la sua presenza – non si è trattato di imparare, in realtà, un giorno si è semplicemente accorto di sapere che c’era, come sai che la Terra gira anche se non puoi vederla roteare.
 
Si volta e lo trova dall’altra parte del letto, lontano quanto basta per non risvegliargli l’impulso di indietreggiare. Si domanda se sarà sempre così, se ogni volta che proverà ad allontanarlo finirà per ritrovarselo al proprio fianco, ancora e nonostante tutto.  
 
“Tu e Sam non statemi tra i piedi. La prossima volta non ti mancherò.”
 
Non ha il coraggio di ammettere nemmeno a se stesso quanto lo speri.
 
“Cas--”
 
“Lasciami restare” gli dice – lo prega, con la voce e con gli occhi. C’è qualcosa di sbagliato in un angelo che prega un essere umano, ed è ancora più sbagliato che avvenga adesso che dovrebbe essere lui a supplicare per ottenere il suo perdono. “Non mi avvicinerò ma, ti prego, non mandarmi via.”
 
Dean distoglie lo sguardo, lo abbassa sul bordo del lenzuolo che ha preso a stropicciare. L’ha già cacciato una volta e non vuole farlo di nuovo, non vuole continuare a fargli cose che non merita.
 
“Ok” acconsente e non aggiunge altro, perché la voce potrebbe spezzarglisi ed è l’ultima cosa che vuole. Non vuole mostrarsi più debole di quanto non stia già facendo, anche se sa che non è così che funziona con Castiel. Non basta tacergli qualcosa per nascondergliela.
 
“Che cosa hai fatto? Dannazione Dean.”

"Sto bene."
“No, non stai bene.”

 
Si volta dall’altra parte, lo sguardo di Castiel che gli pesa addosso come fosse qualcosa di fisico, dotato di forma e consistenza.  A dispetto di quanto credesse, la cosa non lo allarma né lo mette a disagio.
 
Quella notte, per la prima volta, riesce a dormire per qualche ora.

 
*

 
Dean si siede sul divano e comincia a fare zapping, senza nemmeno far caso a cosa trasmettano i canali che passa in rassegna. Quando Castiel prende posto accanto a lui le loro ginocchia si sfiorano in un modo che potrebbe apparire casuale – non lo è, Dean lo sa.
 
Reprime l’impulso di spostare la gamba (sta' fermo, è solo nella tua testa) e continua a cambiare canale.

 
*

 
Castiel continua a dormire nel suo letto, rannicchiato sul bordo, e Dean si detesta di più ogni istante che passa a guardarlo e a volerlo più vicino. Non sa prendersi quello che vuole, non ha mai saputo farlo – altrimenti non avrebbe sempre finito per perderlo.
 
Non sa prendersi quello che vuole, ma provare a toccarlo (almeno a toccarlo), questa è una cosa che potrebbe fare.
 
Tende la mano ed esita quando è a un soffio dalla sua, sospeso in una bolla di timore ed incertezza, poi decide che la voglia di tentare è più forte della paura di fallire e cancella la distanza che li divide, sporgendo ancora il braccio quel tanto che basta per sfiorargli il dorso con la punta delle dita. Castiel resta immobile, e Dean strofina piano il proprio pollice contro il suo.
 
Ritrae la mano, e s'accorge di sentirsi infinitamente più leggero.

 
*

 
Castiel è seduto sul bordo del letto e sta per alzarsi quando Dean sente la propria voce chiamarlo. Viene fuori da sola, senza che lo avesse programmato, e nell’istante in cui Castiel si ferma e volta il capo verso di lui non è sicuro di sapere cosa voglia fare.
 
“Avvicinati.”
 
O forse lo sa, ma non è sicuro di riuscire a farlo.
 
Castiel si trascina sul materasso fino a raggiungerlo e Dean si libera dalle coperte e s’inginocchia, la tensione che gli rallenta i movimenti e rende i respiri pesanti, difficili da buttare fuori.
 
È molto peggio di mostri da ammazzare ed apocalissi da sventare; quella è una merda a cui è abituato e che sa come affrontare, mentre questo – questo – è diverso, è un salto nel vuoto e fa paura come soltanto l’ignoto riesce a fare. Dean non è mai stato bravo con tutto ciò che riguarda lui e i suoi sentimenti, tanto che a volte diventa confortante avere problemi così grandi da risolvere; meglio pensare a quelli che ai propri, meglio combattere i demoni sputati fuori dall’Inferno che quelli che ti porti dentro.
 
Inspira e gli afferra i bordi della maglia. Per un momento, un terribile momento, le dita artigliate alla stoffa sembrano non voler rispondere ai suoi comandi, ma è solo un attimo prima che riesca ad allentare la presa e a sollevare i lembi.

È solo nella tua testa

Castiel lo asseconda senza porre domande, sollevando le braccia per farsela sfilare, e una parte di Dean pensa che può bastare, per adesso, che è abbastanza, ma l’altra gli urla di andare avanti – per Castiel, per lui, per loro, perché non può permettere al suo cervello incasinato di togliergli quello che nemmeno il Marchio è riuscito a sottrargli.
 
Immette aria, tanta aria, deglutisce e gli poggia una mano sul petto. Il cuore di Castiel – il cuore che è stato di Jimmy fino a quando Castiel non l’ha riempito di cose sue, sentimenti e ricordi e più umanità di quanta non ce ne sia nel cuore di tanti uomini – martella forsennato contro il suo palmo, e Dean si impone di non chiedersi perché vada così veloce e di fingere che il suo non stia facendo altrettanto.
 
Non sente il bisogno di allontanarsi, né il panico che l’ha soffocato dal giorno in cui ha fatto ritorno al bunker, e potrebbe piangere per il sollievo se non fosse così occupato a godersi il contatto e il tepore che irradia.
 
Chiude gli occhi ed è bellissimo trovare la propria mente completamente sgombra, priva di qualsiasi cosa che non siano i battiti di Castiel e la sensazione della sua pelle e Dio, questa è probabilmente la cosa più vicina alla pace che abbia mai sperimentato – insieme agli abbracci di Mary, che porterà stampati addosso per sempre.
 
Li riapre quando la mano di Castiel si posa sulla sua, palmo contro dorso, dita su dita, senza stringere. Sta lì e basta, e anche questo potrebbe avere una qualche valenza simbolica rispetto a Castiel e alla presenza discreta ma costante che è stato nella sua vita da quando è entrato a farvi parte, ma Dean è allergico a queste stronzate.
 
Butta fuori l’aria e torna a respirare – finalmente.

 
*


Dean non sa come sia successo ma, se dovesse provare a spiegarlo, direbbe che è scattato qualcosa nella sua testa, qualcosa che ha abbattuto le sue difese e spazzato via la paura in un colpo solo.  

Castiel gli stava parlando (non ricorda di cosa, non stava davvero ascoltando) quando, mosso da un impulso che gli ha occupato ogni fibra, gli ha preso il visto tra le mani e ha premuto la bocca contro la sua.

Non saprebbe dire quanto sia passato, se un singolo attimo o minuti o ore intere; sa solo che lo sta baciando e non c'è nient'altro, nient'altro di cui gli importi o che abbia qualche significato al di fuori di quello.

Castiel schiude le labbra come se non stesse aspettando altro, come se non avesse aspettato altro per tutta la vita, ed è un bacio frenetico fatto di lingua e denti e fame, la mani di Castiel che si aggrappano ai suoi fianchi e le sue ancorate al suo volto, a tenerlo fermo, a saggiare la pelle sotto le dita.
 
Castiel geme sulla sua bocca e il suono gli penetra fin dentro le ossa, lo porta a spingersi di più contro di lui e ad afferrargli il labbro tra i denti; stringe, e il gelo lo pietrifica quando avverte il sapore del sangue.
 
Quello che era scattato nella sua testa si spegne, e la realtà gli piomba addosso con tutti i fantasmi che si era illuso d’aver scacciato.

 
*

 
Quando Dean apre gli occhi trova, quelli di Castiel fissi su di lui.
 
“È ancora inquietante, sai?” gli dice, soffocando uno sbadiglio, e si stiracchia per smaltire l’intorpidimento. Aveva immaginato che non si sarebbe svegliato fresco coma una rosa dopo una notte passata seduto contro il bordo del divano, ma si sente addirittura più a pezzi del previsto.
 
“Il pavimento non è fatto per dormire.”
 
“Wow. Hai fatto progressi da quanto credevi che le piastre per capelli servissero per cuocere la carne.”
 
Castiel incurva le labbra mentre si mette a sedere, un sorriso piccolo ma caldo che spinge Dean a sorridere a sua volta. È una cosa che vorrebbe vedergli fare più spesso, una di quelle per cui lotterà con la merda che ha nella testa fino a quando non lo lascerà in pace e potrà definitivamente voltare pagina.
 
“Come stai?”
 
 “Preferirei rispondere a questa domanda a stomaco pieno. Andiamo a fare colazione?”
 
Dean vorrebbe dirgli che ha solo bisogno di tempo; che è sicuro di farcela perché tiene alla posta in gioco più di quanto non abbia mai fatto prima; che prova nei suoi confronti una gratitudine così grande da non riuscire a quantificarla. 

Sa che non è in grado di dar voce a pensieri come questi e che, forse, non lo sarà mai. Per fortuna sa anche che non è necessario, perché non è così che funziona con Castiel; non basta tacergli qualcosa per nascondergliela.
 
Castiel si alza e gli tende una mano. Dean la fissa per un istante lunghissimo, un istante in cui sente le loro speranze fondersi e diventare una sola.
 
“Andiamo.”
 
L’afferra, e tutto fa un po’ meno paura. 




















Note
Quello che avevo da dire sulla storia l'ho già detto (ho preferito metterlo all'inizio perchè credevo che potesse agevolare la comprensione della storia) MA manca la parte più importante, ossia la dedica a quella che è diventata la mia inseprabile compagna di plottaggio fangirlante, Vero *la saluta con la manina* Lei è la prima a cui ho parlato di questa storia e mi ha fornito un sacco di spunti e niente, vorrebbe essere una sorta di ringraziamento per il disagioh che condividiamo e che allieta giornate che ultimamente sono abbastanza grige. Spero risulti gradito ♥♥♥♥♥
  
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