1.
Come tutto ebbe inizio
Era un
pomeriggio di una soleggiata giornata di
primavera, il mare spumeggiava quieto, il sole iniziava a colorare il
cielo
delle tonalità aranciate e rosate tipiche del tramonto;
costruita in cima ad
una scogliera, dove una volta sorgeva un antico castello medievale,
sorgeva una
splendida casa dalle rifiniture moderne, grandi finestre a vetri,
cancello in
pietra con telecamere di sicurezza, insomma, una vera e propria villa
lussuosa.
Incredibile dire che Elèna aveva ereditato quella
magnificenza da suo padre
che, a causa di misteriosi eventi, aveva perso la vita in un tragico
incidente.
Sua madre, Rachel, aveva divorziato da suo padre Eric, quando lei era
ancora in
fasce; di lui non ricordava molto e sua madre solitamente non faceva
mai cenno
né al loro rapporto, né alle cause del loro
divorzio. Essendo suo padre molto
ricco e avendo Elena come unica figlia, alla sua morte nel testamento
aveva
lasciato tutto in eredità a lei, forse per lavare la
coscienza dal rimorso di
non essersi mai interessato a quella figlia.
E così a malincuore, durante il corso dell’anno
scolastico, Elena e sua madre
si trovarono a traslocare dall’arido e asciutto West Richland
al borgo sul mare
di Deep Alley.
-“vedrai,
farai subito tante nuove amicizie!”- la
madre, Rachel era emozionata per l’inizio di quella nuova
avventura, lo stesso
però non si poteva dire della figlia.
–“non voglio nuovi amici, andavano bene
quelli vecchi! Mi hai rovinato la vita!!”- Eh si, quando si
hanno 17 anni e si
è improvvisamente portati via da quella realtà
ormai consolidata di amici,
scuola, ricominciare quasi alla fine dell’anno scolastico
può essere dura e per
Elena che aveva perso da poco suo padre cui nonostante il rancore
voleva bene,
era più che difficile.
Rachel aveva
trovato
facilmente lavoro presso un ristorante dove faceva la cuoca, non
passava giorno
in cui non ribadisse alla figlia l’importanza di frequentare
e finire il
college e quanto ciò avrebbe contribuito a trovare un buon
lavoro e costruirsi
un futuro felice.
In quel assolato
pomeriggio, la tutt’altro allegra famigliola
arrivò alle porte del cancello in ferro
bianco battuto che stabiliva l’ingresso in quella
meravigliosa dimora. Il muro
in pietra grigia calcarea era alto qualche metro e riparava la villa
dalla
salsedine estremamente corrosiva che spumeggiava dal mare. La casa era
bianca e
grigia, con ampie finestre che davano sul giardino ben potato; la
macchina
della famiglia Greene (questo era il loro cognome) percorse il sentiero
lastricato di pietre fino a fermarsi nell’area per
parcheggiare.
“non
posso credere che da
oggi tutto questo sarà nostro!”- Disse Rachel
prendendo le valigie.
Elèna
era visivamente di
cattivo umore, prese la sua valigia senza dire una parola e attese
direttive.
“Bene,
dove ho messo le
chiavi… vediamo…”- continuò
a rovistare nelle tasche. –“ah eccole qui, queste
birichine!”-
“Ripetimi
ancora una
volta mamma, perché papà si è tenuto
la villa al mare e noi abbiamo vissuto per
sedici anni in quel minuscolo appartamento in Bridge Square nel West
Richland
dalla parte opposta??”
“Lo
sai tesoro che non
amo il mare… a lui ho lasciato la villa delle vacanze ed io
ho tenuto
l’appartamento in città, che poi ho venduto per
comprare quel grazioso appartamento
in paese”
“Beh,
quando stavi con
papà avevi un mucchio di foto fatte al
mare…” borbottò lei reputando la
discussione ancora aperta.
Rachel strinse
strette le
chiavi nel palmo della mano, come fosse sul punto di dare in
escandescenze,
capitava spesso quando si parlava di Eric. “beh, ho cambiato
gusti! Odio il
mare e tutto ciò che ne deriva!!”-
esclamò sbattendo la porta verso l’interno.
Elena
capì che era il
momento di tacere.
Entrò
in casa studiando
tutto con occhi nuovi.
L’interno
appariva sobrio
come l’esterno, i pavimenti erano bianchi e seppur fossero
velati da uno strato
di polvere si poteva percepire la loro natura riflettente, le pareti
erano del
medesimo colore e così quasi tutto l’arredamento;
-“Papà
aveva una leggera
ossessione per il bianco!”- ironizzò la ragazza
avvicinandosi al divano del
medesimo colore.
-“aveva
un ottimo gusto
in fatto di arredamento,” – asserì
Rachel prendendo in mano un orologio da
tavolo incastonato nel corallo rosso.
Quasi tutti i
dipinti
della casa, come poi noterà Elena in seguito, avevano il
tema marino.
-“questo
quadro
è…bellissimo” – aveva
ritrovato la parola rimasta inerme davanti un enorme
dipinto posto proprio di fronte al divano.
Sarebbe stato
logico
trovare in quel posto un televisore, come in tutte le case normali del
XXI
secolo, invece vi era un quadro enorme, quasi un metro per un metro,
raffigurante sul fondo un mare in tempesta e una creatura
metà donna e metà
pesce in primo piano su una conformazione rocciosa, con i capelli rossi
scompigliati
dal vento, i suoi occhi azzurri parevano fissare
l’osservatore e scavare nel
suo Io più profondo, un
dipinto
malinconico ma anche passionale che pareva gridare, “torna da
me”;
-“Eric
era un pittore
eccezionale ed un grande amante del mare”- disse sua madre
prendendo una sedia
dal soggiorno. “qui, sarà meglio mettervi un
televisore…” disse appoggiando il
quadro con la tela rivolta verso il muro. “su adesso, raggio
di sole, cerca la
tua stanza e inizia a disfare i bagagli, domani sarà giorno
di scuola!” parve
ritrovare il buon umore subito dopo. La ragazza sapeva che sarebbe
stata dura
per sua madre, doveva darle del tempo ed accettare tutte le sue
bizzarrie,
dopotutto suo padre era stato importante per lei, lo poteva capire
dalla fede
che dopo tanti anni teneva ancora conservata nel suo portagioie.
“raggio
di sole”-
borbottò in risposta percorrendo il corridoio cercando
l’accesso al piano
superiore. “non ho più 8
anni…”- proseguì sino a trovare una
scala dai gradini
insoliti dal colore rosso.
Dopo aver
esaminato
attentamente tutte le camere da letto ne scelse una non troppo grande
ma che
aveva un balconcino privato a ovest che le regalava una magnifica vista
sulla
scogliera e su una piccola striscia di sabbia bagnata dal mare; proprio
in quel
momento il sole stava tramontando sull’acqua, era uno
spettacolo mozzafiato a
cui la ragazza non aveva mai assistito, dal piano di sotto
sentì sua madre
attaccare la fidata aspirapolvere, approfittò di
quell’improvvisa ondata di
buon umore e scese giù in giardino in esplorazione.
Con il suo Ipod
in tasca
e le cuffiette nelle orecchie cercò un sentiero per poter
scendere su quella
spiaggetta che aveva intravisto dal balcone; si accorse che
raggiungerla non
era così facile come sembrava, vi era un fitto cespuglio di
bossi che
nascondeva una sorta di stradina ripida che costeggiava tutta la parete
rocciosa. Armata di ottime scarpe da tennis e jeans praticamente
indistruttibili iniziò la lenta discesa verso quel posto che
già aveva promosso
a nascondiglio di fiducia, in caso volesse isolarsi o stare in un luogo
tranquillo per qualche ora.
I suoi capelli
biondi
lunghi fino alla schiena con quella luce intensa divenivano davvero
raggi di
sole, sembravano essere fatti da singoli fili d’oro che
rilucevano tra di loro
riflettendo la luce dorata,
-“avrei
dovuto portare
gli occhiali da sole”- mormorò tra se sedendosi
sulla spiaggia coprendo con la
mano la fronte da quella luce intensa.
Quella striscia
di terra
infatti non era più larga di una decina di metri, era
circondata ai lati da
scogli scuri bagnati ritmicamente dal dolce muoversi delle onde; il
mare era
calmo e la luce riflessa sull’acqua abbagliante. Elena era
sempre stata
contraddistinta da una particolarità, sin da
quand’era piccola possedeva degli
occhi cangianti, alla luce del giorno i suoi occhi sembravano di un
dolce color
nocciola, bastava però che appena un raggio di sole la
colpisse e come per
magia la sua iride rilasciava cristalli verde bosco, mutando
così il colore.
Proprio mentre
si stava
alzando per continuare l’esplorazione, il suo ipod si mise a
lampeggiare.
-“ohh
stupido coso! Non
mi puoi abbandonare così!”- guardò il
display rosso –“niente da fare…
è
morto!”- sbuffò riponendolo assieme alle cuffie
nella tasca dei Jeans.
-“scommetto
che a
quest’ora l’acqua sarà
caldissima… che darei per fare un bagno!”- si
tolse le
scarpe e i calzini abbandonandoli abbastanza lontano
affinché il ritorno
dell’onda non li bagnasse poi, immerse i piedi
nell’acqua calda.
-“non
posso… no… proprio
non posso…”- disse facendo qualche passo avanti
sollevando i pantaloni fino
alle ginocchia. Arretrò velocemente.
–“ohh non m’importa! Tanto non mi
vedrà
nessuno… solo un minutino…”-
iniziò a togliersi i pantaloni ed in seguito anche
la felpa e la canotta, rimanendo così solo in biancheria.
C’erano
delle volte in
cui Elena preferiva entrare in acqua con un tuffo bagnandosi tutta in
una
volta, alle volte invece entrava più lentamente ed era
questo il caso. Avanzò
lentamente, i piedi muovevano i primi passi in quel fondale sconosciuto
in cui
la sabbia bianchissima era fine come polvere, a quel punto
s’immerse
completamente dandosi una spinta vigorosa verso il largo; le piaceva
andare a
nuotare dove non toccava, lo trovava eccitante, talvolta le piaceva
gareggiare
con se stessa nel vedere quanto velocemente riusciva ad andare e venire
toccando il fondale. Lo fece anche questa volta.
Dopo aver preso
un bel
respiro scese giù.
Inizialmente
scese senza
aprire gli occhi, dopotutto si era allontanata qualche metro dalla
riva, quanto
poteva essere profondo il fondale? Con il passare dei secondi,
più spingeva
verso giù con le braccia ben protese, più la sua
voglia di aprire gli occhi
cresceva; eppure Elena aveva paura dei fondali bui, di giorno con la
luce tutto
è meno spaventoso, ma quando la luce cala, il terrore di
trovare qualcosa di
brutto sul fondo l’attanagliava lo stomaco. Aprì
gli occhi d’istinto. Era
davvero buio li giù, percepiva appena i pesci a qualche
metro da lei; ostinata
nel voler arrivare a tutti i costi sul fondo dopo esser arrivata sin
lì, spinse
ancora più forte, sentiva che le iniziava a mancare il fiato
ma il pensiero di
arrivare sul fondo e darsi la spinta con i piedi per risalire le
forniva la
voglia necessaria per continuare a scendere. Un forte dolore prese a
martellarle alla testa, tipico di quando si scende a forte
profondità e la
pressione inizia a giocarti brutti scherzi.
Ad un tratto si
fermò
terrorizzata.
Le era appena
sembrato di
vedere una cosa…una coda di pesce enorme.
Calcò
le mani sulla bocca
per non fare uscire l’ossigeno.
Poi li vide.
Un paio di occhi
chiari
la fissavano dall’oscurità.
Elena non ci
pensò due
volte ed iniziò a nuotare come una forsennata per risalire
in superficie e
uscire dall’acqua. Ebbe la sensazione di essere inseguita ed
allora prese a
nuotare ancora più velocemente.
Respirò
a pieni polmoni
non appena arrivò sulla spiaggia, all’asciutto,
lontano dall’acqua.
Era rannicchiata
con le
ginocchia al petto, tremante di paura e di freddo; il sole era ormai
calato del
tutto e senza il suo calore spirava un vento decisamente gelido.
Continuava a
fissare l’acqua, nel punto in cui presumibilmente era scesa.
Le parole cadavere e mostro
marino le presero a vorticare per la mente fino a quasi
stordirla. Strizzò i capelli sgocciolando l’acqua
ormai gelida, raccolse i suoi
vestiti ancora tutta tremante ed iniziò a salire la
scogliera per ritornare a
casa.
Una bella doccia
calda e
un lauto pasto erano quello che ci voleva per schiarirle le idee e se
ancora
non fosse bastato avrebbe fatto un bel sonno ristoratore, dopotutto
domani
c’era qualcosa di ben peggiore di un cadavere in fondo al
mare…: la scuola.