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Autore: vali_    17/06/2015    6 recensioni
Dean non si sente a suo agio negli ultimi tempi: beve senza trarne i benefici sperati, dorme poco e sta sempre da solo e questo non è un bene per uno come lui, che mal sopporta la solitudine, convinto che riesca solo a portare a galla i lati peggiori del suo carattere.
Il caso vuole che un vecchio amico di suo padre, tale James Davis, chieda aiuto al suo vecchio per una “questione delicata”, portando un po’ di scompiglio nelle loro abituali vite da cacciatori. E forse Dean potrà dire di aver trovato un po’ di compagnia, da quel giorno in poi.
(…) gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi (…)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: Ed ecco un altro caso – anche questo diviso tra due capitoli – per Ellie e Dean. Spero che non sia una schifezzuola… e lo dico perché i capitoli come questo tendono sempre a mettermi un po’ di ansia xD Un po’ tutto mi mette ansia a dire il vero, ma quelli dove c’è un pizzico di azione in particolar modo.
Una cosa importante: solitamente, per ogni capitolo, il titolo è estrapolato dalla citazione che poi lo segue, ma in questo, visto che non mi usciva niente di decente da quella che ho scelto, ho dovuto prenderne un’altra, che chi è curioso può trovare qui. E’ un caso straordinario, perché questo è l’unico capitolo dove davvero non sapevo dove sbattere la testa, perciò ci tenevo a sottolinearlo :)
Ormai sto diventando un disco rotto, me ne rendo conto, ma ci tengo a ringraziare tutti voi che state seguendo, leggendo e recensendo questa storia. Quando ho cominciato a pubblicare, pensavo che qualcuno potesse sì e no darle una sbirciata per leggerla data la lunghezza dei capitoli e la scelta di inserire un nuovo personaggio che solitamente attira critiche non molto positive e tutto il resto, invece in queste settimane mi state sorprendendo e per questo vi ringrazio davvero dal profondo del cuore! <3
Vi lascio alla lettura. Alla settimana prossima! 
 

Capitolo 6: Eyes full of language

The eyes are one of the most powerful tools
 a woman can have.
With one look,
she can relay the most intimate message.
 
(Jennifer Salaiz)

 
Dean esce dall’Impala e sbatte lo sportello, stringendosi nella giacca verde militare. L’aria di febbraio è pungente e aggressiva e colpisce ogni angolo di pelle scoperta.
 
E’ così che li ha accolti Orem, un piccolo centro abitato in pieno Utah.
 
Lui ed Ellie sono lì già da un paio di giorni. Hanno studiato bene gli incartamenti e tutti i fogliacci di giornale che gli ha lasciato Jim – perché il metodo dei fascicoli è opera sua, ed è qualcosa che Dean non capisce. Ha decisamente un sistema diverso da quello di suo padre, che segna tutto nel suo diario. Lui scrive quello che vede, appunta tutto quello che si sente di scrivere riguardo casi e omicidi e basta, senza la mania di catalogare ogni cosa, di lasciare infinite cartellette sparse in giro che probabilmente a caso chiuso finiranno bruciate, o chissà. Dean lo considera un inutile spreco di carta.
 
A parte ciò, il caso che gli si presenta ora sembra piuttosto semplice.
 
Nel museo cittadino è stata allestita una mostra dove sono esposte opere di grandi artisti e, qualche giorno fa, due dei visitatori presenti sono stati ritrovati morti. I due, Alan e Virginia Westwood, sposati e originari del Wyoming, erano degli appassionati d’arte e si sono ritrovati da quelle parti per un viaggio di piacere.
 
Potrebbe essere un omicidio come un altro, ma salta agli occhi il fatto che erano sani come pesci, cosa che testimoniano con certezza gli esami fatti sui loro corpi.
 
Dean pensa possa trattarsi di un qualche spirito che vive all’interno del museo ed è per questo che hanno deciso di spacciarsi per degli studenti – inviati dal Dipartimento di Beni Culturali dell’University of Utah [1] – interessati agli oggetti esposti.
 
Si presentano senza tanti fronzoli, in jeans e maglietta, anche se Ellie ha optato per una camicia sopra i pantaloni chiari, giusto per sembrare un attimino più… adulta. E’ una cosa a cui sembra tenere molto, forse perché teme che qualcuno possa fare domande a cui non saprebbe rispondere se scoprisse la sua vera età e lei, di certo, non vuole che questo accada. 
 
Una cosa che sicuramente stona con quell’abbigliamento sobrio è il buffo cappello che ha in testa. Dean lo guarda perplesso, arricciando le labbra: è un berretto di lana bianco con delle strisce orizzontali colorate di rosa e celeste non tanto vicine le une alle altre. E' abbastanza lungo da coprirle anche le orecchie, in fondo ha due lunghi fili di lana – uno per parte – che terminano con due pompon degli stessi colori del berretto; ce n’è anche un altro – più grosso e più colorato – sulla cima.
 
Dean si chiede perché lo ha messo. E’ vero che fa freddo, ma quel coso è così… così… «Perché fai quella faccia?»
A quanto pare, Ellie si è accorta della sua smorfia di disgusto e lo guarda confusa, la fronte appena aggrottata.
«Stavo solo cercando di dare un nome al coso che hai in testa».
«Si chiama cappello peruviano. E’ caldo» Ellie se lo toglie e glielo porge. «Lo vuoi provare?»
Dean le scansa la mano e scuote la testa. «Non ci penso nemmeno a mettermi quell’affare» Ellie lo guarda e fa spallucce, poi se lo infila di nuovo. «Su, andiamo».
 
La sala d’ingresso è piuttosto grande. Un grosso lampadario di cristalli è piazzato sul soffitto e la illumina interamente, le pareti sono color crema con dei ricami damascati che danno un’aria seriosa e formale a tutto l’ambiente; un lungo tappeto rosso si stende di fronte al portone principale e si allunga fino ad un’altra porta, lasciata aperta, dove un grosso cartello su cui sopra è disegnata una freccia indica che è lì dove bisogna andare per dare inizio al Magical mistery tour [2] – si fa per dire, Dean non è per niente esaltato da tutto ciò. L’arte non ha mai suscitato particolare interesse in lui – perlomeno non quella noiosa che si studia sui libri di scuola, preferisce di gran lunga altre forme d’arte, tipo gli anime o i cartoni animati in genere – e ogni tanto gradirebbe altri tipi di casi, qualcosa che abbia a che fare con spogliarelliste, per esempio.
 
Alla sua destra vi è un lungo bancone in legno a cui Ellie si avvicina e Dean la segue, senza ben capire cosa ha in mente di fare. Lo fa solo quando la sente porgere delle domande alla tizia che vi siede dietro – occhialuta, le guance troppo rosa, i capelli neri e raccolti in una strana acconciatura e Dean ha idea che sia una mezza cugina di Heidi o qualcosa del genere, comunque il tipo di persona che non attirerebbe mai la sua attenzione se la incontrasse per strada – sulla loro “visita programmata”.
 
Come accordato in precedenza, si presentano come Dean Smith ed Elisabeth Jones, due studenti dell’Università, diretti lì per una ricerca da condurre per portare a termine i loro studi.
 
Dean ascolta Ellie parlare e riflette su tutto quello che sta dicendo, mentre articola bene le parole e si stupisce di come la receptionist – o chiunque sia – si dimostri gentile e pronta a darle una mano. A lui sembrava la balla del secolo, molto più grossa di quelle che si inventa di solito per imbambolare questa gente, ma Ellie ha insistito per scegliere questa “copertura” e, come da copione, la tipa ha abboccato come un pesce. Dean non ci avrebbe scommesso neanche un’unghia e finge di non vedere l’occhiata soddisfatta che gli rifila Ellie una volta che la tizia alza il telefono per avvertire uno dei curatori della mostra del loro arrivo. Non perché non si meriti dei complimenti, semplicemente Dean odia avere torto e non vuole darle la soddisfazione di avere ragione.
 
Si allontanano abbastanza da non riuscire ad essere più udibili alle orecchie della tipa ed Ellie sorride soddisfatta. «Ti avevo detto che avrebbe funzionato».
«Non cantare vittoria troppo presto, Laura Kipnis [3]» Ellie gli fa la linguaccia «A proposito, tu che ne sai di tutte queste cose?»
«Di come si visita un museo?» Dean annuisce. «Dalla scuola. Una delle poche gite che ho fatto era al Museo della Storia e dell’Industria a Seattle. Spiegavano un sacco di cose interessanti». Dean muove la testa esibendo una smorfia di finta ammirazione – lo fa essenzialmente per prenderla in giro – e sta per beccarsi una gomitata, ma l’arrivo della loro “guida” lo salva – per il momento.
 
Il ragazzo appena sbucato da un angolo è vestito di tutto punto – camicia bianca e cravatta sopra dei pantaloni grigi – e li accoglie con un sorriso caloroso. «Siete voi gli studenti, vero?» Dean annuisce e a guardarlo gli pare il tipico figlio di ricconi: capelli pettinati, portati più lunghi di come li ha lui – tipica lunghezza da secchioni… o forse la pensa così perché sono molto simili a come li aveva Sam –, comunque abbastanza da coprirgli la fronte, è castano scuro, alto un po’ più di Dean. Dovrebbe avere venticinque, al massimo ventisei anni. Dean non saprebbe dire il perché, ma gli dà esattamente l’idea di un secchione ricco. Sul cartellino che ha appeso vicino alla cravatta campeggia il suo nome: Jack Burke. [4]
 
Gli porge la mano «Sono Jack» e quando stringe quella di Ellie si sofferma leggermente più a lungo, guardandola dritta negli occhi. Lei ricambia lo sguardo e abbozza un sorriso.
 
Li invita a seguirlo e gli fa fare il giro del museo, una stanza dietro l’altra. Ognuna è decorata con la stessa carta da parati dell’ingresso e ad abbellirla, accanto ai quadri e le opere esposte, vi sono numerose piante e fiori ben curati, insieme alle lampade da esposizione.
 
A Dean la maggior parte sembrano vasi fatti male o disegni strampalati, mentre Ellie si mostra strainteressata a tutti i noiosi discorsi sulle opere d’arte; appunta tutto sul suo taccuino – proprio come le ha detto di fare Dean – e interviene ogni tanto, facendo domande. In realtà non sapeva niente di tutti quegli oggetti antichi e non fino a un paio di giorni fa, si è solo studiata tutti i manufatti degli artisti presenti per poter fare bene la sua parte.
 
Il ragazzo mostra loro tutto il museo tranne una stanza, dove Dean nota che sono stati applicati i classici nastri gialli della polizia.
 
«E’ qui che sono morti i coniugi Westwood?» Il ragazzo lo osserva per un attimo, perplesso, e Dean si affretta ad aggiungere qualcosa. «Ho letto la notizia sul giornale» a quelle parole, Jack Burke sembra incupirsi. Osserva il disegno del legno della porta e sospira. «Sì. Ed è un peccato, al suo interno c’era l’oggetto più importante di tutta la mostra».
«E non potreste esporlo altrove?»
Il ragazzo scuote la testa. «No. La polizia dice che è una prova importante, o qualcosa del genere» poi punta lo sguardo su Ellie. Di nuovo. Lo ha fatto per tutto il tempo della sua noiosa ed estenuante esposizione del suo sapere riguardo ogni suppellettile e non per dovere, Dean ne è praticamente certo.
«Si tratta del “Guardians of the Secret”[5]
«Esattamente» il ragazzo sorride – solo a lei stavolta – e Dean non ha più dubbi: il secchione ci sta provando con Ellie. Non ha ben capito se lei se n’è accorta o no, ma quello è il tipico sguardo sornione che si rivolge ad una tipa quando ti interessa. Anche se Dean crede di saperlo fare leggermente meglio. Leggermente.
 
«E non c’è nessuna possibilità che si possa vedere? Sarebbe importante per la nostra ricerca».
Jack Burke scuote la testa, arricciando le labbra in una smorfia dispiaciuta. «Temo di no». Merda. «Non è possibile accedere alla stanza, nemmeno per gli stessi curatori della mostra».
«Non hanno proprio idea di chi si nasconda dietro questo omicidio? Voglio dire, non hanno alcun sospetto, niente?»
«Ahimè, no. Brancolano nel buio. Credo che questo posto sia solo il teatro di una brutta storia».
 
Sia Ellie che Dean annuiscono. Dovranno trovare un altro modo per scavalcare quei sigilli.
 
Lei, comunque, chiede una lista di tutti gli oggetti esposti nel museo e in particolare quelli relativi alla mostra. Il ragazzo non ne ha una con sé al momento ed Ellie fa spallucce e annuisce, salutandolo per poi dirigersi verso l’ingresso assieme a Dean per uscire, quando la voce di quel tipo li richiama.
 
Entrambi si voltano e, quando lui fa cenno ad Ellie di avvicinarsi, lei obbedisce. Dean per un attimo crede che ci abbia ripensato e li guarda conversare. Jack cerca nella tasca dei pantaloni e ne tira fuori un piccolo rettangolino bianco; dev’essere il suo biglietto da visita. Lo porge ad Ellie che sembra confusa, per un attimo, ma poi allunga la mano e lo afferra, rigirandolo tra le dita sottili. Gli sorride e torna indietro, rossa in volto. Dean non ci mette troppo a capire quello che è appena successo e trattiene una risatina mentre si dirigono fuori dal museo in silenzio.
 
Nessuno dei due emette fiato finché non sono in macchina, quando Dean non ce la fa più e parla. «Hai fatto colpo!»
Ellie abbassa la testa, le guance rosse come due pomodori maturi. «Oh andiamo, Dean, taci».
«No, no, sul serio, tu hai fatto colpo» mette in moto e sorride, non sa neanche lui perché. «E scommetto che ti ha invitata a cena per “parlare” di tutta quella roba» mima le virgolette con una mano ed Ellie ci mette un po’ troppo a rispondere, ma sembra davvero in imbarazzo. «Beh… sì» Dean scoppia a ridere, se lo sentiva. «Ha detto che può procurarmi la lista che gli ho chiesto».
Dean scuote la testa divertito. «Tipica tecnica per rimorchiare. Bene, sarà molto utile. Stasera ci vai a cena»
Ellie si volta di scatto a guardarlo. «No, dai».
«Perché no?»
«Non mi piace sfruttare le persone. E’… scorretto».
«Ma questo non è sfruttare, è… »
«Sì, invece».
«… ricavare informazioni da chi può farci comodo».
«Sono sicura che se lo cerchi sul vocabolario questa è la definizione precisa».
Dean alza gli occhi al cielo ed emette un lieve sospiro. «Che sarà mai una cena? Io sono convinto che è uno spettro, magari uno di quei cocci vecchi apparteneva a qualche pazzo Van Gogh che non riposa ancora in pace. Posso sbagliarmi, ma non lo sapremo mai finché non avremo quella lista. Non credo che i tuoi appunti saranno poi così utili, visto che quello che ci interessa è sicuramente in quella maledetta stanza sigillata dai piedi piatti».
Ellie ci riflette un attimo, il labbro inferiore sovrapposto a quello superiore e le dita a grattare il mento. «Ok. Tu che farai nel frattempo, però?»
 
A pensarci bene, Dean potrebbe fare tante cose. Per esempio andare in un bel night club e trovarsi un passatempo, qualcosa che ora immagina come una bella ballerina alta e bionda. Poi però ci ripensa e… no, forse è meglio approfittare della notte per provare a trovare un sistema per accedere a quel museo. Sbuffa leggermente. «Io… cercherò un modo per entrare. Un’uscita secondaria, qualcosa. Ho dato un’occhiata durante il nostro fantastico tour e quel posto è sorvegliato da cima a fondo, ci sono telecamere praticamente ovunque. Ma nessun luogo è impenetrabile, quindi studierò la cartina e cercherò qualcosa».
Ellie annuisce soddisfatta. «Così ti voglio, Winchester».
 
Il pomeriggio vola in un lampo ed Ellie ha chiamato Jack, confermando l’appuntamento. Si vedranno in un ristorante in pieno centro cittadino ed Ellie sembra essere in crisi – o meglio, è in piena crisi – perché non sa cosa mettersi. Alla faccia che non voleva andarci. Tutto ciò è tipico di ogni donna che deve presentarsi ad un appuntamento galante e Dean non capisce quest’ansia. Sarà perché quelli che ha lui sono molto più informali e… veloci.
 
«Non ce l’hai un vestito?» da quando deve dare anche i consigli di moda? Ad una donna, per di più, che dovrebbe saperne di gran lunga più di lui di queste cose o di come ci si veste. Anche se, effettivamente, immaginare che Ellie abbia un vestito nell’armadio – considerando il suo solito abbigliamento – è abbastanza azzardato.
«No. Cioè… » Ellie, dall’interno del bagno, sembra prendersi una lunga pausa per pensare alla cosa più giusta da dire. «Ne avrei uno, ma… no, non è l’occasione adatta» chissà perché ha dovuto pensarci.
 
E’ almeno un’ora che è lì dentro e Dean comincia a stancarsi. Non che abbia bisogni fisiologici da soddisfare, ma che diamine, non è possibile. Insomma, come fanno le donne ad avere questa maledetta abitudine di non stancarsi mai a guardarsi diecimila volte allo specchio? Il tutto è dannatamente snervante.
 
Dopo altri cinque minuti buoni Ellie esce, finalmente, lisciandosi la gonna. Dean alza lo sguardo su di lei e si ferma un attimo a scrutarla con attenzione. Aveva assolutamente ragione quando ha pensato che se si fosse curata di più sarebbe stata molto più carina, questa è la prova lampante.
 
«Quando non c’eri ho comprato un po’ di cose, ci ho quasi finito i miei risparmi. Volevo qualcosa che mi facesse sembrare un po’ più grande, ma… non so, forse ho esagerato». Dean la osserva da capo a piedi senza ascoltarla davvero. La gonna che indossa è nera a vita alta, ma che comunque le arriva sopra alle ginocchia; sopra, una blusa con le maniche lunghe e piuttosto larghe beige scuro – due fasce di tessuto semplice ai polsi e una in vita, per il resto è traforata e crea un ricamo che lascia scoperti dei piccoli pezzetti di pelle solo sulle braccia – con uno scollo a barca non troppo ampio e ai piedi porta un paio di decolleté nere. Sugli occhi un trucco leggero, mentre le labbra sono colorate di un rosa antico. I capelli, lunghi e sciolti, le ricadono in onde morbide al di sotto del seno e deve avergli fatto qualcosa perché sono più mossi del solito.
 
Appoggia una mano su un fianco, facendo uno strano – e quasi sensuale – movimento e lo guarda con le labbra appena imbronciate.
 
«Allora? Ho scelto bene?» Dean si alza in piedi e le si avvicina, è davvero buffissima quando vuole. «Sono ridicola?» e lui si ritrova a sorridere di fronte a quell’esclamazione, mentre la sua espressione sembra così simile a quella di un cucciolo – affine anche a quella che gli faceva qualcuno, l’unico al mondo che gli abbia mai ispirato tanta tenerezza a tal punto da convincerlo talvolta ad agire come non avrebbe mai pensato di fare solo perché spronato da quello sguardo – e le si avvicina ancora un po’ porgendole la giacca nera abbinata alla gonna, quella che aveva appoggiato sopra il suo letto.
 
«Ho in mente molti altri aggettivi diversi da ridicola» piega un angolo delle labbra verso l’alto a mo’ di sorriso ed Ellie arrossisce quasi, anche se cerca di nasconderlo portando una mano dietro il collo e abbassando lo sguardo per un secondo.
«Potrei sapere quali?» Dean scuote la testa sorridendo perché molti sono vietati ai minori e non è il caso che lei li conosca.
 
Ellie fa spallucce e si dirige verso la porta, seguita da Dean che inclina indietro la testa per osservare anche il suo lato B – giusto per non lasciarsi sfuggire nulla –, continuando a pensare che se tutti i giorni si vestisse in questo modo sarebbe davvero – davvero – carina e probabilmente non esiterebbe neanche un secondo a provarci. O forse no. Chissà. Sicuramente se fosse una delle tante lo farebbe.
 
La accompagna nel luogo prestabilito con l’Impala e quando accosta la guarda ancora una volta. Lei sembra… tesa e Dean quasi si pente di averla “costretta” ad uscire con quel tipo. Magari non le piace neanche un po’, non è riuscito a capirlo con esattezza. «Ok, mi rendo conto che è tardi per dirtelo, ma se non te la senti—»
«No, va bene. Posso farcela».
Dean la guarda, colpito dalla fermezza che ha lasciato trasparire dalle sue parole. «Allora facciamo un piccolo ripasso».
«Non ce n’è bisogno. Cercherò di non farmi beccare, Dean, te lo prometto».
«Ok… ma mi raccomando. Sii il più discreta possibile e nessun accenno a niente di diverso a quello che abbiamo accordato. Intesi?» Ellie annuisce decisa con la testa. «Bene. Mandami un messaggio se hai bisogno di un passaggio o di qualcosa».
Ellie lo guarda perplessa, gli occhi grandi. «Come faccio se non ho neanche il tuo numero?»
Sorride e Dean si dà mentalmente del cretino. «Giusto» tira fuori il cellulare dalla tasca e si fa dettare il numero di Ellie. «Intanto te ne mando uno io, così lo segni».
Lei sorride. «Va bene» scende dalla macchina e gli dà le spalle, lasciandolo a sorridere mentre scuote la testa.
 
Che tipa. 

*

Da ormai una decina di minuti Ellie attende in piedi, di fronte alle immense vetrate di un ristorante che è troppo di lusso per essere vero, il posto dove Jack le ha dato appuntamento.
 
Sbircia al suo interno: bicchieri di cristallo, servizi da tavola bianchi e lucenti ed Ellie prova ad immaginare quanto potrebbe costare mangiare in un posto simile. E’ sicuramente il più chic che ha mai visto in vita sua, un po’ perché ultimamente vive di fastfood e cibo riscaldato male e poi, forse, avendo lavorato tanto tempo in una piccola tavola calda in un città come Buckley – che era tutto fuorché un posto lussuoso – non è abituata a questo genere di sfarzo.
 
Continua ad osservare quell’immenso salone attraverso la vetrata, cercando di captare una faccia conosciuta, ma non c’è nessuna traccia di Jack Burke e comincia a pensare le abbia dato buca.
 
Magari ha cambiato idea. O forse non è proprio interessato a lei. La cosa non la stupirebbe, non ha mai avuto una gran fortuna con i ragazzi.
 
Si sente toccare una spalla e, quando si volta, se lo ritrova davanti; Jack le sorride e lei, d’istinto, ricambia. Indossa un paio di pantaloni marroni chiari – più sportivi e informali di quelli che aveva stamattina – e una camicia celeste aperta di qualche bottone sul davanti. I capelli sono spettinati, ma in un modo carino, e gli occhi, di un bel castano chiaro, sembrano brillare di luce propria.
 
«Ciao, ho… ho parcheggiato qua sotto, ma possiamo andare a piedi».
Ellie lo guarda un attimo confusa. «Non ceniamo qui?»
«Oh no, questo era semplicemente un punto d’incontro. Vieni, ti porto nel ristorante più sconosciuto e anonimo di tutta Orem».
 
Ellie sorride e l’idea già la fa sentire più a suo agio. Abbigliamento a parte.
 
Camminano per non più di qualche minuto ed Ellie ha modo di constatare che non mentiva quando ha detto che era il posto più sconosciuto e anonimo. E’ una piccola casupola, situata in mezzo a molte altre, tanta edera a coprire tutta la fiancata che incornicia un grosso portone di legno.
 
Si siedono ad un tavolo apparecchiato con cura, la tovaglia bianca, piatti in tinta e al centro un vasetto con un paio di rose rosse.
 
«Vengo spesso a mangiare qui. Fanno delle bistecche favolose» Ellie sorride. «Ma puoi ordinare quello che vuoi, magari neanche ti piacciono».
«Io mangio tutto».
Il ragazzo sorride a sua volta. «Bene» la guarda per qualche istante senza dire nulla ed Ellie fa lo stesso. Deve ammettere che è un bel ragazzo – non che se ne accorga solo adesso, anche stamattina ne era consapevole, solo che ora, vedendolo così più a suo agio e rilassato in un posto diverso da quello dove lavora, le sembra ancora più affascinante – e forse non è stata poi un’idea così malvagia uscire con lui. Vorrebbe solo averlo fatto senza nessun doppio fine.
 
«Ho come l’impressione che tu non sia di queste parti». Ellie annuisce. «Quindi sei qui per studiare».
«Sì… lo faccio a Salt Lake City, sono qui solo per la ricerca».
Jack sorride. «Anch’io ho studiato lì. E’ un ottimo posto dove farlo».
 
La serata scorre in modo piacevole, anche troppo forse. Ellie è una buongustaia e quella bistecca era davvero deliziosa. Sono già al dessert – dei bignè ripieni di una crema squisita, molto simile a quella chantilly – e, come Ellie aveva previsto, dopo la consegna della famosa lista, parlano di tutto tranne che di musei ed oggetti rari e preziosi.
 
«Quel ragazzo che era con te oggi è un… tuo amico?» Ellie sorride e annuisce. «Per un minuto ho avuto l’impressione che foste fratelli, o parenti. Poi ho cambiato idea, non vi somigliate per niente».
Quella frase, in un certo senso, mette Ellie in crisi, facendola sentire in dovere di ribattere qualcosa per non farsi scoprire. «No, niente legami di sangue. Siamo amici da quando facciamo l’Università, ma lui è più grande e… eravamo interessati allo stesso argomento e facciamo ricerca insieme» per un attimo si stupisce di quanto le venga facile inventare balle. Non lo credeva possibile.
«Ah davvero?»
«Sì. Le ricerche non sono il suo forte, preferisce studiare sugli appunti e sui libri di base, cosa che invece non piace a me. Ci aiutiamo a vicenda».
 
Subito dopo la cena – gentilmente offerta da Jack – fanno una lunga passeggiata per le vie della città. Il ragazzo le illustra la storia di alcuni vicoli ed Ellie lo ascolta affascinata. Le sono sempre piaciute le storie di paese.
 
Parlano anche delle loro vite, per quanto possibile. Jack le racconta che si è laureato all’Università in Storia dell’Arte e Letteratura ed Ellie lo riempie di domande, ammaliata com’è da tutti gli argomenti che riguardano quell’ambito di studio.
 
Lo guarda negli occhi ascoltando i suoi discorsi con attenzione e c’è qualcosa di particolare nel suo sguardo, qualcosa che Ellie conosceva fin troppo bene: l’ingenuità di vivere in un mondo normale, senza mostri o sciagure soprannaturali. Ellie lo vedeva nei suoi compagni di scuola, quella spensieratezza che avevano nel credere che i demoni non sono altro che fantasie, solo storie che si raccontano per spaventare la gente. Nessuno degli sguardi degli uomini con cui Ellie passa del tempo adesso – soprattutto John Winchester e papà – sono così, non c’è quella purezza e quell’innocenza, ma solo dolore e amarezza.
 
Nemmeno Dean ha questo sguardo. Anche lui è così segnato dalla sofferenza – il che è assolutamente comprensibile, è dovuto crescere in fretta e imparare fin da bambino a cavarsela da solo –, nonostante sia più bravo a mascherarlo.
 
Camminano ancora a lungo e il tempo passa veloce e sono già le quattro del mattino quando si rendono conto di che ora è.
 
Jack la accompagna fino al motel ed Ellie lo ringrazia per la piacevole serata. Quando rientra in camera, trova Dean disteso sul letto intento a leggere qualcosa che si prodiga a nascondere di corsa sotto il letto non appena la vede. La guarda con un sorriso da presa in giro. «Bentornata Cenerentola».
Ellie lo osserva perplessa. Dà uno sguardo all’orologio e poi torna a guardarlo. «Ma mezzanotte è passata da un pezzo». Dean scuote la testa alzando gli occhi al cielo e si mette seduto. Ellie ha capito che si trattava di una battuta, solo che proprio non riesce a comprendere il nesso tra lei e Cenerentola, ma non sembra che Dean abbia molta voglia di spiegarglielo. «Com’è andato il tuo appuntamento galante?»
 
Ellie abbozza un sorriso. E’ stata davvero bene, ma non vuole farlo vedere a Dean – e magari dargli l’idea che deve trovarle un fidanzato e quindi spingerla a uscirci di nuovo, non sa perché ma le dà l’impressione di uno che potrebbe farlo –, così si morde il labbro inferiore voltandosi e cercando di non farsi beccare. «Bene».
«Bene… come?» Ellie alza gli occhi al cielo. Che razza di impiccione. «Bene… bene. Che vuoi sapere di specifico?» e quasi si pente di avergli fatto quella domanda, perché anche se è girata di spalle lo sente sorridere e gli ha praticamente dato carta bianca, perciò è esposta ad ogni genere di attacco.
«Boh, racconta un po’. Sono curioso». Ellie si tiene sul vago, parlando di quello che è successo senza andare nei dettagli, mentre si muove dalla stanza al bagno per struccarsi e mettersi il pigiama – o meglio, la lunga maglia che per lei è un pigiama. «Ci credo che ti ha pagato la cena. Mi pare sia uno pieno di soldi» e sentendo quelle parole ad Ellie viene da sorridere.
«Perché, tu quando porti a cena le ragazze non offri?»
«Il problema non si pone perché io non le porto a cena, mia cara. Al massimo offro una birra. O due».
 
Ellie si siede sul letto di fronte a quello di Dean e lo guarda scuotendo la testa. Non lo conosce sotto questo aspetto – in realtà sono molte le cose che ancora non sa di lui, ma alcune sono proprio lampanti anche se non ha mai detto niente a riguardo – ed è sicura che gli piace fare il ragazzaccio quando ha a che fare con il genere femminile. Questo atteggiamento strafottente e sicuro glielo conferma.
«E quindi avete solo… parlato?»
«Sì. Perché, che dovevamo fare?» il sorriso che le rivolge Dean non lascia spazio agli equivoci. Ellie arrossisce di botto, così afferra un cuscino e glielo tira addosso e lui sembra inizialmente preso alla sprovvista ma poi contrattacca al volo, acciuffando il suo e alzandosi in piedi cominciando a sbatterglielo addosso. Ellie si trova sprovvista e comincia a dimenarsi, riuscendo a scappare dalla sua presa e finendo dall’altra parte del letto di Dean, dove trova il suo cuscino e stavolta non ha intenzione di mollarlo. Si lancia all’attacco e lo colpisce. O meglio, sono i due cuscini a scontrarsi, ma poi si accanisce sul fianco scoperto di Dean, finché lui non riesce a strapparglielo di mano, lanciandolo chissà dove, ed è di nuovo disarmata, stavolta senza possibilità di fuga, perché più Dean avanza, più lei indietreggia e ben presto si ritrova sdraiata su uno dei due letti, intrappolata tra il materasso e il corpo di Dean. A dividerli solo il suo cuscino.
 
La osserva con un sorriso da presa in giro stampato sul volto e a guardarlo adesso sembra la persona più felice e tranquilla del pianeta, senza un pensiero a ronzargli in testa, gli occhi limpidi e luminosi di chi si diverte davvero e la vita potrebbe essere sempre così semplice per lui. Dovrebbe farlo ridere più spesso. 
 
Dean preme di più il cuscino contro il suo corpo, destandola da quei pensieri. «Ho vinto».
«Per stavolta. Dai, levati». Dean obbedisce rotolando di lato e mettendosi seduto, ma continua a tenere il cuscino in mano sorridendo. «Che ridi adesso?»
«Scommetto che se c’era il tuo spasimante al mio posto non gli avresti chiesto di togliersi» ed Ellie gli rifila una manata su un braccio che lo fa ridere ancora di più. «E dai, ammetti che un po’ ti piace».
Ellie sbuffa e osserva il pavimento per un istante. «Tu che facevi?» e Dean la guarda con fare colpevole. «Io? Ti aspettavo. Volevo aggiornarti su… su quello che ho scoperto».
 
Ellie non se la beve. Non del tutto. Un flash di come l’ha trovato quando è entrata le fa mordere il labbro inferiore ed escogitare qualcosa per vendicarsi di averla sconfitta nella battaglia coi cuscini – per non parlare del fatto che, come previsto, vuole appiopparle quel ragazzo –, così si fionda sotto il suo letto prima che lui riesca ad acciuffarla e quello che trova è un giornaletto che già dalla copertina – fucsia con l’immagine di una donna asiatica con sguardo ammiccante al centro – lascia poco spazio all’immaginazione. Ad Ellie capita di vedere riviste simili quando va al supermercato; di solito le mettono nei ripiani in alto, come se un normale cliente non ci buttasse l’occhio. E una, tempo fa, spuntava anche dal borsone di suo padre.
 
Guarda Dean e scoppia a ridere, soprattutto quando lui cerca di prenderglielo dalle mani. Sembra incredibilmente in imbarazzo, il viso così rosso Ellie non glielo ha mai visto.
«Busty Asian Beauties… ma ovviamente mi stavi aspettando… »
«Piantala. Ridammelo» Ellie glielo molla giusto perché proprio non ce la fa a smettere di ridere e non riuscirebbe mai a trattenerlo se volesse afferrarglielo di nuovo e lo guarda tenendosi la pancia con entrambe le mani quando lui lo butta dentro il suo borsone e la guarda con finto odio negli occhi. «Non farlo più».
 
Ellie si accomoda meglio sul letto, infilandosi sotto le coperte e recuperando il cuscino per poi appoggiarlo dietro la schiena. «Mi pare una giusta punizione per avermi battuta e soprattutto per aver pensato che mi sarei, come dire… data da fare la prima sera con un tipo che sì, potrebbe piacermi, ma è immischiato nel caso che stiamo seguendo».
Dean sorride compiaciuto «Vedi, ti piace» ed Ellie sbuffa di nuovo, accavallando le gambe. Stavolta un po’ se l’è cercata. «Vuoi raccontarmi che hai scoperto, o no?»
 
E in realtà Dean non ha trovato molto. Diciamo pure che non ha trovato niente. Il museo sembra blindato.
 
Ellie recupera dalla borsa la lista che le ha dato Jack e leggono qualche nome finché non crollano per la stanchezza.
 
Dormono il giusto necessario e, al mattino, si recano alla stazione di polizia per recuperare gli oggetti personali delle vittime, in caso riuscissero a ricavarne qualche dato utile.
 
Stavolta devono fingersi agenti dell’FBI, sembra l’unico modo per accedere a quelle informazioni ed Ellie è un po’ in ansia, temendo di non essere riuscita a mascherare al meglio la sua giovane età. Le fanno male i piedi, soprattutto dopo una serata intera a spasso con i tacchi alti e sta constatando che portarli anche il giorno dopo non è un granché per la sua salute. Sta cercando di non brontolare troppo, è già la terza volta che Dean sbuffa per un qualche suo borbottio e, uffa, vorrei proprio vedere cosa farebbe se li dovesse portare lui.
 
Il telefono squilla proprio un attimo prima che uno degli agenti li riceva. Dean mostra il suo badge falso e la indica come una sua collega chiedendo di poter parlare con lo sceriffo locale mentre lei prende il telefono dalla borsa e dà un’occhiata al display: è Jack.
 
Rifiuta la chiamata e fa per rimettere il cellulare al suo posto – non ha decisamente tempo per lui adesso – ma quando alza gli occhi e incontra uno sguardo stupito e attonito almeno quanto il suo rimane per un attimo senza fiato, in cerca d’aria.
 
«Voi che ci fate qui?» vorrebbe dare una risposta sensata, lo vorrebbe davvero, ma è troppo sconvolta per riuscire a parlare. 
 


[1] The University of Utah è realmente situata a Salt Lake City, capitale dello Stato situata a una quarantina di miglia da Orem. Il Dipartimento di Beni Culturali è una mia invenzione, ma l’Università esiste realmente xD
[2] Noto album dei Beatles pubblicato nel 1967.
[3] Famosa critica d’arte americana.
[4] Altro riferimento a Lost: il cognome Burke è “preso in prestito” a Juliet Burke, interpretata da Elizabeth Mitchell che è anche l’attrice che ho scelto come presta volto per la mamma di Ellie.
[5] Dipinto di Jackson Pollock, noto pittore americano vissuto nel secolo scorso. E’ esposto al Museum di Modern Art di San Francisco, ma mi sono presa la piccola libertà di immaginare che potesse essere stato portato ad Orem per questa mostra :P

  
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