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Autore: lilac_sky    18/06/2015    4 recensioni
Calum ha i piedi per terra, sì, ma ama Gwen più di ogni altra cosa. Ha paura di farle del male, ha paura di poterla perdere per sempre. Perchè la morte sarà dietro l'angolo, quando sarà lì in mezzo alla polvere, a combattere.
Gwendaline è sempre ansiosa, e ha una grande paura di perdere Calum: perchè è così insicura che non saprebbe immaginare un futuro senza il sostegno di quel ragazzo che ha incontrato due anni fa per caso, e che ora si vede lentamente sfuggire dalle mani.
Ma, ehi, loro sono la gioventù selvaggia, che vive ogni attimo per ricordarlo.
Insieme possono combattere la più grande, egoistica lotta per congelare il ricordo dei loro visi per sempre.
Per non dimenticare.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Gwen, ti devo parlare”.
Recita così l’ambiguo messaggio delle 19.37 che illumina lo schermo del vecchio telefono di Gwendaline, che non esita a rispondere, seppur abbastanza confusa da quella richiesta.
“Dimmi dove e quando”.
Le mani le tremano visibilmente mentre cerca di premere sui tasti il più velocemente possibile.
 
È sempre stata così, Gwen, entra in ansia per qualunque cosa. Nervosa, paranoica, chiamatela come volete: “Ti fasci la testa ancora prima di cadere”, è la frase che le ripete sempre la madre, vedendola guardare continuamente l’orologio prima di un appuntamento con qualcuno, tesa come non mai.
Perché Gwen non è mai sicura di quello che fa o che potrebbe fare. Non è mica come Ashton, che è l’esuberanza fatta a persona, sempre sorridente, con così tanta gente intorno che se dovesse scegliere una sola persona con cui uscire, non saprebbe da dove cominciare. Gwen è una ragazza che ragiona, che aspetta un’eternità prima di fare lei, la prima mossa.
 
“Tra cinque minuti a casa mia”, è la risposta che non tarda ad arrivare.
Non ci vuole molto per convincere Diana a non preoccuparsi che va tutto bene, e lasciarla seduta al  tavolo di quel bar di periferia a ripassare per l’esame di letteratura tedesca insieme a Michael.
In pochi secondi è già fuori a camminare a passo veloce, sicura, verso il luogo dell’incontro. Anche se non è mai stata più in ansia di così.
 
 
 
È lì.
Seduto sul secondo dei quattro, freddi gradini del porticato, con la schiena ricurva e la mani sul viso, la sta aspettando.
Lo osserva da fuori il cancelletto di ferro arrugginito, per un po’, prima di decidersi ad avvicinarsi lentamente, in silenzio, e sedersi accanto a lui, che gira la testa di scatto verso di lei ma subito distoglie lo sguardo, posandolo su un punto che non sa neanche lui bene quale sia effettivamente.
E lei ha visto gli occhi scuri rossi di pianto, e le lacrime che minacciano di uscire e inondare, da un momento all’altro, quelle guance con un sottilissimo strato di barba, segno che non è stata ancora tagliata. Nella sua testa qualcosa comincia a metterla in stato di allerta, e questo non fa che alimentare la già presente ansia.
«Cal…cos’è successo?» sussurra. Non osa parlare a voce più alta, perché rischierebbe di sbriciolare in mille pezzi taglienti l’aria di tensione che si è creata. Anche se in realtà è il suo cuore che si frantuma con lentezza estenuante, vedendolo asciugarsi gli occhi con un lembo della maglia.
Non ce la fa. Non ce la fa a  vederlo in quello stato.
Sta per ripetere la domanda, con la certezza che stavolta la sua voce sarebbe uscita tremante, ma lui si alza stancamente e le fa cenno di seguirlo in casa.
Non una parola.
Solo doloroso silenzio.
 
Cammina lentamente.
Si sente il rumore che provocano le suole delle scarpe, trascinate sul pavimento, niente altro: un silenzio soffocante è calato come una cappa in quella casa vuota.
Lui sembra un fantasma. Sfiora ogni scaffale, ogni oggetto, ogni superficie che trova sotto le dita.
Gwen lo osserva con uno sguardo che vorrebbe solo capire cosa succede, e che si appanna non appena lui si gira a guardarla. La raggiunge a grandi falcate. Lei immobile.
E in un attimo si ritrova tra le sue braccia forti, che sono sempre state il suo rifugio nei momenti di tristezza, quelle stesse braccia che ora la stanno stringendo fino a farle male, come a non volerla farla andare via.
«Non me ne vado via. Sono qui, Calum».
La voce rotta dal pianto, tanti singhiozzi che li scuotono violentemente, Gwen che si aggrappa alle sue spalle senza capire, Calum che muove le mani grandi e tremanti lungo la schiena della piccola ragazza davanti a lui.
Un abbraccio affannoso, indispensabile per entrambi.
La guancia di Gwen è premuta contro il petto del ragazzo che continua a stringerla, coperto dalla maglietta grigia che emana quell’odore che le è sempre piaciuto e che continua a piacerle anche adesso, con il tessuto impregnato delle sue lacrime.
Lui le bacia i capelli profumati, che ha sempre amato solo per il fatto che lei non li abbia mai voluti tingere, lasciandoli di quel colore indefinito tra il biondo e il castano, ma sempre luminosi.
Sfiora con le labbra la pelle morbida di Gwen, che accoglie in silenzio quel dolce contatto, le bacia la fronte, le palpebre, le guance rosse, il naso piccolo: le prende il viso tra le mani, e fa incastrare i loro sguardi.
Così diversi, così perfetti.
Non vorrebbe dirglielo, no. «Non so come cominciare…» «Dimmelo e basta».
Gwen è così, preferisce strappare i cerotti, piuttosto che provare a fare piano per poi finire a fare più male.
«Devo andare in Afghanistan» mormora a voce così bassa che quasi desidera che non abbia sentito.
Silenzio.
«Cosa?» chiede, con la testa che comincia a girarle, sperando di aver capito male.
Lui ingoia con fatica il groppo che gli si è formato in gola, e non sa neanche da dove abbia trovato il coraggio, ma la guarda fisso negli occhi, circondandole il viso bagnato di lacrime con le mani che tremano. «Andrò in Afghanistan, insieme agli altri arruolati».
 
Il vuoto. C’è il vuoto nella testa di Gwen. O forse ci vorticano così tanti pensieri che non sa su quale concentrarsi per primo: probabilmente perché fanno tutti terribilmente male.
Calum le scuote piano le spalle. «No, Gwen, non..non fare così, io…tu devi dimenticarmi: non pensare più a me, domani mattina parto e starò via un anno, forse più. Non puoi permetterti il lusso di lasciarmi tra i tuoi pensieri, devi andare avanti, studiare per la laurea e Dio sa cos’altro. Ma dimenticami, per favore» «Aspetta, aspetta» lo interrompe con voce flebile ma con occhi che lanciano scintille «Tu mi stai dicendo di…dimenticarti perché andrai a combattere per una fottuta guerra in Afghanistan?» chiede cercando di mantenere la calma. Lo sente emanare un sospiro tremolante, mentre si sfrega il viso stanco con le mani. «Gwendaline, è la cosa migliore, dovresti provare a capire: c’è la possibilità che…ecco, che io non…non possa torn-» «No!» grida Gwen fuori di sé, allontanandosi dalla stretta del ragazzo «No, Calum, non dire stupidaggini. Io…merda, Calum» affonda le mani nei capelli e trattiene un urlo «Come faccio a dimenticarti? Eh? Come posso dimenticare il ragazzo che chissà come sono riuscita a trovare e ad amare? Come faccio a dimenticare tutto quello che abbiamo passato?» «Devi, Gwendaline, non riusciremo neanche a sentirci, non saprei dove trovare il tempo di rispondere ad una tua lettera» «Mi uccide, saperti dall’altra parte del mondo» «Uccide anche me, Gwen» «Non partire..» «Devo» «Come faccio ad andare avanti sapendo che tu non ci sei? Non oso neanche immaginare se tu…se tu dovessi…».
Non regge. I singhiozzi le scuotono il petto, fatica a respirare, le lacrime le impediscono di guardare, e scoppia. Un pianto disperato, che fa avvicinare Calum di nuovo per abbracciarla più forte di prima: un abbraccio che le infonde tutto l’amore che lui ha provato, prova e continuerà a provare per lei. Solo per lei.
È straziante, vederli entrambi impotenti davanti ad una decisione già presa, che non si può contestare.
«Ti amo tanto, Calum» «Oh, Gwendaline, anch’io ti amo».
Due voci rotte, instabili: i loro respiri che si fondono insieme, e le labbra che si uniscono in un bacio bagnato dalle lacrime, disperato, mentre le mani si cercano e si stringono, tremanti. Il collo di Calum è diventato un appiglio per le mani di Gwen, ora che l’ha presa in braccio: percorrono ad occhi chiusi il percorso da lì alla sua camera, dove lui posa la ragazza sulle morbide coperte, delicatamente.
 
Gioventù selvaggia, è la loro, sempre intenti a cogliere il momento, anche adesso che, con i visi accaldati e la paura che circola in corpo, si guardano, come per congelare nella mente un’ultima, bellissima, immagine.
«Domani non venire, all’aeroporto» «Verrò, Calum. Non mi importa, non mi importa più niente ormai» «A me importa di te» «Va bene così».
 
E sì, va bene così, mentre si preparano all’ultima volta che trascorreranno insieme,
«Mi mancherai»
«Ti aspetto, sono sempre qui»
 
Una canzone diceva “Ho perso tutto, sono solo una sagoma, una faccia senza vita di cui presto ti dimenticherai”.
E oh, no, non sarebbe stato così per loro due.
Calum e Gwen, due visi di cui non si sarebbero dimenticati tanto facilmente.
 
Sì, “Le nostre menti sono tormentate dal senso di vuoto”, è vero.
Ma a loro non importa più; se devono cogliere il momento, beh, che lo facciano, allora. Insieme possono combattere un’egoistica lotta per loro stessi, per non dimenticare.
E chi se ne frega dell’Afghanistan, della laurea, della morte.
 
Loro sono qui, ora.
Due giovani selvaggi.

 















UAAAAA.
Eccomi di nuovo qui, con un'altra (ebbene sì, la terza) OS. Ormai sembro destinata alla stesura di storie brevi, ma è la cosa che credo mi venga meglio.
Non sono molto sicura della riuscita di questa, ma ho dovuto scriverla per forza perchè quello che ho scritto è quello che è successo nel sogno che ho fatto stanotte e DOVEVO SCRIVERLO PER FORZA. Sì, beh, la parte finale e le frasi in corsivo in mezzo non c'erano nel sogno, le ho aggiunte mentre scrivevo, ma è ok.
E comunque niente, l'ho scritta in poco tempo e la trama mi era piaciuta troppo, non potevo non scriverla o me ne sarei dimenticata presto e NON avevo intenzione di dimenticarmi una storia così.
Va bene, lo ammetto, mi vergogno di me stessa per tutto il romanticume che ci ho infilato dentro e mi scuso con chi non ama queste cose, ma non linciatemi per favore: avevo il bisogno fisico di scrivere questa bella roba.

Spero (ebbè) che vi sia piaciuto tutto quanto, lasciate un parere così so se mi è venuta fuori una schifezza o meno! 
Grazie se qualcuno è arrivato fin qui sotto, tanti bacini

elena <3


ps. La canzone da cui ho preso le frasi è "Youth" di Daughter, se non la conoscete vi consiglio di ascoltarla perchè a me è piaciuta molto da subito.
  
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