Primo
Capitolo
Era passato qualche giorno dal
ringiovanimento forzato del
Dottore e, una volta tornato normale e superato l’imbarazzo,
avevano deciso di
prendersi una pausa da battaglie galattiche e esplorare la loro casa.
La loro prima tappa era stata proprio
il Luna Park per
tenere fede alla promessa fatta a John. E il Dottore adulto aveva
mostrato di
apprezzare, comportandosi esattamente come la sua copia rimpicciolita.
Se non peggio,
si
disse Rose mentre osservava il suo amico abbracciare l’enorme
pupazzo blu come
se fosse stato un cucciolo.
Per quanto riguarda il resto,
beh… Rose aveva scacciato
abilmente tutti i rossori sulle guance e i pensieri scomodi.
Il suo problema era che le 24 ore
passate con John le
avevano permesso di pensare al Dottore senza la solita routine
sballottamento –
mostro – bava. E senza il Dottore, di fatto.
Perciò se prima poteva non
pensare a quanto fosse carino anche
coperto di muco arcobaleno,
con il bimbo aveva potuto notare tutte le somiglianze e, di
conseguenza,
apprezzare un po’ di più il suo amico alieno.
Era tutto così complicato!
Per sua fortuna il Dottore interruppe
i suoi pensieri che
tendevano pericolosamente allo sdolcinato, lanciandole addosso il
premio
ricevuto dopo aver urlato il suo nome come avvertimento.
“Bei riflessi”
commentò sarcastico, dopo che lei lo ebbe
fatto cadere al suolo.
“Si può sapere
perché me lo hai lanciato?” domandò
stizzita
Rose guardandolo male mentre raccoglieva la prova della loro vittoria.
Il loro
mini Tardis si era completamente sporcato di polvere, capelli
– marroni, evidentemente non suoi
– e zucchero
filato rosa, creando una colla disgustosa proprio sopra la scritta
“Police”
dell’insegna.
“Per testare le tue
abilità motorie” replicò prontamente
lui. “Carenti” aggiunse abbassando lo sguardo sul
peluche.
“Credo sia ora di scoprire
dove sia la lavanderia” sospirò
la ragazza, agitando debolmente l’oggetto incriminato, mentre
notava le enormi
macchie colorate sui loro abiti. Il Signore del Tempo doveva aver di nuovo modificato il gioco, inserendo
proiettili
di vernice al posto dei classici laser.
“Ti avevo detto solo
laser!” fece spazientita.
“Sono
laser”
borbottò lui colpevole abbassando la testa.
Occhiataccia.
“Laser colorati,
quando ti colpiscono ti tingono”
Altra occhiataccia.
“Vanno
via giuro!”
esclamò con aria supplicante.
“Sarà meglio per
te”
*
Il Tardis doveva voler molto bene al
Dottore, perché non
appena uscirono dal Luna Park si aprì davanti a loro una
porta, rivelando una
spaziosa lavanderia con le vetrate e porte scorrevoli.
Sembrava di stare in un hotel,
circondati da lenzuola
candide e asciugamani profumati.
Non si stupì
più di tanto nel trovare una sezione con i loro
nomi.
Le sue cose e quelle del Dottore,
ovviamente, si
distinguevano: le prime rosa, le altre con motivi indecenti
di cacciaviti sonici, Tardis e banane. Ecco svelato come
i loro vestiti tornavano automaticamente puliti e profumati negli
armadi.
Da quando viaggiava con il Dottore,
infatti, non aveva più
fatto il bucato. All’inizio portava tutto da Jackie ma poi,
dopo aver ritrovato
la sua adorata maglietta rosa pulita, quando era certa di averla
lasciata
coperta di muco e scorie aliene, aveva cominciato a notare come i suoi
vestiti
fossero sempre in ordine e profumati nei cassetti, rendendo inutile la
lavatrice di casa Tyler.
Non che sua madre si fosse lamentata
di non dover più
smacchiare residui disgustosi dai suoi indumenti ma,
rifletté Rose, era molto
tempo che non passava a salutarla.
Questa era l’ennesima
avventura con il Dottore che, se non
la spediva mille anni più avanti, la teneva ugualmente lontana da casa.
Un rumore assordante di vetri rotti
le fece alzare lo
sguardo. Quell’impacciato essere alieno del suo amico era inciampato in uno stendino,
facendoli cadere tutti con
effetto domino contro una delle porte scorrevoli.
Si ritrovò di nuovo a
ringraziarlo mentalmente per averla
riscossa dai suoi pensieri, nonostante il disastro che aveva causato.
Ecco
perché non aveva
mai tempo di pensare ai suoi sentimenti, aveva una trottola come guida
turistica! Ridacchiò tra sé e
sé prima di cimentarsi in una ramanzina alla
Tyler.
*
Ne è valsa la pena, si
disse il Dottore mentre cercava di
chiudere l’apparato uditivo all’assalto di Rose.
“Non
è normale che tu
non sappia fare due passi in linea retta senza distruggere due o tre
galassie!”
Certo, il mondo era decisamente un
posto più silenzioso
mentre lei era assorta nei suoi pensieri, ma non faceva bene ai suoi due cuori vederla triste e pensierosa.
Era come se nella sua testa si accendesse una luce lampeggiante e
l’equazione “Rose
zitta = Rose triste = Rose torna a casa” illuminava a
caratteri fluorescenti il
suo campo visivo.
Sapeva che per un essere umano stare
tanto lontano da casa
era difficile. Lo era anche per lui,
e non aveva più nessuno da riabbracciare né un
posto dove tornare che non fosse
il Tardis.
Ma Rose non
poteva
andarsene. Non dopo quello che aveva visto di lui nelle fatidiche 24
ore. Si
era mostrato vulnerabile, adorabile certo,
ma vulnerabile, e aveva lasciato trapelare cose che non ricordava gli
appartenessero.
Ma riflettendoci bene, non era certo
il suo momento di
debolezza la ragione per cui non avrebbe mai permesso a Rose di
abbandonarlo.
Era semplicemente un motivo in più, ma non l’unico
in cui fosse palese il suo
attaccamento alla ragazza.
La lista cominciò a
scriversi da sola, nella sua testa,
partendo da “Hai scelto una
rigenerazione
giovane per piacerle”, passando per tutte le volte
che aveva cercato di
tenerla al sicuro. Quando le scene con Rose cominciarono a scorrere
caoticamente– ma sempre in maniera comprensibile per il suo
cervello alieno –
si rese conto che forse sarebbe stato meglio bloccare
l’afflusso di ricordi. Si
permise solo di riguardare un’ultima volta la scena del loro bacio.
Anche se quella non era veramente
Rose, ma Cassandra, il suo
corpo caldo e le sue labbra morbide non lo avevano fatto dormire per
due notti.
Metaforicamente,
ovvio, dato che lui non dormiva. Diciamo che gli avevano tenuto la
mente
occupata per un po’.
Conosceva l’effetto che
Rose aveva su di lui, era troppo intelligente
per non saperlo, ma
il destino invece di aiutarlo lo faceva sempre finire in situazioni
compromettenti.
Prima una pazza donna-pelle li aveva
fatti baciare – si
vergognava ancora del suono molto poco
virile uscito dalla sua bocca subito dopo – e
ora… Era diventato un
bambino, mostrando tutta la sua debolezza.
Certo ci aveva guadagnato una notte
nello stesso letto di
Rose Tyler, ma appena si era reso conto che la ragazza stava per
svegliarsi era
saltato su ed era fuggito.
Avrebbe dovuto andarsene prima,
appena ritrasformato, ma il
viso di Rose era così
vicino e il suo
respiro caldo lo attirava, quindi si era crogiolato un po’
nel tepore del suo
corpo, rimandando di minuto in minuto.
Si era dato del pazzo varie volte,
soprattutto nei momenti
in cui il suo cervello cominciava a vaneggiare su quanto
Rose fosse carina mentre sorrideva con la lingua tra i
denti, o la mattina della trasformazione quando – struccata, per una volta – gli
aveva rivolto uno sguardo tra l’assonnato
e il ferito afferrando la tazza che lui le stava porgendo.
In quel momento si era sentito
davvero in crisi,
temporeggiando sulla porta, indeciso se andare lì e baciarla
o, semplicemente, fuggire. Aveva
scelto la seconda
opzione, come al solito, anche se le farfalle che si agitavano nel suo
stomaco chiedevano
a gran voce altro.
Ma non poteva. Davvero,
non poteva.
*
Rose aveva smesso di parlare
già da un po’, non appena si
era resa conto che il Dottore era con la testa su
un altro pianeta.
Si chiese se fosse opportuno
ricambiargli il favore; dalle
rughe sulla sua fronte non dovevano essere pensieri positivi.
Gli posò una mano sulla
spalla, facendolo sobbalzare.
“Torna tra noi!”
sorrise.
Poi le venne un’idea.
“Vieni, ti insegno a fare il bucato!”
propose.
“Guarda che non sono
più un bambino!” ridacchiò lui in
risposta, mentre lei lo prendeva per mano portandolo davanti alle
lavatrici.
Lei inarcò il sopracciglio
“Mi stai dicendo che sai
come si lavano i panni? In 900 anni
di vita non hai mai messo piede qui dentro, secondo me” lo
prese in giro.
Il Dottore abbassò lo
sguardo, colpevole. “Non ne ho mai
avuto bisogno” sbiascicò a testa bassa.
“Viziato”
mormorò
lei.
“Ehi! Vuoi scommettere
che riesco a farle funzionare?” fece l’altro, punto
nel vivo, pentendosene un
attimo dopo.
La ragazza ridacchiò, poi
torno seria.
“Ci sto! Stabiliamo le
regole” alzò il pollice “Primo:
Nessun aiuto dal Tardis”
Il Dottore aprì la bocca
per ribattere, poi la richiuse. Poteva farcela.
“Secondo”
sogghignò “Dammi il cacciavite sonico”
Il Signore del Tempo
sbiancò. “NON PUOI! E’ COME UN FIGLIO
PER ME!”
“E’ solo una
misura preventiva” spiego lei pazientemente
“per impedirti di barare”
Quando lo strumento fu in suo
possesso continuò sorridendo.
“Terzo: Hai dieci minuti di vantaggio”.
Lo sguardo dell’altro si
fece un po’ meno abbattuto alla
notizia.
“Allons-y!”
*
La sfida era cominciata
già da cinque minuti, e Rose si
stava gustando i tentativi del Dottore di capire quale,
tra i mille saponi colorati, andasse infilato dove.
Con i capelli arruffati e la
cravatta allentata, il suo amico pareva concentratissimo, ma aveva
ottenuto il
solo risultato di aprire lo sportello e sbatterci la testa.
Fece un profondo respiro, poi si
atteggiò a persona che sa quello
che sta facendo.
“Allora, è evidente
che questo è il foro in cui vanno inseriti
i vestiti” fece sicuro di sé, indicando
l’apertura circolare.
“Che scoperta
stupefacente!” sussurrò divertita la ragazza,
ricevendo un’occhiataccia in risposta.
“Poi… va versato
il sapone” continuò titubante. Ma quale?
In crisi si sedette per terra in
mezzo ai flaconi,
analizzandoli più da vicino.
“Questo con
l’orsetto? Oppure con la volpe?” fece
prendendone due in mano “Non potevano chiamarli con i numeri?
Prima questo, poi
questo…” si lamentò sconsolato.
-BEEEEEP-
Un suono fastidioso lo distrasse,
facendogli alzare la
testa.
“Ho chiesto al Tardis di
impostare il timer”
spiegò la ragazza “Il tuo vantaggio è
scaduto”.
*
Il Dottore osservò Rose
avviarsi alle lavatrici. Aveva fatto
male a sottovalutarla, chissà quante sessioni
di bucato era stata costretta a sopportare vivendo con Jackie,
pensò.
L’unica cosa da fare, era
osservarla e cercare di capire
come funzionassero quei dannati cosi.
Rose prese la cesta dei suoi vestiti
macchiati e aprì due
sportelli.
Aspetta, cosa?
Osservò meglio. Aveva
infilato jeans, maglietta fucsia e
altri vestiti non identificabili in
una lavatrice, l’altra metà in un’altra.
Perché mai?
Non ebbe tempo per interrogarsi
oltre, perché la ragazza si
era diretta verso i detersivi.
Le dava le spalle, forse per non
permettergli di vedere cosa
faceva, poi tornò alla lavatrice con due contenitori,
mettendone uno in ogni
sportello.
Dopo aver premuto un pulsante, si
girò a guardarlo,
divertita.
Aveva finito. Come era possibile?
Senza mostrare segni di cedimento
– era una guerra, non
poteva permetterselo – si
alzò e prese la sua cesta. Avrebbe vinto lui.
*
Si preannunciava una catastrofe. A
tutti gli effetti. Ma lei
era lì, fiera, e non avrebbe mostrato compassione,
nonostante l’evidenza
dell’incapacità del Dottore nelle faccende
domestiche.
Sperò tanto che il Tardis
fosse impermeabile,
perché già nella sua testa si figurava
un’inondazione.
Sapeva che l’altro aveva
seguito tutte le sue mosse, ma gli
mancavano informazioni basilari.
Che
i colorati e i bianchi andavano separati,
ad esempio. O la temperatura adatta. O il tipo di detersivo.
Probabilmente
non sapeva neanche cosa fosse una centrifuga.
Si mise le mani tra i capelli. Forse
avrebbe dovuto
aiutarlo. Per la loro incolumità,
come minimo.
Lo osservò mentre
rovesciava metà flacone nel contenitore e
l’altra metà per terra,
incolpando la
bottiglia del danno.
No, non si sarebbe lasciata
intenerire dal suo faccino e
dalla sua adorabile imbranataggine.
Sarebbe andata in cucina a preparare un thè, per
consolarlo quando avrebbe inevitabilmente perso,
ridacchiò
malignamente.
*
Dell’acqua filtrava sotto
la porta della cucina dal
corridoio.
Prevedibile,
pensò
Rose posando la tazza sul bancone.
Si prese solo un secondo per gustarsi
le urla dell’amico
dall’altro lato che supplicavano aiuto contro
il mostro di bolle di sapone.
Poi si alzò e uscì sogghignando, con il Mocio Vileda in spalla.
Note
dell’Autrice:
Che dire, ho adorato scrivere questa
storia, quindi spero
piaccia altrettanto a voi :) Se è così, o se vi
fa schifo, o vi ha lasciati
indifferenti, non esitate a farmelo sapere con una recensione, sono
così rare
di questi tempi ;)
Per quanto riguarda la pubblicazione,
resta un incognita,
dopo l’orale ricomincerò a scrivere il secondo
capitolo quindi onestamente non
so quando avrete l’aggiornamento, anche perché
dopo vorrei anche andare in
vacanza :/ Spero che i probabili ritardi non vi facciano passare la
voglia di
seguire questa storia :(
Alla prossima,
Baci,
L.