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Autore: vali_    23/06/2015    4 recensioni
"Continua a dirgli che la sua ora è arrivata, che deve lasciar andare tutto perché della sua piccola e insignificante vita ne ha fatto qualcosa e che è abbastanza, che se lo deve far bastare, ma Bobby è uno tenace e testardo e non ci crede, perché non è il momento. Ha ancora un sacco di cose da fare, di crepare adesso non se ne parla"...
Disteso su un letto d’ospedale con una pallottola conficcata nel cranio, Bobby è costretto a ripercorrere alcuni momenti della sua vita, i più dolorosi e i più felici, quelli che ha vissuto insieme a Sam e Dean e, quando la fine si fa sempre più vicina, anziché mollare decide di lottare ancora, che non ha alcuna intenzione di smettere di affiancarli e lasciarli andare al loro destino.
[Nona classificata e vincitrice del Premio Speciale "Allegria" nel contest “Lies a warrior” indetto da Fra.EFP nel forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Settima stagione
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Nome EFP e Forum: vali_
Titolo: Don’t fear the Reaper
Fandom: Supernatural
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste
Avvertimenti: Nessuno
Gruppo: Combattenti
Note: La One Shot che ho scritto descrive i pensieri di Bobby nell’episodio 7x10 “Death’s door”. Ho cercato di seguire il più possibile il corso della puntata, anche se si discosta un poco per un piccolo dettaglio: nell’episodio, il Mietitore dice proprio alla fine a Bobby che non c’è rimasto nulla a parte la casa in cui si trovano. Qui, ho lasciato intendere che glielo abbia detto prima del suo risveglio.
Il titolo è preso da quello della canzone “Don't fear the Reaper” dei Blue Öyster Cult.

Personaggi principali: Bobby Singer, Dean Winchester, Sam Winchester
Collocazione temporale: 7x10 “Death’s door”
Note aggiuntive: Chi ha letto altre mie storie sa che sono una chiacchierona, perciò… salve! :)
Ho deciso di partecipare a questo contest perché avevo quest’idea da un po’ ed ho trovato la spinta giusta per tirarla fuori.
L’avevo immaginata un po’ diversa, ma nei prossimi giorni non avrò più tanto tempo per sistemarla e mi sa che meglio di così non mi viene.
Vi lascio alla lettura e spero di ritrovarvi mercoledì (che è domani, yu-uh!) con il prossimo capitolo di “Wash away”. Bye bye! 


Don’t fear the Reaper
 
«You don’t stop being a soldier ‘cause you got wounded in a battle.
Ok? No matter what shape you’re in, bottom line is: you’re family.
I don’t know if you have notice but me and Sam, we don’t have much left.
I can’t do this without you. I can’t.
So don’t you dare think about checking out.
I don’t wanna hear that again».
 
(Dean in “The curious case of Dean Winchester”)
 
 
«Che palle!»
Non si disturba a dirlo un po’ più piano, a provare a non farsi sentire. Anzi, se potesse lo esclamerebbe ancora più forte, se sapesse che quelle parole potessero arrivare alle orecchie di colui da cui sta scappando.
 
Bobby rovista nel suo stesso cassetto, quello che fino a qualche secondo fa era colmo di ingredienti – alcuni totalmente inutilizzabili, ma lui è uno che non butta mai niente perché crede che tutto può tornargli utile, prima o poi – ed ora invece è vuoto. Come per magia.
 
Sbuffa ancora, terribilmente irritato. Potrebbe fermarsi, almeno un istante, riprendere fiato e provare a capacitarsi di quello che sta succedendo là fuori, prenderne coscienza e magari ragionare un po’ più a mente fredda sul da farsi, ma non ne ha il tempo. Non l’ha mai avuto in tutta la sua vita, pretende di trovarlo adesso, quando sta per crepare come uno stronzo qualsiasi con una pallottola nel cervello?
 
Oh sì, perché non è stupido e sa benissimo che tutto quello che ha fatto finora – rivivere la prima caccia insieme a Rufus, quella volta che ha portato Dean a fare due lanci a baseball, la notte in cui ha spezzato il cuore a Karen e la ricerca degli ingredienti per un incantesimo scaccia-Mietitori – è tutto nella sua testa.
 
Fuori, adesso, la situazione è ben diversa.
 
Non ha idea di come l’ha capito. Quello che sa per certo è che non avrebbe mai pensato di finire così, in coma con una pallottola conficcata nel cervello, che la sua vita avrebbe potuto concludersi in un fottutissimo letto d’ospedale. Non per lui, che ha sempre tribolato come un cane per guadagnarsi da vivere, prima onestamente, poi ingegnandosi come meglio ha potuto, ritrovandosi anche a dover truffare la gente “per bene” per racimolare qualche spicciolo.  
 
Se proprio deve crepare – tra qualche anno, eh, che ancora non si sente affatto stanco di campare – non vuole che sia in un ospedale, in una qualche stanza bianca e asettica e così deprimente da fargli venire il voltastomaco, ma neanche in una casa di cura circondato da bacucchi rincoglioniti più di lui che, invece, ancora ha parecchi colpi in canna da sparare.
 
Bobby ci è passato su tante volte e ne uscirà anche stavolta perché è sempre stato così, è sempre riuscito a cavarsela. E non sarà da meno neanche adesso.
 
Quel bastardo di un Mietitore può ripeterglielo fino allo sfinimento che gli converrebbe arrendersi e seguirlo, cercare la pace lontano da un mondo in cui non l’ha mai trovata. Sarebbe più semplice, certo, ma poi chi aiuterebbe quei ragazzi? Non hanno rimasto molto. Non hanno che lui a dire la verità – ora che anche Castiel si è sciolto in un lago liberando tutta la poltiglia nera che aveva in corpo [1] insieme ai suoi sensi di colpa e mettendoli nella merda più di quanto non fossero già – ed hanno bisogno di lui.
 
Non abbiamo rimasto molto. Dean glielo aveva detto una volta, quando l’Apocalisse era alle porte e il Diavolo vagava libero per le strade, praticamente indisturbato e potente. [2]
 
Dean glielo aveva detto perché, una volta tanto, Bobby si era stancato di combattere, di sperare che il giorno dopo sarebbe andata meglio, che avrebbe miracolosamente ripreso le sue gambe quando invece era fin troppo conscio del fatto che nessun miracolo avrebbe potuto aiutarlo. Soprattutto perché i miracoli Dio si è rotto di farli, così come tante altre cose.
 
Per questo non può mollare adesso. Quei due idioti non hanno che lui su cui fare affidamento e non è solo per dargli quei numeri che deve svegliarsi, ma perché quei Bocca Larga sono pericolosi e non vuole farglieli affrontare da soli, non vuole abbandonarli. Non ancora.
 
Non l’hanno fermato una sedia a rotelle e le sue gambe fuori uso, perché dovrebbe farlo una dannata pallottola? Non può permetterglielo, non vuole. No, perché Sam e Dean sono grandi, ma non abbastanza da non aver più bisogno di lui e lui non è così vecchio da dover abbandonare il campo di battaglia e smettere di lottare.
 
Quella volta aveva temuto veramente di dover mollare, stravolto dall’idea che non sarebbe più riuscito a camminare con le sue gambe, che sarebbe diventato presto solo un vecchio rammollito e inutile, ma Sam e Dean gli hanno detto e dimostrato che poteva ancora aiutarli, che ce l’avrebbe fatta a rialzarsi e l’ha fatto davvero, sia letteralmente – anche se lì c’è voluto un aiutino esterno – che moralmente.
 
Adesso, là fuori, sarà steso su un letto che immagina sgangherato e sbilenco e per un attimo si ferma a pensare alle reazioni dei suoi ragazzi – che anche se non sono figli suoi un po’ li ha sempre considerati tali –, la loro preoccupazione. Sam probabilmente comincerà a provare a farsene una ragione – è sempre stato il più riflessivo e pacato tra i due –, mentre Dean starà lottando con tutte le forze e con tutta la rabbia che ha in corpo – che è tanta, ne ha sempre avuta – per negarlo a se stesso, per non venire a patti con l’idea che forse il vecchio Bobby potrebbe non farcela, questa volta.
 
Bobby vorrebbe tanto aprire gli occhi all’istante e dirgli che si sbaglia e che non ha alcuna intenzione di allentare la presa proprio adesso, ma il ticchettio del maledetto orologio da taschino del Mietitore che ha alle calcagna, quello che lui sfila ogni tanto – la catenina d’oro appiccicata al tessuto della giacca nera e il piccolo tic che segue lo scatto che fa il coperchio quando quel bastardo pigia un microscopico bottoncino per aprirlo – mostrandoglielo con aria di sfida, gli arriva alle orecchie e dannazione, mi ha trovato quel maledetto stronzo.
 
Quando si volta nella sua direzione lo ritrova a guardarlo con gli occhi freddi e vacui, vuoti e spenti come la legna dopo essere arsa in un camino, quando vi rimane solo la cenere.
 
Lo osserva, capendo immediatamente che se l’ha raggiunto lì – tra le mura della sua casa, nel posto in cui dovrebbe essere più al sicuro – è perché non c’è più una dannata porta d’uscita. [3] Punta gli occhi fuori dalla finestra e quando vede tutto quel buio non c’è bisogno che quel fottuto stronzo gli dica che del suo cervello c’è rimasto poco e niente. Così come della sua vita, probabilmente.
 
Continua a dirgli che la sua ora è arrivata, che deve lasciar andare tutto perché della sua piccola e insignificante vita ne ha fatto qualcosa [4] e che è abbastanza, che se lo deve far bastare, ma Bobby è uno tenace e testardo e non ci crede, perché non è il momento. Ha ancora un sacco di cose da fare, di crepare adesso non se ne parla.
 
Bobby stringe i pugni e pensa al ricordo più brutto di tutti, quello che proprio non aveva alcuna intenzione di affrontare e decide di farsi guidare da quel bambino con la camicia rossa a quadri e gli occhi terribilmente spaventati, la versione più intimorita e terrorizzata di se stesso, lasciando che gli mostri il suo incubo peggiore, quello che voleva dimenticare di aver vissuto.
 
La porta della cucina si apre e, quando la scena che ha tanto temuto di rivivere gli si para davanti – le mani di quel verme di suo padre tra i capelli di sua madre, gli occhi di lei così spaventati e quel ragazzino con quel fucile più grande di lui tra le braccia –, capisce perché non voleva scavare così a fondo, ma che ne è valsa la pena, perché quello che l’aspetta là fuori sono gli occhi sinceri e caldi di chi gli ha voluto bene davvero nella misera ma intensa vita che ha avuto.
 
Svegliarsi non gli provoca sollievo. Muovere le mani e aprire gli occhi gli costa una fatica immane e non riesce a parlare anche se vorrebbe dire tante cose a quei due testoni che sono lì a fissarlo con gli occhi sgranati e increduli di chi pensa che qualcosa può andare per il verso giusto, che non era tutto perduto come credevano fino ad un attimo prima.
 
Stringe la penna che gli danno poco dopo senza comprendere fino in fondo cosa gli stanno dicendo, respirando a fatica e compiendo l’ennesimo sforzo nello scrivere quei numeri sulla mano grande e tremante di quel ragazzone di Sam.
 
Quando li guarda ancora, il fiato sempre più corto e gli occhi che minacciano di chiudersi da un secondo all’altro, un sorriso si staglia prepotente sulle sue labbra, come se i muscoli gli si muovessero da soli, perché è vero che non è pronto a lasciarli, ma se non potrà seguirli in carne ed ossa ci sono sempre altre possibilità, altre forme e si gusta i loro sorrisi incerti mentre li saluta come ha sempre fatto da quando non erano altro che ragazzini.
 
Non sarà l’ultima volta che lo farà, ne è sicuro.
 
Dall’altra parte, li ritrova poco dopo a litigare su liquirizia e panini con la banana e quando li vede scomparire, inghiottiti dai danni di quella pallottola maledetta che gli ha letteralmente distrutto il cervello, si convince ancora di più del fatto che ne varrà davvero la pena insistere e combattere e rimanere in questo mondo scellerato un altro po’, per continuare ad aiutare quei ragazzi che non è decisamente pronto a lasciare. 
 
[1] Riferimento all’episodio 7x02 “Hello, cruel world”. La poltiglia nera sono, ovviamente, i Leviatani, liberati da Castiel dopo la sua morte.
[2] Riferimento all’episodio 5x07 “The curious case of Dean Winchester”.
[3] Traduzione letteraria dell’espressione “exit door”, estrapolata dal dialogo che hanno Bobby e Rufus quando quest’ultimo esce dall’ospedale e gli spiega cosa gli è successo quando era in coma.
[4] Traduzione delle parole che il Mietitore pronuncia a Bobby in uno dei loro ultimi incontri. 


 
  
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