“È noioso.” ripetè Sherlock per l'ennesima volta, mentre scendevano dalla limousine per dirigersi verso la villa. Una festa con i principali esponenti del governo inglese, avevano detto, tra cui Mycroft, che aveva voluto invitare Sherlock – per una volta non sarebbe stato l'unico fantasma ad una festa – e i suoi genitori. Se non lo avesse conosciuto da 37 anni, probabilmente Sherlock avrebbe accusato il fratello di stare cercando di favorire la relazione tra lui e John.

“Può darsi, ma è una buona occasione per farmi conoscere i tuoi.”

“Li hai già conosciuti.”

“Si, ma non ero ancora il tuo fidanzato.”

Sherlock sbuffò, guardando l'uomo da capo a piedi. Non lo aveva mai visto in giacca e cravatta, vestito in nero e di tutto punto. Era straordinariamente attraente. Il che, almeno in parte, lo disturbava, avrebbe ricevuto attenzioni quella sera.

“Sherlock?”

“Mmm?”

“Ci sei?”

“Palazzo mentale.” borbottò distrattamente, mentre lo guidava su per la scalinata.

John annuì, sistemandosi nervosamente la giacca. Iniziavano a spargersi voci su loro due, corrette, a poco, e in modo ristretto. Solo Mycroft, Greg e Molly, e da quella sera, anche i genitori di Sherlock. Era agitato. “Dobbiamo fermarci anche per le foto fuori?” chiese.

“Se non vuoi, non ne vedo il motivo.” rispose il detective, oltrepassando velocemente i gruppi di persone che parlavano e i fotografi nell'enorme giardino della casa di Mycroft.

La serata si era svolta in modo tranquillo, Sherlock aveva presentato John ai suoi genitori, che gli avevano sorriso e si erano scusati, ancora una volta, del piccolo segreto che avevano dovuto mantenere. Come se il fatto che il loro figlio minore era vivo fosse un piccolo segreto, aveva in seguito commentato John. 

Le portate si erano succedute una dopo l'altra, e poi c'erano stati i balli, lenti ovviamente.

I due erano restati ai loro posti, uno di fianco all'altro, John non aveva intenzione di sbandierare ai quattro venti della sua relazione con Sherlock, non ancora. Il detective non aveva obbiettato. Aveva aspettato tre anni, poteva aspettare ancora un po'.

Poi era successo.

Stavano parlando del caso che avevano risolto la mattina stessa, il “gigante”, così John aveva voluto definirlo, del veleno. Un piccolo ometto inoffensivo che Lestrade aveva voluto, o meglio, cercato, togliere di torno.

“E ti ricordi quando ha cercato di drogare Greg? È stato...” la voce di John si spense, mentre una mano calda gli si poggiava sulla spalla. Lui si girò di scatto, trovandosi di fronte una donna sulla quarantina, alta con i capelli rossi e gli occhi di un marrone vivace. “Si?”

“Vuole ballare?”

Lo sguardo di John volò dalla donna a Sherlock, che aveva alzato le sopracciglia. “Emh, io...” iniziò il dottore.

“Andiamo, non credo che vorrà restare seduto tutta la sera a parlare con il suo amico.”

“Beh, ecco...” prima che John potesse proferire una sola altra parola, Sherlock lo tirò a sé, baciandolo. Non era un bacio casto, di quelli che si danno prima di dormire, era passionale, come se l'intero mondo dipendesse da quella singola azione. John, sorpreso, reagì a sua volta, approfondendo il bacio. Poi si staccò, le mani di Sherlock ancora sul suo viso, e sentì i tacchi della donna allontanarsi. Guardò il detective con sguardo interrogativo, e lui sorrise leggermente, “Mio.”