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Autore: L S Blackrose    24/06/2015    1 recensioni
[breve storia collegata a 'Burn in my frozen heart like a dancing flame']
Nuovo contesto, stessi protagonisti.
In questa nuova visione di Chicago le fazioni sono in pace. Nessuna guerra minaccia la stabilità del sistema, nessuna fazione vuole prevaricare.
Zelda ha diciannove anni. Ha scelto di rimanere tra gli Eruditi, di continuare a vivere assieme a suo padre e ai suoi amorevoli fratelli maggiori.
E' ambiziosa, determinata. Convinta che nulla riuscirà a distogliere la sua attenzione dall'obiettivo che si è prefissata.
Ma non ha fatto i conti con Eric, l'arrogante Capofazione degli Intrepidi...
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Dal testo (Eric POV)
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Conosco la fama della famiglia Blackburn: padre e figli, tutti dottori di successo. Non sapevo dell'esistenza di una figlia.
Lei mi volta le spalle per sciacquarsi le mani. Alza le maniche del camice e si insapona gli avambracci fino ai gomiti con scrupolosità. - Quello che ho detto prima è vero. Non avrei mai accettato di medicarti se non fossi stata assolutamente certa di esserne in grado. Adesso sei sotto la mia responsabilità -.
Mi scocca un'occhiata furba e afferra un paio di forbici.
Ok, lo ammetto, ora ho paura.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Zeric - Flame of ice'
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 Extra

- Brighter than the sun -



 


 

Oh, this is how it starts, lightning strikes the heart
It goes off like a gun, brighter than the sun
Oh, we could be the stars, falling from the sky
Shining how we want, brighter than the sun


(Colbie Caillat)

 

 

 

 

Eric

 

La folla di studenti che esce dall'università è decisamente monocromatica.

I miei occhi si perdono in quel mare blu e bianco, saettando da una persona all'altra, alla ricerca di una ragazza in particolare. Non appena la individuo, il mio corpo si tende automaticamente in avanti, come se non potesse resistere un secondo di più lontano da lei.
Con un sospiro che sa di sconfitta, incrocio le braccia e appoggio la schiena al muro che delimita il confine del parco, poco distante dai cancelli dell'ateneo.

Sono trascorsi quasi tre anni dal nostro primo incontro, eppure ogni volta che la vedo provo le stesse emozioni di quando l'ho osservata avanzare verso di me in quel corridoio d'ospedale.
Eccitazione, sorpresa, confusione.

È questo l'effetto che Zelda Blackburn ha su di me. La cosa ancora più strana è che la sua influenza aumenta di giorno in giorno, invece di diminuire. Ormai mi ritrovo a cercarla sempre più spesso, arrivo perfino a spostare i miei turni con quelli di James pur di rimanere con lei il più a lungo possibile.

Un ridicolo bamboccio innamorato, ecco cosa sono diventato.

Seguo con lo sguardo la chioma corvina che si sta facendo largo tra la marea di gente che sgomita per uscire dai cancelli.
Zelda indossa una gonna azzurra che le arriva appena sopra al ginocchio e una camicetta bianca aderente, abbottonata fino al collo. Tra le braccia stringe la giacca blu notte della divisa e alcuni volumi consunti, dall'aspetto pesante.

Rimango immobile a fissarla, mentre chiacchiera con un gruppetto di ragazze. Ride a qualche battuta, si passa una mano tra i capelli, tira una gomitata scherzosa ad una delle amiche.

È bellissima. Ed è mia, aggiungo mentalmente nel scorgere le occhiate insistenti che le lanciano i ragazzi nel passarle accanto. Alcuni tentano di attirare la sua attenzione scoccandole dei sorrisi provocanti, ma lei continua a discutere e gesticolare come se niente fosse. Non li degna di uno sguardo, non li calcola nemmeno.

Raddrizzo la schiena e rispondo con un sorriso di sfida agli sguardi stupiti e intimoriti degli studenti che mi vengono incontro: la maggior parte si sofferma più sulla pistola appesa alla mia cintura o sui miei abiti color della notte, che sul mio volto.
Di sicuro si stanno chiedendo cosa ci fa un Capofazione Intrepido nel quartiere degli Eruditi, di giorno e senza scorta. Il sorriso da predatore che si forma sulle mie labbra fa letteralmente scappare il gruppetto di universitari occhialuti che si era fermato a fissarmi a bocca aperta.

Ho in mente una bella sorpresa per la mia ragazza.

Tento di riprendere la mia solita aria composta e imperturbabile. Non ottengo il risultato sperato: il mio sorriso diventa sempre più ampio man mano che Zelda avanza verso di me. Sono talmente concentrato su di lei che mi accorgo con qualche secondo di ritardo che qualcuno mi sta rivolgendo la parola.

«Buongiorno, Eric» mi saluta Alicia, con un lieve cenno del capo.

Ha le braccia cariche di libri da cui spuntano foglietti e post-it colorati e una borsa a tracolla. Si scosta i capelli dalla faccia con uno sbuffo e mi sorride furbescamente. «Zelda non mi aveva detto che saresti venuto. Le stai facendo una sorpresa? Che carino».

Alzo gli occhi al cielo. Questa biondina tutto pepe, oltre ad essere la migliore amica della mia ragazza, è anche la persona più vivace e cocciuta che mi sia mai capitato di incontrare. Non si lascia intimidire facilmente, nemmeno da una delle mie occhiatacce che fanno indietreggiare anche il più agguerrito degli Intrepidi. Lei e Zelda si assomigliano, da questo punto di vista.

«Ti avverto, Alicia» le intimo, inchiodandola con uno sguardo truce. «Definiscimi un'altra volta 'carino' e io ti ...».

Lei mi interrompe a metà frase facendo un gesto con la mano, come se stesse scacciando una zanzara molesta. «Sì, sì, d'accordo. Niente smancerie, né paroline dolci. Ho afferrato il concetto». Si sporge verso di me, gli occhi che luccicano. «Allora, che mi dici del tuo amico? Gli hai parlato di me come ti avevo chiesto? Dimmi di sì!».

La mia espressione bellicosa non sortisce l'effetto sperato perché continua a tartassarmi di domande finché non cedo. Questo è uno dei momenti in cui capisco perché lei e Zelda vanno così d'accordo. Sono entrambe esasperanti all'ennesima potenza, ma è impossibile resistere al loro fascino.

Alicia saltella da un piede all'altro, guardandomi con gli occhi spalancati e imploranti. Scommetto che se non avesse le braccia occupate si sarebbe già aggrappata alle mie spalle per scuotermi. Non posso trattenere un ghigno divertito. «Te l'avevo promesso, no?» replico, in tono severo. «Tieni» Prendo dalla tasca un biglietto ripiegato in quattro e glielo porgo.

Lei quasi me lo strappa di mano. Sostiene i libri con un solo braccio e si porta il foglietto al petto come se fosse un tesoro di inestimabile valore. «Non so come ringraziarti» cinguetta, accennando una mezza piroetta. La guardo come se fosse un Pacifico intento a propormi di ballare il girotondo con una corona di fiori in testa. «Grazie, grazie, grazie! Sei il migliore! Se non fossi tu, probabilmente ti abbraccerei!».

Inarco un sopracciglio. «Tu provaci e io ti … ».

Anche questa minaccia cade a vuoto. Alicia mi blocca di nuovo prima che possa concluderla. «E' inutile che provi a spaventarmi, tanto non mi fai paura. E poi sono troppo felice! Grazie, Eric. Sapevo che sarebbe tornato utile avere un Intrepido come amico! Finalmente potrò chiedere a William di uscire!».

Sto per chiarire che noi due siamo ben lontani dall'essere amici, quando avverto un profumo familiare che mi fa perdere il filo del discorso. Non sento più la voce eccitata di Alicia, né il chiacchiericcio degli studenti che mi superano diretti verso il parco. I miei sensi si focalizzano interamente sulla ragazza immobile ad un metro da me.

«Eric?».

Zelda batte le palpebre e rimane a fissarmi come se avesse visto un fantasma. Le sue amiche non sono da meno: alcune sgranano gli occhi alla vista dei miei tatuaggi, mentre le altre si scambiano occhiate perplesse.

Non posso dar loro torto: non sono in molti a sapere che Zelda ed io ci frequentiamo, abbiamo fatto molta attenzione in questi anni. Di solito ci incontriamo al parco, o in camera sua. Sono diventato molto bravo ad arrampicarmi senza fare il minimo rumore.

Ora però è arrivato il momento di far sapere a tutti che stiamo insieme.
Sono stanco di nascondermi.

Perciò le vado incontro e le tolgo i libri di mano, come farebbe ogni bravo fidanzato. «Ciao, piccola» mormoro, sfiorandole la guancia con le labbra. «Com'è andato l'esame?».

Zelda pare a corto di parole, ma Alicia si affretta a correre in suo soccorso. «Ha preso il massimo, ovviamente» esclama, dandole di gomito. Poi richiama l'attenzione del gruppetto di Erudite che mi stanno ancora fissando basite. «Cosa sono quelle facce? Non avete mai visto un Intrepido? Avanti, lasciamo soli i due piccioncini».

Detto questo, ficca i libri nella tracolla e prende a braccetto le compagne, trascinandole in direzione della fermata dell'autobus. Alcune si voltano per lanciarci rapidi sguardi dubbiosi finché non spariscono dietro ad una fitta siepe.

Zelda mi si avvicina, esitante, come se si aspettasse di vedermi svanire nel nulla da un istante all'altro. «Io … non me l'aspettavo. Cosa ci fai qui?».

Mi acciglio leggermente. «Volevo solo farti una sorpresa. Ma forse non è stata una grande idea, vista la tua reazione».

Per tutta risposta, lei mi circonda la vita con le braccia. La sento sospirare, col viso appoggiato al mio petto. «Non dire assurdità. Sono felice di vederti». Strofina la guancia sulla mia maglia e fa un altro respiro profondo. «Lo sai che hai un profumo buonissimo?».

«E' inutile che provi a distrarmi. Sono ancora arrabbiato per la tua gelida accoglienza» borbotto, ma mi smentisco subito, visto che il mio tono offeso risulta falso anche alle mie stesse orecchie. Le passo il braccio libero dai libri attorno ai fianchi e lei ridacchia.

«Scusa, davvero. È che mi sembrava che avessimo stabilito di non farci vedere assieme in pubblico prima di aver … ». Si blocca e si stacca da me per incrociare i miei occhi. «Oh no», dice soltanto, e nella sua voce si avverte chiaramente una nota di panico.

«Oh sì» ribatto con un ghigno, godendomi la sua espressione frastornata. «Sono stato invitato a cena da tuo fratello in persona. Ed era evidente che non avrebbe accettato rifiuti».

Zelda mugugna qualcosa di molto simile ad un'imprecazione prima di nascondere il viso nell'incavo del mio braccio. «E sentiamo. Quale dei miei quattro adorati fratelli ha avuto questo spirito d'iniziativa?».

Il tono acido con cui pronuncia la parola 'adorati' mi fa scoppiare a ridere. Zelda può fingere di prendersela quanto vuole, ma sappiamo entrambi che non riesce a restare arrabbiata con i suoi fratelli per più di un minuto. La trattano come una principessa, sarebbero disposti a difenderla da chiunque e, cosa più importante, hanno tenuto la bocca chiusa sulle nostre scappatelle per tutto questo tempo senza pretendere nulla in cambio.

«Non pensavo che Damien fosse così coraggioso» ammetto, mentre, ancora abbracciati, iniziamo a camminare, diretti verso il bosco di tigli che si scorge all'orizzonte. «Si è presentato davanti alla Residenza ed è rimasto lì fermo a braccia incrociate finché Max non si è impietosito e l'ha fatto entrare».
Evito di specificare che l'abbiamo lasciato fuori per circa due ore, in piedi, sotto il cocente sole di luglio. Zelda non sopporta il modo d'agire degli Intrepidi e diventa una belva se solo qualcuno di noi osa torcere un capello a Damien, che è indubbiamente il suo fratello preferito. «Ha detto che è stufo di coprirci e che si aspetta che, dopo tre anni, mettiamo la testa a posto e facciamo le cose come si deve». Giro la testa di lato per guardarla. I raggi rossicci del tramonto le sfiorano i capelli e rendono i suoi occhi brillanti come cristalli d'ambra. «E a dirla tutta, anche mia madre vorrebbe conoscerti», concludo, facendo spallucce.

Zelda sussulta. «Le hai parlato di me?» chiede, esterrefatta.

Il mio sorriso colpevole la fa agitare ancora di più. «Sai che abbiamo riallacciato i rapporti da poco. Mia madre mi riempie di domande ogni volta che vado a trovarli. La settimana scorsa si è perfino messa in testa di presentarmi una ragazza! Non potevo continuare a mentire, quindi ho fatto il tuo nome». Sorrido, nel ricordare l'espressione raggiante di mia madre e quella stranamente compiaciuta di mio padre.

Zelda mi lancia un'occhiata penetrante. «Non ho nulla in contrario. Anzi, mi fa molto piacere che tu voglia presentarmi alla tua famiglia. Il problema è la mia, di famiglia» sbotta, a denti stretti. «Ho paura che ti facciano scappare a gambe levate».

Aumento la stretta attorno ai suoi fianchi. «Dimentichi chi sono. Io non scappo mai, di certo non davanti ad un gruppetto di innocui Eruditi».

«Innocui?!» strilla lei, la voce resa acuta dall'ansia. «Fidati, i miei famigliari sono tutt'altro che innocui. Oltre ad essere iperprotettivi, sono anche programmati per odiare qualunque maschio si azzardi a starmi troppo vicino». Rabbrividisce leggermente. «Ho portato solo un ragazzo a cena a casa mia e non è durato nemmeno fino al dolce. Non voglio che succeda anche con te».

Mi fermo in mezzo al sentiero di ghiaia che si inoltra nel bosco e lascio cadere i libri a terra, ignorando le proteste di Zelda.
Le afferro il mento, obbligandola a guardarmi negli occhi. «Senti, non importa quanto tentino di mettermi in imbarazzo o mi offendano. Non è per loro che lo faccio, ma per noi. Non possiamo continuare a vederci in segreto. Prima o poi dovremo affrontare il problema delle presentazioni ufficiali».

Zelda apre bocca, probabilmente per contraddirmi, ma non gliene lascio il tempo. Premo le labbra sulle sue e, come ogni volta, mi sorprendo di quanto questo semplice contatto riesca a farmi perdere il contatto col mondo che mi circonda.
Esiste solo Zelda, il suo corpo premuto contro il mio, i suoi capelli intrecciati tra le mie dita, i troppi strati di vestiti che mi impediscono di toccare la sua pelle morbida.

«Sei sleale» mormora lei quando separo la bocca dalla sua per posarla sul suo collo. Le bacio la pelle dietro l'orecchio, godendomi i suoi gemiti di piacere.
«Ormai dovresti aver capito che non gioco mai secondo le regole» ribatto, mentre con una mano sfilo i primi bottoni della sua camicetta. Scosto il colletto immacolato per baciarle l'incavo della gola.

Zelda mi asseconda, gettando la testa all'indietro. Ha gli occhi chiusi e il respiro accelerato. Sento le pulsazioni del suo cuore sotto la lingua. «Eric, stiamo dando spettacolo» mi ammonisce, anche se non accenna a mollare la presa sui miei fianchi.

Allargo la stoffa della camicia fino a scoprire un altro pezzo di pelle. «Tranquilla. Non c'è nessuno». Passo la lingua sulla sua clavicola e lei infila le mani sotto la mia maglia, accarezzandomi la schiena con i polpastrelli.

«A dire il vero, qualcuno c'è» tuona una voce per niente amichevole alle nostre spalle.

Nell'udirla, Zelda cerca di farsi piccola piccola tra le mie braccia.
Le passo le dita tra i capelli per rassicurarla e volto appena il capo per guardare in faccia colui che ha osato disturbarci.

Damien ci fissa con disapprovazione, gli occhi ridotti a fessura e le sopracciglia aggrottate. «Mi dispiace interrompere l'idillio, ma ci tengo a farvi presente che siamo in un luogo pubblico» dice, ostentando un tono saccente e ironico. «Per quello che avete in mente di fare, forse sarebbe meglio affittare una camera».

Zelda, rossa in volto, si stacca da me quanto basta per fulminare il fratello con un'occhiataccia. «Lo terremo presente, grazie» replica, facendogli concorrenza in quanto a sarcasmo.

Damien affonda le mani nelle tasche della giacca e mi squadra da capo a piedi. «Non avrai intenzione di presentarti a cena vestito così, vero?» domanda, accennando alla fondina della pistola e al mio gilet di pelle.

Zelda si china per raccogliere i libri che avevo lasciato cadere, per poi gettarli di malagrazia tra le braccia del fratello. «Eric sta benissimo così. Non cambierà certo per far piacere a te» dichiara in tono risoluto, fronteggiandolo con aria battagliera.

Damien non cede di un millimetro. «Rischiamo di far fare un infarto a nostro padre».

«Tu sei un cardiochirurgo, lo rimetterai in sesto in men che non si dica».

«Zelda, sii ragionevole…».

«Eric è il mio ragazzo. A me piace così com'è. Non gli chiederò mai di fingere di essere una persona diversa di fronte alla mia famiglia!».

Mi decido ad intervenire prima che la situazione precipiti. Poso una mano sulla schiena di Zelda per invitarla a calmarsi. «Non c'è problema, piccola» le soffio all'orecchio. Poi alzo la voce per farmi udire anche dall'altro Erudito. «Damien non ha tutti i torti. Voglio dare una buona impressione a vostro padre».

I due Blackburn si scambiano un'occhiata fiammeggiante, ma alla fine è Zelda ad uscirne sconfitta. «Va bene. Andiamo a casa, adesso. Damien ti presterà qualcosa da indossare» bofonchia, a denti stretti.
Mi prende a braccetto e camminiamo in silenzio fino al cancello della villa, seguiti a poca distanza da Damien.

E' la prima volta che entro nella proprietà dei Blackburn in maniera ufficiale. Di solito attendo il crepuscolo per infiltrarmi dal cancelletto sul retro e poi scalare il pergolato fino al balcone su cui si affaccia la camera di Zelda. Ormai so perfettamente quando andarla a trovare senza correre rischi, tra i quali quello di imbattermi in qualcuno dei suoi famigliari.

Damien ci precede e ci fa strada nell'atrio luminoso, dove i mobili di solido mogano si intonano perfettamente al colore dorato della tappezzeria e alle stampe color pergamena appese alle pareti.

Zelda mi guida in soggiorno e mi invita ad accomodarmi, mentre Damien torna dalla cucina con due vassoi, uno su ciascun braccio, su cui sono appoggiate alcune birre, delle lattine di succhi di frutta e stuzzichini vari. «Non conosco i tuoi gusti, quindi se preferisci qualcos'altro non farti problemi a chiedere». Mi piazza davanti un bicchiere e adagia i vassoi sul tavolino di vetro di fronte al divano su cui sono seduto.

Mi sento un po' a disagio. Non sono abituato a questi modi cortesi, tipici degli Eruditi. Mi pare strano non udire parolacce e insulti scherzosi inseriti qua e là nella conversazione. Ringrazio Damien con un cenno e afferro una delle birre.
Incredibilmente, Zelda mi imita. Suo fratello ed io le lanciamo la medesima occhiata sconvolta.

Lei ci ignora. Prima di appoggiare le labbra al collo della bottiglia, alza la birra verso di noi come se volesse invitarci a brindare. «Scusate, ma temo di aver bisogno di un po' di alcol per sopravvivere alle prossime ore» proclama, e, sotto lo sguardo incredulo di Damien, beve un lungo sorso di birra.

È la prima volta che la vedo bere qualcosa che non sia strettamente analcolico. Devo ammettere che trovo la cosa estremamente eccitante: in questo momento assomiglia più ad un'Intrepida che ad una di quelle Erudite occhialute che stazionano perennemente in biblioteca.
Non posso far altro che approvare questo gesto di ribellione.

Damien non sembra pensarla allo stesso modo, perché continua a scuotere la testa come se cercasse di dimenticare la scena a cui ha appena assistito. Prima di imboccare le scale che conducono al piano di sopra, mi punta un dito contro. «Stai avendo una pessima influenza su di lei» mi accusa, sorridendo suo malgrado.

Mi stringo nelle spalle, tenendo gli occhi fissi sulla mia ragazza, che ha finito di bere e si sta mordendo il labbro inferiore con aria pensierosa. Si siede sul bracciolo del divano e accavalla le gambe. «Sei ancora in tempo per dartela a gambe» sussurra con fare cospiratorio, dandomi un colpetto col gomito.

Protendo un braccio e la tiro verso di me, facendola accomodare sulle mie ginocchia. «Zelda, in che lingua devo dirtelo? Io voglio conoscere la tua famiglia».

«Allora sei più pazzo di quanto credessi» bofonchia lei, con la testa sulla mia spalla. «Mio padre ti sommergerà di domande indiscrete e i miei fratelli gli daranno man forte. Faranno di tutto per metterti a disagio».

«Non sono certo il tipo che si lascia intimidire» affermo, muovendo il palmo della mano su e giù lungo la sua schiena. So come farla rilassare, conosco a memoria il suo corpo e i suoi punti sensibili. Zelda si accoccola meglio contro di me, dalla gola le esce un mormorio d'apprezzamento. «E dubito che riescano a mettermi in imbarazzo. Se non c'è riuscito James in tutti questi anni, nessun altro può sperare di batterlo, o fare di meglio. O peggio, dipende dai punti di vista».

Lei ridacchia. «Devo ancora capire perché te la prendi sempre con James. A me sta simpatico. È divertente e mi fa sempre un sacco di complimenti».

«Ecco, questa è una delle cose che non sopporto di lui. Deve piantarla di provarci con la mia ragazza».

Zelda mi bacia una guancia. «Tanto è solo fatica sprecata. Tu sei mille volte più affascinante. E hai anche più muscoli».

Inarco ironicamente un sopracciglio. «Sono contento che tu mi voglia solo per il mio corpo. La mia attività cerebrale non rientra nella lista delle cose che ti piacciono di me?».

«Di quale attività cerebrale stai parlando?» domanda Zelda, con un'espressione esageratamente confusa e innocente.

Sorrido, mettendo bene in mostra i denti. «Questo non lo dovevi dire, piccola».

Con una rapida mossa, la getto di schiena sul divano e porto le mani ai lati del suo viso per sovrastarla col mio corpo senza pesarle addosso.
Lei ride. È la prima vera risata che riesco a strapparle da quando le ho esposto il programma della serata. Mi ritengo soddisfatto.

La bacio senza fretta, giocando con le sue labbra finché lei non mi circonda il collo con le braccia per approfondire il contatto. Mi passa le dita tra i capelli e allarga le ginocchia per invitarmi a stendermi completamente su di lei. Le sollevo la gonna sulle cosce e sto quasi per slacciare del tutto la camicetta, quando le mie orecchie captano un rumore che non ha niente a che fare con i nostri gemiti e con il fruscio dei nostri corpi che strusciano uno sull'altro.

Quello che ho sentito era il rumore di una porta che sbatteva …

«Mio Dio, che schifo».

… e questa è l'unica voce che speravo di non udire fino all'ora di cena.

Sollevo il viso dal collo di Zelda per affrontare il Blackburn che mi intimidisce più di tutti. Non il capofamiglia, bensì il maggiore dei figli.
Alfred.

Non so perché, ma in sua presenza mi sento sempre fragile e inadeguato. I suoi occhi sono la cosa che più mi inquieta: quelli di Zelda sono rassicuranti e dolci, mentre quelli di Alfred, della stessa identica sfumatura, riescono a trasmettere una sensazione di gelo nonostante il colore caldo dell'iride. Ed è sempre stato così, fin dalla prima volta che l'ho incontrato.

Tuttavia non intendo fargli capire quanto mi costi continuare a fissarlo dritto in faccia.
Rimaniamo immobili a scambiarci sguardi di sfida finché lui non fa un sorriso storto e porta le mani ai fianchi. «Mi avete fatto passare l'appetito» commenta, arricciando il naso. «Dove diamine si è cacciato Damien? Gli avevo detto di controllarvi, sapevo che sarebbe andata a finire così». Chiama il fratello a gran voce.

Dal piano di sopra proviene una risposta svogliata. «Non rompere, Al. Mi sto facendo la doccia».

Il sorriso di Alfred diventa malefico. «Vieni, presto! Lo stanno facendo sul divano!» strilla, con lo stesso tono orripilato di una ragazzina finita per sbaglio su una spiaggia frequentata esclusivamente da nudisti.

Zelda gli rifila un'occhiata stizzita e richiude in fretta i bottoni che ero riuscito a sfilare dalle asole. «Alfred, sei un idiota» sibila.

Da sopra le nostre teste giunge una fantasiosa sequela di imprecazioni. Due secondi dopo, Damien scende a perdifiato le rampe di scale e piomba in soggiorno come una furia, con solo i boxer addosso. I suoi occhi verdi saettano esasperati da me a Zelda. «Voi due!» ruggisce. «Vi voglio almeno ad un metro di distanza fino a stasera. Mi aspettavo più buonsenso da te, sorellina. Pensa se invece di Alfred fosse entrato nostro padre!».

Zelda si alza di scatto dal divano, i pugni stretti lungo i fianchi. «Non accetto la predica da uno che si presenta davanti ad un ospite in mutande!» esclama, facendo avvampare il fratello. Poi si rivolge ad Alfred, che se ne sta placidamente appoggiato al muro con un sorriso sornione sulle labbra. «E nemmeno da te, che non ti sei mai fatto problemi ad amoreggiare con qualche svampita in nostra presenza!».

Alfred alza le mani in segno di resa. «Calmiamoci tutti, okay?». Attende qualche istante prima di continuare. Forse si aspettava che protestassimo, ma sia io che gli altri Blackburn rimaniamo in silenzio. «Bene. Allora, mancano due ore alla fatidica cena» ci fa presente, mentre la sua espressione viene attraversata da un lampo di puro divertimento. «Ora, sappiamo tutti che l'unico su cui devi far colpo è nostro padre» dichiara, guardandomi fisso. «Zelda ti adora già, Damien ti sopporta ed io … beh, diciamo che ti tollero».

«Detto da lui è una grande dimostrazione d'affetto» si affretta a specificare Zelda, che ha perso l'aria aggressiva e osserva il fratello con gratitudine.

Alfred si stringe nelle spalle. «Poteva andarci peggio. Almeno non è uno di quegli idioti che si divertono a scatenare risse nei bar, o un Pacifico che passa l'intera giornata a ballare nei campi».

«Non esagerare con i complimenti, o mi farai arrossire» commento a mezza voce, mentre mi alzo a mia volta dal divano per fronteggiare i due fratelli, di parecchi centimetri più bassi di me.

Damien si schiarisce la voce. «Jarod e Clark non ti conoscono, ma loro non sono un problema. E' sufficiente un'occhiata di Zelda per metterli in riga». Rivolge un sorrisetto alla sorella che ammicca in risposta. «Per quanto riguarda nostro padre, non c'è molto da dire. Lo avrai visto girare per l'ospedale, no? Quindi sai che è il classico Erudito che non vede di buon occhio i trasfazione».

Zelda fa per dire qualcosa, ma lo sguardo severo di Damien la fa desistere. «Lo sai che è vero. Eric ha lasciato la nostra fazione: anche se ora è un leader, agli occhi di nostro padre rimane comunque un trasfazione. Te lo dico per aiutarti a prepararti, insisterà parecchio su questo punto».

Incrocio le braccia e alzo il mento in segno di sfida. «Saprò cavarmela».

Alfred approva con un cenno del capo. «Questo è l'atteggiamento giusto. Adesso dividiamoci i compiti» annuncia, sfregandosi le mani come se stesse esponendo un piano d'assalto. «Mentre io preparo la cena, voi pensate a rendervi presentabili». Indugia con gli occhi sulle gambe nude di Damien, sulla gonna stropicciata di Zelda e sui miei stivali borchiati. «Damien ti troverà qualcosa da indossare. Clark è il più robusto di noi, dovreste avere più o meno la stessa taglia». Ci fa segno di sbrigarci prima di sparire in cucina.

Mentre saliamo la scalinata che porta alle camere da letto, mi avvicino a Zelda per bisbigliarle all'orecchio: «Credi sia saggio fidarsi della cucina di Alfred?».

Lei sorride. «Ma certo. Il risotto al cianuro è il suo piatto forte. Per non parlare della zuppa al vetriolo». Quando nota la mia espressione atterrita, il suo sorriso si allarga. «Tranquillo, l'importante è che non vai a raccontare in giro che adora stare ai fornelli. In quel caso sì che dovresti temere un tentativo di avvelenamento. Alfred è estremamente vendicativo».

«Lo terrò a mente» mormoro, non del tutto rassicurato dalle sue parole.

Damien mi tiene aperta la porta del bagno. «Vado ad ispezionare l'armadio di Clark. Ti conviene approfittare dell'assenza dei miei fratelli per farti una doccia».

Mi viene spontaneo provocarlo. «Solo se Zelda la fa con me» dico, abbracciando la diretta interessata e scoccandole un languido bacio, a cui lei risponde senza farsi pregare.

Damien alza gli occhi al cielo. «Mi spiace deluderti, ma Zelda ha il privilegio di avere un bagno tutto per sé». Vedendo che non accenniamo a staccarci, ci divide a forza e spedisce la sorella nella sua stanza. «Tenete a cuccia gli ormoni, altrimenti mi vedrò costretto a chiudervi a chiave in due camere separate».

Zelda mi manda un bacio prima di barricarsi nella propria stanza. Damien aspetta di vedermi entrare nel bagno, per poi imboccare una scala in fondo al corridoio che di sicuro conduce in soffitta.

Mi faccio una doccia rapida e, dopo aver raccolto i miei vestiti, esco dal bagno con un asciugamano avvolto attorno ai fianchi. Sono tentato di fare irruzione nella camera di Zelda, tanto per indispettire Damien, ma l'Erudito in questione mi sta già piantonando appoggiato allo stipite della porta posta accanto a quella della sorella.
Nel tempo che ho impiegato a lavarmi, lui si è vestito di tutto punto: ha perfino i gemelli in bella mostra sui polsini della camicia e i capelli ordinati, pettinati all'indietro.

Probabilmente intuisce le mie vere intenzioni, perché scuote la testa con aria ironica. «Niente da fare. Scordati di Zelda per la prossima mezz'ora». Mi precede in quella che presumo sia la sua stanza e mi indica i vestiti appesi sulla poltrona vicina al letto. «Forse ti staranno un po' stretti. Provali. Io vado a cercare una cravatta decente in camera di Jarod» bofonchia tra sé, prima di sparire di nuovo in corridoio.

Butto l'asciugamano sul letto e infilo in fretta un paio di boxer neri. Almeno qualcosa del mio colore preferito. Osservo con cipiglio assassino la camicia bianca e il completo blu scuro a poca distanza da me. Con un sospiro rassegnato, mi accingo ad indossare i pantaloni con la riga laterale.

Cosa non si fa per amore.

Non avrei mai pensato di arrivare a formulare un pensiero del genere, ma è la pura verità. C'è un motivo se ho accettato di obbedire ad una schiera di spilungoni dai capelli neri e non ho ancora tentato di appenderli al lampadario a testa in giù.

Frugo nella tasca dei miei pantaloni da Intrepido ed estraggo un sacchetto di velluto scuro, chiuso all'estremità da un fiocco di raso bianco. Me l'ha dato mia madre l'ultima volta che l'ho vista. Avevo buttato quasi per caso qualche accenno a Zelda e alla sua intenzione di cambiare fazione per restare con me, ma mia madre ha reagito come se le avessi detto che stavo per diventare padre. Mi ha consegnato questo sacchetto con gli occhi lucidi e le mani che le tremavano per l'emozione. Fai le cose come si deve, mi ha sussurrato.

Ed è per seguire il suo consiglio che sono qui questa sera.

Sto mettendo da parte l'orgoglio che contraddistingue tutti i Capifazione degli Intrepidi in favore di un comportamento più da Erudito. Ho vissuto per sedici anni nella fazione di Zelda, quindi so quello che faccio. Conosco il loro modo di fare, cosa si aspettano da un membro effettivo, le regole non scritte da rispettare.
Non mi è concesso sbagliare, un errore potrebbe costarmi caro. E se Fergus Blackburn non dovesse ritenermi degno della figlia minore, farò tutto quello che posso per fargli cambiare idea. Userò ogni mezzo per dimostrare che tengo davvero a lei, che non riesco nemmeno a contemplare ad un futuro senza Zelda.

Metto in tasca il sacchetto e mi allaccio la cintura. I pantaloni sono piuttosto stretti, ma non mi lamento.
Sto finendo di abbottonare la camicia, quando qualcuno spalanca una porticina nascosta dietro la libreria. Non so se essere più stupito per l'esistenza di quel passaggio segreto, o per la visione che ne emerge.

Zelda mi fissa ad occhi sbarrati, coperta solo da un asciugamano che le arriva poco più su del ginocchio. Mi squadra da capo a piedi con attenzione, poi scocca un'occhiata timorosa alla porta principale. «Dov'è Damien?» chiede, superandomi per sbirciare dal buco della serratura.

«Ha detto qualcosa a proposito di una cravatta» replico, senza smettere di guardarla con desiderio. I suoi capelli sciolti creano un forte contrasto con il candore dell'asciugamano e la pelle umida delle braccia e delle spalle è una tentazione troppo forte, mi è fisicamente impossibile resistervi.

Zelda sorride con aria compiaciuta. «Perfetto, vuol dire che sta rovistando nell'armadio di Jarod. E ci impiegherà molto tempo, visto che è il più disordinato della famiglia». Si gira verso di me e nei suoi occhi scorgo la stessa passione che brucia nei miei. Prima di venirmi incontro, si premura di chiudere la porta a chiave. «Non l'avrei mai detto, ma sei davvero sexy vestito da Erudito. Soprattutto con una camicia aderente come questa».

«Se ti piace così tanto, me ne farò regalare una da Damien» mormoro, mentre indietreggio verso il letto. «Sai, comincia a starmi simpatico».

Zelda si siede accanto a me sul materasso e mi accarezza il viso, indugiando sui piercing al labbro e al sopracciglio e sulla linea dei tatuaggi che mi adornano il collo. «Voglio che tu sappia una cosa» esordisce, dopo avermi dato un bacio a fior di labbra. Ha lo sguardo talmente serio che per un attimo temo che stia per darmi una cattiva notizia. «Puoi travestirti da Erudito, da Pacifico o da Intrepido finché vuoi, ma ai miei occhi rimarrai sempre Eric. Eric e basta. E chi se ne importa a quale fazione appartieni».

Se non l'amassi già disperatamente, sarei caduto ai suoi piedi dopo questa frase.
Ho sempre desiderato trovare qualcuno che mi accettasse per quello che sono, non per il mio ruolo all'interno della fazione. Le ragazze che frequentavo prima di imbattermi in Zelda erano più interessate al mio lavoro che a me personalmente: era il potere, l'aura di mistero e di pericolo che circonda tutti i leader ad attirarle.

Zelda, invece, ha messo in chiaro fin da subito quel che pensava di noi Intrepidi: per lei eravamo un manipolo di incoscienti, con più tatuaggi che cervello. Non è stato semplice conquistarla, mi ha quasi portato sull'orlo della disperazione, ma alla fine, insistendo, sono riuscito a farla capitolare. C'è voluto un po', ma ne valeva la pena.

Mi sarei pure fatto sparare di nuovo, se fosse servito allo scopo.

Stando attento a non sgualcire gli abiti avuti in prestito, l'abbraccio stretta e le scocco baci ovunque, su ogni centimetro di pelle su cui riesco ad arrivare. Lei mi apre la camicia e fa scorrere le mani dalle mie spalle fino agli addominali. Mi sfugge un ansito abbastanza rumoroso, che Zelda mette a tacere con un bacio più lungo degli altri.

«Non possiamo fare granché ora» sussurra, con le labbra premute contro il mio orecchio. «Ma ci rifaremo dopo cena. La mia finestra è sempre aperta per te». La sua voce seducente mi provoca un brivido. Riprendo a baciarle il collo, ma vengo interrotto quasi subito.

Qualcuno sta colpendo ripetutamente il legno massiccio della porta.
Qualcuno di nome Damien.
Qualcuno che imparerà presto cosa comporta ostacolare i miei desideri.

Zelda sguscia via dal mio abbraccio e, premendo un'ultima volta le labbra sulle mie, mi lascia di nuovo solo nella stanza.
Prendo un profondo respiro e mi ricompongo prima di aprire la porta. Mi ritrovo di fronte un Erudito piuttosto arrabbiato. Damien entra a grandi passi in camera e si guarda attorno con gli occhi stretti, come se fosse un investigatore sulla scena del crimine. «Come mai hai chiuso a chiave?» domanda, con cipiglio sospettoso.

Mi stringo nelle spalle. «Questione di privacy. Sono un tipo timido». Faccio fatica a rimanere serio mentre lo dico, perché nulla suona più falso di un aggettivo come 'timido' associato a me.

Infatti Damien non perde l'aria scettica, ma decide di passare oltre. «Ho trovato questa. Si intona al colore del completo. E anche a quello dei tuoi occhi». Mi lancia una cravatta grigio piombo, mentre un sorriso divertito fa capolino sul suo volto. «A Zelda piacerà».

 

*

 

Mi sento … ingessato.

Questi vestiti sono così stretti che mi sembra di soffocare. Mi allento il nodo della cravatta e osservo attentamente il mio riflesso allo specchio. I tatuaggi quasi non si notano, nascosti parzialmente dal colletto della camicia. La giacca blu notte mi tira sulle spalle, devo ricordarmi di muovere le braccia il meno possibile.

Dopo aver dato un ultimo colpo di pettine ai miei capelli, esco titubante dalla stanza. Damien e Alfred mi attendono in corridoio ed esaminano con aria critica il mio aspetto. Il sorriso che si scambiano mi comunica che ho superato la prova. Non so se esserne felice. Per quanto mi riguarda, preferivo la mia giacca di pelle.

Alfred si allontana nel corridoio senza proferire parola e Damien fa un cenno col capo verso la camera di Zelda. «Va da lei. E' già vestita» mi avverte, e percepisco la velata minaccia racchiusa tra quelle parole. Guai a te se vedo anche solo un bottone fuori posto.

Gli sorrido in maniera arrogante e spalanco la porta della camera di Zelda senza bussare. La voce maligna di Damien mi raggiunge prima che l'uscio si chiuda del tutto: «Nostro padre sarà qui a momenti …».

Zelda è seduta davanti allo specchio della toeletta. Mi dedica un breve sorriso prima di tornare a truccarsi.
Prendo posto sul letto e rimango ad osservarla in silenzio. Il vestito che indossa è quasi dello stesso colore del mio completo, di un blu tendente al viola. É senza spalline, con una scollatura abbastanza profonda che non riesco a fissare senza deglutire rumorosamente. Mi schiarisco la voce e allento ancora un po' la cravatta: mi sento improvvisamente accaldato.

«Come mai così elegante?» domando, tanto per distogliere l'attenzione dalle sue curve invitanti. «Credevo di essere io a dovermi mettere in tiro, non tu».

Zelda sistema alcune forcine tra i capelli, acconciati in una spessa treccia che le ricade su una spalla, e poi mi rivolge un sorriso scaltro. «Oh, ho solo pensato che ti servisse qualche distrazione durante la cena».

Sgrano gli occhi e resto a fissarla quasi a bocca aperta mentre si alza e infila un paio di scarpe col tacco a spillo. Fa una giravolta per farsi ammirare da ogni angolazione. Non indossa gioielli, ad eccezione di due piccoli cerchi d'argento alle orecchie, e non ha esagerato col trucco: solo un tocco di colore sugli zigomi e una linea nera attorno agli occhi. E l'immancabile burrocacao alla fragola, il suo preferito.

So che sta aspettando un qualche commento da parte mia, ma ho la gola secca. Più la guardo, più mi sembra di soffocare sotto i vari strati di vestiti.

Il sorriso di Zelda è diventato un ghigno. Si avvicina a me e mi prende le mani, posandole delicatamente sui suoi fianchi. La sua voce diventa un sussurro. «Così ogni volta che mi guarderai, ricorderai esattamente il motivo per cui ti stai sottoponendo a questa lenta tortura».

«Un incentivo, insomma» riesco ad articolare, in tono roco. Abbasso per un istante gli occhi sulla scollatura e sulle gambe lasciate scoperte dalla stoffa aderente del vestito. «Non avrei potuto chiedere di meglio. Con te vicino, perfino la cucina di Alfred mi sembrerà commestibile».

Zelda scoppia a ridere. «Proprio non ti fidi di lui, eh?».

Le sistemo un ciuffo di capelli dietro le orecchie. «E' più forte di me. Alfred mi sta antipatico a pelle. Invece Damien non è così male. Mi diverto a farlo arrabbiare».

«Sono entrambi dalla nostra parte. Mi sono confidata con loro proprio perché so che sono i più affidabili della famiglia. Credimi, faranno il possibile per sostenere la nostra causa». Lo sguardo di Zelda riesce a calmare i miei nervi tesi meglio di un lungo massaggio. Mi bacia teneramente la fronte e mi invita ad alzarmi. «Avanti, si entra in scena».

La seguo giù per le scale, entusiasta come un condannato a morte che sta per essere condotto alla forca.

Andiamo, Eric. Devi dare il massimo. Il tuo futuro dipende da questa fottuta cena.

Raddrizzo le spalle e tento di darmi un contegno prima di entrare in soggiorno ...

… nel quale mi attendono cinque Blackburn schierati in fila come un plotone di esecuzione.
La sensazione di soffocamento si fa più pronunciata: mi pare di avere un cappio avvolto attorno al collo.

Forse avrei fatto meglio a presentarmi armato.










 

* * *






 

 

«Dai, non è andata così male».

Scocco un'occhiata scettica alla mia ragazza. «Se lo dici tu … ».

Stiamo camminando fianco a fianco in direzione dell'ospedale, dove Zelda deve recarsi per il tirocinio pomeridiano. Rivolgo un'occhiata torva all'edificio verniciato di azzurro e respiro profondamente, preparandomi psicologicamente a quello che sto per fare.

Zelda non ha tutti i torti: la cena non è andata poi così male.
Ma poteva sicuramente andare meglio.

I commenti pungenti dei fratelli Blackburn mi ronzano ancora nelle orecchie.
Dopo aver fatto la conoscenza di Clark e Jarod, ho iniziato a rivalutare Alfred.

Zelda mi pizzica un fianco. «Oh, andiamo. Non sarai ancora arrabbiato per quella battuta sui tuoi tatuaggi, vero?». Scuote la testa. «Te l'avevo detto che Jarod è particolare. Ha fatto del sarcasmo la sua ragione di vita. Non sai quante frecciatine mi sono dovuta sorbire quando tu ti divertivi a trasformare il mio reparto in una serra».

Basta quell'allusione a far addolcire la mia espressione tetra. «Allora anche Jarod ha i suoi lati positivi. Non sai quanto mi ha ferito vederti gettare i miei regali nella spazzatura», confesso, portando teatralmente una mano al cuore. «Ma se lo sento di nuovo paragonare i miei tatuaggi ad un codice a barre, gli dimostrerò che la mia bravura nel lancio dei coltelli non è solo una leggenda».

Zelda scoppia a ridere. «Se te lo dico, non mi credi».

«Cosa?».

«Jarod mi ha fatto promettere di non farne parola con nessuno». Si guarda attorno, come se temesse di veder spuntare il fratello da una siepe da un momento all'altro. «Ha sempre desiderato un tatuaggio. Gli piace molto disegnare, non fa che riempire il suo album di schizzi a carboncino».

Mi massaggio la mascella, pensieroso. «Se lo aiutassi a realizzare questo suo sogno, credi la pianterebbe di guardarmi con quell'aria di sufficienza che mi fa venire voglia di prenderlo a pugni?».

Zelda conferma con un cenno. «Diventeresti il suo idolo».

«Allora consideralo già fatto».

A quella risposta, lei mi lancia uno strano sguardo. «Tu stai tramando qualcosa» mi accusa, sventolandomi un dito davanti al naso. «In questo periodo sei troppo calmo, troppo gentile. Devo preoccuparmi?».

«Mi sto solo comportando da gentiluomo» mi difendo, sapendo benissimo quanto quella parola stoni con il mio aspetto da soldato, con tanto di pistola alla cintura e coltello infilato nello stivale. Faccio finta di non notare l'occhiata ironica di Zelda. «Però hai ragione. La cena non è andata malissimo, ad un certo punto mi sono perfino divertito. Per esempio quando sei corsa in mia difesa, dicendo ai tuoi fratelli che è una fortuna che io abbia cambiato fazione, altrimenti nessuna ragazza li avrebbe mai degnati di uno sguardo».

Lei si ferma a poca distanza dall'entrata dell'ospedale e si solleva in punta di piedi per avvolgermi le braccia attorno al collo. «Beh, non stavo scherzando. Eri veramente uno schianto con quella camicia addosso».

«Pensavo di esserlo senza».

Zelda ridacchia. «Soprattutto senza. Ma quel completo da Erudito ti donava. Mi sono dovuta trattenere parecchio per non saltarti addosso nel bel mezzo della cena».

Storco le labbra in una smorfia. «Lo stesso vale per me. Quel tuo vestitino era di gran lunga più allettante della crostata alle fragole. E tu sai quanto adori quel dolce».

«Certo. L'avevo preparato appositamente per te».

Struscia il naso contro la mia guancia, i suoi capelli mi solleticano il collo. D'un tratto, la sento irrigidirsi.
Prima che possa chiederle il motivo, lei solleva il viso per incrociare i miei occhi. «So che hai detto di voler recitare la parte del gentiluomo, ma ti dispiacerebbe tirare fuori il cattivo ragazzo che c'è in te solo per qualche minuto? Sta arrivando Oliver Owens, un idiota che ha tentato di baciarmi la settimana scorsa».

Che cosa?! Ma io lo uccido.

Zelda mi impedisce di voltarmi per vedere di chi si tratti.

In ogni caso, è un Erudito morto.

Le stringo le braccia attorno alla vita, sollevandola da terra per portare i nostri volti alla stessa altezza e la bacio con passione, senza trattenermi. D'abitudine evito di dare spettacolo in pubblico, specialmente se si tratta di questo tipo di effusioni, ma per scoraggiare certi imbecilli non mi faccio scrupoli. Zelda è la mia donna. Non esiste che qualcuno si azzardi a toccarla senza il suo permesso.

Il nostro bacio mozzafiato dura parecchio. Quando ci stacchiamo ansimiamo entrambi ed è solo dopo averla rimessa a terra che mi accorgo che attorno a noi c'è un silenzio innaturale. Gli studenti, i pazienti e anche qualche dottore ci stanno fissando con gli occhi fuori dalle orbite.
Sto per dire a quel pubblico inaspettato di pensare agli affari propri, ma vengo anticipato da una voce familiare.

«Che avete tutti da starvene impalati come baccalà?» esclama allegramente Alicia. «Mai visto due che si baciano?».

Agita una mano per salutarci. Indossa già il camice e ha i capelli stretti in una crocchia sulla nuca. La folla si disperde lentamente, rimaniamo solo noi tre davanti alla rampa che conduce nell'ingresso della struttura. «Wow, che bacio, ragazzi» commenta, facendosi aria con una mano. «Avete alzato la temperatura di almeno trenta gradi».

Zelda nasconde le guance in fiamme dietro ai folti capelli neri. «Ora sarà meglio che vada. Ci vediamo dopo». Mi saluta con un casto bacio sulla guancia, prima di sparire al di là delle porte scorrevoli. Alicia mi fa l'occhiolino e la segue a ruota.

Resto immobile a fissare il mio riflesso.

Sii coraggioso, Eric, mi ripeto per almeno tre volte, finché non mi decido ad entrare a mia volta nell'ospedale.

 

*

 

La voce del dottor Blackburn giunge attraverso la spessa porta di legno dello studio. «Avanti».

Entro con circospezione. Lui non pare stupito di vedermi, anzi accenna un lieve sorriso.

I suoi occhi, così simili a quelli di Zelda, mi disorientano per un attimo. Dovrei esserci abituato, visto che tutti i Blackburn, tranne Damien, hanno ereditato quel tratto somatico dal capofamiglia. Eppure ogni volta che incrocio quelle iridi color dell'ambra provo un tuffo al cuore.

Il dottore appoggia i gomiti sulla scrivania e unisce i polpastrelli davanti al viso. «Non mi aspettavo una tua visita, giovanotto. Cosa ti porta qui?».

Credo sia l'unica persona capace di apostrofarmi con il termine 'giovanotto' senza farlo suonare come una presa in giro. Fergus Blackburn non perde mai la calma, né la postura autorevole che lo contraddistingue. Ha un autocontrollo formidabile e un modo di fissare la gente che incute soggezione.

Zelda è la sua degna erede.

Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse. «Come avrà di certo capito, non sono il tipo che indugia e gira attorno alle questioni importanti. Andrò dritto al punto, anche se credo che lei abbia intuito il motivo che mi ha spinto a venire qui oggi».
Lo vedo accennare un assenso, per cui proseguo col discorso che mi sono preparato. «Sono qui per comunicarle che sposerò sua figlia».

Di certo non si può dire che tu non sia schietto, Eric.

Il sarcasmo della mia voce interiore è pienamente giustificato. Forse avrei dovuto andarci più piano.
A giudicare dallo sguardo che mi riserva il dottore, lo pensa anche lui.

Tuttavia la sua espressione non vacilla. Mi fissa per almeno un minuto prima di tornare a parlare. «Quindi, cosa mi stai chiedendo? Di darti il mio permesso?».

La sua mancanza di ostilità mi lascia perplesso. Credevo che, dopo un'ammissione del genere, avrebbe perlomeno tentato di infilzarmi col tagliacarte. «Sono uno dei leader Intrepidi. Noi non chiediamo il permesso». Accenno un ghigno, ma torno serio in fretta. «Vorrei solo che non mi … ostacolasse».

Lui apre bocca, ma lo zittisco con un cenno della mano. «So cosa sta per dire» sbotto, guardandolo con la mia migliore espressione risoluta. «Se avesse potuto scegliere, scommetto che avrebbe voluto un Erudito accanto a sua figlia. Mi ha fatto capire perfettamente che non stima molto i trasfazione, ma vorrei che provasse a mettersi nei miei panni». Respiro a fondo e mi alzo in piedi. Ragiono meglio quando mi muovo. «Io amo Zelda. Credo di essermi innamorato di lei a prima vista. Non avevo mai incontrato qualcuno che riuscisse a tenermi testa come fa lei: ha fatto di tutto per respingermi, per tenermi lontano, per farmi credere che quello che provavamo era destinato a spegnersi in breve tempo. Invece è accaduto l'opposto. Ho resistito solo un mese senza vederla, poi mi sono fatto in quattro per avvicinarla. Le assicuro che non è stato affatto facile conquistare la sua fiducia». Faccio una breve pausa per mettere ordine tra le idee. «Prima di Zelda, non avrei mai accettato di correre dietro ad una donna. Né di fare un discorso del genere davanti a qualcuno. Se arrivo ad umiliare il mio orgoglio in questo modo, è solo perché sono pazzo di sua figlia e desidero farlo capire anche a lei, dottor Blackburn».

Lui non batte ciglio. Stringe appena le palpebre dietro le lenti degli occhiali. «Apprezzo la tua sincerità. Una qualità rara tra gli Intrepidi. Non mi stupisco che ti abbiamo promosso a Capofazione nonostante la tua giovane età». Il suo sguardo si distende. «Ora, perché non ti siedi? Ho anch'io qualcosa da dire e gradirei che mi ascoltassi. Possibilmente senza consumare il tappeto».

Mi accomodo sulla poltrona con la schiena rigida e le spalle contratte.
Il dottore ride sotto i baffi, come se trovasse la mia agitazione estremamente comica. «Ho sentito spesso parlare di te, Eric Coulter. E mentirei se dicessi che sei esattamente il ragazzo che vorrei per Zelda. Oltre ad essere un Intrepido, trasfazione per di più, sei anche irascibile, dispotico, sprezzante e perfino brutale con i tuoi subordinati».

Mi sta facendo a pezzi. Mi sento più piccolo ad ogni aggettivo che gli esce di bocca.

Eppure, invece di spedirmi fuori a calci come mi aspettavo, sorride tranquillamente. «Ma vedo come guardi mia figlia» ammette, in tono più leggero. Corrugo la fronte, non sapendo come interpretare quel commento.

Fergus Blackburn distoglie lo sguardo da me per posarlo su una fotografia appesa alla parete. «Nella mia vita ho amato una sola donna più di Zelda. Eleanor, mia moglie. Sono sicuro che mia figlia te ne avrà parlato».

Annuisco, osservando rapito la coppia sorridente nella fotografia. Eleanor è la copia esatta di Zelda, tranne per il colore degli occhi.

«Mia figlia ha preso la bellezza da sua madre, ma il carattere l'ha ereditato da me», dichiara, con aria compiaciuta. «Siamo persone riservate, non esterniamo molto i nostri sentimenti, evitiamo di esagerare con le dimostrazioni d'affetto. Ma il nostro amore dura per sempre». Fa un sospiro secco. «Ho tenuto d'occhio Zelda sin da quando il primo mazzo di fiori è arrivato all'ospedale. Girava voce si trattasse di un ammiratore, ma bastava guardarla in faccia per capire che era molto di più. Anno dopo anno, diventava sempre più radiosa. Non l'ho mai vista sorridere tanto come in questi ultimi tempi. All'inizio stentavo a credere che fosse merito tuo, ma poi mi sono dovuto rassegnare all'evidenza».

Impiego pochi secondi a fare due più due. «Lei sapeva di noi già prima dell'altra sera» esclamo, quasi in tono d'accusa.

Ed io che mi sono abbigliato in quel modo stupido solo per evitargli un infarto!

«Giovanotto» mi ammonisce il dottore, con un lampo scherzoso negli occhi. «Sarò anche vecchio, ma ti assicuro che non sono cieco. Né tanto meno stupido».

Blackburn batte Coulter 2 a 0.

Abbasso gli occhi sulle mie mani. «Quindi lei approva?».

Lui fa un gesto vago. «La felicità e il benessere di mia figlia sono più importanti di quello che penso io. Tu saprai proteggerla molto meglio di uno qualunque degli Eruditi».

Intuisco che allude alla mia posizione ai vertici della fazione. Perciò dà per scontato che Zelda accetti di seguirmi tra gli Intrepidi.
Quel pensiero mi spiazza.

Torno ad incrociare lo sguardo del dottore. Non so cosa veda nei miei occhi, ma perde all'improvviso l'atteggiamento distaccato e inarca un sopracciglio.

«Mi creda, dottor Blackburn. Se esistesse un'altra possibilità, non chiederei mai a Zelda di scegliere tra la sua famiglia e me. Aspetterò che concluda gli studi per chiederle di sposarmi: diventare pediatra è il suo sogno, non ho intenzione di interferire. Nel frattempo magari si stancherà di me e troverà qualcuno che la meriti davvero».

Il solo pensiero di lei con un altro equivale ad un pugnale rovente conficcato nel cuore, ma saprei disposto a farmi da parte se questo volesse dire vederla veramente felice. Certo, dopo aver provato con ogni mezzo, lecito o meno, a convincerla a tornare da me.

Il dottore sembra più scioccato ora di quando gli ho brutalmente comunicato che sua figlia diventerà mia moglie, con o senza il consenso dei suoi famigliari.
«L'ami sul serio» mormora, e ho l'impressione che i suoi occhi si siano fatti lucidi.

Prego che sia solo il riflesso delle lenti: potrà anche essere il mio futuro suocero, ma non ho certo intenzione di offrirgli una spalla su cui piangere.

Mi sono già giocato la reputazione l'altra sera a casa Blackburn. Meglio limitare i danni.

«Voglio che tu mi prometta una cosa, Eric».

Rialzo di scatto lo sguardo. È la prima volta che il dottore mi chiama per nome.

«Devi giurarmi che non mi impedirai di vedere mia figlia. Né che escluderai i suoi fratelli dalla vostra vita. Se accetterai, avrai la mia benedizione». Allunga una mano verso di me, il palmo rivolto all'insù.

Non esito nemmeno per un istante. Gliela stringo senza perdere il contatto visivo. «Ha la mia parola».









 

 

- - - - - - - - - - - - - -

Ciao a tutti! Come anticipato, ecco il primo dei capitoli extra (il prossimo e ultimo lo posterò il mese prossimo, tempo permettendo).

É un po' lungo, spero non vi siate annoiati.
Che ne pensate di Eric in versione 'fidanzato perfetto'?
Mi sa che è inutile che si sforzi, tanto sembrerebbe aggressivo anche travestito da Pacifico xD

Però è diventato più maturo, che ne dite? Meno irascibile e più riflessivo, un pò come Max ;)

Qui vediamo anche Alicia, un personaggio che mi è dispiaciuto abbandonare nella storia principale (magari salterà fuori in corso d'opera, mai detta l'ultima parola!).

Aspetto i vostri commenti e ringrazio tutti quelli che hanno messo le mie storie tra le preferite/seguite/ricordate: un bacio grande!
Grazie per il vostro sostegno!

A presto,

Lizz

 

p.s. vi lascio come al solito il link della mia pagina Facebook, utile mezzo per comunicare con voi e tenervi informati sugli aggiornamenti → https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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