Quando ho accettato la missione credevo che tutto sarebbe terminato in fretta, nel migliore del modi.
Mi sbagliavo.
Siamo qui, adesso, in mezzo al nulla, circondanti dalla morte e dal dolore, ed io vedo i miei ragazzi cadere come bambole di pezza sotto i colpi irrefrenabili dei nemici.
Mi guardano, un attimo prima di spirare, e noto nei loro occhi biasimo nei miei confronti.
Mi odiano, forse.
Li capisco, in un certo qual modo, perché anche io detesto me stesso.
Dovevo oppormi strenuamente a questa richiesta impossibile, dovevo rifiutare, ma come sempre sono stato troppo pavido ed ho accettato.
Ora le possibilità di uscire vivi da questo Inferno sono scarsissime, e si riducono sempre di più.
Ancora morti, intorno a me e sulla mia coscienza.
Ancora dolore ed agonia incessanti.
E tutto per un uomo che non abbiamo mai neanche visto in faccia, di cui conosciamo unicamente il nome.
Sento spesso una domanda che circola tra i miei uomini, ma è una domanda che probabilmente non troverà mai risposta.
Eppure, per quanto essa sia vana ed insoluta, ho iniziato a porla anche a me stesso.
La ripeto come una mantra, come se potesse aiutarmi ad andare avanti, quasi fosse una misera ancora di salvezza. Chi sei, Ryan?