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Autore: Blacket    26/06/2015    2 recensioni
[...] Non che Romano fosse retrogrado, era semplicemente alla buona. Lui lo psicanalista lo vedeva appena alla televisione credendo che ancora facesse parte del répertoire fantascientifico, e quei tic nevrotici del giovane Feliciano erano frutti malati di pianta malata- lavoro duro, crisi mistica dell’artista in discesa, lo scoprirsi a guardare trepidante curve che siano maschili e non femminili, asma.
“Stronzate e merda!”, gli aveva borbottato addosso il fratello maggiore verso il proposito di recarsi dallo psicanalista –“terribile, Feliciano, lancia malocchi?”- e il più piccolo aveva accolto il genuino commento come un incoraggiamento, poiché aveva poco altro da fare ed era l’unico parere sensato e ragionato che aveva stretto con timore al petto. [...]
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Lo psicanalista
Lo Psicanalista


Note: Credo sia importante precisare che si tratta di una fanfic per me molto scarna e semplice. Sono solita concentrarmi su descrizioni e simboli come dettagli, ma in questo caso il vero protagonista del racconto è il dialogo. Non sorprendetevi del parlato gergale e familiare di Feliciano!
L'ho scritta di getto, forse perchè ne sentivo il bisogno essendo immersa nello studio, ma posso assicurare che non mi sono dimenticata delle altre fic che sto portando avanti sui miei cari antichi, che devo revisionare per poi pubblicare.
Ho preso Freud e l'ho distrutto (non vogliatemi male se non ho descritto un incontro troppo veritiero e non ho analizzato varie fasi, non era quello il mio intento), trasportando la mia versione disperatissima in Feliciano. Penso possa risultare un poco OOC, anche se non ho alcuna difficoltà ad immaginarlo ansiolitico come la sottoscritta. Si tratta di un'AU e pure di una nonsense, ma ho voluto dare un contesto reale: Trieste, città così vicina alla realtà tedesca, specie nel periodo che copre le scoperte freudiane.
Nel testo faccio riferimento a Marcuse: filosofo del '900 che introdusse nella società moderna iper-repressa il concetto di ansia da prestazione, come obbligo civile da assolvere obbligatoriamente ma superando altri individui per prestanza o bravitù.
Fatemi sapere le vostre impressioni, fortifichereste il mio animo da povera studentessa quale sono. Buona lettura, un grazie e un abbraccio ai lettori!








"Meglio dallo psicanalista che dal confessore. Per questo è sempre colpa tua, per quello è sempre colpa degli altri."- Marcello Marchesi.


-Ah, grazie, grazie. Mi scusi, sa, mi trovo un poco impicciato e l’orario non ha favorito…oh, c’è buio, le va se scosto le tende? Stonano un poco, così chiuse su un ambiente chiaro.-
Aveva battuto i piedi per terra sino a creare l’eco d’un’orchestra. Le mani scivolavano su tessuti e oggetti non suoi, talvolta s’alzava ad aggiustare i pantaloni, “le braghe, perché sono appena stirate”, preso da una ritualità atta a scacciare l’ansia- come il malocchio, pensava, il malocchio dei vecchi e dei ciechi e di uomini nuovi che chiudevano le palpebre per non vedere radici tanto profonde da causare vertigine.
Si andò di nuovo a sedere, saggiando il lettino bruno, zampettando coi polpastrelli sul materassino che a suo parere aveva raccolto più ansie che pensieri.
“Ansia da prestazione!”, e lo sapeva, Feliciano, che era quel tale Marcuse a ragionare su un tema filosofico tanto moderno- lo sapeva perché aveva studiato distrattamente la sua foto mentre chiedeva consiglio circa il suo stress al fratello.
Non che Romano fosse retrogrado, era semplicemente alla buona. Lui lo psicanalista lo vedeva appena alla televisione credendo che ancora facesse parte del répertoire fantascientifico, e quei tic nevrotici del giovane Feliciano erano frutti malati di pianta malata- lavoro duro, crisi mistica dell’artista in discesa, lo scoprirsi a guardare trepidante curve che siano maschili e non femminili, asma.
“Stronzate e merda!”, gli aveva borbottato addosso il fratello maggiore verso il proposito di recarsi dallo psicanalista –“terribile, Feliciano, lancia malocchi?”- e il più piccolo aveva accolto il genuino commento come un incoraggiamento, poiché aveva poco altro da fare ed era l’unico parere sensato e ragionato che aveva stretto con timore al petto.
-Stronzate e merda.- bisbigliò poi distratto, l’occhio a vagar lontano e perso in nubi dense, oltre il muro bianco e un passo innanzi il sussurrare maestrale dell’orologio, ora dietro alla bruma triestina, su campiture di luci ampie e urlanti.
-Stronzate?- e Ludwig lo osservava come la madre che porge mano al figlio in delirio, gli occhi chiari volti al taccuino scarabocchiato d’un solo nome, tracciati che danzavano s’un alfabeto loro ad imprigionare il preconscio e l’inconscio, che sia psiche disturbata o sana. –Stronzate, si.- , ed un colpo di tosse, due, Feliciano parve scusarsi e riprendere, aggrappandosi al suo posto con veemenza e sforzandosi d’essere naturale, quanto più pareva che avesse problemi alle articolazioni piuttosto che alla mediazione di propri disagi.
Una gamba lanciata disperatamente oltre il lettino, il gomito sinistro puntellato a reggere il busto, torto alla maniera degli arcangeli della volta del vaticano; nell’insieme pareva più un quadro cubista.
- Può mettersi più comodo, se vuole. -
Un paio di sospiri, aria filtrata e spessa e trattenuta.
- Ma no, si figuri, sono abituato così.-
Feliciano boccheggiò un sorriso di circostanza, etereo nel suo contraddirsi, non falso perché immancabilmente docile anche nel tentare di sistemare i gemelli del giacchino ed osservare sfacciato le linee rigide del volto di Ludwig- tanto tranquillo da esser mare nella più placida bonaccia.
-Senta, credo di avere un problema.- si voltò quindi, violentando in modo sincero e franco la prassi che voleva l’analista dietro al paziente,- un disguido coi nervi, ansia, attacchi di panico, ho pensato possa essere addirittura colpa del lattosio, all’inizio. Non fa bene, le consiglio di non abusarne…-
La punta del pennino cadde sul modulo, tracciò suoni sconosciuti tanto pressanti da poter essere stati arati dalle spesse mani del biondo.
-Non riesco più a dipingere, il che è insolito, mi preoccupa. Ho percepito il problema perché la valeriana non faceva più il suo usuale effetto; credevo fosse divenuta dipendenza, ma poi ho desistito. Mi dica, lei la valeriana la prende?-
“Non delirante, ma espressivo. Irrequieto, statico nel quotidiano.”
-A volte, Signor Vargas.-
Gli occhi di Ludwig erano due sentinelle scattanti e pronte ad urlare del pericolo silenti e veloci come la folgore, al che Feliciano capì la funzionalità del lettino capovolto.
- E ha una certa fiducia nei suoi effetti?-
Il ritroso gioco di maschere e ruoli andava intrecciandosi, ed un sorriso opaco, non più alto degli angoli della bocca, vibrò sulle labbra dello psicanalista. Poco avvezzo al sentirsi domandare, ma interessato al subdolo manifestarsi d’una manipolazione del paziente, collaborativo e ostacolante, giacché borbottò poi di almeno una ventina di modi di utilizzare il ragù e rigettare a malincuore la besciamella –di nuovo il lattosio, perfido e maligno!-, ed accompagnava la voce e i suoni dolci della sua lingua con la gestualità molle delle dita e dei palmi.
-Non mi sta mica giudicando, vero?- si fermò e cadde rompendosi la sua sinfonia, traballante ma non mediocre.
- No, il mio lavoro non è giudicarla. Continui pure.- il taccuino vibrava di note calde, appunti frettolosi del gergo medico e mentale.
- Deh, m’ascolti un attimo. Non che metta in dubbio la sua professionalità, per carità!- mugolò eloquente, le mani a girare per aria,- Ma dopo aver sentito quel che dico qui, lei con me ci uscirebbe?-
D’un tratto vide stupore, il traballare confuso delle iridi chiare, Feliciano pensò che quell’espressione era bella e aveva il sapore del pane e l’odore dei gelsi, quando dall’esitazione dell’altro saturò la propria ambiguità, accorgendosi della sua gaffe con ironia e pudore.
- Oh, no, non fraintenda! Uscire in senso generico, cielo, non so nemmeno se lei sia-…- di nuovo coriandoli di gesti, il pollice e l’indice che sfiorano il lobo dell’orecchio destro, il correggersi repentino d’un cucciolo che smarrisce le orme del padre ed annaspa. Dondola, si stranisce, sorride.
“Eh, vabeh”, conclude, sorridendo poiché non v’è più motivo per non farlo, a detta sua; la psicanalisi è utile perché ti getta con forza contro la tua estraneità, pensò Feliciano, e rise nuovamente spontaneo e fresco come le mattine primaverili e la bruma sottile e le perle d’acqua e rugiada.
Il suo psicanalista recuperava tempo perso dallo stupirsi della sua sfacciataggine, e scriveva di larghi termini e infinite vedute, scriveva ancora avvisandolo dell’orario, forse appuntò anche il sospiro del vento, forse la sua risata.

-Il nostro prossimo appuntamento è fissato per giovedì, Signor Vargas.-
Uno, due, quattro passi, trofei si sospiri, un gemito accennato, -Feliciano, mi chiami Feliciano.-
Il pendolo che picchia sul vetro, il glicine in fiore che sorride al caldo giogo dell’estate.
- Magari le porto la valeriana, che meno ne prendo e meglio è, sa.-




  
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