Note dal passato
Sbuffa. È costretto per l’ennesima volta a
lucidare le monete dello Zione, e per di più le mosche gli danno fastidio.
Certo, fare la sessione di lucidature in aperta campagna, alla fattoria di Nonna
Papera, ha qualche problema tecnico. Ripassa per l’ennesima volta la moneta, un
doblone d’oro massiccio del XVII secolo, che proprio non vuole saperne di
venire pulita. Sfrega, sfrega, sfrega e sfrega, ma proprio quell’alone non
scompare. Insiste così tanto col panno che la moneta gli scivola dalle mani e
tintinna sul terreno sterrato.
Ma non fa dlin, come si sarebbe aspettato. Produce una nota
strana, familiare. Incuriosito, la raccoglie e prova a farla cadere di nuovo.
Questa volta è una melodia intera a risuonare, assordante, tanto da
costringerlo a mettersi le mani sulle orecchie…
Paperino
si risvegliò nel suo letto, trafelato, col fiatone. Non riusciva a ricordare
esattamente cosa stesse sognando fino a poco prima, ma gli era rimasta nel
cervello una melodia, martellante e quasi insopportabile. Era breve, poche note
che tintinnavano nella sua mente ciclicamente, in modo assordante. Sospirando,
il papero scese dal letto e si diresse verso la cucina, per prepararsi una
camomilla.
Forse
così sarebbe riuscito a riprendere sonno.
«NIPOTE!!!»
Paperino
sussultò, stringendo con ancora più forza lo straccio e la moneta che stava
lucidando.
Paperone
lo rimbeccò di nuovo: «INSOMMA, COSA STAI FACENDO?»
Il
papero vestito alla marinara rispose assonnato: «Sto lucidando…»
«A me
sembra piuttosto che tu stia dormendo in piedi! Di’ la verità, sei rimasto fino
a tardi a guardare la partita, vero?»
«No,
no, assolutamente… ho solo dormito male…»
«Ah-ah!
Mangi troppo la sera, così poi dormi male! Dovresti fare come me, due gallette
e acqua piovana, così con i soldi risparmiati magari paghi un paio di debiti…»
Paperino
si limitò a sbuffare. Non era dell’umore ideale per iniziare l’ennesima
litigata con il parente sulle solite, vecchie questioni. Aveva solo un gran
sonno e, come se non bastasse, quella maledetta musichetta che si ripeteva in loop nel suo cervello, ancora, ancora e ancora…
Intontito,
allungò la mano verso il lucidante, ma questo gli scivolò dalle dita,
rovesciandosi sui preziosi marenghi d’argento recuperati dallo Zione circa
vent’anni prima. Improvvisamente sveglio, Paperino si fiondò sul mucchio di
monete, cercando di asciugare con il panno tutto il liquido che aveva
rovesciato prima che Zio Paperone se ne accorgesse.
Invano.
«NIPOTE!!!»
Paperino
serrò gli occhi con tutte le sue forze. No, non avrebbe scampato la strigliata
neanche questa volta.
Esausto,
Paperino rientrò in casa solo verso l’ora di cena. Qui, Quo e Qua avevano già
apparecchiato il tavolo, cosa che normalmente gli avrebbe fatto un enorme piacere,
ma in quel momento, se ne rese conto, non stava affatto bene. Aveva un forte
mal di testa, e anche solo le loro vocine acute sembravano trapassargli il
cervello.
Con
enorme sforzo cercò di non darlo a vedere durante la cena, per non farli
preoccupare, ma il colpo di grazia ai suoi già fragili nervi glielo diede il
tintinnio delle posate.
Dlin, dlin, dlin…
Non era
possibile, era assurdo, totalmente assurdo…
Dlin, dlin, dlin…
Quella
melodia… ancora quella maledetta melodia…
Dlin, dlin, dlin…
… ancora… ancora… anc…
«BASTA!!!»
Con un
movimento improvviso, Paperino rovesciò il tavolo, facendo trasalire i
nipotini.
«Zio
Paperino…»
«…sei sicuro…»
«…di
stare bene?»
Paperino
fissò i nipoti, che lo stavano guardando spaventati. Prese un profondo respiro,
a occhi chiusi, cercando di recuperare la calma e di zittire, invano, la
melodia nella sua testa.
«Sì… sì…
scusate… ho giusto mal di testa da tutto il giorno e la cosa mi sta facendo
impazzire…»
Qui annuì
sconvolto: «L’abbiamo notato…»
«Forse è
meglio che vada a dormire.»
«Non ti
preoccupare, Zio Paperino.»
«Sistemiamo
noi qui.»
«Tu pensa
solo a riposarti.»
Paperino
annuì, ringraziando di avere dei nipoti così comprensivi e pazienti. O forse
semplicemente spaventati, magari avevano pensato che fosse impazzito del tutto
e che se non si fossero comportati così lui avrebbe potuto reagire male.
Sospirò, sedendosi sul letto. Era esausto, distrutto, ma sapeva che anche se si
fosse coricato non avrebbe potuto dormire. La musichetta continuava a
trapanargli ogni neurone, implacabile.
Perché?
Cosa
stava cercando di comunicargli il suo cervello?
Che era
ora di farsi ricoverare nel più vicino manicomio?
Forse.
Sospirò,
ancora. Non gli sembrava di aver fatto altro, in quella giornata. Forse doveva
semplicemente prestare più attenzione a quella breve sequenza di note.
Si
rilassò, con fatica, cercando di concentrarsi. Non erano note normali.
Tintinnavano. Come le monete del deposito. Oppure come…
«Un
carillon!»
Paperino
balzò in piedi. Era il suono di un carillon, senza alcun dubbio. Sì, ma dove
poteva aver mai udito quel carillon? Non ricordava di averne mai posseduto uno.
Forse da
piccolo… ma i suoi ricordi di quel periodo erano abbastanza avvolti nella
nebbia. Chi poteva ricordare qualcosa di quando era solo un paperotto?
La mano
corse al telefono, mentre le dita scorrevano velocemente sui numeri.
Attese
qualche secondo, poi una voce assonnata rispose: «Pronto?»
Paperino
per un attimo esitò, travolto dai sensi di colpa. Non aveva guardato l’ora, era
tardissimo e sicuramente l’aveva buttata giù del letto per una sciocchezza.
«N-nonna?»
Dall’altra
parte della cornetta la voce femminile si fece improvvisamente seria e
preoccupata: «Paperino? Cosa succede? Stai bene?»
I sensi
di colpa schizzarono alle stelle: «Sì... sì... tranquilla...»
Dopo
qualche secondo di silenzio, la nonna disse: «Se hai bisogno di parlarmi vieni
pure.»
«Adesso?»
«Ti
aspetto per colazione.»
Il papero
mise giù la cornetta, guardando la sveglia. Era l’una passata, povera nonna...
Rimase lì
per un tempo che gli parve infinito, cercando di non pensare, poi si vestì,
scese le scale, scrisse un biglietto per i nipotini e si mise in macchina,
sperando che la 313 non lo abbandonasse a metà strada, avviandosi lentamente,
molto lentamente, verso la fattoria, dove giunse alle prime luci dell’alba.
La nonna
già l’aspettava sulla porta, con il sorriso più accogliente che le avesse mai
visto sul becco. Paperino arrossì, sentendosi ancora più in colpa per la
levataccia, ma la papera si limitò ad accoglierlo e ad accompagnarlo al tavolo,
dove l’attendevano un caffè nero bollente e una fetta di torta di mele ancora
tiepida.
Elvira
osservò per un po’ il nipote fare colazione, poi chiese: «Non è da te chiamare
in piena notte. Allora, dimmi, cos’è successo?»
Paperino
abbassò lo sguardo: «Nulla d’importante...»
La nonna
sorrise: «Questo fallo giudicare a me.»
E così,
con un profondissimo sospiro, cominciò a parlarle di quella musichetta che lo
tormentava. La nonna non disse nulla, si limitò ad ascoltarlo con attenzione
fino alla fine. Solo allora si permise d’intervenire.
«Mi fai
ascoltare questa misteriosa musichetta?»
Paperino
si limitò ad annuire e fischiettò quelle poche note. Elvira fece un’espressione
sorpresa, poi gli sorrise malinconica.
«Aspettami
qui.»
Il papero
rimase solo, in attesa, mentre nella sua testa continuava a risuonare
imperterrita la melodia. Bevve qualche sorso di caffè ormai appena tiepido. La
nonna poteva davvero aiutarlo a risolvere il mistero?
Un rumore
di mobili trascinati sopra la sua testa lo fece trasalire. Senza pensarci due
volte, Paperino corse verso le scale che portavano al piano superiore.
Con una
zampa sul primo gradino, gridò: «Tutto bene, nonna?»
Una voce
soffocata gli rispose: «Sì, stai tranquillo, l’avevo solo imboscato più di
quanto ricordassi... adesso scendo!»
Il papero
non si mosse da quel gradino. Cosa stava combinando l’anziana papera?
Finalmente
Nonna Papera scese, con qualche ragnatela incastrata nella crocchia dei suoi
bianchi capelli, stringendo fra le mani un oggettino color rame.
«Scusami,
era in soffitta, dentro un vecchio baule che non aprivo da tempo... vieni in
cucina, gli do una ripulita e te lo faccio vedere.»
Paperino
seguì la nonna, che, incurante delle ragnatele sui suoi capelli, prese uno
straccio e sfregò con cura e attenzione quello che era andata a prendere, per
poi posarlo sul tavolo, di fronte agli occhi del nipote, che lo guardò
perplesso.
Era un
vecchio portagioie, uno di quei classici contenitori con in cima una ballerina.
Di fianco aveva una chiavetta, che rivelava la sua natura di carillon.
Nonna
Papera si sedette di fronte a lui: «Te lo ricordi?»
Paperino
scosse la testa e la papera si limitò a girare la chiavetta un paio di volte.
Ed eccola, finalmente, la musichetta che lo tormentava, esattamente come
continuava a risuonare nella sua testa, con lo stesso ritmo, lo stesso tono, le
stesse pause. Sette secondi di melodia, esattamente quelli che lo tormentavano,
e poi il carillon si bloccò. La ballerina provò ancora a girare su se stessa,
ma era come bloccata, e anche la musica si sentì solo più a sprazzi, distorta e
innaturale.
«Uh? È
rotto?»
Nonna
Papera lo guardò, con gli occhi velati di malinconia: «Non te lo ricordi?»
«No...
dovrei?»
«È
normale, eri piccolo...»
La papera
sospirò, accomodandosi sulla sedia: «Era il tuo sesto compleanno... tuo e di
Della, ovviamente. I vostri genitori vi avevano preparato due regali e li
avevano messi in due scatole della stessa grandezza e avvolte nella stessa
carta. Lo scambio dei pacchi fu quasi inevitabile, e così Della si ritrovò con
un pallone di cuoio e tu con questo. Puoi immaginare quanto tu ci fossi rimasto
male. Cercammo in ogni modo di convincere Della a restituirti il pallone, ma
lei, testarda e maschiaccio com’era, non ne volle sapere. E così, mentre tua
madre aveva provato a far partire la musichetta per attirare l’attenzione di
tua sorella, tu prendesti questo carillon e lo buttasti a terra. Da allora ha
suonato così, non ho mai udito questa melodia completa...»
Paperino arrossì
leggermente: «Scusa...»
La nonna
gli sorrise: «Eri piccolo, e ancora non avevi imparato a gestire bene la
frustrazione, è normale...»
Al papero
sfuggì una risatina imbarazzata. Ripensando al tavolo della sera prima, forse
non era migliorato molto neanche da adulto.
Elvira
continuò: «Da allora l’ho nascosto in soffitta, visto che sembrava che tu non
volessi più vederlo...»
Paperino
riprese in mano il carillon, osservandolo attentamente da ogni lato: «Strano,
però. Non mi ricordavo assolutamente di questo portagioie, e prima dell’altra
notte non avevo idea dell’esistenza di questa musichetta. Perché mi sarà
tornata in mente ora?»
Provò ad
aprire la scatola, per vedere se riusciva a capire dove si fosse rotto il
meccanismo. Con sua grande sorpresa, però, non era vuota.
«Nonna? È
tua questa busta?»
La papera
la guardò sorpresa: «No... non ho mai toccato quel portagioie...»
Paperino
rigirò la busta, più e più volte. Era ingiallita dal tempo ed era sigillata,
senza alcuna scritta all’esterno.
«Posso
aprirla?»
«Certo,
fai pure.»
Cercando
di non rompere la già indebolita carta, il papero aprì la busta. All’interno
c’era un foglio piegato, ingiallito anch’esso e piegato in quattro.
Incuriosito, Paperino l’aprì con delicatezza e trasalì, riconoscendo la
scrittura minuta ed elegante, seppure vergata con decisione, anzi, con foga in
qualche punto, tanto che quasi il pennino aveva rischiato di bucare la carta.
Con gli occhi lucidi e le mani tremanti, ingoiando a fatica un groppo che gli
stava chiudendo la gola impedendogli di respirare, si apprestò a leggere.
Caro
Paolino, non so se
troverai mai queste righe, che ho nascosto qua dentro, ben consapevole che
probabilmente rimarranno per sempre nella soffitta della fin troppo buona Mamma
Papera, ma ci tenevo a scrivertele lo stesso. Ricordo ancora il
giorno in cui ti regalammo per errore questo carillon. Credo che tu ci abbia odiato per questo “regalo
da femminucce”, come lo chiamasti allora, e che abbia odiato ancora di più
Della per non averti restituito il
pallone. E cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto sgridarvi entrambi,
prendervi sulle ginocchia e darvele, come avrebbe fatto mio padre? Forse. Ma mi sono anche
resa conto che io alla tua età avrei reagito allo stesso modo. Siamo tanto
simili, io e te. Qualcuno ci definisce irascibili, ma secondo me non è la
definizione corretta. Noi siamo testardi, determinati, decisi a non farci
mettere i piedi in testa da niente e da nessuno. Non vergognarti di ciò che
sei, anche se non sarà sempre facile. Rischierai spesso di essere incompreso,
ma prima o poi troverai chi saprà apprezzarti e sostenerti, anche se in modi
totalmente inaspettati. Per farti un esempio, io ho sempre sognato di
sposarmi con un cow boy, e decisamente tuo padre non rientra nella categoria,
ma nonostante le continue litigate e discussioni io lo amo e lo amerò sempre,
così come amerò per sempre i frutti del nostro amore, tu e Della, per quanto
mi possiate far disperare. Io sarò sempre
fiera di te, qualunque cosa farai nella vita. Ti voglio bene e
te ne vorrò sempre, La
tua affezionatissima madre Ortensia |
Nonna
Papera si limitò a sorridere. Non ebbe bisogno di chiedere chi avesse scritto
quella lettera, le bastò osservare il volto del nipote per avere tutte le
risposte.
Dopo
qualche minuto di commozione, Paperino, con la voce ancora rotta, riuscì a
chiedere: «Posso... posso prenderlo?»
La nonna
gli sorrise: «È tuo. Io l’ho solo custodito per te.»
«Grazie.
Grazie davvero.»
Paperino,
pur alla guida della sua amata 313, non riusciva proprio a mandare giù quel
groppo alla gola. Anche se aveva già imboccato la strada di casa,
improvvisamente, come colto da una folgorazione, fece inversione e tornò
indietro, fino a fermarsi di fronte a un’abitazione curiosa ma familiare.
Il papero
fece capolino dalla porta socchiusa: «Si può?»
Preso da
chissà quale strano esperimento, Archimede lo salutò senza neppure alzare la
testa da quello che stava facendo: «Ciao, Paperino! Come mai così mattiniero?»
«Così...
senti, potrei chiederti un favore?»
Archimede
alzò finalmente la testa dal suo lavoro: «Certo, dimmi pure!»
Paperino
porse il carillon: «Sei in grado di aggiustarlo?»
L’inventore
lo guardò incuriosito, aprendolo: «Uh, è davvero vecchiotto! Sì, non dovrebbe
essere difficile, dammi un paio di minuti...»
Mentre
l’aquilotto prendeva al volo un paio di cacciaviti, l’attenzione di Paperino fu
immediatamente attirata da Edi, che iniziò a lampeggiare per salutarlo.
«Ciao,
Edi! Tutto bene?»
Il robottino lampeggiò ancora, per poi entrare in un
macchinario e portargli una tazzina di caffè.
«Eh? Oh,
no, ti ringrazio, Edi, ma l’ho già bevuto.»
Edi
continuava a porgerlo ronzando e finalmente Paperino capì: «Sei preoccupato
perché sembro stanco, vero? Ma non ti preoccupare, è solo un po’ d’insonnia,
passerà presto.»
Intenerito,
prese la tazzina dalle mani di Edi e la posò sul tavolo, per poi dare un
buffetto alla piccola lampadina.
«Ecco
fatto, te l’ho aggiustato. Ma per favore, non buttarlo più per terra, è un oggetto
delicato.»
Paperino
trasalì: «Come... come hai fatto a capirlo?»
L’inventore
rispose: «Erano saltati alcuni punti, come se fosse caduto con molta violenza.
Conoscendoti, ho fatto solo due più due.»
Paperino
fece una smorfia: «Già... mi conoscete fin troppo bene. Grazie, quanto ti
devo?»
Archimede
sorrise: «L’unica cosa che devi fare è andare a riposare, sembri stravolto!»
«Lo farò.
Grazie ancora a entrambi.»
Poco
dopo, Paperino varcò la soglia di casa stringendo gelosamente al petto il suo
tesoro. La casa era vuota. Qui, Quo e Qua gli avevano lasciato sul tavolo la
colazione e un biglietto, dove lo avvertivano che sarebbero andati a scuola da
soli e lo pregavano di riposarsi. Il papero sorrise. Cosa aveva fatto di così
bello nella vita da meritarsi dei nipoti così bravi e premurosi?
Salì le
scale ed entrò in camera, posando poi accuratamente sul comodino il carillon.
Lo guardò per un momento, poi girò la chiavetta, coricandosi subito dopo sul
letto, con gli occhi chiusi, per godersi al meglio quel momento.
Era una
melodia dolcissima, molto più bella di quello che avrebbe potuto intuire da
quei pochi secondi fissati nella sua memoria, che sicuramente la sua mamma
aveva selezionato con cura per quel maschiaccio di sua sorella. Peccato, non
sapeva cosa si era persa. Era davvero un peccato che per poter essere udita per
intero quella musichetta avesse dovuto aspettare decenni...
E si
addormentò così, ancora vestito, cullato da quelle note che beffardamente
l’avevano chiamato con così tanta insistenza attraverso il tempo, felice e
beato, come se sua madre gli avesse dato ancora una volta il bacio della
buonanotte.
Ciao a tutti! Era un po’ che non mi facevo viva, ma avevo
davvero bisogno di scrivere qualcosa, qualcosa di Disney, così ho scaricato su
Paperino un po’ del malessere che avevo in questi giorni e lo sviluppato, per
vedere dove potevo andare a parare... e questo è il risultato.
Spero che vi sia piaciuta, se avete voglia lasciatemi un
commento!
Alla prossima!
Hinata 92