Rating: Verde
Genere: Commedia, Romantico
Prompt ©Darkrin: modern!AU in cui lui fa il becchino e Persefone cura le piante del cimitero (bonus se Ade si ripete che non la inviterà mai ad uscire perché è troppo giovane per lui)
Note: AH (All Human) ma con elementi di mitologia canon per quanto possibile: un plauso a chi li coglie tutti! Questa storia ha deragliato pericolosamente dal prompt man mano che andava avanti, e io come al solito mi sono lasciata prendere la mano; per cui è diventata una sorta di big reunion con un sacco di altre divinità e figure mitologiche che, davvero, non ho potuto fare a meno di inserire… Ed è così scema che NCLPF, per cui prendetela con le pinze.
Se cercavate qualcosa di serio ho paura che abbiate sbagliato link, LOL.
________________________________________
Di
fiori, lapidi e altre cose inaspettate
Se qualcuno gli avesse chiesto che cosa
gli era passato per la mente quando aveva deciso di partecipare al
concorso
pubblico indetto dal piccolo comune di Olimpia, provincia di Siracusa,
5320 abitanti,
Ade non avrebbe saputo cosa rispondere.
O meglio: di risposte ne aveva, e tante
anche, e tutte piuttosto sarcastiche e divertenti – secondo
il suo secco e
discutibile umorismo – ma la verità era che non
aveva avuto un motivo chissà
quanto particolarmente profondo. Si era ritrovato a ventotto anni
laureato ma
senza lavoro, come ormai spesso capitava, e la carriera che il suo
titolo di
studi, se perseguita, gli avrebbe fornito, non era più di
suo gusto. Di
viaggiare e cercare lavoro all'estero non ci pensava nemmeno: era un
uomo
piuttosto abitudinario e attaccato ferocemente alle proprie radici,
amante di
una routine quotidiana che procedeva sempre allo stesso modo
– sveglia, doccia, colazione, portare il cane
fuori, dargli da mangiare, andare al lavoro, rientrare, cenare, leggere
e
andare a dormire, e ripetere daccapo il giorno dopo, e quello dopo, e
quello
dopo ancora – per cui sentiva unicamente il bisogno
di sistemarsi e non
pensarci più.
Così oggi erano trascorsi esattamente
quindici anni dal giorno in cui aveva vinto il concorso e aveva
iniziato a
lavorare come becchino nell'antico cimitero del paese.
La paga era buona, il lavoro non
mancava – come amava sempre dire, gli
affari non muoiono mai!, e, perché
quella faccia? Ammetterai che faceva ridere... No? Come vuoi
– e aveva
tutto il tempo del mondo per rilassarsi e leggere i suoi libri di
antiche
mitologie tra un lavoro e l'altro. E c'era una certa e indiscutibile
pace nel
passeggiare tra i vialetti ombrosi punteggiati da statue di angeli e
madonne
che vegliavano sulle ultime dimore dei defunti, nell'inspirare l'odore
dell'erba ricoperta di rugiada di prima mattina e nell'udire il canto
degli
uccelli per nulla impressionati dalla sacralità del luogo;
ormai conosceva ogni
angolo del camposanto, ogni tomba e ogni lapide, sapeva chi erano i
morti che
continuavano a ricevere visite e fiori e faceva in modo di essere
sempre nelle
vicinanze quando arrivavano i parenti in visita, e si occupava invece
personalmente delle tombe più antiche e abbandonate,
mantenendole dignitose
anche se ormai dubitava che potesse esserci qualcuno o qualcosa a cui
interessasse.
Probabilmente la sua laurea in
Archeologia avrebbe potuto fruttargli qualche altro lavoro un po' meno
deprimente, o perlomeno questo era ciò che continuavano a
ripetergli i suoi
amici e vecchi colleghi di corso; da parte sua, invece, Ade era
convinto che
becchini e archeologi non facessero dei lavori poi cosi diversi, visto
che i
primi seppellivano ciò che i secondi si premuravano di
tirare fuori. I suoi
amici avevano dunque smesso di stuzzicarlo al riguardo non appena
avevano
capito che quei commenti sagaci e noncuranti erano tutto ciò
che sarebbero
stati capaci di strappargli.
Perciò, all'età di quarantadue anni,
Ade amava definirsi piuttosto soddisfatto per la vita e il lavoro che
conduceva, e non sentiva la mancanza di altro.
Le sue convinzioni a tal proposito
tuttavia svanirono nel nulla quando il cuore dell'anziano giardiniere
del
cimitero cedette sotto il peso degli anni, e il comune decise di
affidare il
lavoro a una giovane e spigliata laureanda.
Venticinque anni e una laurea di
Agraria in tasca, Persefone era tutto ciò che Ade non era e
non era mai stato
neanche da giovane, e di conseguenza la sua presenza in un cimitero
destava più
curiosità e storceva più nasi di quanto non
avesse mai fatto quella del cupo e
taciturno Ade a suo tempo.
Persefone non aveva nessun motivo
apparente di trovarsi lì: non era orfana, e non aveva scelto
di lavorare nel
camposanto per stare più vicina ai suoi genitori; non aveva
perso chissà quale
scommessa con gli amici; e sicuro come l'inferno non era una di quelle
ragazze
gotiche che nuotavano nel macabro e sognavano vampiri che entrassero
nelle loro
camere da letto nel cuore della notte. Semplicemente anche lei, come
tanti
altri giovani della sua età, voleva andarsene di casa -
continuare a vivere con
sua madre era impensabile, visto che la donna le impediva di fare
pressoché
qualsiasi cosa e il resto del tempo lo passava col fiato sul collo
della figlia
- e per farlo, dunque, aveva bisogno di soldi.
Ora, il paese era piccolo e le
opportunità non tante, e siccome Persefone aveva un
invidiabile pollice
verde... Beh, quel lavoro capitava come manna dal cielo.
Certo, aiutava che il sindaco fosse un
ex della madre – e le malelingue, perché il mondo
ne è pieno e i paesini ne
straripano, mormoravano che fosse anche il padre della ragazza
– ma Persefone
preferiva pensare di aver avuto il lavoro più per la sua
laurea che non per una
dubbia raccomandazione.
Ad ogni modo, era un tiepido martedì di
settembre quando la giovane varcò il cancello in ferro del
camposanto per
iniziare il suo nuovo lavoro. L'impiegato comunale che l'aveva
contattata per
spiegarle grosso modo che cosa ci si aspettava da lei, un tale Ermes, e
che si
era offerto di accompagnarla visto che al momento lei era carente di
automobile, le aveva consigliato di parlare con il becchino prima di
fare
qualsiasi cosa; a suo dire, l'uomo conosceva ogni angolo del cimitero e
sarebbe
stato lui a dirle quali aree avrebbero avuto maggior bisogno delle sue
cure. Le
aveva poi spiegato che il suo lavoro l'avrebbe tenuta impegnata dal
lunedì al
venerdì tutte le mattine, dalle 7 in punto alle 12
– meglio il mattino presto
per fare giardinaggio, l'acqua non rovinava le piante e non c'era il
rischio di
essere d'intralcio ai visitatori – e che il fine settimana,
salvo qualche
lavoro straordinario, l'avrebbe avuto completamente libero.
Sbrigate infine le ultime formalità
Ermes scappò via con la promessa di rivedersi presto,
lasciandola da sola sulla
soglia del cimitero e indicandole vagamente la zona dove avrebbe
trovato
l'ufficio del becchino.
«Spero che il becchino non sia uno di
quei vecchi brontoloni che guardano i giovani dall'alto in basso e
criticano il
loro modo di vestire», borbottò Persefone
avanzando lungo i vialetti ombrosi
del cimitero, lanciando occhiate a destra e a sinistra per valutare lo
stato
delle aiuole e dell'erba e iniziando mentalmente a prendere appunti su
ciò che
le sarebbe servito per dare una sistemata. Nulla appariva secco o
disordinato,
ma era comunque trascorso più di un mese dalla morte del
precedente giardiniere
e qua e là iniziavano a vedersi i primi accenni di
trascuratezza: erba
ingiallita dall'afa estiva e troppo alta per i suoi gusti, foglie
ammucchiate
ai lati del viale, aghi di pino ovunque che ricoprivano
indiscriminatamente sia
le tombe che la terra – Persefone decise che così
non andava bene per niente, e
che era una fortuna che il lavoro le fosse stato assegnato
così velocemente.
Quando Ade sollevò gli occhi dal
computer per posarli su chiunque avesse deciso di disturbarlo
nell'unico
momento libero – non c'erano funerali previsti per il giorno,
e il cimitero era
pressoché deserto perché era martedì
mattina, e come tutti i martedì mattina il
paesino di Olimpia ospitava un mercatino all'aperto dove si vendeva di
tutto a
dei prezzi convenienti, e di conseguenza le signore e le casalinghe che
in
genere gironzolavano per il camposanto avevano altro di meglio da fare
che
spettegolare tra loro tra una tomba e l’altra e tempestarlo
di domande sul
perché non fosse ancora sposato, alla sua età
– rimase per un attimo perplesso,
perché non vedeva davvero che cosa potesse farci nel suo
ufficio quella
ragazzina in jeans scoloriti, scarpe da tennis e una maglia con
più tonalità di
quanto non permettesse lo spettro dei colori.
Aggrottò la fronte e piegò il capo di
lato, continuando a studiarla, notando i capelli castani raccolti in
una
pratica coda di cavallo, il viso privo di trucco ma spruzzato di
lentiggini, e
un'espressione a sua volta sorpresa e – se aveva interpretato
correttamente –
imbarazzata.
Si rese conto allora di non aver ancora
detto una sola parola, così si sgranchì la voce e
tuonò un «Sì, come posso
aiutarla?» che gli uscì più secco e
rude di quanto non avesse voluto.
La giovane sussultò appena, ma poi si
aprì in un sorriso che gli fece ricordare con un brivido
che, benché lavorasse
quasi esclusivamente con i morti, lui era ancora piuttosto vivo.
«Buongiorno! Sono Persefone, la nuova giardiniera.
Il signor Ermes, sa, del comune, mi ha detto di venire da lei a
portarle queste
fotocopie – eccole, a proposito – e a farmi
spiegare come funzionano le cose
qui? Ma se è impegnato posso farmi un giro e tornare dopo,
così dò un'altra
occhiata al cimitero e mi faccio un'idea del lavoro che c'è
da fare, tanto che
fretta c'è? I morti non scappano mica!» Concluse
con una risatina imbarazzata e
una vaga scrollata di spalle.
Si odiò non appena riuscì a tacere,
complimentandosi sarcasticamente tra sé e sé per
quello sfoggio di diarrea
verbale e umorismo macabro, e pregando di non aver fatto una figura
troppo
pessima davanti a quello che, da quanto aveva capito, sarebbe stato il
suo solo
e unico collega di lavoro. I suoi occhi presero avidamente nota del
notevole
aspetto fisico dell'uomo – Qualcuno
avrebbe dovuto dirmi che il becchino era un pezzo di marcantonio! Mi
sarei
perlomeno truccata, che diamine – a partire dai
folti capelli corvini, che
iniziavano a sfoggiare un piacevole argento ai lati delle tempie, gli
occhi
grigi, il naso greco, il mento dalle linee spigolose ricoperto da un
sottile
strato di barba, la camicia color carta da zucchero che complimentava i
suoi
occhi e le cui maniche arrotolate fino ai gomiti mostravano braccia
notevolmente toniche che appartenevano a un paio di spalle da nuotatore
-
Woah, ragazza, frena gli ormoni! Non c'è nulla di
professionale
nell'immaginarsi il proprio collega nudo già il primo giorno
di lavoro. E sei
in un cimitero, diamine! Contegno!
Completamente all'oscuro dei pensieri
che stavano passando per la mente della ragazza, e intimamente
deliziato alla
vista del rossore che le andava allargandosi sulle guance e la gola,
fino a
sparire misericordiosamente sotto il colletto della sua maglia, Ade
riuscì solo
a realizzare con una lieve apprensione e non poco sgomento di essersi
sorprendentemente, irrevocabilmente e completamente innamorato di lei.
*~*~*~*~*
La routine lavorativa si stabilì con
una semplicità che sorprese entrambi.
Ade scoprì ben presto che la madre di
Persefone non era per nulla soddisfatta del nuovo lavoro della figlia
– la
donna, proprietaria da più di trent’anni di
un’elegante serra fuori paese,
ereditata a sua volta dalla madre, avrebbe voluto che la figlia
prendesse il
suo posto, ma la giovane l’aveva vista come
l’ennesimo tentativo di Demetra di
tenerla sotto controllo e di impedirle di crearsi una vita sua, per cui
subito
dopo la laurea aveva fatto di tutto pur di trovare un qualsiasi altro
lavoro,
il che in fondo spiegava come avesse fatto a ritrovarsi a lavorare in
cimitero;
e di conseguenza Persefone combatteva quotidianamente con la madre per
via
telefonica - Per l'amor di Dio, mamma,
non mi puoi chiamare venti volte al giorno, sto lavorando
– cosa che
Ade era combattuto tra il definire tenera e divertente o semplicemente
irritante. Se la madre era così apprensiva, gli veniva da
chiedersi in che modo
avrebbe reagito se lui avesse reso pubblico il suo interesse per la
ragazza...
Ma poi si castigava mentalmente e tornava al suo lavoro, lanciando
occhiatacce
severe alle fotografie color seppia delle tombe, innervosito dagli
sguardi
compiacenti dei defunti che parevano giudicarlo dall'Aldilà
– E voi che avete da guardare, caro signor...
Aldo, mh? Forse che da vivo non avevate
di questi problemi? – perché, davvero,
non c'era modo che avrebbe mai
trovato il coraggio di palesare le sue intenzioni alla bella Persefone,
e
dunque preoccuparsi in anticipo di una possibile reazione materna era
inutile
quanto discutere con le lapidi.
Eppure, non poteva fare a meno di -
Chissà se le piacciono i cani. Con la scusa di
farle conoscere Cerbero,
magari...
*~*~*~*~*
Persefone non rimase a lungo senza
autovettura. Con il suo primo stipendio e un piccolo svogliato prestito
da
parte della madre, la giovane investì in un mezzo di
trasporto – l’appartamento
che aveva preso in affitto costava così poco che le era
rimasto abbastanza da
poter affrontare una spesa del genere, senza contare i risparmi che
aveva messo
da parte subito dopo il liceo.
La prima cosa che Ade pensò vedendola
arrivare in cimitero a bordo di una Fiat Panda bianca e impolverata,
vecchio
modello, con un sorriso talmente ampio che si sarebbe detto stesse
invece
guidando una macchina di lusso, fu: Dio
mio, che bella che è.
Persefone, non la macchina.
La seconda fu: Dio, la voglio sposare.
Sempre Persefone.
E la terza, perché da che mondo è mondo
non c'è mai due senza tre, fu: Cristo
santo, quando avevo la sua età quella macchina era nuova.
Malgrado l’innegabile attrazione e il
sempre più profondo affetto nei suoi confronti, Ade non
stava prendendo molto
bene l'evidente differenza d’età, e anche se la
ragazza non ci faceva caso – a
lei probabilmente non le interessava perché non pensava a
lui in quel senso, ma un uomo può sempre
sperare – lui, beh, non riusciva a levarsi il pensiero dalla
testa.
Ogni volta che si ritrovava ad
immaginare come sarebbe stata la sua vita se solo avesse trovato il
coraggio di
chiedere a Persefone di uscire – e doveva ammettere che nelle
sue fantasie lei
si incastrava benissimo in ogni angolo della sua casa e in ogni minuto
della
sua giornata, rendendo la sua vita più perfetta delle
famiglie della Mulino
Bianco – inevitabilmente finiva per maledirsi e mettere un
freno ai suoi non
troppo casti pensieri, quasi che temesse che la ragazza stessa potesse
sentirli
grazie all’ardore con cui continuava a produrli.
Così Ade sospirò, le fece gli auguri
per la macchina relativamente nuova, ed entrambi si diressero verso
l’ennesima
giornata di lavoro.
Persefone si chiese se aveva perso l’occasione
di invitarlo fuori con la scusa di festeggiare, ma si pentì
quasi subito di
quel pensiero; figurarsi se un uomo come
lui aveva tempo da dedicare a una ragazzina come lei!
*~*~*~*~*
Ade aveva preso la curiosa abitudine di
farle compagnia quando la giovane innaffiava le piante o potava le
siepi, o
aggiungeva acqua nei vasi delle varie tombe perché questa o
quella signora le
aveva chiesto la cortesia di non far seccare i fiori del marito o del
figlio o
del cugino di secondo grado quando, durante la settimana, era
impossibilitata
ad avvicinarsi al camposanto.
E Ade doveva ammettere di trovare
vagamente assurda la cura e l’attenzione che Persefone
metteva in ciò che
faceva – come faceva a conoscere già la maggior
parte dei visitatori del
cimitero dopo appena un mese che ci lavorava? – soprattutto
quando la vedeva
prendersi cura di vecchie tombe abbandonate che non vedevano
l’ombra di una
mano amica da decenni, e che lei allora si premurava di abbellire con
fiori di
campo e rametti tagliati alle buganvillea che si arrampicavano di tanto
in
tanto lungo la recinzione del cimitero.
Credeva di essere l’unico a curarsi
delle vecchie tombe e delle povere anime che vi giacevano dimenticate,
sprecando qualche minuto a chiacchierare con ciascuna di loro, e invece
non era
il solo. Il suo piccolo regno dei defunti aveva appena guadagnato una
deliziosa
regina che saltellava di fossa in fossa spolverando angeli di marmo,
fotografie
sbiadite e lasciando una certa serenità e vari fiori
colorati al suo passaggio.
E lui era sempre più innamorato.
*~*~*~*~*
«Persefone. Ormai ci conosciamo da
diversi mesi, e lo so che probabilmente la cosa non ti è mai
neanche passata
per la testa, ma ecco, sì, mi chiedevo se ti andava di
venire a cena? Una di
queste sere? Con me? Niente di serio, eh! Non preoccuparti, lo so che
potrei
essere tuo padre e forse la cosa è un po' inquietante ma
ecco, se magari ci
potessi fare un pensierino e darmi un'occasione... Mh...»
No, no, un momento. Così non andava
bene per niente.
Grazie a Dio non le aveva lasciato quel
messaggio penoso nella segreteria telefonica.
Meglio riprovare.
Sollevò lo sguardo verso lo specchio e
prese un profondo respiro, poi accennò un lieve sorriso.
«Persefone! Ciao. Sai, stavo
pensando... Visto che lavoriamo sempre e abbiamo poca vita sociale -
no, no!
Non sto insinuando che tu non abbia vita sociale! Una bella ragazza
come te
deve avere di certo uno stuolo di ammiratori e un sacco di amiche...
Comunque!
Ecco, mi chiedevo, se, sì, insomma, ti andava... Se non hai
altri impegni,
ovvio!... Di uscire con me?» No no
‘uscire’, detto così, è
troppo impegnativo... «Di venire a cena?»
La voglio davvero portare a cena la prima
sera? Non so neppure cosa le piace mangiare... Sarà una di
quelle ragazze
vegetariane che pesano per grammo tutto ciò che ingurgitano?
Non poteva andare da lei con un mazzo
di fiori e chiederle semplicemente di uscire, così, dal
nulla - poteva essere
suo padre, accidenti! E se il suo invito le avesse messo i brividi? Se
fosse
passato per pedofilo? Non avrebbe sopportato di vedere
un’espressione di
disgusto sul viso solitamente sorridente di Persefone...
Grugnì, sentendosi sconfitto e
disperato, e si strofinò la faccia con una mano callosa. Mh.
Dovrei tagliare la barba...
Un rapido e familiare bussare alla
porta dell'ufficio gli portò via il fiato dai polmoni, e
quando la giovane
protagonista dei suoi più recenti pensieri apparve sulla
soglia Ade pregò ogni
santo del Paradiso che lei fosse appena arrivata e non avesse sentito
una sola
parola.
«Ehi, Ade! Andiamo a mangiare un
boccone? Mia cugina ha aperto una nuova caffetteria e le ho promesso
che sarei
passata...»
Beh, pensò Ade
afferrando chiavi e portafoglio dalla scrivania con fare scombussolato,
prima
di seguire la ragazza fuori, questo semplificava
notevolmente le cose.
*~*~*~*~*
Persefone aveva scoperto che Ade
abitava da solo in una villetta fuori paese, con l’unica
compagnia di un cane e
di un enorme terreno che occupava interamente il suo tempo libero.
E malgrado fosse sbagliato sotto tanti
punti di vista, la giovane giardiniera non poteva fare a meno di
sentirsi
sollevata all’idea che non ci fosse nessuna signora Ctonio ad
aspettarlo tutte
le sere davanti alla porta di casa con cena pronta e un sorriso sulle
labbra.
Non che le facesse piacere pensare ad Ade che finiva di lavorare per
tornare in
una casa vuota, però... preferiva non doversi sentire in
colpa se nelle sue
fantasie più segrete immaginava di essere lei, quella donna.
Tutto ciò che le restava da fare era
trovare un modo per scoprire se anche Ade la pensava come lei
– ma come
affrontare determinati discorsi quando entrambi trascorrevano le loro
giornate
tra fiori e lapidi? Dov’era il
romanticismo?
Persefone sbuffò rassegnata, finendo di
spazzare il viale dalle foglie secche e salutando con un mezzo sorriso
e un
cenno del capo un gruppo di tre signore che si avviavano
all’uscita
chiacchierando sottovoce.
Sbatté gli occhi con fare sorpreso
quando le vide avvicinarsi verso di lei con l’aria di chi
aveva una missione.
«Buongiorno», la salutò con voce
sorprendentemente vivace la più anziana, guardandola
attraverso le scure lenti
degli occhiali da sole. «Persefone, giusto? La nuova
giardiniera.»
«Ah, sì… buongiorno. Chiedo scusa, non
ho il piacere di conoscervi», rispose la ragazza da parte
sua, mettendo per un
attimo da parte la scopa.
«Oh, giusto, dove abbiamo lasciato le buone maniere? Io sono Cloto», fece quella che stava premuta in
mezzo, ogni
braccio stretto dalle altre due.
«Io Atropo», aggiunse la più alta, i
capelli raccolti in un inflessibile chignon.
«E io Lachesi», concluse la prima che
aveva parlato, allungando una mano libera a stringere quella di
Persefone.
«Siamo sorelle.»
«Ci faceva piacere presentarci visto
che probabilmente ci troverai qui spesso», riprese la
seconda, strizzando gli
occhi attraverso dei grossi occhiali da vista. «Quel caro
ragazzo di Ade è
troppo distratto per pensare a fare le presentazioni.»
«Oh, lo conoscete…?» Chiese, prima di
darsi mentalmente della stupida; ovvio che Ade era conosciuto, era il
becchino
per l’amor del Cielo, e quelle signore dovevano aver
partecipato a un notevole
numero di funerali.
«È nostro nipote!» Esclamò
Cloto con
tono palesemente orgoglioso.
«Di secondo grado, da parte di padre»,
specificò a mezza voce Lachesi.
«Tua madre ha quella splendida serra in
campagna, vero? Prima delle fattorie», affermò la
terza cambiando bruscamente
discorso, senza necessariamente farle una domanda.
«La conosciamo da quando era piccola
così! Salutacela tanto», fece la prima, senza
neppure dare il tempo alla
giovane di rispondere.
«Comunque, cara, siamo tanto contente
che il nostro Ade abbia trovato una così bella
ragazza», riprese Cloto,
sorridendole affettuosamente.
«Già, già, iniziavamo a perdere le
speranze», confermò Atropo.
«Oh! Ma io e Ade non stiamo insieme»,
si affrettò a chiarire gentilmente Persefone, seppure con
una breve fitta di
delusione.
Le tre sorelle si scambiarono delle
brevissime occhiate tra loro, prima di tornare ad osservare la ragazza
con dei
sorrisi maliziosi e occhiate allusive.
«Per ora, forse», concesse
misteriosamente la prima.
«Non resisteranno ancora a lungo»,
decretò decisa la terza.
«Era da tanto che non vedevo Ade
sorridere in quel modo», affermò sognante la
seconda.
Persefone non sapeva che dire, per cui
si limitò ad arrossire in silenzio. Dopotutto le era stato
insegnato che era
una forma di maleducazione contraddire delle persone più
anziane di lei, e
queste tre vecchiette erano tanto dolci e simpatiche che sembrava un
crimine
rovinare il loro piccolo sogno felice; e poi chissà, se
erano davvero tanto
convinte che tra lei e il loro nipote potesse nascere
qualcosa… Chi era lei per
obiettare?
*~*~*~*~*
Per il loro primo bacio Ade dovette a
malincuore ringraziare l'intromissione indiscreta della sua ex fiamma
del
liceo, adesso donna in carriera e recentemente divorziata, la sexy
quarantenne
Menta. Apparve nel cimitero la fredda mattina del 2 novembre, con un
lungo
cappotto nero, corti capelli di un rosso troppo vivido per essere
naturale e
occhi verdi circondati da ciglia pesantemente truccate di scuro che
sbatterono
in modo ostentatamente civettuolo in direzione di Ade. A giudicare da
ciò che
disse, stretta intorno al braccio dell’affascinante becchino,
la donna visitava
annualmente il cimitero il giorno dei Morti per portare un mazzo di
fiori al
padre, scomparso quindici anni prima; a giudicare invece
dall’espressione
rassegnata e vagamente sofferente di Ade, Persefone dedusse che
più che a
trovare il padre, la donna andasse a flirtare con lui.
La qual cosa non le piaceva
particolarmente, se doveva essere sincera con sé stessa.
Non le era piaciuto il modo in cui si
strusciava contro il lato destro di Ade – lato che di solito
l’uomo rivolgeva
sempre verso di lei, perché un giorno le aveva spiegato che
in passato gli
uomini usavano camminare tra la donna e la strada in modo da
proteggerla in
caso di carrozza imbizzarrita, e anche se Persefone aveva riso fino
alle
lacrime per il suo tono serio e compunto, perché che tipo di
pericolo poteva
mai esserci nel passeggiare in un cimitero?, in realtà non
aveva potuto fare a
meno di trovarlo incredibilmente adorabile – e non le era
piaciuto neppure lo
sguardo che continuava a lanciarle come a volerle dire sciò,
vai via, non vedi che io e lui dobbiamo recuperare il tempo perso
e rimembrare i begli anni del liceo che tu hai palesemente finito ieri?
Insomma, se Persefone avesse creduto in
quelle cose come sua madre, avrebbe di sicuro cercato di lanciarle un
malocchio.
Peccato che gli sguardi non potessero
uccidere.
Quella Menta la innervosiva come poche
altre persone erano capaci di fare, e Persefone si era dovuta
allontanare dalla
coppietta felice prima di fare un uso sbagliato delle cesoie; non
avrebbe
potuto conquistare Ade se fosse finita in prigione, dopotutto. Una
piccola
parte di lei sapeva che si stava comportando in modo ridicolo
– perché,
parliamoci chiaro, lei che diritto aveva di essere gelosa di Ade? Era
solo un
collega di lavoro – ma l’altra parte, quella
selvaggia e passionale che faceva
impazzire sua madre e le era costata numerose note disciplinari al
liceo, era
più che determinata a marcare il territorio, e
già le stava sussurrando cosa
fare.
Ade era disperato. Per pura educazione
non si era scrollato Menta di dosso – era comunque una
persona che conosceva da
più di vent’anni, e lui si vantava di saper
trattare le donne in modo cortese –
ma quando aveva visto l’occhiata apparentemente
disinteressata che Persefone
gli aveva rivolto prima di dargli le spalle e allontanarsi verso
qualche
aiuola, aveva seriamente avuto paura di essersi giocato le
già poche chance che
aveva con lei.
Certo, da una parte la reazione della
ragazza – palesemente ingelosita, se era ancora capace di
capire queste cose –
lo faceva ben sperare, rendendolo quasi ubriaco di eccitazione come un
adolescente in balia della sua prima cotta; dall’altra, lo
aveva gettato nella
disperazione. Persefone se ne era andata senza neppure dargli la
possibilità di
spiegarsi, e che diavolo!, non poteva
permettere a un simile fraintendimento di mandare all’aria
ogni possibilità di
avere una relazione con lei!
Per cui aveva il più gentilmente
possibile sciolto la stretta ferrea che Menta aveva intorno al suo
avambraccio,
ignorando l’irritante boccuccia rossa rivolta
all’ingiù che, senza dubbio,
l’aveva aiutata a conquistare pesci ben più
grossi di lui: non aveva dubbi,
infatti, riguardo al fatto che la presenza della donna lì
avesse a che fare con
il suo attuale divorzio – il terzo – e la sua
interessante abitudine di andare
da un uomo all’altro come le api sui fiori.
– Onestamente, poi, non comprendeva
l’ossessione che la donna aveva per lui: erano stati insieme
per appena tre
mesi in quinta liceo, com’è che questo lo aveva
condannato a una vita di
incontri fintamente casuali, tocchi più o meno graditi,
chiamate non risposte e
avances lampanti che andavano avanti sia che lei fosse libera o meno?
–
Ebbene, stavolta non sarebbe stato al
suo gioco. Si lasciò Menta alle spalle con un saluto educato
e ignorò il suo
gemito di disappunto, cercando invece di individuare Persefone con la
sua
salopette in jeans e il maglione color pesca che indossava al di sotto
e che si
intonava alla perfezione con la sua abbronzatura che andava
sfortunatamente via
via sbiadendo – nulla a che vedere con l’ostentata
e banale bellezza di Menta,
davvero.
Non la trovò subito, perché la ragazza
aveva deciso di rifugiarsi nel suo ufficio e quello fu davvero
l’ultimo posto
in cui Ade pensò di andare a cercarla. Era seduta al suo
posto dietro la
scrivania, con il cellulare in mano scorrendo probabilmente le due o
tre
chiamate senza risposta della madre che non aveva potuto prendere
perché stava
lavorando. Un piede picchiettava per terra, nervosamente, e la fronte
era
aggrottata in un modo che lui non aveva mai visto: sarebbe stato
corretto dire
che la ragazza era chiaramente infuriata.
Pochi attimi dopo il suo arrivo,
Persefone avvertì la sua presenza e sollevò lo
sguardo su di lui; la fronte le
si aggrottò ulteriormente, il naso si storse e la sua gola
produsse un curioso
e secco «Hn!» di dubbio significato.
Visto che lei non sembrava intenzionata
a dire altro, Ade prese la parola cercando di essere il più
gentile e delicato
possibile. «Stai bene?»
«Hn!» Ripeté lei, stavolta senza
neppure guardarlo. «Perché non dovrei stare
bene?»
Fu il turno di Ade di inarcare un
sopracciglio. Da quando si rispondeva a una domanda con
un’altra domanda?
«Dimmelo tu», insisté,
l’essenza stessa della sensibilità.
«Se è solo per questo che sei qui»,
rispose Persefone, gli occhi sempre fissi sullo schermo del suo
cellulare,
«Allora hai lasciato la tua amica da sola per
niente.»
Internamente, Ade si compiacque con sé
stesso per aver intuito che la sua Persefone era, in effetti, piuttosto
gelosa.
Ma ora, come dissipare i suoi timori?
«Menta se n’è andata», le
disse
brevemente, senza voler sprecare un altro pensiero per la donna e
completamente
intenzionato a dedicarsi a questo nuovo lato possessivo di Persefone.
Tuttavia, con la sua spiegazione aveva
solo ottenuto di farla irritare ancora di più.
«Hn!» Riprese infatti, facendo scorrere
il pollice su e giù sul touch-screen giocherellando con la
combinazione
segreta. «Quindi è per questo che sei
qui.»
Ade soffocò l’impulso di grugnire,
innervosito, e con le sue parole successive non si accorse di essersi
scavato,
perdonando il gioco di parole, la fossa da solo. «Eddai,
Persefone, adesso non
fare la bambina.»
«Bambina?» Ripeté lei con un sibilo,
sollevando finalmente gli occhi su di lui. «Bambina! Come
osi! Te la faccio
vedere io, la bambina!»
La dinamica precisa del movimento
seguente sfuggì a entrambi: tutto ciò di cui Ade
si rese conto fu il rumore
della sedia che grattava violentemente sul pavimento, le sottili dita
di
Persefone insinuatesi improvvisamente tra i suoi capelli, la forza di
una
spinta che lo attirò verso di lei, alla sua altezza, e poi
la sua bocca, quella
bocca sulla quale aveva fantasticato in tutti i modi negli ultimi mesi,
che
finalmente premette contro la sua.
Dire che era allibito sarebbe stato un
misero eufemismo, e non rendeva fino in fondo la portata dei sentimenti
che il
pover’uomo stava provando in quel momento. Rimase immobile a
lasciarsi
accarezzare e assaporare da quelle labbra dolci, morbide e fresche
senza ben
sapere dove mettere le mani – avrebbe osato interromperla per
chiederle cosa diavolo
stesse succedendo o si sarebbe consegnato a lei e l’avrebbe
lasciata fare fino
a quando non avesse avuto bisogno d’aria? Ma quando i piccoli
denti di
Persefone gli morsero delicatamente il labbro inferiore, pretendendo
una
qualche risposta da parte sua, e un delizioso gemito gli giunse alle
orecchie,
Ade comprese che ormai era dannato.
Al diavolo la differenza di età – al
diavolo Menta, e Demetra, e chiunque altro avesse osato frapporsi tra
loro!
Ade chiuse gli occhi, sollevò le mani a
circondare il volto di Persefone e prese gentilmente ma con feroce
determinazione controllo del bacio, beandosi dei gemiti che riusciva a
strapparle.
Oh, era in Paradiso.
*~*~*~*~*
A quel primo bacio ne era seguito subito
un altro, e un altro, e un altro ancora, finché Ade non
aveva dovuto sottoporsi
a una violenza fisica per abbandonare le labbra di Persefone e
mormorarle con
pochi ansiti un invito a cena, il primo da non-colleghi.
«Puzzi di menta», gli aveva
sussurrato poi lei con un luccichio divertito
negli occhi, prima di riprendere il discorso dove lo avevano lasciato
– sulle
labbra dell’altro.
Avevano poi resistito soltanto altri
tre appuntamenti, prima che Persefone invitasse Ade a salire nel suo
piccolo e
confortevole appartamento con la scusa di una tazza di
caffè; riuscirono a
malapena ad arrivare in camera da letto prima di strapparsi i vestiti
di dosso.
Al sesto Ade la portò a casa sua e le
fece conoscere Cerbero; Persefone si innamorò a prima vista
del grosso alano
nero che le era saltato addosso scodinzolando e sbavando non appena
aveva messo
un piede fuori dalla macchina. Aveva sempre desiderato un cane, ma
Demetra non
amava l’odore di cane bagnato dentro casa.
All’undicesimo appuntamento, che
corrispose con la vigilia di Natale, Ade le regalò un
girocollo d’oro con sei
piccoli rubini tagliati come chicchi di melograno, che Persefone
indossò con un
sorriso smagliante da quel momento in poi e non si tolse più.
Al sedicesimo appuntamento, perché Ade
non aveva intenzione di perdere altro tempo inutilmente quando era
chiaro come
il giorno ciò che voleva, le chiese di sposarlo. Persefone,
che aveva compreso
perfettamente la ragione della sua premura e che la trovava
terribilmente
tenera, lo baciò e disse sì.
*~*~*~*~*
Il giorno del matrimonio Demetra si
rifiutò di partecipare, preferendo rinchiudersi nella serra
e rivolgere tutta
la sua frustrazione e la rabbia che aveva accumulato da quando la
figlia aveva
iniziato a frequentare quel vecchio
pervertito – testuali parole – sulle
povere piante innocenti che avevano
l'unica colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, e
fece una
strage talmente grave di fiori che i fidati clienti della serra
dovettero
aspettare sei mesi prima di poter tornare ad acquistare da lei.
«Ah, non preoccuparti cara, le
passerà», le aveva detto con fare confortante la
zia Afrodite, facendo
tintinnare il suo bicchiere di spumante con quello della sposa.
«Anche tua
madre dovrà arrendersi alla bellezza di una simile storia
d'amore, mh», aveva
poi aggiunto con un occhiolino malizioso.
«Altro vino!» Aveva continuato ad
esclamare il cugino Bacco imperterrito, facendo accorrere in
continuazione i
camerieri al suo tavolo e ignorando le proteste della fidanzata Arianna
– «Non
credi di aver già bevuto abbastanza? Non hanno neppure
servito gli
antipasti...»
«Vorrei offrire alcune parole agli
sposi...» Aveva cercato di intervenire la zia Atena tra una
portata e l'altra,
ma arrendendosi dopo la terza volta in cui era stata palesemente
ignorata e
appallottolando il foglio con il suo discorso.
«Guai a voi, anime prave!» Aveva
grugnito ferocemente nonno Caronte, aggrottando i suoi occhi rossi da
congiuntivite galoppante per impedire ai camerieri di portar via il suo
piatto
prima che avesse finito di fare la scarpetta. Unico parente materno di
Ade, il
nonno aveva insistito per avere il piacere di guidare la sua vecchia
auto
d’epoca – un’elegante Bentley grigia
metallizzata – e condurre la sposa in
chiesa. Aveva messo il muso per tutto il tempo, poi, quando avevano
raggiunto
il ristorante – avrebbe preferito forse non essere seduto tra
quelle tre
pettegole delle sorelle Moire.
«Allora, andrete in viaggio di nozze?»
Domandò la nonna Gea con tono interessato nella pausa tra la
prima e la seconda
portata – era stata lei, insieme alla figlia Era, ad aiutare
Persefone
nell’organizzare il matrimonio, visto che la madre della
sposa aveva deciso di
non contribuire.
«Non c’è niente di meglio di una bella
crociera, ve lo dico io. Solo mare cristallino, cielo e sole per miglia
e
miglia», tuonò lo zio Poseidone, che non poteva
davvero dire altro dato che lui
ci lavorava, su una nave da crociera.
Persefone scrollò le spalle. «Veramente
non abbiamo ancora deciso…»
«Vanno di moda i Caraibi, quest’anno»,
decise di intervenire zia Era, sorella in primo grado di Demetra, che
ai
Caraibi c’era stata pochi mesi prima con il marito come
peraltro indicava la
sua feroce abbronzatura.
«I Caraibi andranno sempre di moda»,
sospirò Afrodite, concordando.
«L’idea del mare non ci ispira
particolarmente», fece notare con delicatezza Ade, ma essendo
lo sposo nessuno
gli diede molta retta.
«Se andate in uno di quei posti strani,
ricordatevi di fare i vaccini», si intromise lo zio Apollo,
che dall’alto della
sua laurea in medicina non poteva fare a meno di dare il suo contributo
professionale alla conversazione.
«Non mi sembra che Persy sia pronta per
la prova costume», affermò malignamente la cugina
Eris, e in quel momento tutti
si chiesero perché era stata invitata.
«Oh santo cielo, cara, sei già
incinta?» Esclamò eccitata l’arzilla
prozia Ilizia, che all’idea di assistere
all’ennesima nascita in famiglia già si sfregava
le mani.
«No! Zia, cosa dici», balbettò la sposa
imbarazzata, facendo guizzare gli occhi da una parte
all’altra alla ricerca di
un qualsiasi aiuto.
«Beh, tesoro mio, non stai di certo
ringiovanendo», replicò per nulla mortificata la
suddetta prozia. «Alla tua età
Afrodite aveva già avuto Eros, lo sai, no?»
«Via, non mettiamole fretta adesso»,
ribatté frettolosamente la donna in questione, che non
teneva in modo
particolare che la sua vita sessuale – e corrispettive
scappatelle – venissero
divulgate al matrimonio della nipote.
«Eros non è quello che ti ha palpato il
sedere durante le fotografie di gruppo?» Sussurrò
Ade all’orecchio della
moglie, approfittando della distrazione del resto degli ospiti.
Persefone si voltò verso di lui con
un’espressione inorridita. «Cosa? Credevo fossi tu!»
«Ba-cio! Ba-cio! Ba-cio!» Prese a
scandire ad alta voce il suddetto Eros intuendo il pericolo, battendo
le mani a
tempo e venendo ben presto seguito a ruota dal patrigno Efesto, dal
cugino Ares
e praticamente da quasi tutti gli altri invitati maschili del
matrimonio –
tranne il nonno Caronte, che invece di partecipare ai festeggiamenti si
ostinava a volersi far portare dai poveri camerieri un secondo bis
delle
lasagne che tanto aveva apprezzato.
*~*~*~*~*
Demetra non parlò con la figlia per
tutti i sei mesi seguenti, fin quando Persefone, esasperata dal
comportamento
infantile della madre, non si presentò a casa sua per
annunciarle di essere
incinta. La povera donna pianse, rise, pianse di nuovo e
abbracciò la figlia,
decidendo che forse in fondo era il caso di conoscere il suo nuovo
genero.
Ade tollerò stoicamente e con
impeccabile cortesia l’incontro successivo, se si considerava
che la suocera lo
aveva insultato sin da prima di conoscerlo e che aveva mancato di
rispetto a
entrambi non presentandosi al loro matrimonio; decise dunque in quel
momento
che gli sarebbe andato più che bene se le visite alla
suocera si fossero
limitate a due l’anno.
E, a
giudicare dall’occhiata
supplichevole che Persefone gli rivolse dall’altro lato del
divano, soffocata
dalle moine della madre e costretta a sorbire l’ennesima
lettura su come
nutrirsi e cosa evitare durante la gravidanza, anche sua moglie la
pensava allo
stesso modo.
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Sì, la fine
è un tantino affrettata. Me ne rendo conto. Ma questa storia
non è in lista per il Nobel, quindi deal with it! Ah, e
grazie per averla letta fin qui, davvero, non vi merito, siete troppo
cari et dolci et gentili ♥ Ci si legge alla prossima! Un
abbraccio dalla vostra
Niglia.
Niglia.