Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Kary91    27/06/2015    4 recensioni
[One-Shot| Post-saga| Johanna Mason & Bimbo Odair]
“Come avete fatto tu e papà a conoscervi, zietta?”
“Mi chiamo Johanna, non zietta” puntualizzò la donna, ravvivandosi la cresta di capelli castani, tagliati alla maschietta. “Non è una storia per bambini” aggiunse poi.
Sebastian prese a mordicchiarsi un labbro.
“Vorrei ascoltarla lo stesso” insistette, facendo spallucce. “Sai, la mamma dice che sembro grande per avere sette anni.”
“Tua madre mi griderebbe dietro di tutto se venisse a scoprire che te ne ho parlato.”
“Non credo…” rispose Sebastian, aggrottando pensieroso la sopracciglia. “… La mamma non grida quasi mai e poi le piace quando le persone mi raccontano di papà.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bimbo Cresta-Odair, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Peter Pan del Distretto 4.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa. Questa storia è stata scritta per il Drabble Weekend del periodo 22-24 maggio indetto dal gruppo We are Out for Prompts con il promptJohanna/figlioletto di Annie & Finnick - "Come avete fatto tu e papà a conoscervi, zietta?" lasciatomi da Pevensie. La storia partecipa anche alla challengeIl banco dei prompt” di Eireen_23 con il promptMemoria” e alla challenge “Ready, set, prompt!” indetta dal gruppo Facebook The Capitol con il promptUn saluto per le telecamere”.

(Finnick) Sebastian Odair è il figlio di Annie e Finnick e Johanna è la sua madrina.

 

Un saluto per le telecamere.

collagedd

 

 

Il mare scivolava irrequieto fino a riva, mescolandosi ai castelli di sabbia abbandonati di fronte a loro.

Sebastian sedeva a debita distanza dall’acqua: sapeva bene di dover scendere a compromessi, per convincere la sua madrina ad accompagnarlo in spiaggia.

Johanna, infatti, detestava l’acqua in ogni sua forma. Detestava avvicinarsi troppo alla riva e non si faceva problemi a imprecare contro i ragazzini che schizzavano o le davano una bella innaffiata mentre correvano verso i genitori, ancora fradici di acqua di mare.

Durante i pomeriggi trascorsi assieme alla donna, Sebastian divideva il tempo in due: la prima parte di pomeriggio la trascorreva facendo il bagno e facendo a gara con le onde per vedere chi correva più veloce. La seconda, preferiva invece passarla seduto sulla spiaggia di fianco alla sua madrina. Insieme, osservavano gli altri ragazzini che giocavano assieme ai genitori o ai fratelli, o gli adolescenti che si sfidavano a gare di surf.

Spesso, Sebastian azzardava domande di un certo peso, ben sapendo che Johanna gli avrebbe risposto con nient’altro che la verità, a differenza della maggior parte degli adulti. Il più delle volte, di fronte a quegli interrogativi, la donna sbuffava o alzava gli occhi al cielo – o tutte e due le cose assieme – e borbottava fra sé, lamentando il suo essere così impiccione. Tuttavia, prima o poi, finiva sempre per rispondergli. Faceva finta di fare l’antipatica, Johanna, ma il bambino sapeva benissimo che la madrina era contenta di averlo intorno. Solo, non le piaceva darlo a vedere.

Quel pomeriggio, Sebastian si era preparato una nuova domanda importante. Stava giocando con la sabbia, filtrandola attraverso gli spiragli fra le sue dita, quando si voltò verso la donna e inclinò il capo verso sinistra, come faceva spesso quando era sul punto di chiedere qualcosa.

“Come avete fatto tu e papà a conoscervi, zietta?”

Aggiunse quello zietta ben sapendo che così facendo, l’avrebbe irritata. E, difatti, la donna lo freddò con lo sguardo e incominciò a borbottare, strappando un sorriso divertito al ragazzino.

“Mi chiamo Johanna, non zietta” puntualizzò, ravvivandosi la cresta di capelli castani, tagliati alla maschietta. “Non è una storia per bambini” aggiunse poi.

Sebastian prese a mordicchiarsi un labbro.

“Vorrei ascoltarla lo stesso” insistette, facendo spallucce. “Sai, la mamma dice che sembro grande per avere sette anni.”

“Tua madre mi griderebbe dietro di tutto se venisse a scoprire che te ne ho parlato.”

“Non credo…” rispose Sebastian, aggrottando pensieroso la sopracciglia. “… La mamma non grida quasi mai e poi le piace quando le persone mi raccontano di papà.”

La donna sbuffò una seconda volta; frugò nella sabbia e recuperò un sassolino delle dimensioni di un polpastrello di Sebastian. Se lo fece rimbalzare un paio di volte nella mano e infine lo scagliò in direzione del madre.

“E va bene” borbottò, sdraiandosi sui gomiti. “Sai che cosa sono gli Hunger Games?”

Lo stava fissando con intensità, adesso. Il bambino annuì lentamente e il suo sguardo si fece meno vispo.

“Ce ne hanno parlato a scuola. Mamma e papà ci hanno partecipato da ragazzini e anche tu” aggiunse, distogliendo imbarazzato lo sguardo.

Johanna annuì.

“Beh, è per via degli Hunger Games che conobbi tuo padre” proseguì la donna dopo un po’. “Accadde durante il mio primo anno in quell’inferno, avevo diciassette anni. Tuo padre qualcuno di più. Lui era già diventato Mentore, io ero una novellina.”

“Intendi dire che eri un tributo?” azzardò il ragazzino, fasciandosi i piedi con le mani.

La donna fece di nuovo sì con la testa.

“Ero appena scesa dal treno per raggiungere il palazzo di addestramento, che già mi ero trovata circondata dai capitolini” proseguì, facendo una smorfia. “Continuavano a starmi addosso, strillavano manco avessero appena visto qualcosa di strabiliante, tipo un elefante che volava, e dei tizi non facevano altro che puntarmi addosso le loro macchinette. ‘Un saluto per le telecamere!’ Mi dicevano, quasi stessi andando a una sfilata di moda, più che al patibolo. Io, una ragazzetta dall’aria incazzata e i vestiti che puzzavano perché si moriva di caldo e sudavo come un ghiacciolo infilato nel forno…”

Sebastian ascoltava attento, nonostante ogni tanto facesse fatica a seguire il discorso della donna. Tuttavia, era proprio quello il motivo per cui gli piaceva così tanto parlare con Johanna. Lei non si rivolgeva al ragazzino come facevano gli altri grandi; gli parlava come avrebbe parlato a un adulto qualsiasi, del tutto dimentiche dei sette anni del bambino.

“… E comunque, questi continuavano a chiedermi di sorridere alle telecamere, quando tutto quello che avrei voluto fare era mostrargli il dito medio ed entrare. Non lo feci solo perché qualcuno – non so nemmeno chi, forse Blight, forse Keith[1] – mi teneva per un braccio. Ma di sorridere non se ne parlava nemmeno. Mi tenni il mio muso, fregandomene delle occhiatacce dell’accompagnatrice. Fu in quel momento che arrivò tuo padre…”

Johanna si interruppe e smise di fissare il mare, per rivolgersi al bambino. Sorrise, ironia e amarezza a contendersi il suo volto.

“Anche lui e i suoi del Quattro erano appena scesi dal treno. Solo che, al contrario mio, erano tutti sorrisi e moine verso quei rincretiniti che ci circondavano. Ricordo di aver guardato tuo padre dritto negli occhi nella speranza di incenerirlo con la sola forza dello sguardo.”

Intercettò l’espressione perplessa del bambino e, con un ghigno, gli diede una gomitata.

“Che hai da guardarmi così? Tanto non funzionò. Lui non si lasciò turbare dalle occhiatacce e mi venne incontro bello sorridente. E a quel punto fece una cosa che probabilmente nessun mentore aveva mai fatto prima…”

Lasciò in sospeso la frase, beandosi del modo in cui il figlioccio era teso con impazienza verso di lei, in attesa di sentire il seguito.

“… Mi mise un braccio sulle spalle come se fossimo vecchi amici e chiese ai tizi con le telecamere di riprenderci. Incominciò a blaterare qualcosa sul quanto fosse interessante conoscere di anno in anno gente nuova da ogni parte di Panem, grazie agli Hunger Games. Finse di apprezzare quella follia in cui eravamo rinchiusi, per ingraziarsi il pubblico come aveva sempre fatto. Io lo odiai, in quel momento, Sebastian. Lo odiai, veramente tanto.”

Fissò con intensità il bambino, che distolse lo sguardo, quasi la donna stesse parlando di lui piuttosto che del padre.

“Ma poi Finnick mi sussurrò qualcosa all’orecchio. Mi chiese se avessi voglia di tornare a casa e se ci fosse una famiglia – genitori, dei fratelli – ad aspettarmi. Mi disse che se volevo riabbracciarli, se volevo arraffarmi anche una sola, misera possibilità di riuscire a farlo, allora dovevo sorridere a quelle dannate telecamere. Dovevo sorridere a quegli invasati sadici dei capitolini e pure al presidente, che probabilmente mi stava spiando bello accoccolato come un pascià su qualche poltrona, seduto di fronte a un televisore. Più tardi, al sicuro nella mia stanza, avrei potuto mandare a quel paese tutti quegli idioti e perfino lui, ma in quel momento dovevo fare buon viso a cattivo gioco. Ed io lo feci.”

Si fermò si nuovo, abbozzando un secondo sorriso. Più nostalgico e triste, rispetto al precedente. Eppure anche più vero, in un certo senso.

“Mi misi a sorridere a tutti e a salutare qua e là con il braccio di tuo padre ancora sulle mie spalle. E bada bene, Sebastian, che io già da allora me ne infischiavo degli ordini. Tuo padre, però, aveva fatto qualcosa di rischioso nell’avvicinarsi a una mocciosa di un altro Distretto, per questo mi sentivo in dovere di ascoltare i suoi consigli. Capii che stava cercando di salvarmi la vita, lui che non era nemmeno il mio mentore. E forse lo fece.”

Smise di parlare, distogliendo lo sguardo da Sebastian. Non era più sdraiata a terra, ma si stringeva le ginocchia al petto, gli occhi concentrati sulle onde più lontane.

“Ed eccoti accontentato” concluse. “Adesso sai come ho conosciuto tuo padre.”

Il bambino rimase in silenzio per qualche istante, rimuginando sul racconto della madrina.

“Sono contento…” azzardò dopo un po’, appoggiando una mano sulla schiena della donna. “… Sono contento che tu e papà eravate amici. Altrimenti io e la mamma non ti avremmo mai conosciuto.”

Johanna annuì, ma continuò a non dire nulla. Il sorriso se ne era andato, portandosi dietro il solito piglio sarcastico. Adesso la sua espressione era ferma, indecifrabile.

Jo…” Sebastian si mise a gambe incrociate e le rivolse un’occhiata esitante. “… È per via degli Hunger Games che hai paura dell’acqua?”

La donna scosse la testa.

“No: quella è venuta dopo.”

Il bambino tentennò per qualche istante, prima di azzardare una nuova richiesta.

“Che cosa era successo?”

La donna tornò a sbuffare e si alzò da terra.

“Questa è ancor meno una storia per mocciosi” dichiarò secca, spolverandosi le gambe sporche di sabbia.  “Te la racconterò quando saprai quantomeno allacciarti le scarpe.”

“So già allacciarmi le scarpe!” replicò il ragazzino, scattando in piedi a sua volta.

Johanna si strinse nelle spalle.

“Te la racconterò quando saprai maneggiare un’ascia in maniera decente, allora” concesse, recuperando il solito ghigno canzonatorio.

Il bambino alzò gli occhi al cielo.

“Ma questo è sleale! La mamma non mi fa nemmeno toccare il tridente di papà!” si lamentò.

Il sorriso della donna si allargò.

“Ma la mamma non verrà mai a sapere che hai preso in mano un’ascia se tu terrai la bocca chiusa, no?”

Il bambino esitò, imbarazzato al pensiero di ciò che gli stava suggerendo Johanna: non gli piaceva mentire a sua madre.

Tuttavia, dopo qualche secondo, gli scappò da sorridere.

“Sì” mormorò all’improvviso, prendendo la mano di Johanna. “Sono proprio contento che papà di abbia ‘forse’ salvato la vita, quella volta.”

E, con sua grande sorpresa, anche la donna ricambiò il suo sorriso.

______________________

 

Questa storia fa parte della serie “Il Peter Pan del Distretto 4”, incentrata sulla famiglia Odair.



[1] Keith Wood è un OC dell’autrice Alaska__ e nel nostro head-canon condiviso è stato uno dei mentori di Johanna.

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Kary91