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Autore: akira uzumaki    27/06/2015    13 recensioni
Aveva ripreso a vivere, anche senza quegli occhi blu al suo fianco.
Non era stato facile riabituarsi a fare una cazzata senza avere l’espressione crucciata dell’altro a persuaderlo di rinunciare.
Non riusciva più ad esagerare coi glitter, quando non c’era più lui a soffiarli via.
Non sapeva più trovare doppi sensi anche in una scatola di fazzoletti, senza la faccia imbarazzata e scandalizzata di Alec davanti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Cercando il tuo azzurro"



Magnus sedeva sulle assi sconnesse di un vecchio pontile lungo la costa della Cornovaglia, le gambe che si agitavano, distrattamente, nel vuoto, gli occhi persi nel blu dell’oceano. Lo scrutavano, smarriti, ricercando, tra le tante increspature ed onde, trai tanti punti su cui il sole batteva con angolazioni diverse, una particolare sfumatura, un guizzo di azzurro più azzurro degli altri, sperando di trovare quel colore, che era tanto consapevole di non poter cogliere in nessun luogo, ormai.
Erano passati cinque anni esatti da quando aveva visto quell’azzurro intenso per l’ultima volta.
Cinque anni da quando due palpebre stanche si erano chiuse su quel colore tanto perfetto, per sempre.
Faceva male. Continuava a farlo.
Magnus chiuse gli occhi, stringendo forte, imponendo il buio ai suoi occhi.
E in quel buio si fece avanti le piccole gemme appena spuntate sui rami degli alberi fuori da una delle finestre di un cottage su quelle coste, in Cornovaglia. Si fece avanti un sole non ancora sorto del tutto, un letto con le lenzuola sfatte e con una poltrona lì accanto. Il blu che altrove non riusciva a trovare.
Era sempre così, bastava chiudere gli occhi e tutto tornava. Vivido come se ci fosse di nuovo dentro, doloroso come se non fosse mai passato un istante.
Si dice che il tempo cura tutto, cancella il dolore. Lui stesso lo aveva detto, con una malinconia velata volutamente da autocompiacimento. Aveva amato mortali, li aveva visti morire tra le sue braccia, ed aveva sofferto a lungo, piangendo in silenzio il lato vuoto del letto. Aveva vissuto abbastanza perdite per capire che l’immortalità spesso è più una condanna che un regalo. Ma aveva comunque dimenticato, prima o dopo. Il dolore si era spento, pian piano, fino a che un giorno non si svegliava, e scopriva che guardare indietro non faceva poi così male. Si era sentito forte, allora. Sapeva che qualunque sofferenza, qualunque perdita, sarebbe stata superata, prima o dopo. Poi incontrò Alexander Lightwood.
Sapeva che cinque anni erano comunque pochi, che il dolore e la perdita erano ancora troppo vivi, che era presto per parlare, ma sapeva anche che quello che provava su quel pontile, con le gambe fuori dal bordo, era identico a quello che aveva sentito su quella poltrona esattamente cinque anni prima, e sarebbe stato uguale ogni altra volta, in futuro.
Erano i primi di gennaio, quando Alec chiese a Magnus di portarlo via, lontano.
Era malato ormai da tempo, e sapeva che non mancava poi così tanto.
Aveva chiesto di restare solo con lui, lontano da New York, dall’istituto, da ciò che era stata la sua vita.
Magnus aveva capito, e con un sorriso amaro aveva semplicemente aperto un portale, guidando il suo Alec in un piccolo cottage sulle coste della Cornovaglia.
Alec era sempre stato gentile, premuroso –anche troppo, aveva sempre pensato- , e sapeva quanto avrebbe fatto male agli altri, vederlo morire.
Lo sapeva, perché aveva vissuto la morte di Jace lui stesso. Aveva sentito il legame, durato tanti e tanti anni, spezzarsi. Aveva visto sua sorella, Izzy, coi lunghi capelli bianchi legati in uno chignon, piegarsi sul letto del fratello che aveva accolto fin da piccola, urlando per la frustrazione ed il dolore. Aveva visto il vuoto degli occhi di Clary, incapaci ormai di piangere, fissare ciò che una volta era stato il suo tutto. Ed il dolore scolpito sul viso dei figli, dei figli di Isabelle e Simon, e di tutti i nipoti.
Aveva visto tutto quel dolore, e non voleva che si ripetesse. Non per lui.
Magnus lo aveva capito, come ormai aveva imparato a capire il nephilim, dopo tanti anni insieme.
Alec era rimasto con lui per tutta la sua vita. Magnus era stato il suo primo bacio, ed il suo ultimo. Era stato colui che lo aveva riscosso, che gli aveva mostrato che l’amore vero è molto più dell’amore platonico. Era stato l’unico uomo che mai avesse amato. Era stato la più grande pazzia di Alec, e, ne era consapevole, in alcuni momenti anche la sua dannazione.
Perché certo, c’erano state liti. Ed era stato giusto così, Magnus lo sapeva.
Come sapeva che aveva sempre avuto ragione, come quella volta che Alec si mise a sbraitare perché il loro bambino, il piccolo stregone dalla pelle blu che avevano adottato e cresciuto insieme, era completamente ricoperto di glitter. Fu una lunga litigata, alla fine della quale lo stregone dovette cedere, rinunciando al bagno nella vasca di glitter per il piccolino.
Alec, nei suoi ultimi giorni, non aveva voluto vicino neanche loro figlio.
Aveva salutato tutti, una mattina, nella sua stanza del monolocale di Magnus, dicendo di partire con lo stregone per una vacanza.
Tutti sapevano che quella era l’ultima volta che lo vedevano, ma si finsero felici alla notizia, decidendo di rispettare la decisione presa dal nephilim.
Magnus non avrebbe mai scordato lo sguardo che gli lanciò Isabelle, mentre abbracciava Alec. Era appoggiato alla parete, le braccia conserte e gli occhi bassi. Si sforzava di tenere un’espressione sobria e neutra, per Alec, sebbene dentro si sentisse martoriato. Ma quando i suoi occhi si incrociarono con quelli neri di Isabelle, che con il tempo non avevano perso l’intensità del colore, si era sentito crollare. Erano entrambi consapevoli di ciò che stava succedendo, ma si sforzavano di non accettarlo, di non ritenerlo ragionevolmente possibile. Negli occhi di Isabelle lesse, in pochi istanti, quella muta richiesta.
Sapeva che, sebbene il dolore sarebbe stato enorme, lei avrebbero dovuto saperlo subito.
Se ne erano andati con un portale, ed avevano passato le giornate insieme, come avevano sempre fatto, lontani da demoni o commissioni.
Facevano lunghe passeggiate lungo le coste deserte, al pomeriggio, dove solevano stare in silenzio, mano nella mano, uno di fianco all’altro, dicendosi tutto ciò di cui avevano bisogno in pochi sguardi. 
Le passeggiate si facevano, ogni giorno, più corte, fino a che, più di una volta, aveva dovuto riportarlo a casa tenendolo in braccio, mentre gli occhi di Alec lo guardavano, mortificato.
Odiava quello sguardo, che testimoniava come Alec finisse spesso per sentirsi un peso, in quegli ultimi anni.
Ma lui non lo era mai stato. Non sarebbe mai stato possibile. Ogni cosa che faceva per lui lo faceva stare meglio. Ed il passare del tempo non aveva cambiato niente per lui. Non importava se non riuscissero più a fare l’amore. Non importavano le rughe disseminate su tutto il suo viso, od i capelli bianchi, o la scomparsa degli addominali che aveva tanto amato.
 Magnus amava Alec, lo amava più di quanto avrebbe mai pensato di poter fare, almeno le prime volte in cui avevano iniziato ad uscire.
Ed avevano parlato proprio di quello, nelle lunghe giornate che passavano stesi nel letto, la testa di Alec sul petto di Magnus. Avevano ricordato la loro vita insieme.
Di una festa un po’ troppo affollata, e di canzoni equivoche in metropolitana. Di un furgone che galleggiava in mezzo al fiume, di mani intrecciate, che avrebbero capito soltanto dopo quanto fossero dopo essere fatte per stare insieme. Parlarono di un bacio nella sala degli accordi, e di uno strampalato viaggio in giro per il mondo –Magnus era sicuro di avere ancora quelle foto, da qualche parte-. Si ricordarono di Camille, della crisi che avevano passato. Del dolore di entrambi nello stare separati, e di una dimensione demoniaca, in cui si erano perdonati, perché tutto diventava più facile, quando si stava per morire.
Alec tirò fuori un taccuino, ormai consumato dal tempo e dal prolungato utilizzo, ed iniziarono a rileggere, tra le forti risate dello stregone e quelle più sommesse del cacciatore.  Dentro vi erano conservate anche le foto del loro matrimonio, Magnus impeccabile, nel suo smoking con cravatta viola –anche se Alec aveva sempre pensato che avesse esagerato col gel, quella volta-, Alec con il nodo della cravatta mezzo storto ed i capelli scompigliati.
Conservavano foto del piccolo stregone, tra le braccia di Alec, mentre Magnus attirava la sua attenzione con colorate scintille, e tante foto di viaggi, che i due, impegni permettendo, avevano sempre amato fare.
Passarono dei mesi felici, in Cornovaglia, Magnus doveva ammetterlo.
Quella felicità però mai del tutto completa. La consapevolezza era da entrambe le parti, sebbene ci si fingesse che lo scarso appetito fosse soltanto una cosa dovuta al cambio di stagione, e che la continua stanchezza fosse dovuta alla primavera in arrivo.
Lo stregone, ancora seduto su quel pontile della Cornovaglia, ad occhi chiusi, rivisse uno dei momenti peggiori, quando una mattina Alec, svegliato da un suo lieve bacio, aveva aperto gli occhi e, dopo qualche istante aveva sussurrato “Magnus... Magnus, io non ti vedo”. Ricordò il dolore enorme, il senso di vuoto, provocato da quelle parole.
Bisbigliò qualcosa a proposito del cambiamento di luce, dichiarando che fosse tutto normale, che la vista sarebbe tornata presto, ma Alec scosse la testa, sorridendo appena.
“Mag..Magnus” la sua voce si faceva sempre più flebile “Magnus basta, lo sappiamo entrambi”.
Ed allora lo stregone si lasciò andare in un pianto vero, che voleva liberare da tempo. Lacrime calde bagnavano le sue guance abbronzate, mentre lui sospirava appena “Alec.. mio Alec”.
Il nephilim allora trovò a tentoni la sua mano, stringendola con forza, e sussurrando “Magnus, prendi la mia forza. Io, io sto bene, sono felice. Prendi la mia forza, ed accettalo, come faccio io”.
E lui lo fece. Sembrava orribile, prendere la forza da un moribondo, ma lo fece, perché amava sentire la forza dell’altro fluire in lui, aveva bisogno di lui, che lo confortava anche quando era lui stesso il primo a dover confortare.
Fu appena pochi giorni dopo che Alec chiamò Magnus, la mattina presto. Aveva iniziato a dormire sulla poltrona, lasciando all’altro l’intero letto a disposizione, nel suo sonno agitato. Si svegliò, con la mano di Alec sul braccio, mentre l’altro bisbigliava “Magnus, Magnus voglio dirti addio, Magnus, me ne sto andando”.
Si riscosse, tirandosi immediatamente su. Strinse forte la mano dell’altro, chinandosi su di lui e baciandogli la fronte. “Ssh Alec. Non dire così. E’ tutto ok, resterai qui ancora un po’ “.
Sapeva quanto fossero false, quelle parole. Sapeva che era arrivato il momento che tanto negli anni aveva temuto, che tanto gli aveva fatto desiderare di perdere l’ immortalità.
Alec stava morendo, tra le sue braccia, e lui lo stringeva impotente, col cuore a pezzi.
Si baciarono, in silenzio. Un semplice contatto, labbra contro labbra, restando così a lungo. Le labbra di Magnus si dischiusero soltanto dopo alcuni minuti, sussurrando su quelle dell’altro: “Ti amo Alec, non mi dimenticherò mai di te”.
Alec sorrise, aprendo gli occhi. E quel sorriso accese tutto il suo viso.
E Magnus non vide rughe, non vide capelli bianchi o solchi. Rivide il giovane di tanti anni prima, apparso nel suo appartamento, con le guance imporporate, chiedendo un appuntamento.
“Anche.. Anche io ti amo. Mi andava di dirlo, ancora una volta” passò una mano trai capelli dello stregone, che da quando erano lì non avevano più punte, ma erano semplicemente lisci, sulle spalle. “La prossima volta, la prossima volta faresti meglio a innamorarti di qualcuno immortale sai?”.
Sorrise di nuovo, e chiuse gli occhi, chiudendo per sempre al mondo la possibilità di vedere la perfezione dell’azzurro racchiuso in essi.
“Stupido nephilim” ebbe la forza di sussurrare, dominato. “Non ci sarà una prossima volta, lo sai”.
Non era più tornato a New York. Faceva troppo male. Aveva avvisato Isabelle, ma non aveva avuto il coraggio di vederla. Venne a sapere, due anni dopo, che se ne era andata anche lei, appena due settimane dopo il suo Simon.
Aveva viaggiato tanto, in quegli anni.
Non si era fermato, perché sapeva che, se si fosse fermato, non sarebbe più stato in grado di ripartire.
Aveva incontrato il figlio, diverse volte, ed insieme avevano ricordato Alec, le sue maglie consumate e la sua aria autoritaria e gentile.
Aveva ripreso a vivere, anche senza quegli occhi blu al suo fianco.
Non era stato facile riabituarsi a fare una cazzata senza avere l’espressione crucciata dell’altro a persuaderlo di rinunciare.
Non riusciva più ad esagerare coi glitter, quando non c’era più lui a soffiarli via.
Non sapeva più trovare doppi sensi anche in una scatola di fazzoletti, senza la faccia imbarazzata e scandalizzata di Alec davanti.
Non era stato facile, ma aveva ricominciato ad andare avanti, nonostante il dolore, la mancanza, sempre costanti e mai diminuiti.
Era il tramonto ormai, quando sentì dei passi alle sue spalle. Solo lei sapeva che era lì, quel giorno.
Soltanto lei, che sapeva che cosa stesse provando. Che ci era passata, ormai due volte.
Tessa posò una mano sopra la sua spalla, e Magnus alzò lo sguardo, incontrando il sorriso di lei, che veniva però tradito da due occhi rossi, gonfi di pianto.
Si abbracciarono, a lungo, su quel pontile, fino a quando Tessa non lo convinse a rientrare, utilizzando il portale da lei creato. Magnus annuì, seguendola.
Si girò all’ultimo, lanciando l’ultimo sguardo al mare.
E per un istante, quasi un allucinazione, gli parve di trovarlo, quel blu.
Scomparve subito, ma bastò per accendere un flebile sorriso sulle sue labbra.
Raggiunse Tessa e saltò dentro al portale, con il cuore appena più leggero.

“L'ho sempre saputo, fin da quando ero bambino: la vita ci ferisce, tutti quanti. E non c'è modo di sottrarsi ai suoi colpi. Ma ora sto imparando un'altra cosa: possiamo guarire, se ci curiamo a vicenda.” (*)
 




(*) Citazione da Allegiant, di Veronica Roth
 
Note dell'autrice
Che dire.. fa male, ma avevo bisogno di scriverla.
Mi sono sempre immaginata questo momento, negando però a me stessa che sarebbe arrivato.
Non mi dilungo, è meglio.
Però ecco, se avete consigli, pareri, se volete solo uccidermi ed insultarmi, mi farebbe piacere ricevere una recensi
one.
Tanti baci glitterosi a tutti,
Ave atque vale


 
   
 
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