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Autore: Tury    27/06/2015    7 recensioni
Regina chiuse per un attimo gli occhi, sospirando e chiedendosi per quale assurdo motivo stava tornando in quella città che era stata testimone della sua conquista della felicità e della sua prevedibile e irrimediabile perdita, rendendole ancora una volta palese quanto fosse impossibile, per lei, auspicare ad un lieto fine. Poi ricordò la chiamata di Granny, la sua voce incolore che le comunicava che il sindaco Swan aveva avuto un incidente.
[SWANQUEEN]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una Mercedes nera sfrecciava veloce sulle strade tortuose e deserte che costeggiavano quell'isolata altura. Non si udiva nulla, in quella vegetazione incontaminata, né il canto dei grilli, né il cinguettare delle rondini in primavera. Solo silenzio, un silenzio tangibile e opprimente. Un silenzio che pesava sull'animo irrequieto di Regina, su quei pensieri che affollavano la sua mente, rendendola schiava di quelle emozioni che credeva ormai sepolte. Erano passati tre anni dall'ultima volta che aveva percorso quelle strade, strade che, credeva, non avrebbe mai più rivisto. Eppure era lì, nella sua Mercedes, diretta verso quella cittadina che, un tempo, avrebbe definito come propria. Ma nulla le apparteneva più, ormai, di quel luogo. Regina Mills si stava dirigendo verso Storybrooke e, per quanto doloroso fosse ammetterlo, Storybrooke non era più la sua casa. Non lo era più da tre lunghi anni. Regina chiuse per un attimo gli occhi, sospirando e chiedendosi per quale assurdo motivo stava tornando in quella città che era stata testimone della sua conquista della felicità e della sua prevedibile e irrimediabile perdita, rendendole ancora una volta palese quanto fosse impossibile, per lei, auspicare ad un lieto fine. Poi ricordò la chiamata di Granny, la sua voce incolore che le comunicava che il sindaco Swan aveva avuto un incidente. Ma non fu la conoscenza del nuovo incarico di Emma a sorprenderla, dopotutto lei stessa non avrebbe saputo trovare persona migliore a cui affidarlo. No, ciò che sorprese Regina fu constatare che Granny si era rivolta ad Emma proprio in quei termini, come il sindaco Swan. Come se non fosse nient'altro che un'estranea. Ma non ebbe tempo di pensarci, perché un altro pensiero si fece subito largo nella sua mente e nel suo animo. Emma aveva avuto un incidente e Regina sapeva, sentiva, che Emma aveva bisogno di lei. Così era partita, senza pensarci, senza pensare alle conseguenze che quel gesto incosciente avrebbe inevitabilmente comportato. Se ne rese conto solo quando vide la targa della città, quella targa che portava impresso quel nome così familiare. Fu costretta a fermarsi, a causa delle lacrime che, inevitabilmente, erano comparse alla vista di quel nome. Rimase ferma per dieci minuti, senza preoccuparsi minimamente del fatto che stesse occupando l'intera carreggiata. Regina era consapevole che nessuno avrebbe percorso quelle strade, che nessuno avrebbe avuto da ridire per il suo comportamento ineccepibile. Nessuno avrebbe mai fatto ritorno in quella città, nessun folle come lei l'avrebbe fatto. Scosse leggermente la testa, allontanando quei pensieri e mettendo nuovamente in moto la sua auto. Storybrooke l'attendeva. Emma l'attendeva.
Guidò senza sosta fino alla piccola cittadina, ma preferì parcheggiare lontana dal centro, per non dover sopportare gli sguardi confusi e sorpresi dei suoi concittadini. No, quelli non erano più suoi concittadini, erano semplici persone che erano appartenute ad un'altra vita. Perché, purtroppo, era così. Regina Mills, in quella sua unica esistenza, si era ritrovata a vivere più di una vita, costretta a morire e a rinascere dalle sue ceneri, come la più maestosa delle fenici. Mentre passeggiava tra le deserte strade di Storybrooke, il volto coperto da un foulard, gli occhiali a coprirle gli occhi e un cappello a nascondere i suoi capelli, Regina sperò che oltre alla rinascita, avesse ereditato anche la maestosa forza di quelle creature mitiche. Ma ogni suo pensiero si spense, quando i suoi occhi si posarono sulla torre dell'orologio che troneggiava al centro della città. Aveva cercato di ignorarla, di non passare per quella piazza, per non esser costretta a posare lo sguardo su quelle lancette, su quel quadrate. Su quella torre. Ma, alla fine, non ci era riuscita, come se una forza sovrumana e incontrollabile l'avesse spinta proprio in quel luogo. Proprio nel luogo dove era cominciato tutto, l'inizio di una nuova epoca, l'inizio della fine della sua maledizione. L'inizio della sua seconda possibilità, del suo lieto fine. Distolse velocemente lo sguardo, camminando con passo deciso verso l'ospedale. Non indossava i tacchi, ma delle semplici scarpe da ginnastica, perché il rumore dei suoi passi non annunciasse il suo inatteso ritorno. Regina varcò la porta dell'ospedale, dirigendosi verso l'infermiera che sedeva distrattamente dietro la scrivania.
«La stanza della signorina Swan, gentilmente».
«Prego?» chiese l'infermiera, senza alzare lo sguardo dal suo cellulare.
Regina era tentata di strapparglielo via e richiamare la sua attenzione come era solita fare in passato, ma preferì evitare, considerando che sarebbe stato meglio per lei non essere riconosciuta, in quel momento.
«Le ho chiesto quale sia la stanza della signorina Swan».
«Forse voleva dire del sindaco Swan. O non ha ancora avuto la sfortuna di imbattersi nella sua ira, ogni volta che ci si rivolge a lei con quel titolo? In ogni caso terzo piano, stanza 108. Deve aver sbattuto la testa, se ha deciso di voler far visita a quella bestia».
Regina tentò di soffocare l'istinto omicida che sembrava volersi impossessare di lei dopo quell'ultimo commento, decidendo che quella donna non fosse degna nemmeno della sua attenzione, un'attenzione che, dopotutto, l'infermiera non aveva minimamente avuto nei suoi confronti. Si allontanò così dalla donna e, quando fu certa di non esser vista da nessuno, si lasciò scivolare contro una delle pareti asettiche e anonime di quell'ospedale. Emma aveva preso la stanza numero 108, perché Regina sapeva che era stata lei a volerlo. La stanza che portava impresso il numero del loro civico, della loro casa. Le mani della donna corsero a coprirle il volto, mentre un sospiro silenzioso abbandonava le sue labbra e una miriadi di emozioni si faceva largo in lei. E poi, quel titolo, quel titolo con cui Regina era solita chiamare Emma. Sembrava che avesse impedito a tutta la città di usarlo, quasi fosse solo ed esclusivamente proprietà di Regina. Regina che, in quel momento, non sapeva cosa pensare. Ma sapeva di dover agire e, così, in assoluto silenzio, percorse i corridoi deserti di quell'ospedale, finché non giunse fuori alla stanza indicatale. La porta era aperta, così, semplicemente, si appoggiò allo stipite, in modo da poter guardare al suo interno prima di entrare. E fu in quel momento che la vide, dopo tre anni di separazione. Dopo tre lunghissimi anni di separazione. Emma era stesa nel letto, il viso rivolto verso la finestra, le braccia abbandonate lungo il suo corpo. Immobile. Il cuore di Regina prese a battere velocemente, così forte da indurla a portarsi una mano a stringere la stoffa della semplice camicia che indossava, proprio all'altezza di quell'organo pulsante. Inavvertitamente, un sospiro abbandonò le sue labbra, un sospiro che sembrò troppo rumoroso, in quel silenzio statico. Un sospiro che non sarebbe potuto passare inosservato da parte di colei che risiedeva nella stanza.
«Chiunque tu sia, vattene immediatamente di qui».
Gli occhi di Regina si riempirono di lacrime. Non c'era colore, in quella voce che aveva parlato. Non c'era la solita vitalità che la caratterizzava, non c'era calore, non c'era speranza. C'erano solo rassegnazione, dolore e tristezza, mascherati da un odio apparente. Un odio che Regina conosceva bene, perché per tanti anni, quell'odio era divenuto la sua corazza. Chiuse momentaneamente gli occhi, mentre la consapevolezza che Emma Swan avesse abbracciato quel passato che lei, Regina, aveva così faticosamente allontanato da sé, si faceva spazio dentro di lei. Ma non lasciò che quei pensieri la allontanassero dal suo proposito, così, decise di allentare quella presa sulla sua camicia, presa che si era fatta sempre più salda ad ogni secondo che passava.
«Forse dovresti accertarti prima dell'identità del visitatore e poi decidere se mandarlo via».
Il corpo di Emma si irrigidì nell'udire quella voce e Regina se ne accorse, così si avvicinò al letto, restando in piedi. Si guardò intorno, in cerca di una sedia, ma non ve ne trovò. Da quanto tempo Emma non riceveva visite? L'idea che avesse dovuto affrontare tutto quello da sola, senza il supporto di nessuno, le provocò una stretta al cuore, ma non si soffermò molto su quei pensieri, decidendo di prestare la sua completa attenzione alla donna che riposava nel letto, con l'assoluta certezza che, da quel momento in poi, le sarebbe stata accanto, accettando qualsiasi conseguenza sarebbe derivata da quella decisione.
Emma, dal suo canto, non aveva fatto alcun movimento, privando Regina della vista del suo volto. Ma la donna attese, rispettosa di quella sua volontà. Dopo qualche minuto, Emma finalmente voltò il capo, lasciando che il suo sguardo incontrasse quello della donna che le stava di fronte e, nel momento in cui Regina vide quegli occhi, si sentì mancare e non poté impedire alle lacrime di rigarle il volto. Era troppo, semplicemente troppo. Rivedere quel volto così caro dopo tre anni, rivederlo così provato, così devastato, le fece male. Ma, ciò che le fece più male in assoluto, fu vedere quegli occhi verdi, quegli occhi che aveva sempre associato alla speranza, così spenti, quasi morti. Come se Emma, semplicemente, si stesse lasciando andare, senza ribellarsi a quelle spire di oscurità che, lentamente, le stavano divorando l'anima.
«Emma…» sussurrò Regina, inginocchiandosi vicino al suo letto.
«Cosa ci fai qui, Regina?» chiese Emma, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, quasi la sua stessa esistenza dipendesse da quella presenza al suo fianco.
«Granny mi ha avvisata del tuo incidente» disse Regina, stringendo tra le sue mani la mano di Emma, senza rendersene conto.
Una risata forzata uscì dalle labbra della giovane donna, mentre volgeva i suoi occhi verso il soffitto bianco di quell'anonima stanza. Quante volte l'aveva osservato, negli ultimi giorni, quel soffitto.
«E, sentiamo, cos'altro ti ha detto?»
«Nient'altro se non questo».
«Ovviamente» rispose semplicemente Emma, sottraendo la sua mano dalla presa di Regina.
«C'è qualcos'altro che dovrei sapere, Emma?»
«Solo che devi andartene. Non voglio vederti, Regina. Non voglio vedere nessuno».
«Io non me ne andrò, Emma, quindi ti conviene rispondermi».
«L'unico motivo per cui tu non te ne sei ancora andata è che non conosci la verità. Ma, credimi, appena la saprai, vorrai scappare il più lontano possibile da me, Regina. Quindi ringraziami per evitarti un'inutile sofferenza e sparisci».
Ma Regina non si mosse, restando inginocchiata vicino a quel letto, il viso appoggiato sulle braccia che teneva incrociate sul morbido materasso.
«Perché nessuno viene a farti visita, Emma?»
«Chi ti dice che nessuno venga a farmi visita?»
«Non c'è nemmeno una sedia in questa stanza».
«Forse perché hanno appena pulito e l'hanno portata via».
«Emma» la richiamò Regina, invitandola a smettere di mentire.
«Ascoltami, Regina, non vedo la necessità per cui tu debba interessarti di queste cose».
«Magari perché mi interessa di te».
Emma tornò a puntare nuovamente lo sguardo su Regina, incapace di credere alle parole che aveva appena udito. Da che ne aveva memoria, non ricordava un singolo momento in cui la donna fosse stata così esplicita su quanto importante fosse Emma per lei.
«Per favore, Regina. Vattene da questa stanza».
«Mi hai già allontanata una volta, Emma. Non ti permetterò di farlo una seconda».
«Tu non capisci».
«Allora spiegami».
«Non capiresti».
«Cosa non capirei, Emma? Il motivo per cui, nonostante tu abbia avuto un incidente, qui non ci sia nessuno? Dove sono i tuoi genitori? Dov'è nostro figlio? Perché non sono qui ad assisterti?»
Emma chiuse gli occhi, alla menzione di Henry, mentre uno strano calore si irradiava nel suo corpo. Un calore che non provava più da tre anni, un calore che aveva sentito nuovamente quando Regina si era riferita ad Henry, non come suo figlio, ma come loro figlio. Quasi come se quei tre anni di separazione non fossero mai esistiti. Ma c'erano, li avvertiva nell'aria, nella tensione che guidava ogni loro singolo gesto.
«Emma- la chiamò nuovamente Regina e la giovane donna volse di nuovo lo sguardo verso di lei- Cosa è successo dopo che me ne sono andata? Perché quell'infermiera si è riferita a te chiamandoti bestia?»
Un'altra risata forzata abbandonò le labbra della donna.
«Dovrò ringraziarla per essere stata così gentile».
«Stai delirando, Emma».
«No, Regina. Non sono mai stata così seria».
«Si può sapere che succede, Emma? Cosa diavolo ti prende? Ti comporti come se non ti importasse nulla di tutto quello che ti accade intorno, come se la tua unica preoccupazione fosse semplicemente stare stesa su questo letto. Che fine ha fatto la donna forte e combattiva che conoscevo?»
«Magari è morta» rispose semplicemente Emma, tornando a guardare fuori dalla finestra.
Regina le rivolse uno sguardo severo, prima di alzarsi e afferrare la ridicola maglia del pigiama che Emma indossava in quel momento, sollevandola di peso e obbligandola a guardarla nuovamente.
«Ora mi ascolti, razza di idiota che non sei altro. Tu adesso ti alzi e riprendi la tua vita in mano. Sono stata chiara, Emma?»
«È proprio questo il problema, cara la mia Regina- disse Emma, con un tetro sorriso stampato sulle labbra, sorriso che sparì subito dopo, nel pronunciare le parole che seguirono quella breve pausa- Io non posso più scendere da questo letto».
Regina lasciò la presa dalla maglia di Emma, che si accasciò sul materasso, senza nemmeno tentare di appoggiarsi delicatamente. Gli occhi di Regina erano fissi nel vuoto, le mani ancora alzate, come se stringessero ancora il cotone di quella maglia, mentre quell'ultima frase riempiva ogni angolo della sua mente. Candide lacrime scesero dagli occhi della donna, mentre prendeva lentamente coscienza del significato di quelle parole.
«Stai scherzando, vero? Dimmi che ti stai vendicando del fatto che me ne sia andata tre anni fa. Dimmi che è solo uno scherzo, Emma».
«Purtroppo no, Regina- rispose la giovane donna, volgendo il suo sguardo bagnato dalle lacrime su Regina- Mi dispiace».
Regina si lasciò scivolare a terra, con la schiena appoggiata ai piedi del letto, il volto sepolto nelle mani e le spalle scosse da quei singhiozzi che tentava disperatamente di controllare, ma senza successo. E ad ogni singhiozzo, ad ogni lacrima che Regina versava, Emma sentiva il suo cuore sanguinare, la sua anima urlare straziata e si maledisse per non essere stata abbastanza forte da tacerle quella dolorosa verità, spingendola volontariamente verso un nuovo baratro di sofferenze. Ma la verità era che appena l'aveva vista, appena aveva incrociato nuovamente i suoi occhi, Emma era tornata a vivere e, egoisticamente, aveva desiderato che Regina rimanesse lì, al suo fianco. Ma doveva allontanarla, perché sapeva che la sua vicinanza l'avrebbe distrutta, soprattutto ora che si trovava in quella situazione. Senza che se ne rendesse conto, Emma si ritrovò a prendere a pugni le proprie gambe, come a voler sfogare una rabbia e un dolore che aveva trattenuto dentro da quando aveva avuto l'incidente. O forse, semplicemente, da quando Regina se n'era andata. Regina che, nel momento in cui sentì il rumore di quei pugni che, con tanta foga, Emma si stava autoinfliggendo, si alzò in piedi, cercando di bloccarle le braccia, per impedirle di farsi altro male.
«Lasciami andare, Regina! Lasciami andare! Tanto non sento niente, non sento niente!» urlò tra le lacrime Emma, cercando di divincolarsi dalla presa ferrea della donna.
Regina avvertì un vuoto nella propria anima, mentre osservava quegli occhi disperati e colmi di lacrime. Gli occhi di un'orfana troppo a lungo rifiutata. E maledisse Mary Margaret e David, per aver abbandonato nuovamente la loro figlia alla sua solitudine. Per averla abbandonata nuovamente a se stessa, lasciandola morire lentamente. Sembrava che tutti avessero deciso di dimenticarla in quel letto di ospedale, come si suol fare con gli oggetti usati e ormai inutili. Ma lei ci sarebbe sempre stata per Emma, per la sua Emma. Nel bene o nel male, lei ci sarebbe sempre stata.
«Razza di idiota, il fatto che tu non senta dolore non significa che tu non ti stia facendo del male!» urlò Regina, aumentando la presa sui suoi polsi.
«Ti prego, Regina, vai via da questo ospedale» disse Emma in un sussurro, come a volerla supplicare.
«Me ne andrò Emma, stai certa che me ne andrò- rispose la donna, portando una mano ad accarezzarle il volto- Ma tu verrai con me».
E prima ancora che Emma potesse protestare, Regina lasciò che la sua magia avvolgesse entrambe, trasportandole in quella casa in cui avevano vissuto insieme. Ma quando arrivarono nella camera da letto, Regina rimase esterrefatta, incapace di credere a ciò che i suoi occhi le mostravano. Tutto, in quella stanza, era coperto da pesanti teli di plastica. Lo stesso letto, su cui aveva fatto adagiare Emma con la sua magia, ne era ricoperto.
Gli occhi di Regina cercarono quelli di Emma nella penombra di quel luogo, in una tacita domanda.
«Non è più questa la mia camera, Regina. Non ho mai più dormito qui, dopo la tua partenza» rispose semplicemente Emma, distogliendo lo sguardo.
Regina chiuse gli occhi, cercando di cacciare indietro le lacrime, mentre un sospiro abbandonava le sue labbra.
«Ma adesso sono qui, Emma» disse, inginocchiandosi vicino al letto. Emma la guardò nuovamente, perdendosi in quegli occhi così diversi dai suoi eppure così simili. Quanto le era mancato, perdersi in quello sguardo.
«Già, adesso tu sei qui».

Nelle settimane che seguirono, Regina non fece altro che prendersi cura di Emma. Ormai tutti, a Storybrooke, sapevano del suo ritorno e qualcuno l'aveva anche incrociata sul suo cammino, ma nessuno aveva avuto il coraggio di rivolgerle la parola. Dopotutto, sapevano che il motivo per cui Regina era tornata era Emma. E se Regina era tornata, voleva dire che era tornata anche la sua magia, così nessuno cercò mai un confronto con la donna, né lei ne cercò uno con gli abitanti della città, nonostante il pensiero che avessero abbandonato Emma le rendeva difficile ignorarli. Li avrebbe maledetti, uno ad uno, se solo non avesse avuto altre priorità. E, in quel momento, la sua unica priorità era Emma. Emma e il segreto che si portava gelosamente dietro. Regina non le aveva fatto domande, in proposito. Sapeva che sarebbe stato inutile, che avrebbe solo dovuto aspettare. Emma gliene avrebbe parlato, di sua spontanea volontà, quando se la sarebbe sentita. Di questo, Regina era certa.
Così, una sera, mentre erano a letto, in attesa che il sonno sopraggiungesse, Emma parlò.
«Non avrei mai voluto che tu te ne andassi. Non avrei mai dovuto permetterlo. Non avrei mai dovuto permettere alle mie paure di separarmi da te».
Regina chiuse per un attimo gli occhi. Sapeva che quello era il momento che aveva atteso per tutto quel tempo. Il momento della verità, il momento in cui avrebbe finalmente compreso cos'era successo dopo la sua partenza.
«Si trattava di scegliere tra me e tua madre, Emma».
«Ed io ho scelto lei».
«Non posso biasimarti per questo».
«Dovresti, invece».
«No, Emma, non potrei mai. Io sono stata la causa della vostra separazione, della tua vita da orfana. Ho sempre saputo che, se ti fossi trovata davanti ad una scelta, avresti scelto lei».
Emma si strinse maggiormente a Regina, nell'udire quelle parole.
«Sarai anche stata la causa della nostra prima separazione, ma è stata lei, la seconda volta, a ripudiarmi. È stata lei ad allontanarmi, quando ha scoperto la nostra relazione. Ed io sono stata una stupida a preferire lei a te, sono stata una stupida ad avere paura di perdere lei, invece di avere paura di perdere te. Potrai non credermi, Regina, ma non averti scelta, quel giorno, è il mio rimpianto più grande. E lo sbaglio peggiore che potessi commettere».
«Anche i migliori sbagliano, nessuno te l'ha mai detto?» chiese Regina con un sorriso, tentando di alleggerire la tensione, mentre accarezzava distrattamente i capelli della donna che riposava col capo sul suo petto.
«Se solo fossi realmente una brava persona, Regina. Se solo lo fossi davvero».
«Lo sei, Emma. Non devi mai dubitare di questo».
«Me ne sono pentita subito. Appena ti ho detto di andartene, di uscire dalla mia vita, me ne sono pentita. Ma era già troppo tardi, tu stavi già partendo. Ed io non ho avuto il coraggio di fermarti. Cavolo Regina, perché diamine mi hai lasciato Henry? Speravo che lo portassi con te, eri sua madre!»
Regina chiuse gli occhi alla menzione del figlio. Nonostante fosse a Storybrooke da alcune settimane, non l'aveva mai incontrato né aveva chiesto ad Emma dove si trovasse. Ma sapeva che stava bene, sapeva che, ovunque lui fosse, stava bene. E anche in questo caso, aveva atteso che fosse Emma a parlargliene.
«Non è mio figlio, Emma, è nostro figlio e, che tu lo voglia o no, ciò non può cambiare- rispose sorridendo, pensando a come le apparisse assurda tutta quella situazione, se ripensava ai primi tempi, quando lei era così gelosa di quel suo unico figlio e del rapporto che aveva con la sua madre biologica- In ogni caso, non pensavo fosse sicuro portarlo con me. Non sapevo come avrei reagito,non sapevo se il mio animo si sarebbe convertito nuovamente alla magia oscura, Emma. Avevo paura di cadere nuovamente nel baratro».
«Invece non lo hai fatto, Regina. Non hai permesso alle tenebre di farti prigioniera. Sei stata forte, a dispetto di me. Ed è per questo che ho dovuto allontanare Henry».
Regina ingoiò il nodo che si era formato nella gola, cercando il coraggio di porre quella domanda.
«Dov'è adesso Henry?»
«In un collage, lontano da qui. Non volevo che assistesse al mio cambiamento, volevo proteggerlo da tutto questo. Se solo l'avessi portato con te, Regina, lui sarebbe stato al sicuro».
«Smettila di parlare così, Emma. Avrei potuto fargli del male anche io».
«No, non gli avresti mai fatto del male. Tu sei stata una madre fantastica, Regina, lo sei sempre stata. Lo hai amato come se fosse sangue del tuo sangue e carne della tua carne, hai votato la sua vita alla sua felicità. Non potrebbe esistere madre migliore di te, Regina, né in questo mondo né in tutti gli altri mondi che si trovano lì fuori».
«Sei stata un'ottima madre anche tu, Emma. Gli hai insegnato così tanto. Se lui oggi è il piccolo ometto che è, è anche grazie a te».
«Ma soprattutto grazie a te, Regina».
«Possiamo dire di aver fatto un buon lavoro. Come squadra non siamo niente male».
Quelle parole ebbero il potere di far ridere Emma. La prima vera risata, dopo tanto tempo.
«Già, non siamo niente male. Quando te ne andasti, provai a ricostruire i rapporti con i miei genitori, con mia madre soprattutto, ma fu tutto inutile. Era come se fossi marchiata, ormai. E così, mi allontanarono da loro, nonostante le mie richieste, nonostante le mie suppliche».
La stretta di Regina si fece più salda intorno alle spalle di Emma. In passato, aveva odiato Biancaneve a causa di quel segreto non mantenuto che aveva comportato la morte del suo amato, ma con il tempo, aveva capito che si era trattato solo dell'ingenuità e della buona fede di una bambina. Ma non quello, non quel rifiuto. Il rifiuto di Emma, l'abbandono di sua figlia, di quella figlia che aveva tanto voluto ritrovare, in passato, non era dovuto ad alcuna ingenuità, quanto all'animo corrotto di quell'infima donna. E lei si sarebbe vendicata, per tutto il dolore che avevano causato ad Emma. Perché, l'unico motivo per cui l'aveva lasciata andare, per cui non aveva lottato per stare con lei, era stato credere che Emma sarebbe stata più felice con la sua famiglia che non con lei. E loro l'avevano tradita, dilaniandole l'anima, uccidendola lentamente. Disprezzando il frutto del loro stesso amore.
«Dove sono adesso?»
«Lontani, in qualche parte del mondo. Li ho cacciati via».
Regina rise nell'udire ciò.
«Davvero?»
«Sì, dopo la tua partenza, ho preso io il tuo posto. Non avrei mai sopportato che qualcuno sedesse alla tua scrivania, che si facesse chiamare sindaco al tuo posto. E così, semplicemente, l'ho ricoperto io, cominciando a rendere le loro vite un vero inferno, come quelle di tutti i cittadini di Storybrooke. Se a me era destinata la sofferenza, allora la sofferenza sarebbe stata destinata a tutti loro. Ora capisco ciò che provasti, il motivo per cui hai lanciato il sortilegio».
«No, Emma, tu sei diversa da me, sei un animo puro. Avrai anche potuto rendere infelici queste persone, ma non le hai uccise, come invece ho fatto io».
«Io non ne sarei così sicura».
«Quindi è per questo che quell'infermiera ti chiamò bestia? Per tutto ciò che avevi fatto alla città».
«Già. Sai, ti hanno rimpianta molte volte, ma credo che nessuno ti abbia rimpianta tanto quanto l'ho fatto io».
«Idiota- disse Regina ridendo, donandole un bacio sulla fronte- Ed è per questo che non hai permesso a nessuno di chiamarti signorina Swan?»
«Ovviamente. L'unica persona che può chiamarmi così sei tu».
Regina si lasciò andare ad un'altra risata, continuando ad accarezzarle i capelli.
«Sai, sono felice di aver fatto quell'incidente perché mi ha permesso di riaverti di nuovo qui, accanto a me».
Regina chiuse gli occhi e sospirò.
«Troveremo un modo per farti guarire, Emma. Te lo prometto, lo troveremo».
Emma chiuse gli occhi, senza rispondere.
Rimasero così, l'una stretta nelle braccia dell'altra, ad ascoltare il canto dei grilli, finché non fu Regina a parlare.
«Emma, vorresti sposarmi?»
Regina sentì la donna tremare tra le sue braccia. Non era la prima volta che Regina le chiedeva di sposarla. Lo aveva già fatto, prima che Mary Margaret le scoprisse, ma Emma aveva rifiutato, per paura di perdere la madre. Una lacrima solcò il viso pallido di Emma, nel sentire per la seconda volta quella domanda. Sapeva che Regina glielo stava chiedendo per amore e, per quanto anelasse la sua vicinanza più dell'aria stessa, Emma sentiva di aver perso la sua occasione. Non poteva, semplicemente non poteva. Non poteva costringere Regina in quel vincolo di sofferenza e di sacrificio. Regina doveva essere libera, libera di andarsene, qualora l'avesse voluto, se si fosse stancata di lei, di quella vita.
«Non mi sembra il caso, Regina».
La donna la guardò, cosciente dei pensieri che affollavano la mente della donna che stringeva tra le braccia. Ma non avrebbe rinunciato, non questa volta.
«Perché, Emma?»
«Semplicemente perché non voglio».
«Emma-»
«Se sei preoccupata per la mia salute, Regina, ti basterà diventare la mia referente. Non vedo la necessità di sposarci. Il matrimonio mi sta stretto, Regina, ed io voglio essere libera. Quindi, fammi un favore, scendi nel tuo studio, nel primo cassetto ci dovrebbero essere le carte di cui hai bisogno. Prendile e portamele, così potrò firmarle» la interruppe la donna.
«Emma, per favore…»
«Regina, fai come ti ho detto».
Regina si alzò dal letto, sospirando, per poi scendere a prendere quelle carte e portarle ad Emma.

Da quel giorno, la situazione cambiò. Regina era sempre meno presente a casa e, quando rientrava, spesso si chiudeva nel suo studio, passando lì dentro l'intera giornata, per poi uscire, preparare la cena e trascorrere la serata insieme ad Emma. Dopo qualche giorno, Emma notò che, sul viso di Regina, era tornato a brillare un sorriso che non vedeva da tempo. Un sorriso che lei non avrebbe mai più potuto fa nascere sul quel viso. Il dubbio che Regina avesse trovato la sua felicità altrove la distruggeva, ma non poteva fare nulla per impedirlo. Regina aveva diritto a vivere una vita felice, dopo tutto quello che aveva dovuto passare, era la persona che, più di tutti, meritava la felicità. Fu per questo che, una sera, vedendola rientrare più felice delle altre volte, non riuscì a trattenersi.
«Dove sei stata?»
Regina sobbalzò, nell'udire il tono duro di Emma.
«Ho avuto degli impegni».
«Già, questo lo so. Lo dici ogni volta che rientri. Allora, come si chiama?»
Regina rise a quella domanda.
«Come si chiama chi?» rispose ingenuamente.
«La persona con cui ti stai vedendo».
In quel momento, Regina comprese tutto.
«Emma, non starai insinuando che-»
«Avresti anche potuto dirmelo, non ti avrei fermata. Sai com'è, nelle mie condizioni, pur volendo, non avrei potuto».
Il volto di Regina si tirò in una espressione di pure rabbia.
«Che diamine stai insinuando, Emma? Che ho un amante?»
«La cosa non mi sorprenderebbe. Non penso che una donna bloccata su una sedia a rotelle possa soddisfarti come si deve, Regina. Avrei solo preferito sincerità da parte tua».
Regina, accecata dalla rabbia, si avvicinò pericolosamente ad Emma, fino ad afferrare la sua maglia con una mano e strattonarla con forza.
«Mi credi un essere così infimo e meschino, Emma? Credi che sarei capace di mentirti in questo modo?»
 «È quello che stai facendo. Da quando ti ho detto che non volevo sposarti, non hai fatto altro che evitarmi e stare il più lontano possibile da me!» urlò Emma, a pochi centimetri dal volto della donna.
«Io non ho mai cercato di allontanarmi da te, Emma! Credi che non ne abbia il coraggio? Che non abbia il coraggio di vivere questa vita, anche se significa fare dei sacrifici? Credi che io non abbia il coraggio di stare al tuo fianco, Emma? Quando ho deciso di restare, quando ho deciso di prendermi cura di te, sapevo a cosa andavo incontro! E l'ho fatto comunque, perché era ciò che più desideravo. Perché la tua paralisi non è mai stata un problema insormontabile, per me. Ma, a quanto pare, lo è per te, dato che è il motivo per cui tu tendi sempre a fuggire via da me! Volevi sapere cosa avessi fatto per tutto questo tempo? Eccoti la risposta!- urlò Regina, lanciando i fogli che teneva stretti nella mano sinistra sulle gambe di Emma, che non si era minimamente accorta della loro presenza- E, per la cronaca, stai certa che non sono le carte del divorzio, dal momento che tu non hai mai voluto sposare! Non te l'ho chiesto per avere dei diritti, non l'ho fatto a causa della tua paralisi! L'ho fatto perché sposarti mi avrebbe reso la persona più felice di questo mondo. Ma, ovviamente, tu eri troppo impegnata ad autocommiserarti per potertene accorgere».
Quando ebbe finito, Regina uscì di casa, chiudendo violentemente la porta, creando una distanza tra lei ed Emma. Solo in quel momento, Emma si rese conto di star tremando e il suo viso era segnato dalle sue lacrime. Aveva rovinato tutto, per l'ennesima volta. Una mano tremante raccolse i fogli adagiati sulle sue gambe e, quando i suoi occhi si posarono su quelle lettere, Emma fu costretta a portarsi una mano alle labbra, per poter soffocare i suoi singhiozzi. Sul quel foglio, c'era scritto un incantesimo, un incantesimo che le avrebbe restituito l'uso degli arti inferiori. E, data la carta su cui era stato riportato, quell'incantesimo non proveniva da nessun vecchio libro di magia. Regina l'aveva creato per lei, per liberarla da quella prigionia che le attanagliava l'anima. E lei, lei cosa aveva fatto, per ripagarla? L'aveva aggredita, accusata, insultata. Non si era fidata di lei e del suo amore.
«Regina…-mormorò Emma, la voce rotta dal pianto- Regina, per favore, entra».
Perché Emma sapeva che Regina era dietro la porta, che non si era allontanata, che non era fuggita. Perché Emma era a conoscenza di quanto grande fosse l'amore che quella donna sapeva donare e Regina non si sarebbe mai allontanata, non se ne sarebbe mai andata via. Perché Regina sapeva che, pur volendo, Emma non avrebbe potuto raggiungerla. E così, ogni volta, Regina si fermava sul limite, su quella linea immaginaria che separava ciò che era ancora raggiungibile per Emma da ciò che le sarebbe divenuto irraggiungibile. E Regina avrebbe sempre atteso su quel limite, anche in eterno, permettendo sempre ad Emma di poterla raggiungere. Difatti, dopo qualche secondo, la porta della casa si aprì e Regina entrò, il volto segnato da silenziose lacrime. Bastò uno sguardo, prima che Regina prendesse tra le sue braccia quella fanciulla troppo cresciuta, accogliendo sulla sua spalla le sue urla di paura, di dolore ma, soprattutto, di sollievo.

L'incantesimo di Regina riuscì a guarire Emma, anche se la convalescenza si dimostrò più lunga di quanto entrambe credevano. Ma non se ne curarono, felici finalmente di poter vivere la loro vita serenamente.
Una sera d'agosto, Emma chiese a Regina di fare una passeggiata al chiaro di luna. Non uscivano spesso, per non incontrare gli sguardi ostici dei cittadini di quella città, ma quella sera, Emma avrebbe fatto un'eccezione. Quando giunsero quasi alla torre dell'orologio, Emma fece fermare Regina, chiedendole di chiudere gli occhi e di fidarsi di lei. Tendendola per mando, la guidò fino all'entrata della torre, per poi bendarla e prenderla in braccio.
«Emma Swan! Mettimi subito giù! Sei ancora convalescente e non dovresti portare carichi così pesanti!»
«Credimi, Regina, tu sei tutto fuorché un carico pesante. Ora taci e lasciami fare e non preoccuparti per le mie gambe, mi sono allenata a dovere per questo momento».
Regina rise, per poi poggiare la testa sulla sua spalla. Dopotutto, sapeva che provare a contrastare la testardaggine di Emma era un'impresa impossibile, quindi decise di arrendersi in partenza.
Una volta giunte sulla sommità della torre, Emma fece scendere Regina e liberò i suoi occhi dalla benda. Quando Regina riconobbe il luogo, non poté impedire ad un sorriso sincero di impossessarsi delle sue labbra e alle lacrime di abbandonare i suoi occhi.
«Questo è…»
«Già, il luogo dove tutto è cominciato» rispose Emma, abbracciandola da dietro.
Rimasero in silenzio, ad osservare il cielo stellato che sovrastava l'intera città, finché la loro attenzione non fu catturata da un'unica stella cadente.
«Hai espresso il tuo desiderio, Regina?»
«Ho già tutto ciò che desidero, Emma. Tu, invece?»
«In realtà io un desiderio l'avrei».
Regina si voltò verso Emma, attendendo che continuasse. Emma le sorrise, accarezzandole il viso, prima di poggiare la sua fronte su quella di Regina.
«Voglio diventare tua moglie, Regina».




~Angolo autrice~
Buonasera a tutti! Questa è la prima OS che scrivo in cui si parli propriamente di un legame amoroso tra le due. Come sapete, solitamente mi mantengo sempre in equilibrio sul quel sottile filo che divide l’amicizia dall’amore, ma questa volta ho deciso di fare quel salto, incoraggiata anche dalle mie due amiche B_Regale e EvilV (vi invito ad andare a leggere le loro storie! Io mi incanto ogni volta), che mi hanno spinta a scrivere questa OS, dato che io ero praticamente terrorizzata all’idea.
Ed infatti, non credo che sia il mio campo questo ahahahah mi sento a disagio, giuro. Non ho mai parlato dell’amore, in qualsiasi veste.
Ma tralasciando questo, diciamo che per quanto riguarda i protagonisti, ero indecisa se rendere la OS OQ o SQ, ma dati i toni, ho preferito la SQ. Tra l’altro, sono felicissima di pubblicare questa OS oggi, dato che ieri gli Stati Uniti hanno legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Sono felicissima, davvero! Finalmente il mondo sta cambiando, finalmente possiamo parlare di umanità, a dispetto di tutte le guerre e l’odio che sembrano più tollerati dell’amore stesso.
Beh, che altro dire, spero vi sia piaciuta e ringrazio tutti per essere giunti fin qua giù!
  
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