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Autore: mattmary15    28/06/2015    8 recensioni
Sequel de 'Il destino di una vita intera'. Un uomo crede fermamente nel destino, un altro non ci crede affatto. Qualcuno ha detto che sono due facce della stessa medaglia ma il tempo pare non avere dato ragione a nessuno di loro. La ruota del destino si è rimessa in moto e la domanda che si pongono tutti è sempre la stessa: Gli dei possono davvero giocare con la vita degli uomini? Il destino si può cambiare oppure una nuova guerra santa legherà i cavalieri al ciclo infinito di vita, morte e rinascita?
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya, Saori Kido, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Il destino di una vita intera'
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Capitolo I
Il sole e la luna
Parte prima

Il tempio di Artemide era uno specchio d’acqua su cui si rifletteva una luna enorme. Le colonne che sorreggevano un tetto fatto di nuvole ponevano magicamente le loro fondamenta sia alle pendici dell’Olimpo che sull’isola di Delo.
La dea della notte non riusciva infatti a separarsi dal proprio luogo natio e da colui che amava sopra chiunque altro.
Suo fratello, dopo essere giunto in suo soccorso nella battaglia che lei stessa aveva ingaggiato con la sorella Atena, si era ritirato nel cuore del suo tempio e non ne era più uscito. Da allora lei ne vegliava l’uscio senza allontanarsi mai. Sapeva che Apollo stava bene ma era preoccupata per la sua decisione di isolarsi dal mondo intero.
Allungò una mano verso la cetra che Apollo usava suonare per lei e sospirò.
Toma, che a propria volta vigilava su di lei, l’avvertì di una visita inattesa.
“Mia signora, vostra sorella Afrodite chiede di vedervi. La lascio entrare?” Artemide si sistemò una ciocca di capelli dietro le spalle e rispose col solito cipiglio deciso che la contraddistingueva.
“E’ già entrata. Non serve più domandare, non è vero sorella?” Toma si voltò di scatto e la vide avanzare verso colei che lui proteggeva.
“Perdonatemi, mia signora. Credevo che non avrebbe osato accedere senza che aveste dato il permesso.”
“Non crucciarti, Toma. Va bene così, puoi andare”, disse sfiorandogli una spalla e facendolo svanire nel nulla.
“Disponi facilmente dei tuoi uomini, sorella!” esclamò Afrodite con uno sguardo ammirato che non lasciava trasparire quanto si fosse angustiata fino a poche ore prima.
“Sono una guerriera e i miei soldati mi rispettano”, fece Artemide fronteggiandola “Cosa ti porta qui?” La dea della bellezza si rabbuiò.
“Saprai certamente cosa è accaduto a Mars.” Artemide annuì.
“So che ha osato sfidare uno dei tre primi e che questi gli ha scatenato addosso un titano, il Kraken. Una fine miserabile per il dio della guerra!” fece Artemide sorridendo maliziosamente. Afrodite, pur accusando il colpo, non diede a vedere la sua rabbia e mantenne l’espressione più affascinante che conosceva.
“Non sei bene informata, sorella. Mars è stato vittima dell’uccisore di dei, l’umano cui Atena ha concesso la sua benevolenza. Non credi che stavolta abbia superato il limite?” Artemide accarezzò un rivolo d’acqua che saliva dal lago lungo le colonne scintillando nella luce lattea della luna.
“Quel limite” disse cupa “è stato superato molto tempo fa. Quell’umano doveva restare nel regno degli inferi. Riportarlo alla vita è un peccato mortale ed un oltraggio alla nostra deità.” Afrodite sorrise nell’udire le parole di sua sorella.
“Se questo è il tuo pensiero, allora quello del tuo gemello non differisce, è così? Si dice che la vostra comunione di intenti sia totale.” Artemide fu attraversata da un brivido. Anche se la considerava una sciocca, Afrodite era una degna avversaria nella dialettica e su quello che aveva appena detto non sbagliava al punto che, seppure non presente fisicamente, Apollo fu in un istante nella sua mente e ne condivise i pensieri.
“Sono spiacente di deluderti, sorella” disse compresa la volontà di Apollo “ma mio fratello non è dell’umore di riceverti. Soprattutto se è tua volontà parlargli di Atena.” Afrodite capì subito che la conversazione era finita ma non voleva cedere così facilmente. In fondo Apollo non era forse stato umiliato come Mars? Artemide non lo era stata quanto lei?
“Non hai appena detto che la sola esistenza di quel misero mortale è un oltraggio per noi divinità?”
“L’ho detto ma a mio fratello non interessano le sterili vendette che stai cercando.”
“Sterili vendette?” esclamò Afrodite che non riusciva più a contenere la rabbia “Ogni giorno che passa quella strega allunga sempre più le sue mani sull’umanità. Ha ucciso Hades e Mars, chi sarà il prossimo?” Artemide la superò e, alle sue spalle, riapparve Toma.
“Accompagna mia sorella alla porta, Toma, qui non c’è niente che le interessi.” Toma fu, in un passo, al fianco della dea per accompagnarla al passaggio che riportava all’Olimpo. Afrodite si fece rossa in volto e a stento trattenne la rabbia.
“Sai, Artemide, ti facevo più furba. Mettere alla porta uno degli dei maggiori non è una mossa astuta. Forse Apollo non è così invincibile come credevo, magari anche lui ha paura di Atena come quel traditore di Nettuno!”
Una freccia passò a pochi millimetri del viso della dea della bellezza ma questa non si scompose. Fece un piccolo inchino e lasciò il tempio della luna.
“Avrai a pentirtene anche tu!” esclamò non appena Toma si fu congedato stringendo un pugno al punto che scarlatte gocce di sangue colarono lungo le dita.
Invece che prendere le scale che scendevano all’Olimpo, Afrodite prese quelle per Delo. Un battito d’ali che le era familiare la fermò.
“Torna indietro!” esclamò Eros appena sopraggiunto “Se Apollo veramente ti affrontasse ora, quante possibilità credi di avere?”
“Io non voglio affrontare Apollo! Ha avuto la sua possibilità di ascoltarmi. A questo punto non è più tempo di giocare. Ti ho già detto che avrò la mia vendetta, Eros. Atena proverà sulla sua pelle cosa significa perdere colui che si ama! Annienterò tutti coloro che si trovano intorno a lei e la parte più bella sarà che a fare tutto il lavoro per me, sarà proprio Apollo!”
“E come lo convincerai?” chiese Eros stavolta in parte sorpreso.
“Userò la sua voce!”
Eros non fece a tempo a fermarla. Una sorta di schiuma rosa l’avvolse e la dea sparì. Il dio non potette fare altro che pregare affinché le azioni di sua madre non dessero avvio ad una nuova guerra sacra.

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Mur posò un paio di pergamene sul lato della scrivania per fare posto alla tazza che Lucina aveva riempito di tea. La vecchia ancella che si occupava delle cucine del santuario, l’aveva preparato apposta per il grande sacerdote.
Era già trascorso quasi un anno dal giorno in cui aveva ricevuto l’investitura a grande sacerdote e Mur era sempre affaccendato in qualcosa. Shaka soleva spesso fargli compagnia ma quella mattina era solo perché doveva parlare con Atena.
C’era un gran fermento al grande tempio in quanto le Panatenee si avvicinavano e tutti gli abitanti di Rodorio avevano già presentato le loro petizioni per le udienze della dea. In più c’era da organizzare il torneo che avrebbe chiuso i festeggiamenti. Mur lasciò il suo studio e si diresse nella sala del trono.
Saori era seduta sullo scranno con gli occhi chiusi. Mur la trovava molto maturata nell’ultimo anno anche se, di recente, l’aveva vista sempre più incupirsi. Nessuno più di lui sapeva quanto l’umore di Saori fosse altalenante. Giorni felici si susseguivano a periodi silenziosi e carichi di tristezza. Non di rado, in questi ultimi rimaneva spesso sola e in meditazione nelle sue stanza senza concedere udienza ad alcuno.
Solo quando fu quasi ad un paio di metri dalla dea, s’accorse di lui. La sua figura scintillante nell’armatura d’oro, quasi sembrava ingoiata dall’ombra del colonnato dietro cui s’era nascosto. Le ali di Sagitter, ripiegate dietro la schiena, sembravano pesargli molto più che in passato. Non la perdeva mai di vista, se poteva. Anche quando Saori si chiudeva nelle sue stanze, Seiya rimaneva fuori dalla sua porta. Sempre.
“Atena, sono venuto a parlarvi dei giochi” fece Mur con un piccolo inchino.
“Mur, sono stata tutto il giorno al chiuso. Ti va di parlarne passeggiando lungo i giardini?” La sua voce era pacifica e carica di benevolenza. Mur annuì e le porse la mano.
Il sole della Grecia, capace di scaldare i cuori ancor più delle carni, li avvolse appena fuori dal porticato esterno. Mur percepì il cosmo di Seiya vegliare su di loro a distanza.
“Preferite ricevere le petizioni in un solo giorno o in due mattinate?”
“Preferirei in un giorno solo”, rispose lei senza lasciargli il braccio e appoggiandovisi un poco.
“Sta bene. Per quanto riguarda il torneo invece, abbiamo convenuto che qualunque cavaliere in possesso di un’armatura potrà prendervi parte senza distinzione di sesso o grado. Va bene per voi?” Saori si fermò costringendo Mur a fare la stessa cosa.
“L’anno scorso il torneo è stato solo per gli allievi. Ha portato un presagio di sventura. E’ proprio necessario riorganizzarlo?”
“Mia signora, è stato un anno di pace. I cavalieri desiderano fortemente un’occasione per battersi.”
“Non dovrebbero, semplicemente, godersi un momento propizio? Le battaglie possono sempre essere dietro l’angolo.”
“Anche per questo è bene che i cavalieri, di tanto in tanto, calpestino l’arena anche nei periodi di pace.” Saori annuì.
“Allora lascio a te il compito di organizzare tutto. Io mi dedicherò prevalentemente alle udienze pubbliche.”
“Atena, c’è anche un’altra questione.”
“Dimmi pure.”
“Shaina mi ha chiesto di invitarvi a recarvi al dormitorio delle reclute. Vorrebbe che conosceste i nuovi allievi.”
Saori riprese a camminare ma, lasciato il braccio di Mur, prese un po’ di distanza da lui. Il dormitorio delle reclute altro non era che l’orfanotrofio che molti anni prima lei stessa aveva fatto aprire tra Rodorio e il santuario. Dopo che era bruciato in un attacco di Mars, era rimasto un inutile cumulo di macerie. Tuttavia, Shaina che si occupava dell’addestramento di molte reclute, l’aveva fatto ristrutturare e riaprire affinché vi trovassero posto le decine di ragazzi che giungevano da ogni parte del mondo per diventare cavalieri. Era un luogo allegro e piacevole dove vivere ma Saori lo aveva sempre rifuggito. Non solo gli ricordava uno dei momenti più brutti della sua vita ma le metteva addosso uno strano senso di malinconia per qualcosa che neanche lei sapeva bene.
“Dille che riceverò le nuove reclute alla tredicesima casa.”
“Credo che sarebbe meglio per i ragazzi se foste voi ad andare da loro. Hanno bisogno di sapere che oltre alla statua che troneggia sul santuario, la dea è loro vicina in carne ed ossa. Credo che anche voi ne trarreste beneficio, ultimamente vi vedo in pena. Qualcosa vi turba?” Saori si voltò a guardarlo con occhi arrabbiati e Mur abbassò lo sguardo. Di recente Atena era facile all’ira e lui sentiva l’ombra di un cattivo presagio scendergli addosso ogni volta che succedeva.
Il cosmo caldo e avvolgente del cavaliere del Sagittario giunse in suo soccorso.
“Mur, di a Shaina che andrò io dai ragazzi. E’ mio compito”, disse sorridendo a Mur. Il cosmo di Saori che s’era agitato come le sue vesti sollevate dal vento, si placò.
“Vedi, mio sacerdote? Il mio primo cavaliere si premura che non venga contrariata in alcun modo!” disse con tono sarcastico la dea “E’ sempre un passo dietro a me. Sembra quasi che non si fidi a lasciarmi sola!” A quelle parole, l’espressione di Seiya si fece dura. A Mur non piaceva lo sguardo che aveva in quel momento.
“Se Atena lo ordina, posso lasciarla sola fino a quando la dea non riterrà opportuno rivedere il mio volto!” Lo sguardo di Saori si fece talmente freddo che Mur credette avesse rubato il cosmo di Camus per congelarli in quell’istante.
“Se non ci sono altre incombenze, mi ritiro. E stavolta vorrei che nessuno mi seguisse!”
Seiya e Mur chinarono il capo fino a che non sparì oltre la scala che scendeva dalla tredicesima casa fino al giardino degli alberi di Sala.
“Posso parlarti con franchezza?” chiese Mur a Seiya. Quest’ultimo sorrise bonariamente e si sedette su di una roccia “Che cosa sta succedendo? E’ arrabbiata per qualcosa che hai detto o fatto?”
“Non lo so, amico mio. Ma su di una cosa ha ragione. Non la lascio mai sola. Sono preoccupato per lei. Ultimamente ha sempre uno sguardo cupo come se fosse preoccupata o triste per qualcosa. Gliene ho parlato e mi ha detto che continua ad avere degli incubi. Poi ha cominciato a farmi domande strane.”
“Strane?” chiese Mur e Seiya annuì guardandosi le mani bardate d’oro “Di che genere?”
“Mi ha chiesto se è stata lei ad abbattere Mars oppure se sono stato io. Continua a dirmi che ha dei ricordi confusi del suo risveglio. Che Saga era lì con lei.”
“Ma Saga è morto sulla spiaggia, prima che Mars fosse sconfitto. Come avrebbe fatto ad essere lì con lei?”
“Lo so. In quella stanza, quando ci siamo svegliati c’eravamo solo noi due eppure non smette. Ha chiesto a Kanon com’è morto suo fratello senza farsi cura di quanto potesse essere doloroso per lui parlarne e ha persino domandato a Shaka in quale dei mondi dell’oltretomba è finito il suo spirito.”
“Non me ne ha mai parlato. Cosa credi che le stia succedendo?” Seiya sospirò e scosse il capo.
“Credo solo che le manchi. Tutto qua.”
“Avanti Seiya, non fare quella faccia. Di qualunque cosa si tratti e per quanto io l’abbia sempre biasimata per questo, lei ha sempre sentito la mancanza di uno solo di noi e sappiamo bene entrambi che non è Saga.”
“Ad ogni modo le cose stanno così. Mi ha allontanato. E’ come se il legame che ci ha unito per tutti questi anni, si fosse improvvisamente spezzato.”
“Non essere ridicolo. Piuttosto, cerchiamo di capire cosa le sta succedendo. Magari ha percepito un pericolo che non ancora non riusciamo a vedere.” Seiya annuì un po’ rinfrancato e si alzò.
“Vado al dormitorio. Mi occuperò io di aiutare Shaina con gli allievi.”
“Bravo, buona idea” disse Mur “Io parlerò con Shaka. Magari le sue idee sono più chiare."

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La lapide diceva solo ‘Kata ton daimona eautou’.*
Saori si sedette ai suoi piedi. Sospirò profondamente e chiuse gli occhi. Ancora una volta provò a rievocare quei pochi istanti prima della fine.
Ricordò la forza del suo cosmo fuoriuscire da lei e lasciarla sempre, sempre più debole. Poteva chiudere gli occhi serena perché li aveva salvati tutti. Aveva riassorbito la profonda ferita di Seiya provocata dalla lancia di Marte e quella di Saga causata dai colpi della strega Medea. Li aveva salvati entrambi. Riaprì gli occhi e la lapide le sbattette in faccia la realtà. Saga era morto. Alla fine, anche se non lo ricordava, aveva fallito. Lui era morto. Probabilmente le si era spento tra le braccia come quella volta ai piedi della statua di Atena e lei neppure se lo ricordava.
Com’era possibile? Strinse un pugno di terra in una mano e parlò.
“Non posso dirti addio, Saga, non riesco a dirtelo ancora. Sono forse impazzita a pensare che se non c’è un corpo sotto questa lapide è forse perché non sei morto? Sono pazza se sono l’unica a credere che tu non sia morto?” chiese invano lasciando che una lacrima scivolasse giù dai suoi occhi.
Una voce alle sue spalle la scosse e lei, istintivamente, si asciugò gli occhi.
“Non sei mica l’unica a crederlo.” La voce, scura e decisa, apparteneva a Death Mask “Anche io non credo affatto che quel maledetto sia morto! Si diverte a torturarci!” esclamò il cavaliere di Cancer sorridendo e sedendosi al fianco di Saori. Puzzava d’alcol e nella mano destra teneva ancora una bottiglia di liquore quasi vuota. Quando vide lo sguardo di lei indugiare sull’oggetto, glielo porse.
“Non dovresti bere così”, fece lei usando un tono compassionevole.
“Lo dice anche Aphro. Dice che è per questo che gli spiriti mi confondono e che non percepisco l’anima di Saga. Scommetto tutte le mie bottiglie che tu non bevi e comunque lo sai lo stesso che lui non è morto.” Saori gli tolse la bottiglia di mano e gli sorrise.
“No, Death Mask, non bevo ma mi sento lo stesso molto confusa. Dovresti andare a casa.”
“Dov’è lui?” chiese d’improvviso Cancer cercando di rimettersi in piedi e guardandosi intorno.
“Lui chi?” chiese Saori cercando di non farlo cadere.
“Lo sai chi. Lui, quello che doveva morire al posto di Saga! Io ricordo benissimo di averglielo detto a quell’imbecille che doveva lasciare ogni cosa nelle sue mani, che doveva dare ascolto a Saga e non si sarebbe fatto male nessuno!” gridò Death Mask con gli occhi lucidi “Invece quello deve fare sempre l’eroe! Ed ecco qua i risultati! Ma forse è colpa tua! Tu dovevi scegliere meglio a chi affidare la tua vita, dea della saggezza dei miei stivali! Invece hai fatto gli stessi errori di Shion!” fece divincolandosi, bevendo il fondo della bottiglia e lanciando quest’ultima contro la lapide. Il vetro si fece in mille pezzi mentre Cancer dondolò all’indietro e ricadde in terra. Saori stava per tendergli una mano quando un tocco gentile sulla spalla la tirò indietro.
“Per favore, Atena, lasciate che me ne occupi io. E’ ubriaco. Perdonatelo per le cose che ha detto. Non sta bene.”
Saori si fece indietro e lasciò che il cavaliere d’oro di Phisces se lo issasse in spalla. Death Mask continuava a brontolare ma non fece alcuna resistenza.
“Ti prego, Aphrodite, fammi avere sue notizie”, disse mentre i due la superavano.
“Starà bene. Mi occuperò io di lui come lui si è sempre occupato di me.”
Saori si voltò di nuovo verso la lapide.
“Non so cosa sta succedendo Saga. Qualcosa si agita nel mio cuore. Tu avresti saputo cosa fare”, sussurrò prima di voltarsi e tornare alla tredicesima casa.

Note :
* 'Allo spirito divino che è in lui' ma anche 'divorato dai suoi stessi demoni'
Per chi non lo sapesse è l'elegia funebre sulla tomba di Morrison.

  
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