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Autore: King_Peter    30/06/2015    9 recensioni
{ Interattiva | Tremate, tremate, i mezzosangue sono tornati! | Storia completa }
Il Tartaro ha inghiottito tutti.
Innocenti si sono smarriti, peccatori sono affogati, dannati si sono perduti.
Gli dei si sono indeboliti, consumati dalla loro smania di potere, prede indifese della tanto ambita vendetta dei loro nemici.
Il mondo è sulla soglia di una nuova grande guerra e, dopo la sconfitta di Madre Terra, i semidei, sia romani che greci, dovranno affrontare una minaccia ben più grande di Gea, una minaccia che segnerà la loro vittoria.
O la loro fine.
♦ ♦ ♦
Dal testo: Sangue, Corpo, Cuore.
Le parole di Elena acquisivano finalmente un senso, mentre Lion assisteva riluttante a quel rito macabro ed antico come la terra stessa: serviva il sangue di un figlio degli Inferi, il corpo di qualcuno che era andato spontaneamente verso il proprio destino ed, infine, il battito di un cuore puro che potesse riportare sui suoi passi anche la morte.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Ade, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. La donna che piange
Ira brevis furor.



Lion era sicuro di aver distrutto la storica dimora di Madame LaLaurie.
Appena ebbe riaperto gli occhi, una piangente Cassie gli aveva raccontato di come Alexis si fosse immolata per salvargli la vita e riportare indietro l'amore di Didone, il fantomatico Enea. Per qualche secondo l'aveva fissata nei suoi occhi azzurri immacolati, prima che il suo cervello recepisse il fatto che Alexis era morta.
Impossibile.
Aveva urlato, di questo era sicuro, e aveva richiamato a sé il potere di suo padre affinché sputasse in superficie oro, gioielli e le ossa di coloro che si trovavano sotto di loro. La casa aveva tremato mentre il cielo si era fatto di un nero ancora più cupo di quello che bruciava negli occhi di Lion.
Non è possibile.
Aveva faticato ad alzarsi, la testa che gli doleva come se fosse stato investito da un autobus, ed aveva scacciato in malo modo la mano che gli poneva Castiel, la voce calma e suadente come quella di una sirena. Non conosceva i suoi poteri, ma era sicuro di dovergli stare lontano, per evitare di fargli male.
Si puntellò sulle ginocchia, mentre ogni ferita sul suo corpo si riapriva e bruciava come se qualcuno ci avesse gettato sopra del sale. Didone stava piangendo di gioia ed era piegata sull'altare bianco, cullando tra le braccia il corpo abbronzato di un uomo, il mento coperto da una barba castana, i capelli mossi dello stesso colore, gli occhi chiusi da troppo tempo, in attesa di essere riaperti.
No, non lo é.
Caelie cercò di fermarlo, tirandolo per un braccio, senza successo. Poi provarono sia Cassie che Serena, inutilmente, lasciando solo Zheng ai margini della sua visuale, intento ad osservarlo, come se fosse un esperimento di laboratorio. 
Urlò.
Il corpo di Alexis aveva perso ogni traccia di vita, colorato solo dal leggero pallore della morte. I suoi capelli erano stati sciolti, riversi sull'altare come fossero una pioggia di ombra, i suoi occhi chiusi, addormentati in quello che era il riposo eterno. Una ferita larga circa cinque centrimetri correva lungo il suo ventre, mentre il sangue che bagnava l'altare accendeva ancora di più l'ira di Lion, istillando in lui il seme della pazzia.
Si avvicinò, appoggiandosi sul bordo dell'altare con rabbia e dolore. 
Scostò delicatamente qualche ciocca di capelli che aveva davanti al viso, bagnandosi le mani con il suo sangue e sentendo il bisogno prepotente di piangere. Si portò le mani alla bocca, imbrattandosi il viso arrabbiato, cercando di soffocare le lacrime, per poi raggiungere lo stato della negazione.
Si fermò.
Non voleva stare lì, non voleva prendere la sua mano e sentire che non aveva più polso. Non voleva prendere la sua testa tra le ginocchia e darle l'estremo saluto, abbandonandosi all'idea che fosse morta davvero.
Non poteva.
La terra rispose al suo dolore, cominciando a sputare gioielli e pietre preziose, mentre le pareti centenarie si ricoprivano di diamanti ed mani scheletriche che artigliavano l'aria. Sentiva vagamente le urla dei suoi compagni che gli imploravano di smettere, la voce di Castiel che sussurrava alle sue orecchie di fermare la sua mano, senza che lui gli prestasse la minima attenzione.
Il volto di Didone era una maschera di orrore, così come quella di Enea, gli occhi socchiusi, le membra pigre. Lion si osservò la mano sporca del sangue di Alexis, puntandola contro i due amanti a palmo aperto.
« Non era questo il patto! » gemette la regina di Cartagine, sforzandosi di reggere il peso del suo amato e fuggire dalla rabbia assassina del figlio di Plutone, « Non era questo il patto! » ripeté, urlando.
Forse era diventato davvero pazzo, perché Lion scoppiò a ridere, una di quelle risatine nervose a cui non puoi sfuggire, anche se stai soffrendo come un cane. 
Fece scrocchiare le ossa del collo con fare teatrale.
« Avrei dovuto esserci io, su quell'altare. » rispose, calmo, indicando il punto in cui era disteso il corpo di Alexis, « Era questo il patto, Didone. »
Enea gli aveva finalmente rivolto lo sguardo, le mani che si stropicciavano gli occhi per scacciare gli ultimi residui del sonno che lo aveva colto duemila anni prima. Trovarsi a così poca distanza dal suo famoso progenitore fece formicolare le sue mani, come se fosse venuto a contatto con una divinità.
Era questo, il momento giusto.
Sulle sue braccia cominciarono a correre delle profonde vene nere, fino a raggiungere il suo volto, in una maschera di sangue ed ombra, mentre la foschia saliva dal terreno e i piedi di Enea venivano bloccati da robuste catene di metallo fuso, facendolo urlare di dolore.
« Che stai facendo Lion?! » esclamò sconvolta Caelie, alla sua destra. Poi, notando il suo volto, urlò e tra le lacrime gridò il suo nome. Didone era sconcertata come la figlia di Apate, la maschera di menefreghismo e passività era caduta, lasciando il posto all'amore e alla paura di perderlo per la seconda volta.
« Fermati! » urlò, « FERMATI! Non puoi ucciderlo, va contro la legge del sacrificio! » gridò, facendo rialzare Enea, caduto a terra per via delle catene ardenti.
Lion annuì.
« Ma posso maledirlo. » sussurrò, un sussurro maligno come la magia che era all'opera in quella stanza. Il cielo rombò il suo disappunto, mentre la terra sotto di loro tremava e si spaccava a poca distanza da dove si trovava Castiel. « Tu mi hai portato via l'amore per mia sorella, io ti porterò via l'amore che provi per Enea, condannandolo a dormire per l'eternità, senza mai svegliarsi. »
Didone gli rivolse il suo sguardo più addolorato possibile.
« Sarà come perderlo per la seconda volta, non è vero? »
« Non ... puoi. » gemette Didone.
« Questa è la guerra. » sostenne Lion, mentre il reticolo di vene sulle sua braccia scintillò, rispondendo al suo potere di distruzione.
« Ti dirò tutto quello che vuoi sapere! » urlò Didone, sovrastando, con la sua voce, il rumore dei crolli e della terra smossa, « Tuo padre sarà il primo a sparire, in questa guerra. Sta combattendo contro un dio potente ed antico quanto Gea, un dio che non aveva mai lasciato il posto in cui era stato confinato. »
Il reticolo di vene nere sulla sua pelle bruciò e del vapore cominciò ad alzarsi dalla sua pelle, come se stesse andando letteralmente a fuoco.
« Tartaro sta sorgendo. »
Quelle tre parole riuscirono a fare breccia nell'armatura che aveva costruito intorno a sé, forgiata dalla rabbia e dal dolore che gonfiavano il suo petto. Enea era a terra, quasi trascinato nel baratro che si era aperto accanto a lui per via delle catene che legavano i suoi piedi, mentre Didone faticava a reggere il suo peso.
« Beh, grazie per queste informazioni. » sibilò Lion, la crudeltà che plasmava la sua voce, « Adesso è tempo di vendetta, Elissa. Saluta per l'ultima volta il tuo amato. »
Lion urlò, mentre il suo anello si faceva sempre più caldo e simile ad una supernova intorno al suo dito e il reticolo sul suo corpo si infiammava di rabbia. Era completamente affogato in quella spirale di sangue e morte, adesso non aveva idea di come uscirne.
"Sta lontano dalla magia oscura." tuonò una voce austera e possente nella sua testa, facendolo urlare di dolore. Si portò le mani alle orecchie, cadendo in ginocchio, mentre la sua magia che si spegneva, la terra smetteva di tremare e le catene intorno ai piedi di Enea si aprivano facendo milioni di scintille.
"Stai lontano dalle Arti Infernali, Lion."
Era suo padre, adesso ne era sicuro, suo padre che cercava di salvargli la vita dall'orgoglio e dalla rabbia che si agitavano nel suo petto. Forse erano i suoi nervi sovraccaricati, forse la sua immaginazione, ma fu quasi certo di vedere l'ombra di Plutone portare via il corpo senza vita di Alexis, lasciando nell'aria odore di zolfo.
Diede un ultimo sguardo alla stanza, i mattoni crepati, le assi sconnesse e gli squarci nel pavimento ricuciti dal provvidenziale intervento di Plutone. I suoi occhi ancorarono quelli di Caelie, spaventati, poi quelli felici di Didone, le lacrime che bagnavano il volto di Enea, prima che i suoi sensi si offuscassero.
Svenne.
Quando rivenne, aveva addosso gli occhi di Cassie, quegli stessi occhi che gli avevano comunicato la brutta notizia, adesso più preoccupati che altro. Era disteso un piccolo divanetto al secondo piano della casa di Didone, lo sguardo di tutti puntato addosso.
« Stai bene? » gli chiese Castiel, dubbioso e leggermente spaventato, cosa che Lion poteva capire. Annuì, tirandosi a sedere e lasciando le impronte dei suoi scarponi sulla seta pregiata del divano.
« Sicuro? » domandò Serena, aggiustandosi i capelli in una debole treccia, « Quello che hai fatto prima è stato ... wow! Non so nemmeno come definirlo. » aggiunse, boccheggiando.
Gli faceva male la testa e gli si stava quasi sdoppiando la vista, ma qualcuno gli passò un po' di ambrosia e sentì subito l'effetto benefico del cibo degli dei fare effetto.
« Ho distrutto tutto, vero? » chiese, facendo per alzarsi e venendo subito rimandato a sedere dalla figlia di Apate, il labbro inferiore che le ballava più che per la preoccupazione che per la paura.
Annuì, indicando le caviglie bruciate dell'uomo che sedeva accanto a Didone, il vestito leopardato che aveva addosso sembrava aver combattuto la terza guerra mondiale, visti i buchi che presentava nel suo tessuto. Lion si morse l'interno della guancia così forte che sentì il sapore metallico ed amaro del suo stesso sangue in bocca.
« Suppongo di dovermi andare a porgere le mie scuse. » sussurrò. 
Adesso la rabbia era scomparsa e aveva lasciato posto alla tristezza. Dopotutto, forse, avrebbe fatto meglio a morire con gli altri al Campo Giove, quattro mesi prima, anziché essere sopravvissuto e aver portato morte e dolore in viaggio con sé, la loro impronta ossuta che lo marchiava come qualcosa di indelebile.
« Prima di tutto con voi. » 
Calò il silenzio, interrotto solo dallo sbattere delle ciglia di Serena e il respiro affannato di Castiel, i capelli scuri che gli ricadevano a ciocche disordinate sugli occhi. Il figlio di Eros manteneva la mano di Cassie che ricambiava la sua stretta vigorosa, il viso sporco e lucido per il sudore.
Lion li guardò: che si stesse formando l'amore, in mezzo al mare di morte e tristezza in cui versavano?
Caelie gli mise una mano sulla spalla e i suoi capelli sottili gli solleticarono il volto, prima che lei gli desse una mano per aiutarlo ad alzarsi. Sentiva tirare la pelle, lì dove era stata ferita, anche se il dolore fisico era qualcosa con cui era abituato a vivere. Era il dolore emotivo che lo sfibrava veramente, rendendo molli le sue ossa, ammorbidendo i suoi tendini e privandolo di un'armatura contro quelle che erano le forze crescenti del Tartaro. 
Prima Alec e Wolf, adesso anche Alexis.
Avanzò zoppicando verso la coppia felice che aveva davanti e il loro scambiarsi sguardi complici lo faceva sentire completamente fuori posto, oltre che colpevole.
« Lion Davis, il potente figlio di Plutone. » annunciò Enea, lo sguardo più giovane e allegro di quello che Lion avrebbe mai potuto immaginare, « Didone mi ha parlato di te. Devo ringraziarti, visto che è solo grazie al sacrificio di tua sorella se sono qui adesso, con voi. » 
"Già, i tuoi ringraziamenti non riporteranno indietro Alexis, però." pensò a denti stretti, ma fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco.
« Volevo scusarmi per ... beh, tutto. » disse Lion, alludendo alle sue caviglie ustionate, « Non avevo il pieno controllo di me stesso, non ero in me. » confessò.
« Io ti credo, Lion. » rispose Enea, una preziosa veste romana adornava il suo corpo, rendendolo ancora più atletico e attraente, « Un vero romano non mentirebbe mai, vero? » 
Annuì, trovando un po' surreale il fatto che si trovasse davanti al suo vero progenitore, al mitico uomo che aveva reso possibile la gloria di Roma. Enea spostò lo sguardo dal figlio di Plutone ai suoi compagni d'impresa, soffermandosi a lungo suoi loro volti.
« Greci, dico bene? » chiese l'eroe troiano, trovando l'assenso negli occhi di Castiel, « Fu per colpa vostra se la mia città cadde. Ahimè, questo era il fato della potente Troia, così come il tuo fato è quello di impedire l'ascesa al potere di Tartaro. » 
« Tartaro? » chiese confuso Lion, spostando il peso del suo corpo da un piede all'altro, « Parliamo del dio Tartaro, vero? » 
Enea annuì e Lion, in quel momento, fu colpito dalla luce che bruciava nei suoi occhi, così suadenti e tentatori, il tipo di occhi che ti spinge a compiere gli atti più scabrosi e i peccati più indicibili. 
Il tipo di occhi che accomunava i figli di Afrodite quanto quelli di Venere, ed Enea, per essere un uomo appena risorto dalla morte, aveva un aspetto fantastico.
« Si, il dio degli abissi più profondi. » rispose, la voce calma, « Tu non sei stato negli Inferi, Lion, non sai cosa sta succedendo sotto i nostri piedi. »
E così dicendo alzò lo sguardo dai piedi di Lion al suo volto.
« Tuo padre sta combattendo, certo, ma non sono sicuro che il suo potere riuscirà a fermare una minaccia così grande. » spiegò,  « Avrà bisogno di aiuto, dal versante mortale. E chi meglio di suo figlio può aiutarlo? » 
Pronunciò quella domanda in maniera così attraente che Lion faticò non poco a resistere alla sua lingua ammaliatrice, immaginando sé stesso mentre saltava addosso al figlio di Venere. 
« Ma cosa posso fare io, semplice semidio qual sono? » domandò, giocherellando con il suo anello di oro imperiale, cosa che non sfuggì alla vista di Enea, visto che alzò e gli strinse la mano in segno di partecipazione al suo dramma.
« Mi fu affidato il compito di trovare una nuova terra dove portare quei pochi troiani scampati all'inganno del cavallo e fondare una stirpe che avrebbe dominato il mondo, Lion. » raccontò, la tristezza e il senso del dovere che si combattevano nel suo sguardo, « Non avevo idea di dove andare, non avevo idea di dove mi avrebbe portato la mia missione. Mi sono affidato completamente al Fato, sapevo che mi avrebbe protetto, e ho cercato di leggerne i disegni. » 
I suoi occhi incontrarono prima quelli di Didone, poi quelli del figlio di Plutone.
« Ho perso mio padre, sono stato strappato all'abbraccio di mio figlio, ma, credimi, guardandoti non posso che essere orgoglioso del mio sacrificio. » disse, la voce carica di solennità, « Sono convinto che riuscirai a liberare i tuoi compagni, Lion, e voglio darti un aiuto. » 
Tese la mano a Didone che prontamente gliela strinse, un sorriso sincero che balenava sul suo viso, dopo quelli falsi e freddi che Lion aveva visto.
« E in che cosa consiste? » 
« Dovete impedire che Tartaro si manifesti in forma fisica sulla terra. » spiegò, la pelle abbronzata come quella di un marinaio, « Dovrete trovare la cosa a cui Tartaro cercherà di aggrapparsi per non farsi trascinare dal suo potere, un'ancora. » 
"Un'ancora?" si domandò la vocina nella sua testa.
« E come faremo a trovarla? » chiese Lion, in balia della confusione, « La prego, Enea, mi aiuti. » 
Lui sorrise, scoprendo i denti brillanti e bianchissimi. Certo, essere figlio di Venere aveva i suoi pregi.
« Villa Fauline, qui, a New Orleans. » sussurrò Enea, sorridendogli complice proprio come avrebbe fatto sua madre davanti ad una coppia di amanti, « Fa che il sacrificio di tua sorella non sia stato vano. » 



I passi di Lion risuonavano insicuri per le strade di New Orleans.
Avevano oltrepassato una marea di edifici storici e quasi tutto il quartiere francese, osservando i tavolini quadrati a cui sedevano le fantomatiche streghe, offrendo i loro servigi in materia di chiromanzia e preveggenza. I lampioni lungo le strade erano sfiorati dalla luce morbida del tramonto, la coperta arancione che calava sulla città, mentre loro l'attraversavano a piedi.
Castiel era particolarmente entusiasta per via dei busti dei cavalli, rappresentati come quelli degli scacchi, ai lati delle aree pedonali di New Orleans, seguito a ruota da quella che, molto probabilmente, era la sua nuova segretissima ragazza, ovvero Cassie.
Serena stava conversando con Zheng sulla bellezza della città, non riscuotendo certo attenzione dal silenzioso figlio di Ecate. Lion aveva intuito che stava tramando qualcosa, forse per via di tutte quelle occhiate che gli aveva lanciato, ma non aveva ancora intuito del tutto il suo desiderio più oscuro.
Perché era sicuro che Zheng ne avesse uno.
Caelie gli camminava a fianco, il naso all'insù, profondamente interessata all'architettura della città: nel profilo del tramonto, Lion si accorgeva di quanto fosse attraente, specialmente le sue labbra, così vellutate e tentatrici che Lion avrebbe preferito affrontare un esercito di mostri piuttosto che starle vicino.
Era quello l'amore?
Si inumidì le labbra, così secche per via dell'aria estiva che si respirava in città, prima che lei gli parlasse. I sentimenti confusi che provava per lei si scontrarono con quelli omosessuali che lo avevano sconvolto davanti ad Enea, forse per via della sua discendenza.
Non che avesse nulla contro gli omosessuali, ma non aveva mai sentito di poter provare qualcosa per le persone del suo stesso sesso.
« Mi hai fatto paura, sai, prima. » confessò, lo sguardo basso che non incontrava mai quello del figlio di Plutone, « E ho avuto paura anche per te. » 
Lui rimase muto, non dicendo nemmeno una parola.
« Scusami. » si affrettò a dire, poi, mentre oltrepassavano un negozio di dolciumi, « Non era mia intenzione. Ero ... » 
« Sconvolto, si. » continuò Caelie, le mani strette intorno alle cinghie dello zaino che portava in spalla,  « Ho avuto solo il tempo di vedere Alexis che ti colpiva in testo con il piatto della spada e tu che cadevi a terra. Poi si è fatto tutto molto confuso, come il cerchio di sale intorno all'altare in modo da non lasciarci avvicinare. » 
« Per legare un sacrificio. » ricordò Lion, le parole amare che fluivano via dalla sua bocca come un torrente in piena.
« Esatto, l'ha detto anche Didone. » replicò tetra Caelie, le lacrime agli occhi, « Alexis mi stava simpatica, anche se io, forse, non piacevo a lei. » 
La sua voce era intrisa di tristezza, cosa che spinse Lion ad avvicinarsi e ad accarezzarle i capelli sulle spalle con fare timido e goffo.
« Le volevo bene anche io. » 
Continuarono a muoversi per la città l'uno affianco all'altra e, se non fosse stato il tramonto a salvarlo, Lion sarebbe apparso rosso come un peperone, sotto lo strato di abbronzatura della sua pelle. Una cicatrice seghettata correva tra il pollice e l'indice, facendogli ricordare una sua vecchia missione con la sua coorte.
Era vicino, avrebbe potuto liberarli.
I passanti per strada quasi raddoppiarono con l'avvento della sera, attirati dalle malie e dalle attrazioni della movida notturna di New Orleans che, seppur alquanto tetra e misteriosa da un lato, rimaneva una delle città più belle che Lion avesse visto, pari a New York o San Francisco.
Villa Fauline, Villa Fauline, dove si trovava?
Avevano chiesto informazioni a qualche ristoratore del quartiere francese, ma nessuno gli aveva saputo dare informazioni precise sull'ubicazione di quella fantomatica villa, forse per paura, forse per vera ignoranza. Avevano provato anche con un incantesimo di localizzazione da parte di Zheng, ma anch'esso di era rivelato infruttuoso, quindi la ricerca si era limitata a camminare per quartiere, sperando in qualche strano ed eventuale segno sovrannaturale.
Lion stava per fermarsi e lamentarsi per quanto gli facessero male i piedi, quando il suo sguardo venne rapito da una fiammella bluastra che fluttuava proprio davanti a lui. Appena Lion vi posò lo sguardo sopra, quella si spense e se ne accese un'altra a qualche metro di distanza.
"Fuochi Fatui."
Lion sorrise, un sorriso storto e rotto per la stanchezza, pensando a come i fuochi fatui, un cattivo presagio per la cultura romana, gli stessero salvando ancora una volta la vita, guidando la sua impresa.
"Grazie."
« Da questa parte, ragazzi. » disse, voltandosi verso destra rispetto alla direzione in cui stavano camminando, « Villa Fauline è da questa parte. » 
Il suo annuncio suonò tetro e macabro, come se si stessero avviando verso una mattatoio di corpi umani, mentre le sue parole gli lasciarono un sapore amaro in bocca. Mosse un piede dietro l'altro, nervoso, cercando con lo sguardo ogni spirito fatuo che gli compariva davanti.
Alcuni dicevano che fossero spiriti dei morti, benevoli ed intenti a regalare favori ai vivi sulla terra, altri pensavano che fossero solo fiamme accese da ossido di carbonio e, proprio per questo, era più facile vederli nei cimiteri dove abbondavano corpi in decomposizione.
Guardando il profilo sfumato di un fuoco fatuo, la sua mente volò subito a sua sorella. Il sorriso che aveva sulle labbra si spense, lasciando il posto ad una smorfia di tristezza. Voleva riportarla indietro, farla tornare alla vita, ma quella era magia oscura, molto oscura. E suo padre gli aveva raccomandato di starci alla larga, per il suo bene.
Rabbrividì.
Il potere che lo aveva attraversato, quando aveva scoperto che Alexis era morta, era qualcosa che non aveva mai osato provare, attingendo direttamente all'essenza di un dio che, per poco, non lo aveva quasi ammazzato. 
Conosceva le storie che circolavano su quel tipo di magia, magia che portava sempre con sé delle conseguenze, però non ci aveva mia prestato tanta attenzione, considerandole sempre e solo superstizioni.
« È questa? » 
La voce di Serena lo riportò alla realtà, mentre le voci che aveva nella testa di acquietavano e gli lasciavano ammirare la facciata di quella che, una volta, avrebbe dovuto essere una bellissima casa. La testa di una bambola di ceramica era incastrata sul punto più alto della picca di metallo del cancello arrugginito, come una sorta di macabro trofeo.
Ne aveva davvero abbastanza di case inquietanti.
« Credo di si. » disse e, come in risposta a un ordine muto, il cancello cominciò a cigolare e ad aprirsi, sospinto da mani invisibili. Un delicato vento scompigliò i capelli che aveva sulla fronte, disordinati come sempre, mentre i suoi occhi ancoravano l'ultimo fuoco fatuo sulla soglia del porticato scolorito dal tempo che dovevano attraversare.
« Sono io, o finiamo sempre in posti inquietanti? » domandò Cassie, la spada sguainata stretta tra le mani, « Non ce la faccio più. » 
Lion non poteva darle torto, ma i suoi sensi confermavano che era proprio quella la fantomatica Villa Fauline di cui aveva parlato Enea. Il sole era calato oltre l'orizzonte, lasciando sferragliare i suoi ultimi raggi colorati nel cielo, prima che Lion e gli altri si immergessero nell'atmosfera tetra della casa.
L'edera aveva mangiato buona parte del piano terra, colonizzando muri e abbracciando poltroni e televisioni, mentre la polvere che aleggiava nell'aria era così fitta da far starnutire Lion. 
Il suo forcone in oro imperiale scintillò debolmente quando si divisero per coprire uno spazio maggiore. Il silenzio che aleggiava in quella casa era irreale, ma, come Lion poté notare prestando attenzione, era interrotto saltuariamente dal singhiozzare monotono di una persona, come se quella persona stesse piangendo.
« Sto cominciando ad odiare New Orleans. » sussurrò la voce di Caelie alle sue spalle, facendolo sobbalzare, mentre lei usava la spada per tagliare un ramo di edera che le impediva di passare, « È troppo ... » 
« Fantastica. » concluse Lion, facendole segno di azzittirsi con un dito davanti alla bocca, poco prima di aprire una porta di legno con un calcio ben assestato. 
La stanza era vuota come le precedenti.
Caelie lo seguì, ispezionando gli angoli bui della sala e incespicando tra le travi rotte cadute a terra, rischiando anche di farsi male. 
« Che ne pensi? » gli chiese la figlia di Apate, avvicinandosi a lui con fare lento e circospetto. Quella casa le stava mettendo ansia e paura addosso. Guardò oltre le finestre appannate dal tempo, sporche come il resto degli oggetti che si trovavano lì.
Lion si piegò, osservando un punto su cui la polvere era stata smossa.
« Penso che siamo in un mare di ... » 
« Guai. » affermò una voce delicata alle sue spalle, completando la sua frase.
Lo spavento gli lasciò solo il tempo di rinsaldare la presa sul forcone e voltarsi di scatto, puntando l'arma contro una donna, una donna bionda e bella, anche se questo non significava niente visto che, come Lion sapeva, quella bellezza poteva celare un famelico mostro.
I suoi occhi erano cangianti, a metà tra l'azzurro e il celeste, anche se era difficile dirlo con certezza, vista la scarsità della luce che c'era nella stanza. Indossava una veste che una volta era bianca, accollata alla maniera greca e appuntata, poi, con una spilla d'oro macchiato sulla spalla. 
I suoi capelli erano biondi, biondi come il colore del grano maturo, intrecciati con dei nastri ai lati del volto, una sottile lamina d'oro che le incorniciava la fronte e presentava alcune leggere in greco, lingua che Lion non conosceva. La cosa più sconvolgente, però, in quella donna, era il suo viso, il suo viso bagnato percorso da lacrime amare che, via via, avevano scavato dei solchi profondi come rughe sulle sue guance.
Era lei, era lei che Lion aveva sentito prima.
Era lei la donna che piangeva.
« E tu chi diavolo sei? » domandò Lion, dall'alto della sua ignoranza, voltandosi poi verso la figlia di Apate. Il volto di Caelie era una maschera di orrore e disgusto.
« Non ci arrivi? » 
« Vuoi prenderti gioco di me proprio adesso? » 
Caelie scosse la testa e le ciocche dei suoi capelli la seguirono, creando un'onda uniforme di capelli scuri come la terra.
« È lei. » affermò, la voce carica di orrore, « È lei l'ancora. » 
In tutta risposta, la donna si avvicinò più velocemente di quanto Lion avesse mai potuto fare, arrivando a toccargli la fronte con un dito. Gli si annebbiarono subito i sensi, sconvolti da una sorta di estasi divina, poi udì il suo singhiozzare monotono entrargli nelle orecchie, prima di cadere nel buio.
Cercò un appiglio, una pagliuzza che gli impedisse di affogare nelle tenebre, ma non incontrò altro che il nulla davanti e sotto di sé. 
Si sentì spacciato, come il tocco di quella donna lo avesse fatto entrare in una sorta di coma irreversibile. Il suo cuore cominciò a fare le capriole, battendo più violentemente contro le ossa del suo corpo, in cerca di una via di fuga da quell'incubo.
"Fatemi uscire di qui!" 
Aveva voglia di urlare, ma non ci riusciva. Ogni volta che ci provava, c'era qualcosa che gli si appiccava alla bocca, come un tovagliolo di stoffa ficcato in gola. 
Non era assolutamente un buon segno.
Provò ad aprire gli occhi, ma anche le sue ciglia sbattevano contro qualcosa di morbido che gli impediva di vedere la realtà che aveva davanti. Le sue mani erano legate dietro lo schienale di una sedia, come in uno di quei film polizieschi, e strette intorno alla sua vita, delle corde gli impedivano ogni movimento. Poi, prima che potesse anche pensare ad un modo di liberarsi, le sue orecchie vennero lacerate da un urlo sovraumano, proprio accanto a lui, a cui ne susseguirono altri.
E altri ancora.
Per un attimo, ringraziò gli dei per il fatto di non vedere ciò che stava accadendo in quella stanza. 
Lottò contro le corde che stringevano i suoi polsi, ma era come toccare dei carboni ardenti: più cercava di liberarsi, più le corde si stringevano e bruciavano come fiamme. Qualcosa di affilato gli sfiorò la gola, andando a conficcarsi nella parete di fianco a lui.
« Accetta il mio patto, romana. » disse una voce, a cui seguì un altro urlo, femminile, impastato di rabbia e di dolore. Lion era sicuro di aver già sentito quella voce, soprattutto il modo in cui pronunciava l'appellativo "romana", un susseguirsi di suoni e ronzii pericolosi come uno sciame di vespe.
« Non te ne proporremo altri. » continuò, poi, una seconda voce, anch'essa conosciuta, vellutata come la notte, « Tutto sarebbe meglio della prigione in cui vi stiamo facendo marcire, non credi? »
Lion tentò ancora di liberarsi, ma i legacci intorno alla sua vita si strinsero fino a comprimere del tutto il suo stomaco. Un affollarsi di risate nelle sue orecchie.
« Osserva, Lion Davis. » sussurrò una seconda voce al suo orecchio destro, così suadente da sembrare quella di una sirena, simile a quella della donna bionda che aveva visto a Villa Fauline. La loro attenzione ritornò verso la ragazza che gli stava di fianco.
« Siamo qui da ore, figlia di Vittoria. » esclamò, apatica, la prima voce, fredda come il ghiaccio, « Andiamo, accetta questo diavolo di patto! »
Figlia di Vittoria? Doveva essere sicuramente Robin, allora. Lottò ancora contro le corde, ricevendo solo dolore, mentre Robin sputava a terra e qualcuno lo sbendava. 
I suoi occhi faticarono ad abituarsi alla lugubre atmosfera di quella cella, così buia e polverosa. Sentì qualcosa zampettare sui suoi piedi, un ragno risalire sulla sua gamba, puntando verso il torace. Aprì e chiuse le palpebre più volte, mettendo bene a fuoco il viso gonfio e livido di Robin, accasciata su una sedia come la sua.
« La tua impresa sarà facile, romana. » cercò di convincerla Lilith, la chioma bionda che le ricadeva sulle spalle come una nidiata di serpenti velenosi, « Dovrai fare ciò che ti è stato ordinato, niente di più, niente di meno. »
« Sono certa che hai affrontato di peggio, Robin O'Gallow. » sussurrò l'altra, Nives, gli occhi profondi e scuri come la notte che la contornava.
Lion si rese conto di essere invisibile visto che nessuno si accorse della sua presenza. Si  mosse, cercando un'angolazione migliore per osservare la scena e cercare di capire perché quella donna lo aveva mandato lì. Voleva aiutare la sua amica, ma era incorporeo, non avrebbe potuto fare nulla. 
Il viso di Robin era tumefatto in più punti, rosso come la buccia di un pomodoro. Aveva diversi lividi sulle braccia e sulle gambe, soprattutto sui gomiti che forse aveva usato per scappare, senza successo. Le corde che aveva intorno alle mani brillavano di una luce sinistra, vivendo di vita propria. 
Gli occhi della figlia di Vittoria ardevano di rabbia e di dolore, i suoi capelli, ancora più scuri perché bagnati, colavano gocce di sudore dalle tempie sino alle guance sporche. Il cuore di Lion si strinse, come se una mano di ghiaccio lo avesse afferrato, in balia della tristezza e dell'amara consapevolezza.
"Scusami Robin, scusami." si ripeteva, come in una sorta di tetra cantilena, arrivando persino a desiderare di essere al suo posto, pur di far fermare la tortura che stava subendo.
Lilith si voltò e fissò esattamente il punto in cui si trovava il figlio di Plutone, annusando l'aria come un cane da caccia. Nel momento stesso in cui Lion incontrò i suoi occhi, gli sembrò che qualcuno gli avesse appena sferrato un pugno nello stomaco, tanto che erano pericolosi. Eppure il figlio di Plutone non poteva fare a meno di notare la bellezza che aveva plasmato quel viso, così freddo, eppure così affascinante.
« Non si fanno patti fra uomini e leoni. » replicò Robin, una scintilla di coraggio che brillava sul suo viso stanco. Poi urlò di dolore, proprio mentre Nives rigirava il dito in una delle tante ferite che correvano sul corpo della figlia di Vittoria. Le due, per un attimo si squadrarono a vicenda, come cane e gatto.
« Se volessi accettare, chi mi assicura che rispetterete il patto? » sputò, le parole che aveva pronunciato sembravano veleno che fuoriusciva dalle sue labbra, « Maledette streghe. »
Lilith ridacchiò.
« Noi manteniamo sempre le nostre promesse, figlia di Vittoria. »
Un urlo, poi il buio.


 


 
Note: il motto, in latino, ovvio, significa "L'ira è un breve attimo di follia." e, beh, nella prima parte del capitolo avete potuto apprezzare tutta la pazzia possibile nelle azioni di Lion.


#King'sCorner


Hey, here I am!
Oddio, e questa improvvisa passione per l'inglese da dove spunta adesso? Se vi siete fatti questa domanda, non avrete risposta, visto che anche io non riesco a darmi una spiegazione.
Si, mi serve un manicomio uu 
Innanzitutto devo ringraziarvi, perché arrivare a 78 recensioni, senza contare visite totali, è davvero un bel traguardo e, per questo, devo ringraziare solo voi, miei appassionati lettori! (Mi sembro Afrodite, adesso)
Afrodite: Hai chiamato, cupcake?!
No, vostra ... ehm, non esiste nome per magnificare la vostra persona, mia signora. 
Afrodite: Uh, adulatore!
Ehm ehm, dopo questo siparietto posso dirvi che la dea dell'amore, per fortuna, non apparirà mai nella storia, o forse, darà solo qualche consiglio silenzioso al nostro Lion che vuole conquistare Caelie, si vede lontano un miglio!
Ma perché vi sto spoilerando queste cose?
Passiamo al capitolo, perché, come avete visto, è parecchio interessante ciò che succede ai nostri piccoli semidei a cui spezzerò il cuore <3 , cioè, a cui augurerò tutto il  bene possibile del mondo! AHAHAHAHAHAHAHAH, no, ok, non sparite altrimenti i vostri piccoli pargoli faranno una brutta fine.
E sapete che io ho il più grande sistema cardiocircolatorio sadico del mondo, dono sicuramente di qualche dio che vi vuole bene ♥
Devo piantarla di spargere cuori a destra e a manca uu
Abbiamo visto come la perdita della sorella abbia distrutto emotivamente Lion e lo abbia spinto alla follia. Sono stato davvero in dubbio se far esprimere tutta la sua furia oppure scrivere di un modesto, quanto banale addio. Ho optato per la prima, anche perché mi serviva un bel po' di azione per movimentare il capitolo.
Senza contare che ho goduto molto nel mettergli in bocca la frase « Ma posso maledirlo. » Cioè, immaginate la mia faccia, immaginatela! xD
Vediamo poi come Enea si dimostri un rimorchiatore supersexy e come Lion quasi gli salti addosso (questo per spezzare un po' la tensione e l'angoscia di tutto il capitolo). Mi sembrava giusto dare un lato comico anche al nostro pargolo di Plutone, visto che è sempre così ... duro
Ok, battuta pessima, chi vuol capire, capisca AHAHAHAHAHAHAHAHAHAH
Ho voluto scrivere della ship DidonexEnea come di una coppia felice (quindi Didone non è molto arrabbiata con lui), perché ho immaginato che la nostra regina abbia avuto tanto tempo negli Inferi per rimuginare su Enea e su quella che era la sua missione e, quindi, perdonarlo.
Adesso che hanno una seconda occasione, non devono sprecarla, no? Sempre che io non uccida uno dei due e l'altro piangerà in eterno la sua morte, pff 
Vi ho regalato qualche istantanea Calion (?) e devo fare anche un disclaimer, però uu Villa Fauline, quella in cui dimora la donna bionda (a proposito, avete capito chi è?) non mi appartiene. Cioè, non so se esista davvero a New Orleans, non ci sono ancora andato, ma è un edificio presente nella serie tv The Originals, che io seguo ovvio, e mi sembrava il posto adatto per la donna che piange.
Quindi, boh, niente di questa villa mi appartiene (?) 
E poi abbiamo visto Robin, la dolce, ma guerriera figlia di Vittoria :3 Che, però, è stata costretta a stringere un patto per riconquistare la libertà: di che cosa si tratterà mai?
Mistero! (da leggere alla Adam Kadmon maniera, per precisare xD)

Ah, piccola precisazione sulla lunghezza della storia: ho deciso di svilupparla in 17 capitoli [contatene 16, però, perché l'ultimo sarà per i ringraziamenti speciali, solo per voi <3 (Barbara d'Urso è dentro di me, aiuto! c.c)] perché ho in cantiere un vero e proprio libro, uno di quelli che spero possa finire, un giorno, in libreria.
Quindi non trucidatemi se devo dividermi tra questa storia e il mio sogno! La sto portando avanti perché siete troppo carini e coccolosi, quindi se questa storia continua ad esistere è solo merito vostro :) Fatevi un applauso, lo meritate! 
Per il meraviglioso banner, ringrazio di cuore scusasetiamo (perdono, non so aggiungere i link ewe) che ci ha messo tutto il suo impegno per creare questa meraviglia! 
...
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Bene, se fin qui siete giunti, non posso che farvi i miei complimenti! (wow, ho fatto quasi una rima ahahahah) Ci si rivede sul prossimo capitolo e ricordatevi di lasciare una recensione con il vostro parere :)
Ho un Magnus piuttosto arrabbiato dopo aver finito di leggere Città delle Anime Perdute (Saroyan, ti odio, davvero c.c Hai spezzato il mio cuoricino di fanboy ç__ç) e non ho paura di usarlo (?)
...
Siete dei maliziosi se avete letto significati nascosti in questa frase AHAHAHAHAHAHAHAH
Hasta la vista! 

 
King.

  
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