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Autore: Ireth Anarion    30/06/2015    11 recensioni
Forse si tratta della cosa più triste che abbia mai scritto (fin'ora). Non so se sia all'altezza delle aspettative, spero che possa piacere.
POSSIBILE SPOILER PER CHI NON HA ANCORA VISTO LA 5x01.
Ispirata alla scena delle firme della prima puntata di questa quinta stagione (ho pianto mentre scrivevo LOL), contiene un vago accenno Sterek (che posso farci, li amo troppo).
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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            Scrivere certe cose non fa bene alla salute. Soprattutto se si è ha un passo dal finire la maturità come me. Nostalgia a gogo e ancora mi chiedo cosa mi sia saltato in mente.
            Okay, io avrei teoricamente dovuto scrivere altro. E per altro intendo il nuovo capitolo di una long che non c’entra niente con questo fandom. Perché hey, se ho avuto il tempo di scrivere, perché non farlo continuando The Force?
            Ve lo dico io il perché: sono reduce dalla 5x01. O meglio, dagli spoiler della 5x01. In particolare, come si evince dal titolo di questa OS, dalla scena di “D.H.”
            Che qualcuno ammazzi Davis, ve ne prego. O quantomeno, abbia la decenza di prenderlo a schiaffi, perché un tale eccesso di baiting è troppo e neanche in Sherlock avrebbero saputo far di meglio (e lì di baiting ce n’è a bizzeffe, chi di voi ancora non l’ha mai visto se lo aspetti).
            Insomma, angst a non finire e ora sono qui, a pubblicare, rannicchiata sulla mia poltrona a raccogliere i pezzi del mio povero cuoricino in frantumi. Jeff, seriamente, sei una mer*a. Avresti potuto creare meraviglie con la Sterek, MERAVIGLIE!, e invece no. Perle ai porci. Tsé.
            Orbene, mi sembra di aver parlato abbastanza. Vi auguro buona fortuna e incrocio le dita, perché questo è il mio debutto nel fandom di Teen Wolf e ho intenzione di scrivere altro a riguardo. Magari una vera e propria Sterek. Magari rossa. Magari a capitoli. Magari è già in fase di scrittura. *fischietta*
            Un bacione!
            Ireth~
 








            «Nonno? Dobbiamo andare».
            «Solo un attimo. Vorrei stare ancora un po’ qui, vi raggiungo dopo».
            «Va bene».
            I passi dei suoi familiari si perdono assieme a quelli di tutta la folla che percorre il corridoio. I ragazzi vestiti con la toga blu scura sorridono e si sbracciano, si fanno foto, si abbracciano tra le lacrime e le risate.
            Stiles guarda tutto questo con un tenue sorriso sulle labbra, le mani affondate nelle tasche della leggera giacchetta chiara. Eh, già: pur essendo la fine di giugno, lui sente un vago freschetto. E pensare che da giovane sgranava gli occhi quando vedeva un anziano coperto in estate. Ora che è lui ad essere anziano, la cosa non è più tanto strana.
            Prende a camminare nel verso opposto a dove vanno tutti – l’uscita. La cerimonia si è conclusa da un bel po’, ma la gente è rimasta più del dovuto per le consuete foto dell’annuario e i saluti ai professori. Lui è rimasto seduto tutto il tempo su una rigida seggiola di plastica, altrimenti le sue povere gambe fragili non avrebbero retto a quel massacro. Dopotutto, a settant’anni suonati, chi se la sentirebbe di starsene due ore filate in piedi? Lui non sicuramente.
            Si guarda intorno. È strano essere lì, ripercorrere quei corridoi adesso silenziosi. Gli armadietti sono chiusi, alcuni presentano graffiti, altri ancora sono nuovi fiammanti. Il nuovo preside ci tiene all’immagine della scuola. Senza neanche rendersene conto, Stiles si ferma di fronte a quello che una volta era il suo, di armadietto. Resta qualche secondo a fissarlo, poi con le dita lievemente tremanti per via dell’età va a sfiorarne l’anta fredda e liscia. Là, oltre quella sottile lastra di metallo, c’è il vuoto. Sembra solo ieri quando lo riempiva di “tutto ciò che poteva essere utile”, ovvero cianfrusaglie per lo più inusate. E di libri, ovviamente. Chissà se… La sua mano va al pomello con i numeri. Lo gira attentamente, mordicchiandosi inconsapevolmente le labbra screpolate dal tempo, il cuore che accenna un’accelerazione. E quando la serratura scatta, un dolce sorriso compare sul suo volto rugoso. Se la ricorda. Ricorda ancora la sua combinazione.
            Come volevasi dimostrare, l’interno è vuoto. Buio. A dispetto del sole che entra dalle finestre e la luce al neon che illumina l’intero corridoio. Stiles ha quasi l’impulso di afferrare un oggetto invisibile e sistemarsi un inesistente zaino sulle spalle, e in effetti il movimento inconscio che compie è dovuto proprio a quel riflesso. Risente l’eco delle chiacchiere, il clangore secco delle ante sbattute, il trillo della campanella. È di nuovo un sedicenne e sta per riporre l’ultimo libro prima di avviarsi al parcheggio e tornarsene a casa. La sua vera casa. Quella dove suo padre sarebbe tornato la sera stessa, esausto da un nuovo caso, affamato e desideroso di relax. Il suo papà…
            Stiles deglutisce e l’intera immagine scompare. Di fronte a sé, di nuovo, c’è il vuoto del suo vecchio armadietto. Lo richiude rapidamente, il rumore si propaga nello spazio vuoto con un’eco quasi raggelante.
            Prosegue la sua passeggiata, sbirciando le aule vuote e perfettamente ordinate. Quella di scienze è cambiata: ci sono più macchinari, più microscopi, più provette. Lo stesso vale per quella di informatica, con i computer considerevolmente più moderni rispetto a quelli cui era abituato lui a diciassette anni. Ma d’altra parte hey, sono passati più di cinquant’anni. È ovvio che tutto sarebbe cambiato. Continua a camminare. In lontananza si sentono ancora le voci dei familiari dei diplomati, il rombo dei motori che si allontanano, le voci degli addetti all’allestimento in palestra intenti a smontare microfoni e altoparlanti.
            È stata una bella cerimonia. Sua figlia Claudia ha pianto quando John ha ritirato il suo diploma. Già, sua figlia si chiama come sua madre e suo nipote porta lo stesso nome di suo padre. Almeno, in qualche modo, saranno sempre vicini a lui.
            Il sorriso non abbandona il suo volto neanche per un istante. Neanche quando, senza accorgersene, arriva lì. Alle mensole. Dove un gran numero di sigle e firme gli restituisce lo sguardo. E deglutisce, Stiles, sorpreso da quel ritrovamento. Una parte della sua mente si dice contenta del fatto che il nuovo preside non abbia deciso di far rimuovere tutto, perché è parte della scuola. Non sono scarabocchi qualunque, sono i loro scarabocchi. Le loro firme.  
            E il cuore di Stiles perde un battito quando si china lentamente per guardare meglio. Con costernazione, si rende conto che non tutte sono intatte come le ricordava. Una certa “Marie” non ha più una gambetta alla “m”, mentre qualcuno più sfortunato si è sbiadito fino a rendere impossibile distinguerlo – almeno agli occhi ora miopi di Stiles. Alcune firme, però, sono durate nel tempo. Spiccano lì tra tutto quel disordine, come una testimonianza, come a voler dire “Io c’ero”. E qualcosa nel petto di Stiles cresce a quel pensiero. Anche lui c’era. Anche lui ha lasciato la sua traccia, su quel piccolo spazio è rimasto il solito ragazzino goffo e chiacchierone.
            E poi arriva, prepotentemente. Il ricordo. Non osa spostare gli occhi, non osa guardare più in basso, sebbene agli angoli del suo campo visivo le abbia già intraviste. Non vuole, sarebbe troppo. Preferisce soffermarsi sulle due “A” di Allison, sulla “S” di Scott, Sulla sigla di Lydia. Man mano che quelle lettere appaiono ai suoi occhi, la sua mente rievoca i volti giovani e spensierati dei suoi amici. Che gli sorridono. Che lo chiamano. Che gli stanno accanto. E Stiles si guarda attorno, speranzoso, accorgendosi poi di essere solo, lì, in quella sua scuola. Solo, in un pomeriggio di giugno.
            Ed è a quel punto che il sorriso, fino ad allora una costante sulle sue labbra, si spegne. E i suoi occhi vivaci, gli unici rimasti giovani sul suo volto, tornano su quelle firme. E non importa più, non può ignorare: D.H.
            Qualcosa accade dentro di lui. La sua gola è come ostruita da un nodo. Gli angoli degli occhi pizzicano fastidiosamente. Si accorge di aver portato le dita su quelle due lettere quando è troppo tardi per frenarsi, e le sue dita anziane ne sfiorano i contorni. La sua mente questa volta non rievoca immagini, ma vere e proprie scene. La sagoma scura di un giovane uomo, in piedi al centro della foresta. La voce tagliente, sprezzante, intimidatoria. I suoi passi svelti, le sue maniere brusche, la sua apparenza aggressiva. Le sue parole minacciose. I suoi rari sorrisi. I suoi ancora più rari pianti. Il coraggio. La forza. La disperazione vinta dalla determinazione. Lo spirito combattivo, fiero, degno di un vero e proprio lupo. Un capo. Autoritario e leale.
            Non lo ha mai più rivisto. Mai più. Se avesse saputo quando fosse stato il momento di dirsi addio, avrebbe senz’altro fatto qualcosa. Se non altro una stretta di mano. Un «Ti detesto, ma infondo sei stato parte della mia vita». Magari avrebbe anche osato abbracciarlo, sperando che quello non sarebbe stato il suo ultimo gesto prima di morire per mano di un licantropo scorbutico. Magari lo avrebbe ringraziato. Magari gli avrebbe confessato che, infondo infondo, non lo detestava neanche un po’.
            E si ritrova a canticchiare, Stiles. Si ritrova a canticchiare tra sé e sé un triste motivo che la sua nipotina, Lydia, suona di tanto in tanto al vecchio pianoforte di casa. Le immagini di Derek si sovrappongono alle proprie, e ancora una volta Stiles è giovane e capace di cambiare le cose. Far sì che non tutto sia dimenticato, riparare. E ora corre, lo Stiles diciassettenne corre via dall’edificio per andare a Villa Hale, sempre uguale, sempre bruciata e distrutta, in piedi per miracolo. Apre la porta con forza, ansimando, e lo vede. È lì, in piedi, alla base della scalinata. Sempre oscuro, sempre serio. Sempre Derek. Lo Stiles diciassettenne gli si getta al collo e piange, un misto di gioia e tristezza a ostruirgli il respiro, come una bolla nel centro del petto. L’altro ricambia l’abbraccio, senza dire niente. Solo emanando calore, nient’altro che calore. Ed è così che dovrebbe finire. È in questo modo che dovrebbe essere.
            Non avere settant’anni e stare a sfiorare quelle lettere con infinita amarezza dentro. Non gli ha neanche detto addio… non lo ha neanche salvato un’ultima volta. Dove sarà mai, adesso? Ha avuto una famiglia, dei figli? Non lo saprà mai. Per lui sarà sempre giovane. Congelato nel tempo, nei suoi ricordi. Non invecchierà, non morirà. Si nasconderà sempre nell’ombra delle stanze, per poi fare una delle sue entrate a effetto. Ruggirà. Tenterà di salvarlo, per sempre. Per sempre.
            Una lacrima, una sola, scivola silenziosa su quel volto segnato. Le sue dita ruvide carezzano un’ultima volta quella superficie liscia.
            Ed ora lo sa. Ora, ora ha la consapevolezza che è quello il loro addio. E Stiles sa cosa deve fare. «Grazie, sourwolf. Per tutto».
 



             


















           

            Due occhi rossi risplendono dal fondo del corridoio. Labbra piegate in un mezzo sorriso. «Di niente… Stiles».
























            Io… mi… odio.
            Ho pianto mentre la scrivevo. Davvero, mi è salito un magone che neanche potete immaginare. Spero di aver trasmesso un pochino delle emozioni che ho provato io…
            Vi è piaciuta? Ha fatto schifo? Sarebbe bello se me lo diceste, così potrei migliorare qualcosa :)
            Il motivetto che canticchia Stiles, quello che suona la nipotina (di nome Lydia LOL, amatemi u.u) è questo:
https://www.youtube.com/watch?v=aXVlQJ8eFgE
            Invece, mentre scrivevo la scena di Stiles che va a Villa Hale e abbraccia Derek ho ascoltato questa (precisamente la parte che mi ha aiutata è stata da 00:30 a 01:47, dopo la musica torna ad essere più lenta e ho immaginato il “ritorno alla realtà”): https://www.youtube.com/watch?v=pUZeSYsU0Uk
            Chiunque voglia aggiungermi su Facebook troverà il link nelle mie bio Autore :D
            AbbraccioVi tutte! *lancia baci e coriandoli e sole cuore amore*







 
   
 
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