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Autore: aelfgifu    04/07/2015    2 recensioni
Dopo l'infortunio nella finale di Champions League, Karl è costretto a rimanere a Monaco durante le vacanze per portare a termine la riabilitazione. Ma a Monaco è rimasto anche qualcun altro...
Un giovane uomo alla scoperta di sé stesso, una donna piena di lati oscuri, una città deserta e lo splendore dell'estate.
[Seguito di Ritratto estivo di ragazzo svedese].
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Marie Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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8. Sotto il tiglio
 
Buon compleanno, Karl!
 
***
 
20 luglio, mattina
 
“Signora Jungreithmayr? Sono Julia. Volevo avvisarla che Zorba ha saltato il balcone come al solito e ora è al sicuro qui da me… glielo riporto più tardi, va bene?”
……….
“Va bene, non gli darò nulla…”
……….
“D’accordo, a più tardi…”
Mentre chiude la comunicazione, Julia sbircia oltre il cellulare e fissa con intenzione il gattone che s’è acciambellato regalmente sulla sedia, arrotolando la folta coda attorno al corpo.
“Sei proprio il padrone del mondo, tu, eh?” allunga una mano e gli gratta dolcemente la testa. Zorba riceve le carezze a occhi socchiusi.
“La tua padrona ha detto che non devo darti niente da mangiare, perché sei già troppo grasso…”
Zorba sembra scoccarle uno sguardo contrariato.
“Ma sei bello lo stesso” prosegue Julia, facendo ancora una carezza al micio.
La mattina prosegue così, col gatto acciambellato sulla sedia di Robby e Julia che batte con impegno sui tasti del suo portatile.
“Sai Zorbone” sbotta a un certo punto Julia “oggi pomeriggio Karl… te lo ricordi Karl, vero? Lo hai incontrato qualche sera fa… Karl mi ha invitato per una scampagnata…”
Il gatto continua a dormire.
“… è un ragazzo così gentile. Lo avresti detto?”
Zorba apre un occhio e lo richiude subito dopo.
“Sempre così serio… tu dirai: che responsabilità può avere uno che di mestiere tira calci a un pallone? E invece… poveri ragazzi, fanno una vitaccia, sempre in giro, su un autobus o su un aereo, sempre sotto i riflettori, sbranati dal gossip e dalla pubblicità… e poi quando smettono di giocare il mondo si dimentica di loro… allora meglio come me… tu che ne pensi?”
Il codone setoso del gatto frusta nervosamente l’aria, una volta, due volte.
“Preferirei che non fosse così gentile… io non so mai cosa fare quando qualcuno è gentile con me”.
“Miao” commenta Zorba.
“… ci sono ricascata, Zorbone” sospira Julia. “Che scema, eh?”
Proprio scema, riflette intanto tra sé, scema, e senza nessuno con cui parlare sulla faccia della terra, al punto di confidarti col gatto della vicina. Sei messa davvero molto, molto male, Julialein…
Mentre continua a scrivere, posa lo sguardo sul gatto che continua a sonnecchiare, soddisfatto e pacifico.
Beato te che non hai più nessun istinto riproduttivo: mangi, dormi, fai i tuoi bisogni, ti fai coccolare da mezzo condominio, non devi preoccuparti di niente… fai proprio la vita del signore.
Mi sento così sola, Zorba. Non ho nessuno con cui parlare e finisco col parlare con te, proprio con te che non puoi dirmi la tua, vedi?
 
***
 
Il posto ‘segreto’ di Schneider è la riva verde di un ruscelletto che scorre con impeto sul suo letto sassoso. Lungo l’argine si allineano alti alberi; alle narici di Julia arriva un profumo dolce e aromatico. Si sono accampati proprio accanto a un tiglio in piena fioritura; Julia tende una mano e accarezza una delle grandi foglie.
Karl è sdraiato supino, una gamba distesa e una flessa, e ha chiuso gli occhi. Non sta dormendo, assapora soltanto la quiete del posto, il venticello che agita le fronde e il rumore dell’acqua.
Julia ha portato con sé un libro, un libro qualunque, e ora sta fingendo di leggere per non infastidire Schneider.
Com’è dolce il profumo del tiglio.
 
Unter der linden, an der heide,
da unser zweier bette was,
da muget ir vinden
schone beide gebrochen
bluomen unde gras…
 
i versi le fluiscono sulla bocca spontanei, facendola arrossire.  Si raggomitola su se stessa, volgendo le spalle al compagno, e affonda la faccia nel libro aperto.
Fai che stia dormendo, fai che stia dormendo
“Cos’è, leggi qualcosa di scabroso?” la voce di Schneider le arriva alle spalle, lievemente divertita. Julia si gira di scatto e si ritrova la faccia di lui a pochi centimetri.
“Aah!” esclama.
“Dai, non sono così brutto”.
“Mi hai spaventato” lo rimbecca Julia.
“Sì, perché ti sei portata dietro un libro porno e ti sei messa a leggerlo pensando che io dormissi”.
“Perché pensi questo?”
“Perché ti sei tutta raggomitolata, come un bambino che ruba la cioccolata”.
“Non è questo il mo–” comincia a protestare Julia, quando lui le sfila abilmente il libro dalle mani.
“Vediamo un po’ che cosa stavi leggendo…” mormora Karl, mentre sfoglia le pagine fingendo un interesse esagerato. “Tutto qui?”
“Tutto qui!”
“E allora perché ti sei raggomitolata su te stessa come se non volessi farti vedere…?”
“Non voglio dirlo” replica Julia prendendogli il libro.
Restano così per qualche minuto, fingendo di ignorarsi, gli occhi rivolti alla fitta chioma del tiglio che scoppia di foglie e di fiori.
Alla fine è Karl a rompere il silenzio:
“Tu sei una persona con cui non bisogna fingere”.
Julia chiude gli occhi e si lascia accarezzare la faccia dal vento.
“Dovrebbe essere così sempre…”  
“Anche per Levin è la stessa cosa?” s’informa Karl.
Julia apre gli occhi.
“Non so, perché?”
Karl si mette a sedere, i gomiti puntati a terra all’indietro. Il vento gli scompiglia i capelli e lui scuote la testa per toglierseli dagli occhi.
“Sai perché il nostro regista è Levin, non io?” dice, guardandosi le scarpe. “Io sono altrettanto bravo, credimi. Sono un bravo stratega. Ma Stefan ha qualcosa che io non ho e che è decisiva per fare un buon regista: è al servizio dell’undici, ha generosità. È lui a pensare le azioni, a impostare il lavoro che altri finiranno. Io invece sono un opportunista e un egoista. Che, per inciso, sono le doti del finalizzatore. Ecco perché sto sotto ai riflettori più di lui”.
“Non credo che a Stefan importino molto i riflettori…”
“A volte m’intimidisce, sai?”
“Lui intimidisce te?” Julia sorride. “Forse è reciproco; forse v’intimidite a vicenda…”
“No, non intimidisce solo me. I suoi libri, la sua musica: è come se avesse un’altra vita segreta, oltre a quella che condivide con noi. Sai, noialtri non brilliamo mica per cultura, non ci intendiamo quasi di nulla a parte il calcio. Invece lui… credo che abbiate molte cose in comune” termina Karl precipitosamente.
“…”
“… ti ammira molto”.
Julia ha capito dove vuole andare a parare Schneider col suo discorso, ed è tentata di ingiungergli di arrivare dritto al punto. Poi però fa un sorrisetto tra sé e sé, e con femminile arguzia decide che il grande calciatore può pure stare un po’ sulle spine per una domanda che gli brucia in bocca.
“Hm”.
“Tutto qui? Hm?” chiede Karl, con una lievissima nota d’impazienza nella voce.
“Eh!” sorride Julia con aria incolpevole, alzando le spalle.  
“… ah”.
“Eh già”.
“… negli ultimi mesi lo abbiamo visto sereno e allegro come non mai, pensiamo che si sia innamorato. Siamo una banda di pettegoli, eh?”
“Non l’avrei mai detto” Julia ora fa fatica a non ridere apertamente.
“… non sei tu?” sputa finalmente fuori il Kaiser.
“No”. La risposta è netta e lapidaria.
“Allora chissà chi è”.
“Boh!”
“Uhm! Pensavo che tu e lui…”
“No no” Julia nega ripetutamente con la testa.
“Ah, ecco”.
“Già”.
Di nuovo scende un silenzio imbarazzato. Poi Julia lancia la sua esca:
“Una cosa è ammirare qualcuno, un’altra esserne attratto. Da me normalmente le persone scappano”.
Karl si morde ripetutamente il labbro inferiore, sembra combattuto, forse vuol dire qualcosa di cui teme di pentirsi.
“Quando avevo diciassette anni, il mio migliore amico nonché compagno di banco cominciò a essere preso di mira dai suoi amici perché, a detta loro, “gli piacevano le secchione”. Mi voleva bene, amavamo le stesse cose, ma non poteva sopportare di essere sminuito agli occhi degli altri perché io ero una secchiona. Allora cambiò posto, e non ci siamo mai più parlati per diciotto anni”.
Karl tace.
“Tre mesi fa, mi ha chiamato la direttrice del KiTa di mio figlio, in preda a una crisi isterica. Robby aveva preso a pugni il suo compagno Chrissy, perché quello gli aveva detto “la tua mamma fa schifo”. Dramma di stato, convocazione dei genitori di entrambe le parti. Te l’immagini?...”
Karl tace.
“Bene, arrivo, la direttrice è nel suo ufficio, aspettiamo il papà del piccolo che farà qualche minuto di ritardo per via del lavoro. Intanto parliamo, si ricostruisce la dinamica del fatto: è proprio così, il compagno di Robby gli ha gridato “la tua mamma fa schifo” e Robby gli è immediatamente saltato al collo. “Sa” fa la direttrice “Robert aveva le sue ragioni, ma noi non possiamo ammettere…” “Sì, ma perché Chrissy ha detto che faccio schifo? Mi conosce? Forse i suoi genitori hanno qualche cosa contro di me?” “Credo” risponde la direttrice “che non fosse un insulto diretto a lei personalmente. Il bambino è… insomma, sua madre è l’amministratore delegato di un’importante compagnia e spesso è fuori per lavoro. Suo padre è sostituto procuratore qui a Monaco e quindi sta di più con lui, ma… insomma, crediamo che gli manchi la sua mamma; e forse vedendo lei e Robert, vedendo quanto siete vicini, prova rabbia, perché vorrebbe anche lui passare più tempo con la madre”. “Capito, ma il papà le sa queste cose?” “Sì, gliel’abbiamo accennato…” Ahi ahi, un sostituto procuratore!, pensavo intanto io. Cinque minuti dopo s’è aperta la porta dell’ufficio, un giovane uomo alto e distinto è entrato quasi di corsa scusandosi per il ritardo e… il sostituto procuratore, il padre del ragazzino che mi aveva insultata, era il mio vecchio amico. Si è fermato in mezzo alla stanza, smarrito. Io sono scoppiata a ridere, giuro, non volevo ma era una situazione talmente assurda! Markus. Non ci potevo credere. Si è seduto, compunto, ha ascoltato il resoconto della direttrice, compunto, e quando la direttrice ha finito ha detto: “Ho capito”. Poi mi ha guardato in faccia e mi ha detto: “Senti, che ne dici se ne parliamo davanti a un caffè? Solo tra noi?” “E perché no” ho risposto. La direttrice non stava in sé dal sollievo, già s’immaginava denunce, ricorsi eccetera. Così ce ne siamo andati a prendere un caffè. Eravamo seduti proprio uno di fronte all’altra, quando Markus ha allargato le braccia e con aria afflitta ha sospirato: “Avanti, spara. So che non riuscirai a trattenerti, quindi prima è meglio è”. “Be’!” ho sogghignato. “Quando ti ho visto in mezzo alla stanza, la prima cosa che ho pensato è stata: perbacco, dev’essere proprio una tradizione di famiglia!” “Me lo merito” ha commentato Markus. Siamo stati a parlare per due ore. Abbiamo scoperto, per esempio, che Chrissy parlava sempre di Robby, cercava sempre di attrarre la sua attenzione rubandogli i giochi, facendogli lo sgambetto… “La faccenda è risolvibile, credi a me” gli ho detto. “Ti credo”. Alla fine mi ha accompagnato a casa, e durante il tragitto mi ha confessato: “Ti ero molto affezionato, ma la paura è stata più forte. Non è facile, a diciassette anni”. “Conosco qualcuno che ha avuto la stessa paura a trent’anni passati” gli ho risposto”.
Julia s’interrompe e alza gli occhi per misurare la reazione di Karl.
“Capisco” fa lui.
“Davvero?”
“Come hai risolto col piccolo Chrissy?”
“Ho elaborato un piano di guerra, insieme a Robby. Per una settimana Robby ha portato doppia merenda, ovvero due dei celebri muffin di mio padre: uno per lui e uno per Chrissy. Il primo giorno Chrissy ha buttato il muffin per terra e l’ha calpestato. Il secondo giorno lo ha buttato nel cestino. Il terzo lo ha lasciato lì, sul suo banchetto. Il quarto giorno lo ha preso, senza farsene accorgere, lo ha riportato a casa e lo ha mostrato a suo padre: “Robby mi ha regalato un muffin uguale al suo”. Ora sono amici. Uno ha la mamma lontana, l’altro vede poco suo padre, direi che si completano…”
“Come fai a capire così bene le persone? Anche i piccoli?”
“Non è difficile. Dietro ogni amarezza c’è un desiderio ignorato, o svillaneggiato, o censurato, o…”
Schneider fa un gesto col braccio, quasi a scacciare una mosca che non c’è.
“Okay, allora anch’io ho un racconto per te…”
“Un racconto? Sono tutta orecchi”.
“Il mio è breve”. Karl si schiarisce la voce e fissa la giovane donna con un’espressione implacabile. “Ricordi la partita Bayern-Eintracht? Bene. Quella notte ti ho sognato. Ti ho sognato anche la notte prima della finale. Ti ho sognato la sera del mio compleanno, e ti ho sognato ancora altre volte in questi giorni. E ogni volta, ogni maledetta volta, mi svegliavo all’improvviso, come se mi mancasse l’aria, come se mi avessero rovesciato un secchio d’acqua ghiacciata addosso, e..."
Julia sente la sua faccia andare a fuoco. Si gira di scatto, per non essere vista, e senza che possa farci niente incomincia a tossire forte.
“Scusa, ma non sapevo in che altro modo dirtelo” le parole dell’imperatore arrivano come da un altro pianeta.
Julia continua a tossire.
“Julia?”
“Non preoccuparti“ colpo di tosse. “Tossi-sco perché so-no imba–” colpo di tosse. “–razzata”.
“Scusami!” E nel parlare, Karl afferra con forza la mano di Julia; lei cerca di ritrarsi:
“Non lo fare” dice.
“No” è la tranquilla risposta di Schneider, che a sua volta tira Julia verso di lui e ovviamente ha buon gioco perché è molto più alto, forte e pesante.
“Non doveva andare così” aggiunge, scuotendo lievemente la testa.
“E come allora?”
La voce di Julia suona acuta e stridula, all’opposto di quella di lui. È confusa e ha paura, pensa Karl-Heinz.
“Comunque non così” ripete.
A quel punto la giovane donna gli afferra le braccia con forza e lo bacia. Lo bacia a lungo, irruenta, con un’ansia e un’urgenza come se fosse l’ultima cosa al mondo che le è dato di fare. Poi stacca il viso da quello di lui, fissa i suoi occhi grandi e curiosi negli occhi del giovane, e mormora:
“Karl-Heinz”.
Quindi spinge avanti la testa, fino a premere la fronte contro quella di Karl.
“Karl-Heinz” ripete, chiudendo gli occhi.
Quando li riapre, allontanando la testa, vede – è come se seguisse una scena al rallentatore – lui che, con aria assente, si porta i polpastrelli della mano destra a toccare le labbra. Quando li ritrae, Julia nota che sul labbro inferiore di Karl è sbocciata una minuscola goccia di sangue.
“Oddio” ora dalla sua voce traspare solo panico, panico allo stato puro.
“Non è niente”
“Bisogna disinfettare…”
“Non ce n’è bisogno…”
Ma Julia non lo ascolta nemmeno, con la vista annebbiata, a tentoni cerca nella sua borsa le salviette disinfettate, gli tampona la ferita con le mani che tremano, e continua a mormorare “Scusa, scusa” mentre lui si fa medicare senza una parola, rigido come un automa, le braccia abbandonate, il viso inespressivo.
E quando Julia termina di tamponare la piccola escoriazione, restano l’uno di fronte all’altra, lui seduto con le braccia abbandonate e come impietrito, lei piegata verso di lui, il batuffolo di garza insanguinata stretto nella destra.
“Scusami! Sono una tale frana!”
“No, scusami tu” mormora lui pianissimo, quindi prende il viso di Julia tra le mani e la bacia. È un bacio diverso da quello di poco fa, gentile, lento e morbido, come se, a differenza di lei, Karl sapesse di avere a disposizione tutto il tempo dell’universo. Julia assapora la morbidezza di quelle labbra, l’insinuante carezza della lingua, il calore di quelle mani maschili leggermente ruvide posate sulle sue guance, avverte un lieve sentore di ferro entrarle in bocca – letteralmente sta succhiando un po’ della minuscola goccia di sangue dal labbro di lui.
Da quanto tempo qualcuno non mi bacia? Da quanto tempo qualcuno non mi bacia così? Sono mai stata baciata così? Ora svengo. Di sicuro svengo e faccio un’altra figura del cavolo.
Ovviamente questo non succede; invece succede che Schneider si stacca dolcemente, la avvolge in un abbraccio e le posa la testa sulla spalla.
“Ora dovrai darmi la tessera di socio permanente della Abbracci anonimi e.V.” fa, la bocca premuta sulla t-shirt di Julia.
 
***
Nota al testo. 1) Stare seduta sotto a un tiglio insieme a Schneider fa venire in mente a Julia i versi di una poesia d’amore del poeta medievale Walther von der Vogelweide, che rievoca le effusioni di due giovani amanti en plein air: “Sotto al tiglio, nella brughiera / dov’era il letto di noi due, / potete trovare / belli che spezzati / erba e fiori”. 2) Il KiTa (Kindertagesstätte) corrisponde grosso modo alla nostra scuola materna. 3) Il micione Zorba deve il suo nome al gatto Zorba del racconto di Luis Sepúlveda "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" :-)
  
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