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Autore: Amaya Lee    04/07/2015    2 recensioni
[ YuuMika | War!AU/Soulmates!AU/Reincarnation!AU | aged up characters ]
«Pensi che, se non ci fossimo arruolati, ti avrei mai incontrato?»
Through nights like this one I held him in my arms,
I kissed him again and again under the endless sky.

Il suo cuore batte delirante sul filo delle labbra spente come pietra.
To think that I do not have him. To feel that I have lost him.
Non ha osato aspettarsi nulla. Tuttavia, nella sua buca delle lettere c'erano due cose.
Genere: Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'My soul is not satisfied that it has lost him'
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NA: Non sono in grado di scrivere smut esplicito, per quanto mi intestardisca a provarci. Ugh.
A parte questo, è bene che precisi l'ambientazione di questa fanfiction: Germania, II Guerra Mondiale. Chiaramente non potevo usare gli stessi nomi dell'anime e del manga, perciò ho sfruttato una delle ipotesi/osservazioni del fandom, secondo cui "Mikaela" e "Yuichiro" formano un parallelismo con le figure bibiche Michele e Lucifero, per eventuali motivi di simbolismo //sigh// ma anche di significato del nome. Yuichiro significa infatti "superiore/gentile, primo figlio", supponendo che l'aggettivo "gentile" abbia una connotazione di nobiltà, e perciò vedo bene il motivo per cui paragonarlo a Lucifero, che vuol dire "prima luce". Here you go, non ho altre scuse. Spero che questo Soulmates AU (War AU, o come volete classificarlo) sia di vostro apprezzamento, e magari lasciate un commento per farmi sapere! Se riceverò un riscontro positivo, potrei anche rendere quest'idea una serie. Vedremo. Grazie per la pazienza, e buona lettura.



 

Eden

(where you go)



 

What does it matter that my love could not keep her.
The night is shattered and she is not with me. 
Pablo Neruda






 
Mikael Schimdt; il nome scarabocchiato sulla tessera cartacea e spegazzata lo squadra dal basso, torvo. Non è convinto dal cognome straniero. Forse olandese. Ma alla fine decide di non chiedere, che non sono affari suoi, e poi non è dell'umore per fare conversazione. (Decide lui quando non è dell'umore. Le giornate tipo oggi hanno soltanto il potere di influenzarlo in una certa misura.) Solleva gli occhi dalla tessera e tenta di associare ora e per sempre un volto simmetrico, pallido, persino carino, al nome, come fa con tutti; non gli piacciono le facce o i nomi da soli, e l'una non ha poi molto senso senza l'altra cosa.

Mikael ha due grandi occhi azzurri. Questi basteranno a farglielo ricordare. Sono quel genere di occhi che vuoi guardare mentre bevi un caffè una mattina assolata di luglio, non mentre imbracci un fucile ed indichi la direzione della trincea con il capo.

ll vento gli schiaffeggia le guance. «Benvenuto al fronte.» Lucifer allora si volta, perché il drappello di soldati freschi d'addestramento lo seguano.







 

Mikael ha due begli occhi azzurri. Non proprio come il cielo del fronte. Piuttosto come il cielo concreto e sciaquato della sua casa a Saltsburg, su quel terrazzo dove l'aria sa tremendamente di birra e sigari e, in qualche modo traverso, anche di terra bagnata. Gli occhi di Mikael però sono più luminosi e interessanti di così.

Gli passa la borraccia, un giorno particolarmente afoso ma noioso come i precedenti e quelli a venire. Mikael lo ringrazia con un sorriso largo che riesce comunque ad essere sincero; il primo sorriso che Lucifer riceve da mesi, probabilmente. Ed è anche la prima vera occasione che hanno di parlarsi in solitudine. «Come mai non spedisci mai lettere?»

Non è l'argomento generalmente più indicato per intavolare una conversazione, ma dopo un po' che si condivide il cibo e il giaciglio e il pisciatoio a certe frontiere non si fa più caso. Il biondino fa qualche sorso e poi riflette su come formulare una risposta. «Non ho nessuno che mi importi abbastanza per scrivere due righe.»

«Oh.» Avrebbe detto che fosse un tipo più socievole, da quel viso, con quel... sorriso. Mai giudicare un libro dalla copertina. «Faccio proprio schifo se ti dico che mi dispiace...?»

Mikael si lascia andare ad una risata. «Ah, no. Credo sia apprezzabile. Avere dei cari dev'essere una cosa buona.»

Lucifer si limita a guardarlo, prima di scrollare le spalle e decidersi ad alleggerire il discorso. «Non parleresti così se conoscessi la mia famiglia. Io sono il primo di una serie, sai? L'unica di qualche decenza è mia sorella, quella nata per seconda. Il resto sono marmocchi combinaguai.»

«Gli vuoi molto bene, in realtà» mormora Mikael improvvisamente. I suoi occhi bruciano contro la pelle di Lucifer più del sole alto sopra le loro teste. «Ah! Lo sapevo che non sei così duro come vuoi far credere alle reclute.»

«Che– Che stronzate vai dicendo» bofonchia in risposta. Poi prende una sigaretta dalla scatolina di ferro nella tasca delle braghe, ne offre un'altra al giovane accanto a lui, che la rifiuta con un gesto di diniego.

«Non fumo» aggiunge, ridacchiando leggermente. «Sono già abbastanza fottuto.»

Lucifer solleva un angolo della bocca, uno solo, occhieggiando il compagno d'armi senza farsi notare. Sente il fuggevole sapore del sale sulla punta della lingua, insensibile per la brodaglia di verdure e cioccolato e alcohol che gli rifilano a sele alterne. «Beh, un motivo in più.»






You are beautiful, inexactly.
Marvin Bell





 

È probabilmente ubriaco. Tragicamente ubriaco. Per fortuna. Vede il paradiso mentre si mangia le unghie e si scarnifica le dita perché non va tutto bene, niente va bene, il fuoco arde ma l'acqua manca, le nuvole coprono le luci delle stelle che poi sono l'unica consolazione nel buio, si rende conto, a milioni e milioni di anni luce da tutti questi casini in cui gli umani si ingabbiano. E buttano via la chiave. Allora lui butta giù ancora un sorso, tra un lamento e l'altro, una risata e l'altra; non cambia il quadro.

L'equinozio di primavera ha colto quelli del suo reggimento tra le spoglie di un paese piazzato tra le montagne e poi abbandonato da Dio, che non c'è stata neanche la briga di sgombrare; materassi quasi per tutti. Alcuni hanno le molle rotte ma è meglio del fango. Lucifer ha intenzione di coricarsi tardi. Stasera sono arrivate le scorte di alcolici; quelli pesanti. A questo punto ha combattuto abbastanza da fare il punto dei trucchetti dei piani alti.

Domattina non ricorderà con esattezza quando se n'è accorto, ma il mondo intero smette di fare male solo per un secondo e gli schiamazzi dei soldati cessano, nella maniera più assoluta, nella calma intensità di occhi azzurri lambiti dalle fiamme. Il fotogramma confuso diventa una caleidoscopica realtà nel giro di minuti, e per allora Luficer è già prigioniero di un legame di sguardi.

Mikael è dal lato opposto delle braci anche quando queste si estinguono e non rimane altro che la cenere a spirali e in giravolte nella notte. Quando tutti dormono. Si stanno guardando ancora con la mistura di desiderio e malinconia esclusiva dei segreti, dei sotterfugi, mentre la luna intermittente bagna le loro fronti.

Poi Lucifer si mette a dormire.






 

Ha la febbre. Prende morfina, anticonvulsivi, ciò che non manca. Tubetti etichettati accanto alla branda. Si trova su quel punto pacificamente insano quando gli psicofarmaci non bastano più. Ha sentito dire che è momentaneo, una fase provocata dalla febbre e che sfocia un due possibilità: guarisci; vaneggi. Nel secondo caso diventi inutile. Se non hai la fortuna di morire, ti amputano qualcosa e ti rispediscono a casa.

Lucifer deve stare attento a non muovere il busto, dalle spalle ai reni. Il maledetto proiettile l'ha colpito al fianco destro. Una rottura.

Fa respiri regolari e tiene gli occhi aperti, fissi sul soffitto dell'infermeria – una tenda montata un po' alla bell'e meglio, da ciò che può scorgere dalla sua corrente posizione stesa. La prima volta che si sveglia da ferito non c'è nessuno accanto al letto, nemmeno un dottore o un'infermiera ad assicurarsi come stia; suppone sia un buon segno, o perlomeno se lo augura.





.

Through nights like this I held her in my arms
I kissed her again and again under the endless sky.
Pablo Neruda






 

La volta successiva che apre gli occhi l'ambiente è notevolmente meno illuminato, e il vizioso odore di sangue rappreso gli colma le narici e la bocca prima ancora che i suoi sensi si stabilizzino completamente. Non vede niente.

Il suo respiro non è l'unico nella tenda, ma a quelli inconfondibilmente pesanti dei compagni feriti, negli scomparti separati dal suo da lenzuola bianche inamidate, si aggiunge un rumore soffuso e che, se Lucifer non stesse tendendo le orecchie, passerebbe inosservato nell'oscurità. Poi qualcosa di tenero e freddo gli sfiora una guancia e lui si ritrae immediatamente, scostando il capo sul guanciale.

È infinitesimale la parte di lui che si rende realmente conto di ciò che sta accadendo, dell'uomo a cui appartiene la sagoma esitante, china su di lui, cosicché un respiro inglobi l'altro e viceversa; è ancora febbrile, gli gira la testa, la vista non registra nulla a parte spiragli di movimenti nel buio che certo non sono opera sua. Scorge le palpebre e il filo lattiginoso di occhi il cui colore non riesce a distinguere, ma sa. Come un uomo cieco, immediatamente capace di riconoscere l'oggetto che sta tastando, non gli serve una conferma vocale. Quella arriva lo stesso.

«Lu?»

Un sospiro di sollievo, dopo tanto tempo. «Mika... mi hai svegliato, Mika» puntualizza, senza malizia o esasperazione.

«Scusa» sussurra Mikael, ma non sembra affatto dispiaciuto dell'effetto della sua visita. Ha trovato la mano di Lucifer dopo aver esplorato il materasso con le proprie e la stringe troppo forte perché lo sia. «Avevo bisogno di vederti.»

Lucifer è certo di non cogliere il minimo sottotono d'imbarazzo nelle sue parole; Mikael è un uomo, un uomo bellissimo (un uomo che vale molto più di lui, con occhi grandi e un cuore che lo è ancora di più.) ed è consapevole delle proprie sensazioni tanto quanto delle sue. Sospira, sentendosi stanco d'improvviso. «Non importa, non era un sonno riposante comunque. Vuoi restare?»

«Nemmeno io riuscivo a dormire bene.» Mikael strofina il pollice contro il dorso della sua mano che non reagisce, quieto e forse inconscio. «Sì, se tu mi vuoi.»

Lucifer si ritrova ad annuire malgrado la stanchezza nel collo e la pesantezza della testa. Cerca la mano di Mikael per stringerla meglio, e si cura poco del sudore che scivola nella presa; gli ricorda– ha la stessa consistenza del sangue, tiepido, appiccicoso, gli imbratta le mani e il ventre e il volto e la lingua, mentre le mine detonano tutt'intorno come le campane di Saltsburg la domenica e le grida, gli strilli gli premono nelle orecchie e c'è sangue sui vestiti, sangue sulla terra tremante, troppo, tra gli spasmi, dentro di lui–

Le mani di Mikael sono fresche. Lo trascinano nel presente con la forza di un'onda anomala. Mikael tiene il suo viso tra le mani saldamente, non lo lascia andare. Il suo sguardo chiede il permesso per qualcosa. La sua pelle scotta dove Mikael lo tocca; sul collo, sulla fronte, sulle coscie – hanno entrambi addosso l'uniforme ma non conta, significa soltanto una barriera di troppo.

Mikael lo bacia in modo esperto, ma comunque codardo, esitante. Tocca a Lucifer scuoterlo lentamente, chiedere di più, affondare la mano nei lunghi capelli dell'altro ed ogni emozione pungente nel suo stesso petto, rinascendo in quel contatto tragico e bellissimo. Forse, se fossero diversi, e in un altro luogo, funzionerebbe meglio, senza che Mikael debba scomodamente sporgersi tanto e Lucifer concentrare così tanta forza nelle dita callose per rendere quel bacio il più duraturo possibile.

Non smettono.

Mikael scavalca la gamba del ferito e posiziona le coscie accanto ai suoi fianchi, usando ogni fibra del proprio corpo per perdersi in lui e Lucifer lo sente come non sentiva nulla da troppi mesi; il sapore di Mikael è forte e non comprende come abbia potuto dimenticare la sensazione del cioccolato e del curry piccante e di tutte le cose buone per cui da bambino andava matto sulle papille gustative. Le labbra di Mikael sanno anche di lacrime, ma lui fa del suo meglio per non pensarci.

«Pensi che... che se non ci fossimo arruolati...» Il biondo che lo sovrasta ha difficoltà a respirare, e arranca tra le parole, cercandole forse con gli occhi grandi sfocati da qualche parte nel volto di Lucifer. «...Pensi che ti avrei mai incontrato?»

Lui deve deglutire, prima di dare una risposta – sulla quale non ha riflettuto più di un secondo. «Sì. Non lo so. In qualche modo... Sì.»

Mikael lo scruta ancora un momento e, infine, chiude gli occhi prima di tornare a baciarlo. Dolcemente. Come da ubriaco. Da qualche parte devono aver sbagliato a compiere le proprie decisioni, o semplicemente non sono stati al posto giusto nel momento giusto; eppure sono insieme, e l'eventualità è sacra quanto maledetta perché, nell'istante in cui se ne rendono conto, Mikael si sta spogliando senza fare rumore e Lucifer non può evitare di desiderarlo con ogni parte del proprio corpo, dai muscoli alla testa ai polpastrelli.

Scopre ben presto che Mikael non si pone limiti, a letto, o forse questo vale soltanto con lui– non c'è nulla di più traviante del solo innocente pensiero.

«No, non ci provare» gli mormora Mikael all'orecchio, trovando e fermando le dita di Lucifer mentre queste tentano sbrigativamente di sollevare la camicia del ferito, esponendo le bende all'aria fresca e scura e ai tocchi urgenti della lussuria. «Tienila addosso.» La voce del giovane è paziente, materna; Lucifer semplicemente non ha il tempo di ribattere prima che il respiro gli venga portato via, ancora e ancora. Geme contro i suoi denti, le labbra si inseguono incoerentmente, e lui si sente scoppiare.

Poi Mikael lo guarda e lui fa lo stesso. I secondi si congelano, consumandosi nei sospiri roventi ed abrasivi che fuoriescono da entrambe le bocche, talmente vicine da esaurire i principi della distanza tra due anime.

Luficer deglutisce – le vampate sul collo in sincronia con il basso ventre. Mentre sussurra «Non possiamo, non qui» ode indistintamente, come in lontananza, la propria voce pesantemente arrochita.

Il giovane seduto su di lui sorride appena. «...Pensi che non possa sopportare un po' di dolore?»

«Anche se fosse, non voglio farti male.»

Mikael si china di nuovo. Lo bacia. Più serio: «Hai ragione. Scusami. È solo che, se ti aspetto un giorno di più, tu potresti...»

Dopo pochi istanti di titubanza, Lucifer devia una ciocca pallida dallo zigomo dell'altro giovane, invitandolo a posare il capo sul suo petto mentre regolarizzano i respiri e cercano di respingere le lacrime dietro agli occhi. Si sente fragile. Non nello stesso modo di trovarsi al centro del mirino, ma all'improvviso respira qualcosa di diverso – si rende conto distantemente che si tratta di Mikael, di Mika, il soldato che non ha una famiglia e non parla mai con nessuno tranne lui, la recluta che lo guarda con un'ammirazione diversa rispetto agli altri; che non si lamenta mai dello sporco sugli scarponi e spara con una precisione tale che potrebbe fare il cecchino, ma non è stato preso per mancanza di posti; che prende la mira chiudendo l'occhio sinistro e respirando a labbra chiuse ed è troppo brillante per la guerra – ed ogni cosa scatta e si trasforma.

Il suo cuore batte delirante sul filo delle labbra spente come pietra.

E le unghie di Mikael graffiano, lentamente, le sue ferite, per poi subito massaggiarle, adorarle, aiutarle a guarire. Ma non è ancora tempo di guarire. Forse non lo sarà mai.

Mikael, anche così disperato, così privo di lucidità, può dirsi più affezionato che mai alla vita.

Nessuno è svegliato dai loro gemiti e sospiri di malavoglia trattenuti, solo un paio si rivoltano nelle brande dell'infermieria, incatenati all'oscurità dai farmaci e dall'esaurimento nervoso.

Il sangue c'è ancora e così la malinconia e la rassegnazione, ma stavolta c'è Mikael a diluirle con la passione e rassicurazioni poco più che verbali, e semplicemente con lo stargli accanto finché il Sole non si solleverà dalle montagne e correrà sulla trincea.

Non vogliono separarsi. Non vogliono morire, e questo è tutto.



 

I tell you this during another night
of living next to you
without having said what was on our minds
Phillip Lopate


 

 

Un usignolo si riposa sulla ringhiera.

Lucifer lo sbircia con la coda dell'occhio, il mento appoggiato sul palmo, e il gomito sul davanzale. Il cielo è azzurro, come sempre. L'aria sa di sigaro, come sempre. L'odore ha smesso di infastidirlo da molto tempo e tra le dita dell'uomo c'è anche una sigaretta, di quelle lunghe, di qualità superiore. Nell'esercito non ne fumava di queste.

Si rigira nell'altra mano – la sinistra – una lettera. La carta è in buone condizioni, ma su di essa rimane il vago odore del fango. O forse è solo un trucco della mente di Lucifer.

Le parole sono le stesse.

 

Caro Lu,

non sono sicuro di ciò che sto facendo. Proprio ora sei a pochi metri da me. Stai parlando con Thom Wauffen, che è arrivato l'altra settimana. L'hai convinto a fumare insieme, "tanto vale". Andate d'accordo. Vai d'accordo più o meno con tutti. Sono un po' geloso, perché sei stato il primo ad approcciarmi da quando mi sono arruolato. Che stupidata, ho fatto. Tu non sei da meno.

Fa male dire certe cose qui al fronte. Dirle ad alta voce. Farebbe più male a te sentirle, perciò sono disposto a stare zitto e invece scrivertele. Spero di essere ancora insieme a te quando, e se, tornerai a casa per ricevere queste poche righe.


 

Lucifer non aveva osato aspettarsi nulla, dopo il congedo. La guerra è finita e tutti quelli che ce l'hanno fatta se ne sono tornati a casa, lui compreso. La ferita all'addome si è rimarginata in pochi mesi.

Non ha osato aspettarsi nulla. Tuttavia, nella sua buca delle lettere c'erano due cose.

La prima era una busta.

Ha scartato la busta frettolosamente, poi ha pianto finché non gli si sono gonfiati gli occhi. Credeva onestamente di non esserne più capace.

La seconda era un telegramma, e ora, mentre Lucifer sta sul terrazzo, giace sul ripiano della cucina. Sul telegramma c'è scritto che Mikael Schimdt è rimasto ucciso dall'esplosione di una mina il 1 Maggio 1945, 6 giorni prima della resa incondizionata delle forze tedesche, e che indica solamente un nome nelle proprie ultime volontà.

Lucifer china lo sguardo. Si domanda com'è finito con per le mani solo una lettera d'addio o d'amore, oppure tutte e due, quando non più di poche settimane fa stringeva tra le braccia il mittente e gli giurava sottovoce che sarebbero finalmente stati una famiglia, avrebbero trascorso ogni Natale insieme a fratelli e sorelle, invecchiando l'uno accanto all'altro giocando a carte e bevendo whisky per dimenticare la guerra.

Senza Mika è inutile persino dimenticare.



 

This is all. In the distance someone is singing. In the distance.
My soul is not satisfied that it has lost her.

Pablo Neruda






 

 

[«Ehi, Mika.»

«Sì?»

«Stai bene?»

«Sto bene, Yuu-chan... torna a dormire.»

«Ho fatto un brutto sogno. Ho sognato che eri morto.»

«Guarda se devi fare questi incubi proprio il giorno del mio compleanno!»

«Mi avevi mandato una lettera.»

«Ah. E cosa diceva?»

«Che– Mmh, che non vedevi l'ora di conoscere la mia famiglia.»

«...Sono qui, Yuu-chan. Ora siamo una famiglia. Non ci separeremo mai, promesso.»]

 

 

 

  
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