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Autore: Yumeji    05/07/2015    3 recensioni
Si trattava di una proprietà immensa. E appariva antica, molto antica.
"Non ci credo che ora abiteremo qui…” pensò Antonio.
Le tante finestre sbarrate da pesanti oscuranti, alcune addirittura inchiodate da delle assi di legno, lo fissavano quasi si fossero trattate di una miriade di occhi, i quali lo stavano soppesando prima di decidere se farlo entrare o meno nella casa.

MOMENTANEAMENTE SOSPESA - ci rivediamo a 01/2016
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Solita storia di fantasmi? Noo, se si tratta dei nostri amici Hetaliani come possono far paura..? Okay, forse.
D'altronde, toccherà ad Antonio, Francis e Gilbert scoprire quanto molesti si possono dimostrare i loro nuovi coinquilini, forse avrebbero dovuto rifletterci un po' su, quando Roderich gli ha offerto una simile sfarzosa (per quanto decadente), sistemazione, ad un affitto così misero. Purtroppo il cuore tenero dello spagnolo non ha visto alcuna malaintenzione nell'atteggiamento dell'austriaco e, ora, il Bad Touch Trio più 1, si ritrova a dover coabitare con presenze tutt'altro che tranquille e silenziose.
Ci saranno eventi tragici?.. Bhé, i fantasmi sono pur sempre fantasmi.
[Accenni a varia coppie] [Rifacimento di una mia vecchia FF "Presenze Moleste"]
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Bad Friends Trio, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il rumore dello sparo ti riempie le orecchie, rendendole sorde a qualunque altro suono.
Il petto brucia, nel punto in cui il colpo è stato inferto.
Cadi, sbatti le ginocchia e la testa sul pavimento. Cadì e il tuo corpo provoca un suono sordo, ma non lo avverti.
Hai sempre posseduto un fisico massiccio, pesante, ne sei consapevole, ma quel peso che per te non è mai stato opprimente, ora t’inchioda a terra, simile ad un macigno.
Anche sollevare il petto per un respiro, ti sembra uno sforzo immane.
Non puoi fare nulla lì, disteso a terra, ti limiti a fissare il soffitto… in attesa.
È passato qualche istante dallo sparo, e ciò che aspettavi non tarda ad arrivare.
Come il tuono segue il lampo, squarciando l’improvvisa calma del cielo carico di elettricità, così il dolore è improvviso, lacerante, seppur agognato.
Ti prende la gola, e non riesci ad urlare. Le labbra hanno il sapore del rame, gli occhi diventano miopi.
Ogni cosa si fa offuscata e qualcosa di freddo comincia a lambirti la pelle.
Sussulti a quel contatto, la tua mente è confusa, il dolore ha annebbiato i tuoi pensieri, è l’istinto che ripudia quel tocco. Lo avverti viscido, disgustoso, ne sfuggi.
Ma una nuova fitta fa riemergere la coscienza dal pozzo, melmoso ed oscuro, dove era sprofondata.
Senti qualcosa impiastricciarti la pelle, bagnarti corpo e vestiti, adesso è il freddo a torturarti.
Strizzi gli occhi, e lo vedi.
Rosso, il tuo colore preferito su uno sfondo bianco, il colorito della tua pelle divenuta cadaverica.
Sei coperto di sangue, e i suoi occhi gelidi continuano a fissarti.
Il tuo assassino è di fronte a te, chino ad ammirati.
“Sta aspettando che muoia?” ti chiedi, e la consapevolezza della morte non ti procura alcun fastidio, né timore.
Ricambi, lo sguardo di chi ha appena reciso la tua vita, non ti è concesso altro.
Infine, sei costretto ad ammetterlo:
“È davvero bellissima…”


L'aveva vista e, per quanto si comportasse sempre da idiota, aveva subito capito che, in lei, c'era qualcosa di strano. D'altronde, quella villa era disabitata da svariate decadi ed era praticamente impossibile credere che qualcuno la occupasse, anche abusivamente, senza che loro, in quell'ultimo periodo, se ne fossero accorti.
Indovinare la vera natura di quella ragazzina dai capelli biondi tagliati corti - con un fiocco a decorarli a lato della testa -, e i larghi occhi verdi, si rivelò palese sin dal primo sguardo, tanto che, per un momento, Gil aveva creduto la sua sbiadita figura, cui contorni sussultarono e si scomposero leggermente al suo arrivo, un’illusione. Uno scherzo causato dall'improvvisa luce, dopo tutto quel vagare nella penombra di un labirinto di corridoi e porte sempre uguali.
Il corpo della ragazza non era composto di materia solida come quello di una persona normale, gli appariva fragile, quasi si potesse dissolvere ad un singolo respiro, e forse per questo si era messo a trattenere il fiato dal momento in cui era entrato nella stanza. La sua gracile figura pareva creata da un agglomerato di pulviscolo, di quella sottile polvere di cui l'aria era intrisa - la quale diviene visibile solo quando è direttamente colpita dalla luce -, e sembrava solo un'ironia del caso se avesse preso le sembianze e i contorni di un essere umano.
Ma per Gilbert, nonostante fosse uno studente della facoltà d’ingegneria, era ben più difficile credere che, una ragazzina tanto carina, fosse creata da una strana rifrazione della luce, piuttosto di ammettere di essere di fronte a qualcosa... a qualcosa di soprannaturale.
"E'.. è carina" fu il suo primo pensiero rivolto a lei, e immediatamente si sentì un idiota nell'avvertire il proprio cuore sussultare, mentre uno strano calore gli accendeva le guance, "ma che sono un moccioso?!" si rimproverò subito dopo, poiché lui era troppo magnifico per cadere due volte nello stesso tranello. Soffocò quella piacevole e dolorosa sensazione che aveva preso a riempirgli il petto, e corresse la propria osservazione: "E' carina come... come un pulcino!"; ammetterlo non comportava nulla di particolare, era cosa buona e giusta riconoscere la carineria, soprattutto per lui che sin da bambino aveva una predilezione per quei piccoli ammassi di piume gialle. Stava già per complimentarsi con se stesso per aver evitato uno scontro frontale devastante, quando comprese di non poter continuare a rimanere semplicemente lì, a fissarla. Lei sembrava essere piuttosto a disagio in una simile situazione, e i suoi grandi occhi lo scrutavano con timore.
Come darle torto? Uno sconosciuto era appena piombato in camera sua... Difficilmente qualcuno non sarebbe stato, quanto meno, stupito dalla cosa.
“Quindi, esattamente, adesso... cosa dovrei fare?” fu colto dal dubbio Gil, infondo, non si era scordato di quali eventi fossero accaduti durante la colazione, né l’episodio capitato a Francis la notte prima. Non poteva sapere se lei centrasse direttamente in quei fatti, ma non era nemmeno certo del contrario.
Poteva essere sicuro che quella ragazzina non si rivelasse una minaccia?
Era forse meglio tornare indietro e fingere di non aver mai aperto quella porta, scoprendo cosa vi si celasse dietro?
Fortunatamente, Gilbert non era fatto per porsi domande a cui non era in grado di rispondere, o problemi troppo difficili da risolvere. Gli bastò osservarla nuovamente per avere una chiara idea di cosa dovesse fare.
Era o non era forse il magnifico?
- Hai di fronte a te il meraviglioso, super awesome Gilbert Beilschmidt... Lo so, è un onore fare la mia conoscenza… –
Era sempre buona educazione presentarsi, giusto?
E così erano cominciate le sue visite alla camera 23-5, la quale si trovava in una delle parti non ancora restaurate della villa. Per un qualche motivo, aveva deciso di non rivelare nulla ad Antonio e Francis di quell’incontro con la ragazza sconosciuta. Qualcosa gli diceva, suggeriva, di non confessare nulla. Non ancora per lo meno.
Per quanto i due fossero comprensivi, se non fossero riusciti a vederla come la vedeva lui, temeva avrebbero potuto cominciare a considerarlo un pazzo. “Il magnifico me non può certo essere internato!” si era detto supponendo che, in qualche modo, a Roderich potesse giungere la notizia. Quel damerino aspettava solamente una buona occasione per affossarlo, e mandarlo in un manicomio poteva rivelarsi un ottimo affare per lui. C’era comunque il rischio che, con il suo imminente arrivo, non sarebbe riuscito a tenere quel segreto ancora allungo per se. Non aveva alcuna intenzione di rinunciare a vederla, fino a quando Rod non se ne fosse andato. Gli sembrava che quella ragazza fosse rimasta sola sin troppo allungo, per abbandonarla anche solo per qualche giorno.
Gilbert si rendeva conto di tenere un comportamento non propriamente logico, infondo, si stava preoccupando di qualcosa che, alla lunga, avrebbe potuto rivelarsi un cancro al cervello. Non gli era poi così facile accettare la vera natura di colei a cui faceva visita, soprattutto perché gli causava sentimenti nostalgici, diversi da quelli provati in un primo momento. Stare in sua compagnia gli ricordava i momenti con il fratello Ludwig – prima che questi divenisse un armadio a due ante e cominciasse a guardarlo dall’alto in basso -, quando il minore si aggrappava a lui, bisognoso di attenzioni. Per quanto al tempo lo avesse trovato un fastidio, non poteva nascondere quel moto d’orgoglio, tipico del fratello maggiore, nell’incrociare quegli occhi adoranti che ne riconoscevano la magnificenza.
Quello stesso sguardo lo aveva LEI, mentre si perdeva a raccontarle del mondo esterno. Da quello che aveva capito, senza mai udirla parlare, non doveva averlo mai visto.
“Chissà se c’è un modo per farla uscire da qui..” aveva cominciato a chiedersi senza neppure rendersene conto.


- Tutto bene, Orso..?-
- Certo. Perché me lo domandi?-
- Nulla... Mi sembravi un po' pallido. Forse, hai paura di qualcosa? -
- Uhm... (!)-
- Oh... Stai scomparendo! -
- De-devo forse pensare che la tua sia una vendetta per come ho trattato il tuo fidanzatino? -
- Lo sai che non fa bene fare i bulli, Orso... Non sono simpatici a nessuno -
- Tsk... Mi stavo solo divertendo, la tua è una reazione esagerata -


Non era stato facile giungere a quella villa, il viale era molto più lungo di quanto, studiandolo con gli occhiali cui una lente si era scheggiata, avesse creduto. Alla fine però era arrivato a destinazione, gli bastava percorrere quella scalinata, affiancarsi alla porta, suonare il campanello e attendere che qualcuno venisse ad aprirgli.
"Perché... tanti scalini..?" si ritrovò a trascinarsi Roderich, quasi gattonando, affrontando da uomo distrutto e ansimante l'ultima fatica prima di arrivare al portone della villa.
Per lui, cui unici sforzi fisici, per molti anni, si erano limitati agli esercizi al piano forte e a non sollevare nulla di più pesante di coltello e forchetta, la scarpinata che aveva appena affrontato si era rivelata come l'attraversamento dello stretto di Messina a nuoto. Non del tutto impossibile, ma un vero suicidio se non si era adeguatamente preparati.
Difatti, non era rimasta la ben più piccola traccia di nobiltà nella sua figura, e ciò si rivelava una sconfitta totale per Rod, cui soprannome sin dalla più tenera età era stato "damerino" (appropriatogli da un certo demonietto dagli occhi rossi e capelli bianchi, sua eterna spina nel fianco), il quale con il tempo era divenuto un motivo di vanto. Essendo sinonimo di elegante ed impeccabile. Aggettivi che ora gli mancavano completamente, viste le condizioni in cui gli si erano ridotti gli abiti, sudici e logorati in vari punti, e lui stesso, sporco e sudato. Non desiderava altro che un bagno, un lungo bagno rilassante, non gli servivano neppure le essenze profumate, gli bastava solo del sapone e si sarebbe accontentato.
Poi, dopo essersi cambiato, si sarebbe messo a cucire i pantaloni, strappatisi al ginocchio, e a rammendare in più punti la camicia. Perché, per quanto si potesse permettere di essere uno spendaccione, il nonno gli aveva insegnato l'arte della pignoleria e del "non si butta via nulla", quindi, se si escludevano certi suoi piccoli hobby (come i dischi di musica classica, e la collezione di strumenti musicali d'epoca), aveva la tendenza di contare ogni cosa al centesimo. Difatti, se quel viaggio si fosse concluso come una panzanata, ovvero, uno scherzo di pessimo gusto da parte di quei tre, sarebbero stati loro a pagargli il viaggio di ritorno in Austria, con un aumento considerevole dell'affitto.
"Manca poco..." S’incoraggiò mentre arrancava sugli ultimi metri dall'apice, aveva lasciato la valigia ai piedi della scalinata, temendo che il suo, per nulla esiguo peso, avrebbe potuto ostacolargli ulteriormente la salita o staccargli di netto un braccio. "Fi..finalmente" stava già per esultare quando, qualcosa di non ben specificato gli piombò addosso, scagliato con prepotenza fuori dal portone d'ingresso, all'improvviso spalancato.
"Ma.. che?" ebbe appena il tempo di chiedersi, incapace di mettere a fuoco l'oggetto a causa degli occhiali rotti, fino al momento in cui, atterrandogli praticamente sopra, non lo catapultò giù dalle scale.
Per un paio di secondi vide tutto nero, ma presto i colori ricominciarono a riempirgli la pupilla. Ora si trovava disteso a terra, all'inizio di quell'irta scalinata e, a quel punto, gli venne quasi da piangere.
- Ugh..- mugolò sofferente nel mettersi seduto, tastandosi la testa nell'avvertire un leggero capogiro, si stupiva di non avvertire alcun dolore particolare, nonostante la caduta. Il capitombolo era stato più morbido di quello che avrebbe creduto.
- FRANCIS!! -  a seguito giunse urlò di una voce cui tono tradiva un panico crescente e che, anche se deformata dall'emozione, all'orecchio di Rod suonò familiare. Un istante dopo, sulla piazzola che precedeva il portone, apparve la figura di Antonio, il quale sussultò nel vederlo, - Rod! Che.. che ci fai qui?!- sembrò realmente stupito della visita dall'amico, nonostante fosse stato lui stesso a chiamarlo. - Ma.. ora, non importa! State bene?! - corse incontro all’austriaco, una sincera preoccupazione ad oscurargli il volto,
"State?" Roderich non capì subito perché gli si fosse rivolto al plurale, ma gli bastò seguire gli occhi colmi di disagio dell'altro, fisso su un punto appena dietro di lui, per comprenderlo.
Il pesante oggetto non identificato, da cui era stato investito, altri non era se non il terzo elemento di quel trio dalla dubbia intelligenza (per quanto il suo amico Antonio ne facesse parte, il fatto che vi fosse anche Gilbert lo portava ad avere un’opinione pessima di quel gruppo). Rod non aveva mai visto  Francis, difatti si trattava del loro primo incontro, ma conosceva la sua fama di farfallone amante del sesso e del vino (molto bohémien, l'aveva definito qualcuno),quindi neppure di lui possedeva una così alta stima. Doveva però dargli qualche punto di merito per avergli attutito la caduta, comprendendo che fosse solo perché era atterrato sul suo corpo se non aveva subito ingenti danni.
Di contro il francese sembrava aver accusato male il colpo, riverso a pancia in giù sul terreno. Non era svenuto poiché, e Roderich lo stava constatando in quel momento, aveva lo sguardo spalancato, se non si era ancora mosso era perché un dolore lancinante alla spina dorsale gli rendeva difficile alzarsi. O, almeno, questo riuscì a tradurre il damerino da una serie d’imprecazioni in francese che l'altro aveva cominciato a mugugnare sottovoce, simile al lamento di un fantasma.
- Ti aiuto io, Francis - giunse in soccorso Antonio, afferrando d'improvviso l'amico per il braccio e sollevandolo di peso, la successiva imprecazione del ragazzo, sempre in francese, gli fece intuire che, forse, la sua non era stata un'idea molto furba. - Ehm... ti fa male da qualche parte? - tentò di rimediare lo spagnolo,
- Solo... DA PER TUTTO! Antonio, non conosci un po' di delicatezza?!- fece sollevando il viso, un'espressione irritata e dolorante a deformarne i lineamenti, con una leggera patina di lacrime a bagnargli gli occhi.
"Se già urla vuol dire che sta bene" pensò Roderich, fissando la scena e il comportamento isterico del biondo, sembrava fosse portato per il melodramma, si disse con scarso interesse, oppure era lui ad essere poco comprensivo, dopo essergli caduto sopra? Con un veloce esame di coscienza, Rod giudicò di essere in parte responsabile dei danni fisici subiti dal francese, ma non avevano modo di accusarlo di nulla, poiché era stato lo stesso Francis a farlo precipitare già dalle scale. E per quanto "movimentato", quello era il suo primo incontro con il ragazzo, quindi aveva il dovere di presentarsi civilmente.
- E tu, Rod..? Tutto a okay?- gli domandò con premura Antonio, mentre il biondo si liberava dal suo sostegno, dimostrando di riuscire a tenersi in piedi da solo e quelli che gli ricoprivano il corpo erano semplici graffi ed escoriazioni, nulla di più.
- Niente di rotto, se è questo quello che intendi - non mostrò nessuna particolare emozione nel rispondergli, parlando con il solito tono serio ed annoiato. Nell'alzarsi in piedi cercò di dare una ripulita ai propri abiti, ormai del tutto lerci - coperti da uno strato di polvere alzato dalla caduta -, ma la sua sembrava solo una scusa per evitare di incrociare lo sguardo dell'amico, e aveva un ottimo motivo per farlo. Antonio, da quando lo conosceva, possedeva la seccante abilità di capire sempre quando fosse imbarazzato. - Però avrei preferito comunque non ruzzolare giù dalle scale...- sottolineò e, attraverso le lenti infrante degli occhiali, il suo sguardo si spostò su Francis, in un vano tentativo di metterlo a fuoco, di dare un senso a quei contorni opachi e colori confusi.
- Ah, lui è Francis Bonnefoy, il terzo coinquilino della ca-... villa - si affrettò a fare le presentazioni lo spagnolo, per poi rivolgersi a suddetto compagno, - Questo è Roderich Eldenstein, il proprietario - e, ad udire il titolo con cui l'aveva presentato, Bonnefoy parve scosso da un tremito. Si riscosse, drizzando la schiena e il suo sguardo, Rod in qualche modo riuscì a percepirlo, si riempì di un’irritazione ulteriore, causata probabilmente dalla sua persona. Non doveva essergli simpatico, dedusse, trovando conferma anche nel tono freddo con cui il biondo gli si rivolse,
- Piacere..- si limitò, simile ad un bambino offeso perché nessuno prestava ascolto ai suoi capricci. Roderich in tutta risposta chinò appena il capo, per nulla interessato a fare la sua conoscenza, eternamente in dubbio sui rapporti interpersonali del caro amico spagnolo,
- Tanto per saperlo, perché sono finito giù dalle scale?- parlò sistemandosi il sottile capello che, ribelle, gli ballonzolava al lato della testa, per poi incrociare le braccia al petto cercando di recuperare un po' di quell'aria da altolocato snob che tanto lo caratterizzava.
- Ehm... Francis ha avuto un piccolo incidente - cominciò subito ad innervosirsi Antonio, incapace di creare nell'immediato una storia abbastanza verosimile perché l'altro ci credesse, e consapevole di non potergli raccontare la verità, poiché troppo assurda per pensarla vera. Se gli avesse rivelato che, una strana forza, aveva scagliato Francis contro il portone, e questo si era spalancato a causa del colpo, come minimo Roderich gli avrebbe dato del bugiardo, credendolo uno scherzo di pessimo gusto, e se ne sarebbe subito tornato in Austria senza dargli il tempo di spiegare altro.
Totalmente ignorato da entrambi, presi a discorrere sulla questione, Francis cominciò studiare quello che, da sempre, aveva conosciuto come il "migliore amico di Antonio" e il "peggior nemico di Gilbert"; due titoli e ruoli diametralmente opposti, da cui si era creata, nella sua mente, un'immagine ben diversa del "damerino pomposo e seccante", da quella veritiera presentatasi davanti. Ad esempio, non avrebbe mai immaginato che avesse un neo tirabaci alla sinistra del labbro inferiore, e per quanto un simile dettaglio apparisse superfluo e del tutto privo d’interesse, agli occhi di Francis possedeva un valore ben diverso. Era un tocco seducente al viso elegante dell'austriaco e, come ogni buon artista, il francese non poteva non amare la bellezza, desiderando a col tempo di poterla in qualche modo trasportare in un'opera d'arte.
- Cosa mi nascondi Antonio? - insisteva Rod mettendo pressione sul povero spagnolo, il cui viso aveva preso le parvenze di un cucciolo colpevole, adorabile a vedersi, ma rendeva fin troppo palese che stesse tacendo qualcosa.
- Nu-...- stava balbettando il moro quando Francis ebbe pietà di lui e intervenne in suo aiuto, anche per aver l'opportunità di far conoscenza con quell'affascinante, seppur al momento non brillante (essendo ricoperto di sporcizia), austriaco, sperando di poter entrare presto nelle sue grazie e cancellare quel "piccolo" incidente della scalinata.
Si sentiva comunque avvantaggiato, avendogli fatto da cuscino nell'atterraggio.
- Perché non entriamo a discuterne? - propose appoggiando affettuosamente una mano sulla spalla dell'amico e l'altra su quella di Roderich, il quale immediatamente parve infastidito da una simile libertà, si erano presentati neppure due minuti prima. - ... Potremmo sederci comodamente e discutere anche degli altri "incidenti" - e nel dirlo scambiò un’occhiata complice con Antonio, - che sono avvenuti nella villa -
- Mi sembra una proposta accettabile...- convenne Roderich spostando con un gesto pacato la mano con cui il biondo ancora gli stringeva la spalla, il quale non sembrò farci caso, continuando a mantenere la stesse espressione cortese con cui gli aveva parlato, - Prima, preferirei darmi una ripulita - e accennò anche alle lenti scheggiate degli occhiali, convinto che fosse a causa di essi se gli era sembrato di intravedere dei ciuffi verdi nella chioma fluente del francese.  


Dei colpi tremendi cominciarono a scuotere la porta dietro la quale Gilbert si nascondeva, e un sussulto violento scosse il corpo dell'albino, il quale trattenne a stento un grido. Il panico crescente gli accelerava il battito cardiaco, facendolo respirare affannosamente, quasi avesse corso per chilometri, procurandogli un velo di sudore a bagnargli la fronte. Con occhi incerti - mentre con il corpo ancora faceva forza sulla soglia, temendo che si aprisse -, annebbiati da una luce troppo intensa, cercavano di mettere a fuoco la camera sconosciuta, dove era entrato alla ricerca di un rifugio dove sarebbe stato al sicuro. Ma quella stanza era vuota, così come tutte le altre. Era stato sciocco per lui credere che sarebbe riuscito a fuggire, a scappare da LORO, ora che l'avevano scoperto. Ancor più stupido era stato pensare di trovare rifugio in quella villetta abbandonata, disabitata da anni.
Eppure, quando era stato LUI a proporgli quel rifugio, non aveva opposto obiezioni. LUI non si era mai sbagliato su questo, da sempre l'aveva...
L'aveva, cosa!? Ma, sopratutto, di chi stava pensando?
- Ugh..- una fitta al cervello gli fece sfuggire un lamento dalle labbra, all'improvviso si era chiesto da chi si stesse fuggendo e perché, domande che, un istante prima, non si era neppure premurato di farsi. Adesso invece gli apparivano così importanti, ma non riusciva a darsi risposta e, più la cercava, più il dolore alla testa aumentava.
Intorno a lui, le pareti, quegli scarsi oggetti che riempivano la stanza - nascosti sotto a dei drappi bianchi, così che non s’impolverassero -, ogni cosa, iniziò ad ondeggiare, a perdere forma e solidità.
Confuso, Gil si prese la testa fra le mani, acquattandosi contro la porta, i colpi su di essa si abbattevano sempre più ferocemente, quasi chi lì causasse fosse vinto da una furia cieca, bestiale. Trai vari rumori sconnessi, gli parve di avvertire delle voci. Ne contò tre.
C'erano tre uomini oltre quella porta, ritrovo abbastanza lucidità da ragionare, uno di loro gridava, impartiva ordini duri, secchi, con tono potente, di chi è abituato a farsi comandare; gli altri due, invece, con il medesimo tono, si limitavano a ripetere all'unisono un "sissignore" per eseguire qualunque comando il loro comandante gli avesse impartito.
E, dopo le urla, venne il silenzio. Avvertì dei passi allontanarsi, incamminarsi in senso inverso per quel corridoio che aveva appena percorso, e un cupo, triste silenzio calò su di lui, pesante quanto una cortina di piombo, carico di una struggente attesa.
Anche i colpi alla porta si erano acquietati e ciò gli mise addosso una profonda inquietudine, al meno, finché li sentiva abbattersi su di essa, sapeva dove fossero i suoi inseguitori. Ma ora?
"Parlavano tedesco..?" ebbe un momento per riflettere Gilbert, ora che la morsa della paura aveva lasciato un sottile spazio alla lucidità, ma un panico più forte cominciò a scuotergli le viscere.
Quei tre comunicavano in tedesco e, dal loro modo di esprimersi, sembravano appartenere a qualche reparto dell'esercito.
Militari. Tedeschi.
Tremiti di paura sconquassarono il corpo dell'albino e, si rese conto, delle lacrime avevano preso a bagnargli il viso. Un momento... perché?
Perché era così dannatamente impaurito? Cosa diavolo aveva fatto per..?
Un ordine. Lo scoppio di due sparì caricati da dei fucili, riempì l'aria.
E i colpi si ripetono ancora, ancora... Ancora.
Lo sapevi? I proiettili attraversano anche porte abbastanza robuste da resistere ai colpi di tre uomini.
I proiettili vincono il legno e colpiscono chi usa quella sottile parete per ripararsi.
E gli spari continuano ancora, ancora... Non si fermano neppure quando il tuo sangue si sparge sul pavimento.
Arriva a sporcare il corridoio, passando al di sotto di quella soglia che usavi come scudo.
- Sì... ma perché? - domandò Gilbert, cui mente nuovamente vacillava, divenendo preda di un oblio indistinto.
L'odio non fornisce mai risposte, solo false scusanti.

Gilbert si svegliò di soprassalto da quell'incubo, inquieto ed ansioso, trovandosi disteso su un pavimento non del tutto familiare, momentaneamente accecato da quella luce innaturale che riempiva la stanza.
Per un istante faticò a ricordare dove fosse, ogni cosa gli risultava troppo luminosa perché riuscisse a metterla a fuoco. Furono i peluche, disposti ordinatamente l'uno di fianco all'altro, come in un’aula di tribunale, a rammentarglielo.
Certo, la camera 23-5! Era andato a trovare la sua nuova amica e... Doveva essersi, appisolato nell'attesa che lei comparisse? Per un qualche motivo non ne era sicuro. Aveva qualche difficoltà a mettere in ordine i pensieri.
Con la mente ancora mezza addormentata e lo sguardo quasi cieco, Gil cercò la figura della ragazza attorno a se. Un leggero malessere gli chiuse lo stomaco quando non la vide, e quel disagio aumentò con la consapevolezza di non possedere alcun nome con cui chiamarla.
Non gli era mai successo di non trovarla.
Certo, avvolte capitava ci volesse qualche minuto perché prendesse forma, ma gli si era sempre presentata davanti. Una simile attesa era del tutto inedita e procurava una strana agitazione a Gilbert, all'improvviso gli pareva che l'aria si fosse fatta più pesante.
"Se ora lei fosse sparita per sempre..." non riuscì a completare quel pensiero, poiché gli era difficile ammettere di non possedere nulla con cui poterla cercare. Alla fine, non sapeva neppure chi era e, chissà, alla lunga quella figura misteriosa avrebbe potuto rivelarsi solo come un miraggio della sua mente. "Non le ho neppure chiesto il nome..."
- Lily..-
- Come?- si agitò, drizzandosi a sedere e assottigliando gli occhi che ancora non riuscivano a mettere a fuoco, credeva di aver appena confuso uno spiffero di vento con il suono di una voce.
- Il mio nome è Lily - gli fece quasi venir un colpo la ragazzina apparendogli di fronte, china su di lui con un dolce sorriso ad incurvargli le labbra, -... ed è un piacere conoscerti Gilbert Beilschmidt - ebbe così finalmente modo di concludere quella presentazione rimasta in sospeso per ben sette giorni. Il tempo che Lily aveva impiegato per trovare fiducia e conforto in quel magnifico e strambo essere, al contrario, se ciò non fosse accaduto non gli avrebbe mai rivolto la parola. Una brava signorina solitamente non parlava con degli sconosciuti, e ancora meno lo faceva un fantasma. Sopratutto riguardo alla propria identità.
Gilbert, per quanto si fosse già addentrato nel soprannaturale, accettandola come amica, non aveva idea di cosa comportasse una simile confidenza.
Per un fantasma non vi è nulla di più importante di quel nome che possedeva in vita, poiché esso è l'unica cosa capace di ricordagli chi sia, chi era stato.
Rivelarlo era il solo modo con cui un'anima si potesse legare ad un vivente.


Roderich fu piacevolmente sorpreso quando, una volta ristoratosi in una delle svariate camere da letto restaurate che offriva il maniero, trovò ad attenderlo sulla soglia della stanza un piccolo vassoio con una bevanda calda, probabilmente tea, accompagnata da dei biscotti secchi. Qualcuno si era premurato di consegnarglieli, riflette, lieto nello scoprire che vi fosse qualcuno, lì dentro, con almeno una vaga idea di come si accogliesse degnamente un ospite.
Dovevano aver bussato per attirarne l'attenzione, ma lui non li aveva uditi essendo ancora sotto la doccia, quindi chiunque fosse stato, si era trovato costretto a deporre lì il vassoio, sperando lo trovasse.
"Dovrò ringraziarli, più tardi" si ripromise, osservando il vecchio orologio posto sulla parete di fianco alla letto, mancava ancora una ventina di minuti prima dell'incontro con Antonio e Francis. Era stato lo spagnolo a decidere l'orario dell'appuntamento, dopo avergli mostrato la stanza in cui si trovava, la quale era nello stesso corridoio di quelle occupate dal trio, e lui non aveva avuto nulla da obbiettare, trovando vi fosse un lasso di tempo accettabile perché riuscisse a prendersi cura di se stesso e dei propri abiti, portava sempre con se un kit da cucito per ogni, in modo da essere pronto ad ogni evenienza.
Doveva ammettere che, avendo avuto finalmente modo di darci un occhiatta, rispetto all'esterno, l'interno del maniero (la parte restaurata di esso), appariva più accogliente di quanto non lasciasse trasparire. Cominciava decisamente a chiedersi, mentre sorseggiava la bevanda gentilmente offertagli, cosa avessero tanto da lamentarsi Antonio e i suoi amici. Era sempre più convinto fosse tutto un piano di Gilbert per infastidirlo. Ora che ci pensava, non lo aveva ancora visto... Si stava forse nascondendo?
No, non era un atteggiamento consono al "magnifico lui".
"Spero non sia un tea con il lassativo" al pensiero del tedesco, immediatamente gli sorse il dubbio di non star subendo un qualche genere scherzo e, quella bevanda donatagli misteriosamente, cominciò a divenire sospetta ai suoi occhi. Forse, sarebbe stato più saggio rinunciare a berla? Ma non voleva essere maleducato con chiunque l'avesse preparata, poiché, e questo lo capiva dal sapore, chi fosse stato vi aveva messo tutto il suo impegno.
Un tea inglese degno di un simile titolo.
"Non quell'acqua sporca a cui sono costretto di solito" consapevole dei rischi, preferì finire il proprio tea, piuttosto di rinunciarvi, il suo sapore era ottimo. Anche se evitò i biscotti secchi da cui era accompagnato, il loro aspetto non lo convincevano affatto.


- Cosa è accaduto ad Orso?-
- L'ho solo mandato a nanna per un po', così anche lei rimarra tranquilla -
- ... Lo so che l'hai fatto per il suo bene, ma non ti sembra di aver esagerato?-
- Indovino, ami tanto la parte del grillo parlante?-
- In realtà sì, e poi non posso fare altro. Sono solo una voce -
-...-
- Ora ti senti in colpa? -
- No... Io, io l'ho protetto -
- Hai solo rimandato l'inevitabile, quel giorno lei si sveglierà comunque -
- Però ho evitato che lo facesse prima, le azioni di Orso si erano fatte pericolose e ciò avrebbe potuto provocare..-
- Parli come lui, adesso?-
- Ho forse detto qualcosa di errato?-
- No, ma per quanto tu dica il giusto, io so che non sono questi i motivi che ti hanno spinto ad agire -
- E' solo che non voglio vederlo soffrire -
- No, tu non vuoi vederlo morire -

  
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