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Autore: elycarter89    05/07/2015    1 recensioni
[Bellarke/Beliza - Bob Morley/Eliza Taylor (The 100)]
"Mi guardo intorno: è pieno di gente, persone come me, ambiziose, pronte a tutto, determinate a raggiungere il proprio obbiettivo. Sarà dura. Mentre rifletto sulle mie probabilità di successo, i miei occhi si soffermano su una ragazza, in fondo al corridoio, deve essere arrivata ora, mi pare piuttosto trafelata. Ha i capelli biondi scompigliati, tenuti su alla bell'e meglio da un fermaglio colorato e indossa un vestitino a fiori, che lascia scoperte due gambe che ricordo molto bene. E' lei. E' Eliza."
GRAZIE A TUTTE LE PERSONE CHE LA LEGGERANNO E LASCERANNO UNA RECENSIONE O L'AGGIUNGONO AI PREFERITI. BUONA LETTURA
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un suono incessante mi risveglia dal mio torpore. E' la sveglia, che, puntuale, mi ricorda che sono le sette del mattino e che oggi ho gli allenamenti di football. Sbuffando, la metto a tacere e, ancora insonnolito, mi butto sotto la doccia. Scendo in cucina, trovo mia madre e la tavola apparecchiata: muffin, caffè, latte... Prego che almeno la colazione riesca a darmi la forza per affrontare questa giornata. Forse, se potessi godermela. Ma sono in ritardo, per cui mi avvicino a mia madre e la bacio velocemente sulla guancia. In risposta, ricevo uno sguardo accigliato e il solito ammonimento: "Mi raccomando, vai piano!". Sì, come se potessi permettermelo, è tardissimo. Afferro il borsone, che per fortuna ho preparato preventivamente ieri sera, e mi precipito fuori. Nella fretta, non mi accorgo del mio amico Jarod, dall'altra parte della staccionata, che cerca di attirare la mia attenzione agitando le braccia.
"Ehi, Bob! Lo so che sei di fretta, come al solito, ma ho solo una domanda!"
"Dimmi, ma sbrigati, sono in un ritardo fottuto!" rispondo, aprendo la portiera della macchina e lanciando il borsone sui sedili anteriori.
"Sì, lo avevo intuito, hai la maglietta al contrario". Abbasso lo sguardo. Porca miseria.  "Comunque" continua, fissandomi mentre come una furia mi tolgo la maglietta e la rinfilo nel verso giusto "che ne dici se più tardi, dopo gli allenamenti, ci facciamo una bevuta con gli altri?"
"Sì, mi sembra un'ottima idea. Ciao, eh". Salgo in macchina velocemente e metto in moto, lasciando sul marciapiede il mio amico visibilmente contrariato.
Sono le 8.15 e sto ancora cercando un maledetto parcheggio, appena fuori dallo stadio. Imprecando, mi infilo finalmente in un posto vuoto e mi precipito negli spogliatoi passando dalla porta sul retro. Magari Jibson non se ne accorgerà, stavolta. Come non detto: apro la porta e me lo ritrovo davanti, con il suo grosso panzone, già rosso in faccia e chiaramente di pessimo umore.
"Maledizione, Morley, ma ti riesce così difficile arrivare una, e dico una, stramaledettissima volta in orario?"
"Scusi, mister. Sa, il traffico..."
Vedo le vene gonfiarsi pericolosamente sul suo collo già paonazzo: " Vai a vestirti immediatamente, disgraziato, o oggi te ne rimani in panchina!" e se ne va borbottando. Mi affretto ad ubbidire, oggi non è giornata, nè per me nè per lui.
Dopo due ore di allenamento, mi dirigo finalmente verso le docce, accaldato e con i muscoli a pezzi.  Direi che Jibson ha trovato il modo per farmela pagare, mi ha distrutto oggi. Mi lavo velocemente, mi vesto e sono pronto per andare all'appuntamento con i miei amici. Giro l'angolo per uscire dallo spogliatoio e mi scontro contro qualcuno: Jason. Oh, fantastico.
"Cazzo, Morley, vuoi stare attento a dove cammini?" mi aggredisce, spingendomi via con una spallata.
"Scusami, non ti avevo visto." Ok, devo cercare di essere diplomatico, devo cercare di essere diplomatico "In fondo quanto sei altro, 1 metro e 50? E' difficile notarti da quassù". Mi pento delle mie parole avvelenate due secondi dopo averle pronunciate.
"Ma che cazzo di problema hai? Eh, figlio di puttana?"
"Senti, Jason, seriamente: non rompermi i coglioni e levati di mezzo! " cerco di spostarlo con il braccio, ma sento che si irrigidisce, mi prende per la maglietta e dice: "E se non mi levo che succede? Vuoi che ti prendo  a pugni, così dopo puoi piangere come una femminuccia e correre da papà?"
Ok, questo è troppo. Questo mentecatto mio padre non lo deve nominare, neanche per sbaglio, neanche per una battuta, neanche per ferirmi.
Gli storco il braccio e con un colpo secco lo atterro con facilità sul pavimento bagnato dello spogliatoio. Comincio a prenderlo a pugni sulla faccia, con violenza, senza freni, come avrei voluto non dover più fare. Sento una sostanza viscida che mi scorre sulle nocche, sangue.
Nel delirio del momento, avverto due mani che mi afferrano da dietro, sottraendomi dalla causa della mia furia omicida. E' Jibson. 
"Dio cristo, ma che diavolo combinate voi due? Sospensione  ad entrambi, per tre giorni!".
Non voglio sentire altro, non mi interesso neanche delle condizioni di Jason, esco dall'edificio a rotta di collo. Mi siedo in macchina, cerco di far sbollire la rabbia, di allontanarla dal mio corpo. Sono un coglione.
Afferro il cellulare e chiamo Jarod. Non mi lascia neppure parlare, mi dice: "Vieni al The League of Honest, siamo già tutti qui!" e riattacca. Io gli voglio bene, ma è parecchio strano questo tizio. Lo conosco fin da quando entrambi non eravamo che due bambini con il moccio al naso e la passione per i Lego ad unirci. Mi conosce meglio di chiunque altro e, infatti, nota subito il mio malumore, non appena varco la soglia del locale.
"Ohi, bello, che hai? Mi sembri incazzato" 
"Niente, Jar, il solito: ho preso a pugni il coglione degli allenamenti" rispondo, sedendomi al tavolo dove saluto con un cenno del capo tutti i miei amici.
"Quel maledetto ti farà girare i coglioni a vita. Io te l'ho detto mille volte: non devi raccogliere le sue provocazioni, è proprio quello che lui vuole" afferma, mentre alza il braccio per chiamare la cameriera.
Che, per la cronaca, è un gran pezzo di fica. Lei ne è perfettamente consapevole, lo vedo da come muove i fianchi mentre passa da un tavolo ad un altro, dalla gonnellina della divisa di cui forse ha alzato un po' l'orlo, per renderla più corta e lasciare spazio alle gambe chilometriche che si trovano al di sotto. Mi guarda, con gli occhi fissi nei miei si avvicina e chiede cosa vogliamo ordinare. Potrei rispondere: "TE!" e con questa battuta poco felice magari strapparle una risata, con la scusa del bagno potrei avvicinarmi a lei, fare due chiacchiere lontano da tutti e lasciarle il mio numero di telefono scritto su un tovagliolo. Per dare una svolta a questa giornata di merda. Invece non lo faccio, perchè in fondo sono troppo orgoglioso, perchè questa ragazza, con il trucco troppo pesante sugli occhi e il suo fare ammiccante, in realtà non mi interessa più di tanto. 
"Portaci un po' di caffè, zuccherino!" la risposta di Jarod è pronta, e anche poco opportuna. La ragazza lo fulmina con un'occhiataccia prima che lo possa fare io. E' davvero molto bella. Anche da scocciata. Mentre riconsidero il piano del numero di telefono scritto sul fazzolettino, un rumore di stoviglie infrante attira l'attenzione di tutto il locale. E' stata lei, la cameriera, a rovesciare la brocca del caffè. Il liquido ambrato le ha macchiato le scarpe, i frammenti di vetro le si sono sparsi tutto intorno. Il proprietario, presumo, un uomo grande e grosso sulla cinquantina, comincia ad urlarle contro, urla contro questa ragazza a capo chino: " Sei una dannata incapace! Giuro su Dio che se tuo padre non fosse un mio grandissimo amico ti avrei già licenziata!". Continua ad infierire, sull'orgoglio ferito di questa ragazza, umiliata davanti a tutti, le cui spalle cominciano già a tremare per i singhiozzi che tenta di trattenere. Non so cosa mi spinge ad alzarmi e dirigermi verso i due. Davvero, non lo so. Forse è più forte di me: devo ficcarmi nei casini, sempre. La verità è che me la vado a cercare, ha ragione Jarod. Come sempre.
"Mi scusi, non le pare di star esagerando? La ragazza ha solamente fatto cadere una brocca di caffè, non ha ucciso nessuno" esordisco, sentendomi subito un completo idiota. Con la coda dell'occhio vedo la biondina sussultare e lanciarmi un'occhiata tra l'allibito e il grato. L'omone mi squadra, infastidito, e rivolgendosi alla mia protetta ringhia: "Dì al tuo ragazzo di non intromettersi, non sono affari suoi questi!" ma tiene gli occhi inferociti fissi nei miei.
"Io veramente..." comincio, ma lei mi interrompe, con voce sicura: " Non è il mio ragazzo, non lo conosco nemmeno!" e quel suo tono un po' mi infastidisce, come se volesse prendere le distanze da me. La guardo e lei mi restituisce uno sguardo che non so interpretare. Il suo capo continua a fissarci, forse è più stranito di noi, e la ragazza coglie l'occasione per scusarsi e promettere di stare più attenta, la prossima volta. L'uomo scuote il capo e rivolgendomi un'ultima occhiata minacciosa, ritorna verso il bancone.
Mi dovrei scusare, mi sono messo in mezzo senza alcun diritto. "Senti, scusa, non volevo metterti nei pasticci, ma..."
"Tanto, più di così" alza le spalle, facendo ondeggiare la lunga coda di cavallo dietro la nuca. Mi guarda con due limpidi occhi azzurri, vedo che sorride.
"Già, emh, io sono Bob". Continua a fissarmi e non risponde. "Tu ce l'hai un nome o devo chiamarti cameriera carina o zuccherino, magari?". La frecciatina magari le darà fastidio, ma chissenefrega. Mi pare rimbambita.
"Eliza..." risponde alla fine, con tono poco convinto. E' decisamente strana. Fino a cinque minuti fa mi guardava con fare provocante, ora sembra talmente timida da non riuscire neanche a pronunciare il suo nome. Questo non toglie che sia di una bellezza sfolgorante, con quegli occhi azzurro cielo e il seno che, prorompente, preme sui bottoni della camicia candida. Come la sua pelle.
"Non sei una tipa di molte parole, Eliza" la rimbecco, per provocarla.
"No, infatti. Soprattutto con una persona che ho appena conosciuto e che palesemente non sa farsi gli affari suoi" è tagliente, la ragazza. Mi prende alla sprovvista. 
"Beh, ora sai il mio nome" le sorrido e lei ricambia, con questo sorriso bellissimo e timido che le illumina il viso.
"Scusa, devo tornare al lavoro. Ora vi porto il vostro caffè" si affretta a dire, lanciando occhiate preoccupate in direzione del bancone. La guardo mentre se ne va, il mio sguardo si sofferma sulle natiche fasciate dalla gonna a tubino. Le devo assolutamente lasciare il mio numero.
Torno verso il mio tavolino, dove Jarod sta rivivendo in modo teatrale la scena appena conclusasi.
"E bravo il nostro marpione! Non ti sei fatto sfuggire l'occasione di provarci con quello zuccherino eh?" sghignazza, supportato dei commenti poco eleganti dei nostri amici.
"io non ci ho provato: ho preso le sue difese, ma lei sembra non aver gradito" Alzo le spalle. Il caffè arriva poco dopo, a portarcelo è un ragazzino di non più di sedici anni, che prima non avevo notato. Chissà che fine ha fatto Eliza. Non me ne preoccupo più di tanto e continuo a ridere e scherzare con i miei amici. Guardo l'orologio: le 12.30. I miei si domanderanno che fine abbia fatto. Saluto tutti e ritorno a casa, dove mia madre si sta dando da fare ai fornelli, tra pentole che bollono, padelle che sfrigolano e la radio che trasmette musica blues. 
" I tuoi fratelli non ci sono, siamo solo io e te" mi accoglie lei. So che questa situazione la ferisce. Da quando è morto papà, le cose in casa sono diventate più difficili, nessuno sembra più trovarsi a suo agio con gli altri. Mia madre ha paura che ci allontaniamo da lei, lei che ha solo noi, ancora, al mondo.
Passo il pomeriggio a giocare ai miei videogiochi preferiti, annoiandomi più del solito. Mi squilla il telefono: è Matthew.
"Ehi Matthew, che mi dici?" Sono contento di sentirlo, è un mio vecchio amico delle scuole medie. Ciò che ci ha unito, fin dal principio, è stato l'amore per la recitazione, il nostro sogno nel cassetto. Sfuggente e irraggiungibile, come tutti i sogni nel cassetto devono essere.
"Tutto bene, Bro. Volevo sapere se verrai al casting per la soap opera 'Neighbours', al Melbourne Theatre Company, mercoledì".
Non sapevo di nessun casting, ma accetto immediatamente. 
Mercoledì arriva in fretta, tra il lavoro alla falegnameria e la preparazione per il casting. Arrivato al teatro, scorgo da lontano Matthew. E' palesemente intento a provarci con una bella ragazza che gli sta affianco, una morettina slanciata e visibilmente annoiata dalle sue avance. Ridendo, lo saluto e ci sediamo insieme ad aspettare il nostro turno, mentre la morettina si allontana sollevata. Mi guardo intorno: è pieno di gente, persone come me, ambiziose, pronte a tutto, determinate a raggiungere il proprio obbiettivo. Sarà dura. Mentre rifletto sulle mie probabilità di successo, i miei occhi si soffermano su una ragazza, in fondo al corridoio, deve essere arrivata ora, mi pare piuttosto trafelata. Ha i capelli biondi scompigliati, tenuti su alla bell'e meglio da un fermaglio colorato e indossa un vestitino a fiori, che lascia scoperte due gambe che ricordo molto bene. E' lei. E' Eliza.
   
 
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