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Autore: Son of Jericho    05/07/2015    3 recensioni
"You don't know me".
Hai ragione, non ti conosco. Ma come potrei, se non conosco nemmeno me stesso?

Un presente che appare insostenibile, un futuro che rischia di diventare ogni giorno più difficile, e la paura di non farcela, porteranno Beck lontano da tutto ciò che credeva di amare.
Tempo e distanza, per sperare che le cose tra loro si sistemino.
Nuovi amici lo accompagneranno nella sua nuova strada, fino a quando arriverà il momento di chiedersi se davvero vale la pena tornare indietro e lottare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beck Oliver, Jade West, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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III - We are Drama



- Io ci sto, ma non so se... -
- Andiamo, ci saranno tutti! -
- Ma sei sicuro che sia stata proprio Tori a invitarci, dopo quello che è successo oggi? -
- L'ho convinta io. -
- Ah, ecco. -
- In cambio, però, ha voluto che vi chiamassi io al posto suo. -
- Quindi vale anche per me. -
- Niente di personale, credeva fossi insieme a lei. -
Beck esitò prima di rispondere: non voleva fargli sapere che non aveva parlato con Jade per tutto il pomeriggio. - No, non è qui. -
- D'accordo. A dopo, allora. -
- Ok. -
 
Percorrendo il vialetto che conduceva al portone della casa di Jade, si rese conto di non aver ancora capito quale dovesse essere il suo stato d'animo attuale. Da quando aveva chiuso quella telefonata, la mente aveva cominciato a riproporgli una domanda in serie, a cui però tutt'ora non riusciva a dare una risposta.
Era come se le due opzioni si trovassero all'interno di un flipper, lampeggiando a intermittenza e continuando a rimbalzare una davanti all'altra per farsi scegliere.
Felicità o insicurezza.
Il silenzio in cui Jade si era rinchiusa e in cui avevano affrontato il viaggio in macchina, di ritorno da scuola, si era velocemente trasformato in una specie di barriera tra loro.
Non si erano più sentiti per tutto il pomeriggio, e, sebbene in certi momenti lui ne avesse sentito davvero la mancanza, ogni volta che aveva anche soltanto guardato il telefono, era stato frenato dalla sensazione che Jade non avesse alcuna intenzione di parlare, finendo in questo modo per rispedire l'idea indietro da dove era nata.
Si era venuto a creare così un muro che li poneva da due parti opposte e separate, un muro all'apparenza così alto, ma in realtà altrettanto fragile.
A fare breccia e ad aprire il primo spiraglio era stata infatti proprio la telefonata di Andre, che li aveva invitati a giocare a carte a casa di Tori.
A quanto ne sapeva anche Jade alla fine doveva aver accettato e, ricordandosi da quel pomeriggio che Jade non poteva usare l'auto, aveva detto ad Andre di riferirle che sarebbe andato lui a prenderla a casa.
Anche se ancora non aveva capito se dover essere contento di poterla rivedere, o se doversi preoccupare per la reazione che poteva attenderlo.
Arrivò di fronte alla porta e bussò, abbattendo un altro pezzetto del muro ad ogni colpo.
- E' aperto! - Lo raggiunse un urlaccio dall'interno, potente ma lontano.
Eccola là, la solita Jade.
Con un mezzo sorrisetto Beck superò la soglia, per poi richiudersi la porta alle spalle e approdare nel soggiorno. Si ritrovò solo e in attesa, ad osservare un arredamento che conosceva ormai a memoria dalle tante volte che era stato lì, e che aveva sempre pensato rispecchiasse in maniera curiosa lo stile di Jade.
Occupò quei momenti perdendosi in inutili ragionamenti sul colore della tappezzeria, finché con la coda dell'occhio non scorse un movimento.
Quando si voltò verso le scale e vide Jade scenderle, il suo mondo parve fermarsi.
In quel momento non gli importò più di nulla: al diavolo le notti insonni, al diavolo i loro litigi, al diavolo il muro. Tutto andò dimenticato, davanti alla sua incredibile bellezza.
L'amava, e questo era tutto.
Jade indossava una maglia nera lunga fin sotto la vita e senza maniche, sotto la quale si intravedevano le spalline del reggiseno, e un paio di pantaloni, anch'essi neri, lucidi e attillati che cadevano su dei particolari stivali col tacco basso.
Beck quasi si vergognò di essersi presentato solo con una camicia beige e i jeans.
- Andiamo? - gli chiese, in tono deciso ma che pareva privo di frizioni. Alla mancata replica, Jade si bloccò a metà dei gradini, accorgendosi di come lui la stesse fissando intensamente. - Che c'è? -
Un largo e sorriso si disegnò istintivamente sul viso di Beck. - Sei bellissima. -
Jade terminò di scendere e si diresse nel tinello per prendere la borsa, lasciandolo ancora lì impalato. - Lo pensavi anche oggi, quando mi hai lasciato sola contro Tori? -
Una frase, quella frase, e la luce si spense.
Beck, entrando, aveva scelto la felicità di poterla vedere e passare del tempo insieme a lei. Aveva appena scoperto di aver sbagliato.
E nel momento in cui il muro finalmente crollò, fu soltanto lui ad essere travolto dalla pioggia di pietre.
Quando lei fece ritorno in soggiorno, la teoria che in principio Beck aveva scartato, affidandosi alla speranza, iniziò a prendere forma.
L'aria si riempì presto delle ennesime accuse, le stesse che gli aveva rivolto quel pomeriggio prima che la riaccompagnasse a casa.
- Non hai nemmeno provato a difendermi. -
Beck non riuscì a fare altro che fissarla, mentre Jade ripeteva questa frase più e più volte, e lui realizzava di non avere idea di cosa dire.
Non riusciva a capire come tutto questo potesse riaffiorare dopo ore, e per giunta dal nulla.
Una sciocchezza, che si era condensata nella classica pallina sul piano inclinato, destinata a prendere velocità ad ogni centimetro fino a diventare inarrestabile.
- Hai dimostrato una volta di più che non te ne importa nulla. -
A questo punto, qualcosa trovò finalmente la via per uscire dalla bocca di Beck. Era poco più che una vuota giustificazione, che lui plasmò in modo da raccontarle che, quel giorno a pranzo, aveva pensato che lei fosse abbastanza forte da non aver bisogno di aiuto per difendersi da Tori.
Ma se c’era anche una sola possibilità di riuscita, questa fu spazzata via appena lui aggiunse che non aveva voluto mettersi in mezzo alle loro questioni per non rischiare di ferire Tori.
- Quindi ti sei preoccupato più per lei che per me? -
Si sentiva ormai un imputato sotto processo, e ogni negazione che presentava, suonava alle orecchie di Jade credibile come quella di chi ha tutti gli indizi a carico.
Dopo qualche minuto arrivò anche a capire perché tutto ciò stava accadendo proprio ora: era probabile che, mentre lui aveva lasciato scorrere il pomeriggio senza farsi sentire affinché lei potesse calmarsi, i pensieri nella mente di Jade avevano continuato ad affollarsi, per poi insorgere come una burrasca.
Forse, pensò Beck, se una delle tante volte in cui aveva riposto il telefono in tasca avesse premuto il tasto di chiamata, avrebbero potuto risolvere questa questione molto prima.
Un altro errore che aveva commesso.
Ad intromettersi nella discussione, che per quanto fossero infiammati gli animi presentava comunque dei toni stranamente composti, furono i loro cellulari, che squillarono in successione, prima quello di Beck e poi quello di Jade, a distanza di un minuto l’uno dall’altro.
Entrambi, però, lasciati suonare a vuoto finché sui display non comparve la scritta: “1 chiamata persa: Andre”.
L’occhio del ragazzo cadde sull’orologio appeso alla parete: erano ormai in ritardo, e gli altri dovevano chiedersi perché non erano ancora lì.
- Perché stai cercando di rovinare la serata, Jade? -
Poche parole, a colpire duramente nel profondo, fecero calare il silenzio e il sipario.
Jade non diceva più una parola, immobile e glaciale al centro del soggiorno, mentre i suoi occhi penetravano quelli del ragazzo fino al cervello.
Beck trasse un profondo respiro. Quello doveva essere l’ultimo errore di quel maledetto giorno.
- Non andremo, ho capito. - le disse annuendo, cercando di sostenere il suo sguardo.
Sapeva che non ci sarebbe stata una seconda fase di quella lite, lei non avrebbe cambiato idea, e lui sentiva di non avere più carte da giocarsi. Proseguire così voleva dire soltanto peggiorare.
- Chiamerò Andre dalla macchina. - concluse, muovendosi in direzione della porta, con la tenaglia d’acciaio che tornava spietata a contorcergli lo stomaco.
Mentre si allontanava da lei, sentì la fredda voce di Jade trafiggerlo alle spalle, come la lama lucente e precisa di una spada che va dritta al cuore. - Non ti chiederò di restare qui, stanotte. -
Beck posò la mano sulla maniglia. - Lo so. -
 
 
Stavolta doveva essere qualcosa di serio. Ignorando tranquillamente le spiegazioni della Hawkes, Andre proseguì nell’opera di osservazione dei due.
Li aveva notati subito, appena entrati a scuola.
A differenza della mattina precedente, che già gli era sembrata strana, in questa si erano a malapena salutati, ed era come se, da allora, entrambi continuassero a cercare e contemporaneamente a evitare lo sguardo dell’altro.
Aveva avuto il sospetto che ci fosse qualcosa che non andava già dalla sera prima, quando gli avevano dato buca a casa di Tori. Dal ritardo, alle chiamate senza risposta, fino alla telefonata di Beck in cui aveva accampato delle evidenti scuse per non presentarsi.
La conferma era arrivata all’inizio dell’ora della Hawkes, quando i due si erano seduti lontani, Beck accanto a lui, Jade vicino a Cat.
All’improvviso la porta si spalancò, anticipando l’ingresso scenico di Sikowitz.
- E’ venuto ad interrompere un’altra delle mie lezioni? - lo bloccò subito la professoressa, fulminandolo con un’occhiataccia che poco si addiceva ad una signora del suo stile.
Sikowitz richiuse la porta col piede. - No, sarebbe la seconda volta in due giorni, non voglio battere il record. - Attraversò la classe e andò ad accomodarsi su una delle sedie in fondo. - In realtà volevo provare ad assistere ad una delle sue lezioni. Sa’, sono un paio di notti che non dormo bene. -
Le risatine di sottofondo furono immediatamente sedate dalla Hawkes. - Smettetela, o do a tutti una F da qui alla fine dell’anno! -
Tutto tacque.
Sikowitz sorrise e si rialzò, facendo la strada a ritroso. - Non si adiri, volevo solamente controllare che ci fossero tutti gli studenti per i provini di oggi pomeriggio. -
Si mise a fare una panoramica delle facce dei ragazzi, con Andre che fu forse l’unico a cogliere l’attimo di sorpresa negli occhi dell’insegnante, alla vista di Beck e Jade distanti.
- Ok, a quanto pare sono tutti presenti. - decretò Sikowitz, prima di andarsene.
Andre tornò a guardare Jade e Beck: lei, imperturbabile e sicura come al solito; lui… l’esatto contrario.
Cosa stava passando per la mente del suo amico?
 
 
Non appena vide Sikowitz passare vicino al loro tavolo da pranzo, Tori smise frettolosamente di mangiare e lo fermò. - Sikowitz! - lo richiamò, facendolo quasi sobbalzare.
Il professore si avvicinò a lei. - Che succede, Tori? -
- Lo voglio chiedere io a lei - la ragazza gli fece un occhiolino, suscitando un'espressione disgustata di Jade. - Allora, che mi dice dei provini? -
- Che ci sono oggi pomeriggio, così come ho detto ieri. -
Tori si sporse in avanti e ripeté l’occhiolino, che oltre alla smorfia di Jade, stavolta fece anche roteare gli occhi ad Andre. - Hanno già deciso i ruoli? -
- Lo sai che li diranno solo al momento in cui salirete sullo stage. - aspettò che Tori assumesse un’aria delusa, poi si mise a ridacchiare. - Ma, va bene, a voi posso anticipare qualcosa. -
- Perché siamo i suoi studenti preferiti? - domandò ingenuamente Robbie.
Sikowitz fece sparire il sorriso in una frazione di secondo. - No, perché siete i più strani che abbia mai incontrato. -
- Insomma, sarò io la protagonista? - intervenne prontamente Jade, sovrastandolo con la voce.
- Mi dispiace, ma no, non sarai tu. -
- Ah-ah! - le rinfacciò Tori, puntandole contro un dito.
Sikowitz immaginò che Jade potesse essere sul punto di volerlo mordere, perciò cercò di batterla sul tempo. - Tu e Beck sarete i genitori della protagonista. -
- Che sono io, vero? - si propose Tori, sempre più elettrizzata.
Beck intanto cercò di stabilire un contatto visivo con Jade, ma era come se il segnale stesse viaggiando in una sola direzione, dato che lei continuava inflessibile a fissare Tori o Sikowitz.
Quest’ultimo sospirò rumorosamente. - No, Tori, non sei nemmeno tu. Tu sarai la sorella della protagonista. -
A questa scoperta Jade scoppiò in una breve e fragorosa risata, alla quale Tori rispose con un grugnito, per poi voltarsi nuovamente verso il professore.
- E’ per questo, non è così? - fece, scostandosi i capelli e mostrando il cerotto che aveva dovuto mettere sul graffio che si era procurata nella colluttazione con Jade del giorno prima.
- No. - la rassicurò Sikowitz, ma fu come se lei neanche lo stesse ascoltando.
- E’ colpa di Jade! -
- Non è per quello. -
- Posso toglierlo, sa? - Iniziò a tirare un lato del cerotto, cacciando un paio di rantoli di dolore.
L’insegnate la fermò giusto in tempo. - Prima che ti strappi via anche la faccia, te lo ripeto: non è per uno stupido cerotto. -
Dopo qualche secondo di stallo, sia Tori che Jade si girarono a fissare prima Cat, e poi ancora Sikowitz.
- Non mi dica che è Cat! - riuscirono ad esclamare all’unisono.
Sikowitz emise uno strano suono dalla bocca, a metà tra uno sbuffo e una risata. - No, non è nemmeno Cat. - dopodiché si guardò intorno e abbassò il tono. - Sarà Madeline Dort la protagonista. - 
Tori si accigliò. - E chi è? -
- Ci sta prendendo in giro. - affermò Andre. - E’ uno scherzo, in realtà non esiste nessuna Madeline Don, giusto? -
Sikowitz allungò il braccio in direzione di un gruppetto di ragazze in piedi vicine al camioncino dei tacos. - Dort. - lo corresse - Ed è quella più a destra. -
Come le mucche di fronte al treno che sfila, i sette, compreso Rex, si girarono verso il punto indicato. I loro sguardi si concentrarono su una ragazzina minuta, bionda, con gli occhiali e un lungo vestito blu a quadretti. - Ditemi che è uno scherzo... - fece Jade.
Ma quando tornarono a cercare Sikowitz per delle spiegazioni, scoprirono che ne aveva approfittato per svignarsela.
Solo allora, gli occhi di Beck e Jade si incontrarono.
Nell'oceano riflesso, Beck intravide tutta la passione, la convinzione, il desiderio che aveva Jade di ottenere quella parte, sebbene non fosse di primissimo piano. E, soprattutto, ci vide un avvertimento: nessuna intenzione di fallire.
Disse di sì a sé stesso: in fondo dovevano solo interpretare una coppia sposata. Poteva farcela.
 
 
Arrivato alle quattro in punto nell'ala di teatro, Beck si trovò davanti persino più studenti di quelli che credeva effettivamente iscritti alla Hollywood Arts.
Una vera e propria schiera era accorsa per quelle audizioni, i cui volantini multicolore avevano tappezzato ogni corridoio della scuola.
Superò un gruppetto di ragazzini troppo piccoli per essere dell'ultimo anno, che probabilmente erano lì solo per assistere, e giunse in un salone che pareva ancora più affollato del precedente.
Qui fu avvicinato da Robbie, che si offrì immediatamente di fargli da guida, dato che a quanto pareva era lì ad aspettare da un’eternità.
Lo fece passare da uno stretto e poco illuminato corridoio laterale, una sorta di passaggio per evitare la folla, mettendosi a raccontare insignificanti storie a proposito degli altri ragazzi.
Beck smise presto di dargli ascolto: non gli importava quanti o chi fossero, non erano loro che lo preoccupavano.  
I due giunsero infine in un’altra stanzetta, simile a una piccola una sala d’attesa, con pareti e poltroncine rosse, dove si erano riuniti anche gli altri.
- Non riesco ancora a credere che dovrò interpretare una vecchia! - Beck fu accolto subito dalla protesta di Jade, impegnata a parlare con Andre e Tori.
- E io che dovrei dire? Ho appena scoperto che il mio personaggio è strabico! - replicò piccata Tori.
Andre, sogghignando in mezzo alle due, fu il primo ad accorgersi dell’arrivo di Beck. Alzò la mano in saluto. - Ehi, amico! -
Anche Jade si voltò verso di lui, riproponendo di nuovo l’occhiata rovente che gli aveva scagliato a pranzo.
- Credo tu sia giusto in tempo. - gli disse Andre, con Beck che però, ancora bloccato in quello sguardo, parve sentirlo a malapena.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, qualunque cosa, ma non riuscì ad aprire bocca.
In quel momento, una portoncina si aprì e una ragazza si sporse dalla soglia. - Oliver e West? - chiamò, guardandosi intorno.
Jade liberò gli occhi di Beck e li girò verso la giovane. - Ci siamo. -
Beck e Jade la seguirono oltre la porta, fino al vero e proprio palco per il provino, dove incontrarono la commissione, composta per l’occasione sia da professori interni, tra cui Sikowitz, sia da esterni, ben più eleganti.
Un uomo in giacca e cravatta si alzò e gli andò incontro. - Mi chiamo Greg Holsen, delegato della sezione artistica del Comedy Dreaming. - gli consegnò i copioni. - Beck, tu sarai Tod, il padre della protagonista, mentre tu, Jade, sarai Evelyn, la madre. -
Sikowitz sorrise di nascosto ai due ragazzi, evitando chiaramente di menzionare di averglielo già spifferato.
Jade scorse qualche pagina del copione. - Qual è la scena? -
L’uomo si riaccomodò al suo posto. - Una normale scena di coppia. Anzi, forse la più classica delle scene di coppia.
- Spiacente di non aver portato un materasso. - ironizzò velenosa Jade.
Greg si mise a ridere. - No, non quel tipo di scena. Una classica litigata tra marito e moglie. -
Una classica litigata tra marito e moglie”.
In quel preciso istante, uno schermo nero si parò davanti agli occhi di Beck, oscurando e facendo svanire tutta la sua sicurezza.
Perché lo aveva capito da quando era entrato nel teatro, che se quel pomeriggio esisteva un ostacolo, non sarebbe stato il timore di non essere bravo abbastanza, la presenza degli altri candidati, o l’esito del giudizio.
Sarebbe stato lui stesso. E soprattutto, lei.
- Pagina 14, scena 3. Quando volete. - li esortò Greg.
Iniziarono a leggere le rispettive battute, come sempre avevano fatto Sikowitz, ma come la discussione scenica entrò nel vivo, Beck si accorse che qualcosa non andava.
Nel suo tono e in quello di Jade, nelle loro espressioni, c’era qualcosa di più, qualcosa di vero.
Riprodurre quella situazione stava facendo riaffiorare il pensiero della sera prima, di quella prima ancora, e di tante altre. Quegli stessi pensieri che lo tenevano sveglio intere notti.
Presto fu come se il copione non fosse neanche esistito: la recitazione andò mescolandosi irrimediabilmente con la realtà, facendo collidere le battute con i ricordi, le urla e le parole che si erano realmente detti, a formare un vortice che parve volerlo buttare giù dal palco.
La battaglia continuò a infuriare tra il silenzio generale, incurante della perplessità dei professori e degli emissari, finché gli occhi di Beck non si posarono per caso sulla propria mano.
Stretta a pugno senza che nemmeno se ne fosse accorto, in un moto di rabbia che si stava impadronendo di lui.
Basta così.
Il copione che lasciò cadere su una sedia fu come una bandiera bianca. Scese dal palco e se ne andò, abbandonando Jade in preda a rabbia, sconcerto e delusione, a fissarlo mentre spariva dietro la porta.
Non riusciva a crederci.
Immobile, si sentì raggiungere alle spalle dalla voce disorientata di Greg. - Signorina, che dovremmo fare adesso? -
 
 
Si ritrovò con le mani appoggiate ai bordi di un lavandino, a osservare nello specchio un ragazzo che ormai stentava quasi a riconoscere.
Batté il pugno, combattendo per trattenere quella lacrima che cercava di sgorgare.
L’amore non dovrebbe fare così male.
D’un tratto sentì la porta aprirsi timidamente. - Beck… - Era Andre, che gli si avvicinò senza fare rumore. - Sikowitz ci ha raccontato tutto. Cos’è successo? -
Beck chinò il capo e lo scosse rassegnato.
- Va tutto bene? - insistette Andre, muovendo un altro passo verso di lui. - Dimmi la verità, Beck. -
Il ragazzo rialzò la testa e tornò a fissare il suo riflesso.
- No. -
 
 
   
 
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