{ La Realtà Dei Folli ~ File 0.8 }
2013
Quinjet
Spazio
Aereo Non Identificato
«Mi ricordo la cerimonia: davvero
molto sentita. Tu hai vomitato, vero?»
Clint si chiese se provocarsi una
sordità temporanea conficcando gli indici nelle orecchie sarebbe servito a
zittire Loki una volta per tutte. Il Dio, avvertendo il brusio tormentato dei
suoi pensieri, sogghignò maligno e gli fece segno di “No” con l’indice, alla
stregua di una madre che riprenda il figlioletto disobbediente con le mani nella
marmellata.
Barton inspirò, concentrandosi sul
cielo cosparso di nuvolaglia biancastra, sotto il muso dell’aereo.
Signore, cosa avrebbe dato per una
sigaretta. Una lunga, bollente sigaretta, di quelle che ti impregnano i polmoni
di catrame e ti lasciano mezzo morto dopo ogni boccata, che ti fanno lacrimare
gli occhi, che ti infeltriscono la lingua e bruciano le labbra come se avessi
appena morso un gigantesco pezzo di carbone. Lo sterno scricchiolava ad ogni
respiro e sarebbe bastato un solo ingoio di tabacco per ammorbidire le ossa; lo
stomaco si rivoltava, gemeva e guaiva, e sarebbe bastato un solo ingoio di
tabacco perché facesse la fusa e si acciambellasse tranquillo dentro la pancia;
i polsi tremavano e sarebbe bastato un solo ingoio di tabacco perché le dita si
stabilizzassero e con esse il borbottio iroso del Quinjet, il tremebondo rollio
della cloche contro il palmo.
Persino la vista cominciava a cedere
e se Occhio Di Falco non poteva fare affidamento su di essa, allora tanto
valeva recidersi la carotide e farla finita, giacché non esisteva neanche la
più remota possibilità che Occhio Di Falco continuasse a vivere la propria
esistenza se non era in grado di contare i peli nel naso del barista al
Greenwich Village o le smagliature di una prostituta che adoperava la stessa
delicatezza di gesti necessaria a smuovere la leva del cambio.
«Ah, mi ricordo di lei.» Loki
interruppe il lavorio incessante del suo cervello allungandosi sul sedile del
co-pilota, un sorriso serico sulla bocca e le lunghe gambe accavallate, la mano
sinistra sul ginocchio destro e l’indice dell’altra a battere sul labbro
inferiore «Kitty? Kathy? Kate?»
«Continua pure, Loki, non mi distrai
affatto.»
In risposta, il Norreno reclinò la
nuca all’indietro, in modo da guardarlo di sbieco coi suoi freddi occhi di
serpentina.
«Sei tu che ti stai facendo distrarre
da me.»
«Se blateri tutto il tempo, non vedo
come potrebbe essere altrimenti.»
«I tuoi amici di là lo sanno che hai
chiuso le comunicazioni con loro per potermi rimbrottare meglio?»
Colpo basso, questo, e Barton reagì
contraendo la mascella e snudando pericoloso i denti. Già Natasha lo fissava
convinta che avrebbe dato di matto di lì a poco, non intendeva certo avvalorare
quell’ipotesi facendosi sentire mentre dialogava amabilmente con un pazzo sclerotico frutto della sua psiche
instabile…
«Come immaginavo.»
Loki scrollò sdegnosamente le spalle,
puntellando poi il mento sul pungo chiuso. Il sole riluceva diafano sulla pelle
del Dio, tracciando solchi dorati sui gambali e le piastre del petto, sul panno
verde della veste, sul collare a mezzaluna.
Sembrava così vero e tangibile che
l’Agente aveva avuto più di una volta il dubbio che quel maledetto fosse lì, in
carne ed ossa, e si rendesse invisibile allo sguardo altrui al solo scopo di
far vacillare le proprie certezze e portarlo al baratro della follia. Che fosse
capace di leggere ogni pensiero come un libro aperto, si spiegava facilmente
ricordando la fastidiosa vacanza offerta dal Tesseract nel proprio cranio
–Logico, no?
Per quanto terribile, un’ipotesi del
genere poteva essere di sollievo, rispetto all’idea di essere ammattito del
tutto. Sapersi perseguitato e tallonato da una realtà di sangue e carne era
preferibile –Soprattutto, suddetta realtà, essendo di carne e sangue, poteva essere
trafitta da una freccia e non c’era niente di più salutare al mondo che
trafiggere una fastidiosa e logorroica realtà di carne e sangue con una
freccia.
«Anche la vendetta è salutare, sai?»
Loki si voltò nella sua direzione e Clint avvertì la punta gelida dei
polpastrelli del Norreno graffiargli il dorso della mano. I brividi
scrosciarono attraverso la spina dorsale, il bisogno di stordirsi con alcool e
nicotina latrò con violenza tale da scuotergli le tempie e riempire la testa di
ovatta «Non è stato gentile con te, sai? Non lo è stato affatto. Gli hai dato
tutto, Agente Barton, tutto. L’ho visto. Il Tesseract mi ha mostrato ciò che
eravate e che per causa sua non potrete più essere.»
«Per causa tua vorrai dire» lo corresse Occhio Di Falco e la voce era fiacca
nella gola, le dita di Loki penetravano nella carne, superavano l’ostacolo
della pelle e delle ossa, ingarbugliavano e annodavano i nervi a propria
piacere e diletto.
«Io l’ho ucciso, sì. O meglio, ne ero
convinto. Un minuscolo errore di valutazione –Voi Midgardiani siete più
coriacei di quanto avessi preventivato.»
Pur mantenendo lo sguardo fisso
davanti a sé, le nocche serrate alla cloche, Barton sentiva l’attenzione
scivolare via insieme al sangue che l’altro gli stava succhiando per fare posto
al suo, ad una colata di neve e ghiaccio, argento acido, sonante gorgoglio di
cristalli invernali. Vedeva e non vedeva, c’era e non c’era, il mondo era
un’interferenza, si assestava su una gamma di colori un attimo e l’attimo dopo
già era in bianco e nero, distorto, i suoni gli tagliavano le orecchie, oppure
sbattevano contro la fronte, le cornee, i timpani come mosconi contro il vetro
e le immagini ronzavano senza sosta, senza posa, una presenza scivolava e si
insinuava nella coscienza, le imponeva, ordinava di scostarsi, di sparire,
svanire in fumo.
«Hai pianto per lui così tanto,
Agente Barton. Così tanto e così a lungo da consumare occhi e lacrime. Bruciavi
di dolore e la cenere del lutto era sterile, nessuna promessa di vita, nessun
bocciolo, né gemma di esistenza era abbastanza forte per convincerti a
svegliarti dal torpore. Così miserevole, così miserando, il tuo amore per lui
ti ha fatto diventare pazzo. E cosa ha fatto quell’uomo, per te? Mentre tu
trascorrevi le notti a vegliare sulla sua tomba e ti disperavi e a stento ti
reggevi in piedi e più non riconoscevi lo scorrere dei giorni, lui che faceva?
Lui viveva. Non ti cercava, non
pensava a te, ha ripagato le tue urla col silenzio, non ha mai risposto quando
hai chiamato il suo nome, non è mai giunto ad asciugare le tue lacrime. Mai.
Mai e poi mai, ti ha abbandonato, ti ha gettato via, a che gli servivi? A che
gli servivi, ormai? Avevi esaurito il tuo compito e l’avevi deluso. Ignominia!
Infamia! Debole, debole, debole Agente Barton! Lui se n’è andato perché eri
debole, perché eri folle, perché eri rotto, eri spezzato, eri debole. Ah, ma
sei stato così forte, Agente Barton, così forte quand’eri al mio fianco. Così
forte…»
«Clint?»
Barton spalancò la bocca ad un ingoio
prepotente di aria, come se fosse appena sbucato con la testa fuori dall’acqua,
dopo un considerevole lasso di tempo passato in apnea. Quasi gemette,
annaspando e boccheggiando, avvertendo il sudore freddo stridere sulla tempie,
conficcarsi nel cervello ed affondare fino alla nuca.
«Clint!»
Soltanto allora Occhio Di Falco si
accorse che il muso del Quinjet era puntato verso terra e che l’abitacolo
tremava. Le lamiere ringhiavano al fischio del vento che sbatteva contro la
carlinga, la coda e le ali, contro il vetro traballante. Il fiato falcidiava i
polmoni e attorcigliava i bronchi in trecce gelate.
Fu per mero istinto che l’Agente
tornò in quota e mise a tacere le urla scostanti degli strumenti di bordo. Di
nuovo sulla rotta giusta, di nuovo all’altezza necessaria a non schiantarsi
miserevolmente al suolo, Clint serrò la mascella per impedire ai denti di
continuare a battere e fece schizzare scariche di dolore infuocato dai palmi,
tanto li strinse sulla cloche per arrestare il fremito delle nocche.
«Clint, forse è meglio che prenda il
tuo posto e tu vada a riposare.»
«Ce la faccio, Nat. E’ stato soltanto
un vuoto d’aria.»
A Clint non serviva vedere
l’espressione di Natasha per capire che la donna non credeva ad una sola
parola. La vide comunque, perché
vedere ogni cosa significava anche sorbirsi le labbra contratte di Vedova Nera,
le sopracciglia schizzate all’attaccatura dei capelli e persino quell’aura di
schiacciante rancore che lei gli portava ogniqualvolta taceva qualcosa di
fondamentale.
«Sicuro di stare bene?»
No.
Non sto bene. Sto impazzendo, Nat. Sto impazzendo, sto crollando, mi sto
frantumando, disintegrando, mi sto riducendo a pezzi, ad un’ombra di me stesso.
Aiutami, Nat, ti prego. Ho bisogno di aiuto. Aiutami. Loki, il senso di colpa,
il rimpianto mi tormentano. Aiutami. Scaccialo via, Nat, scaccialo---
«Sì. Torna in carlinga da Coulson e
tienilo a debita distanza dalla mia persona.»
Poi, Occhio Di Falco fu troppo
occupato a chiedersi chi avesse fatto
uscire quella frase dalla sua bocca, quando in testa e sulla lingua e nel cuore
aveva ben altre parole, per notare l’aggrottarsi perplesso della fronte di
Natasha.
Si girò allora verso il posto del
co-pilota, dove Loki era accomodato con le gambe distese e i piedi appoggiati
sul pannello dei comandi. Il Dio si coprì la bocca per nascondere uno sbadiglio
annoiato, quindi reclinò il capo ed un guizzo verde incattivì gli occhi ferini,
un sogghigno affiorò alle sue labbra.
«E’ questo quel che succede ad essere
pazzi, Agente Barton.» rise, mellifluo «L’unica realtà su cui hai il controllo
è soltanto quella dentro la tua testa. Fuori, chi è abbastanza forte da
aggiogarti plasma il tuo destino.»
«Un vuoto d’aria? E tu gli credi?»
«No. Ma tramortire il nostro pilota
mentre era in volo per interrogarlo mi è sembrata un’idea da scartare a
priori.»
Phil benedisse per l’ennesima volta
il fatto che sguardi e parole non potessero uccidere. Nick Fury poteva tanto,
poteva tutto, ma di certo resuscitare i cadaveri di Vedova Nera andava oltre le
capacità di chiunque, persino quelle del Direttore –Ex Direttore, si impose di pensare, viste le circostanze.
Natasha non gli era saltata alla
gola, non aveva cercato di ucciderlo, non l’aveva coperto di insulti, né
lasciato in ricordo una gragnola di lividi in ogni tratto di pelle
raggiungibile. A differenza di Occhio Di Falco, stava usando contro di lui
freddezza e gelo, una rabbia affilata che penetrava nel costato e nella carne,
parola dopo parola, indifferenza dopo indifferenza.
Phil Coulson era morto e Vedova Nera
non doveva niente ai defunti. Per quanto la riguardava, aveva seppellito il
leader dello Strike Team Delta sei mesi prima ed il rispetto, la lealtà,
finanche la complicità che avevano era sprofondata sotto metri di terra.
A quel Phil Coulson che aveva visto
tra i turbini di neve e nel biancore accecante del ghiaccio, lei non doveva
niente. All’uomo era bastata l’occhiata che Natasha gli aveva lanciato per
capirlo. E comprendere che niente di quello che avrebbe detto, niente di quello
che avrebbe fatto, l’avrebbe più riavvicinata. Era tornato alla vita convinta
di ritrovare, di riavere quel che
aveva perduto: invece, aveva perso chi nella morte non aveva abbandonato il suo
fianco per un singolo istante.
«Non sei intenzionata a perdonarmi,
vero?»
Vedova Nera, che nel frattempo aveva
allacciato nuovamente le cinture e si era assicurata al sedile, inarcò il
sopracciglio destro. Mai sguardo fu più eloquente di quello, mai tanto
sarcasmo, mai tanto distacco era stato visto negli occhi incolori della spia
russa.
«Non hai ferito solo lui, Coulson.»
disse, secca, senza giri di parole, senza tentativi di indorare la pillola o
stemperare la tensione.
«Avevo degli ordini.»
«Lo so. Li aveva anche Clint, quando
fu mandato ad uccidermi.»
«E con questo?»
«Gli ordini non sono tutto.» Natasha
contrasse le labbra «Se adesso esegui e basta, senza pensare, senza protestare,
senza nemmeno considerare la possibilità che l’ordine sia ingiusto, allora Nick
Fury non ha riportato in vita un uomo, ma soltanto un manichino. Un burattino
da manovrare a proprio piacimento, un pupazzo che sa annuire e dare ordini a
propria volta. Un burattino senza cuore.»
«Apprezzo la metafora di Pinocchio.
Non molto il tono con cui ti stai rivolgendo a me, Agente Romanoff.»
« Non sei il mio superiore. Sono un
Vendicatore, ora.» replicò lei «Che è anche il motivo per cui hai deciso di
tenere la bocca chiusa, se non sbaglio. Nessun Vendicatore e nessun Agente al
di sotto del Livello Sette doveva venire a sapere del tuo ritorno nella terra
dei vivi. Se poi ci sei davvero stato, nella terra dei morti.»
«Mi hai visto, Natasha. Hai visto
cosa…Loki mi ha fatto.»
«Ho visto qualcuno con le tue
sembianze vestito a lutto. Ho visto una bara calata in una fossa, su cui
campeggiava una stele col tuo nome inscritto. Ho visto Clint crollare in
ginocchio.» sussurrò «Ho visto gli sguardi pieni di odio che gli hanno rivolto.
Gli insulti. Gli sputi. Ho visto Clint crollare e non riuscire più a rialzarsi.
Ho visto di te» deviò gli occhi da lui, li diresse all’abitacolo «E ho capito
che sei solo un corpo vuoto.»
Phil, se non fosse stato per le
cinture e per qualsiasi norma di sicurezza, si sarebbe teso verso di lei,
avrebbe cercato di stabilire un contatto prima che, con la sua battuta di
chiusura, erigesse per sempre un muro impossibile da superare.
«Natasha, sono io!» esclamò «Sono
sempre io, non sono cambiato! Sono io---!»
«Sempre
tu?» Vedova Nera sollevò il labbro superiore in una smorfia ironica e delusa
all’insieme «Se sei sempre stato così ed il tempo trascorso allo Strike Team
Delta unicamente una bugia, allora preferisco la menzogna che eri.»
Coulson aprì la bocca per replicare
–Testarda, dannata testarda, testarda Natasha, testardo Clint, testardo
chiunque, lì dentro, incapaci di capire quanto l’ordine gli avesse stretto la
gola, incapaci di comprendere quanti giorni avessi trascorso a leggere file e
rapporti di vecchi missioni, il dito sollevato su un minuscolo, misero tasto
che lo avrebbe messo in comunicazione con loro una volta per tutte, in malora
gli ordini, in malora Fury…!
«Cessate il vostro chiacchierare,
signorinelle.» la voce di Clint echeggiò crepitante nella carlinga,
sbatacchiando contro le lamiere ricurve «Siamo in New Jersey. Arriveremo al
Camp Lehigh in dieci minuti. Preparatevi a sbarcare. L’Agente Coulson è pregato
di non fare foto e di rimanere sotto stretta sorveglianza: non è mia intenzione
rincorrerlo per tutto il perimetro soltanto perché si vuole accaparrare qualche
cimelio appartenente a Capitan America.»
2011
Triskelion, Washington D.C.
Uffici.
«Hanno richiesto l’autopsia?»
«Ho fatto sì che non lo ritenessero
necessario. Lo stress può essere mortale,
anche per un’Agente addestrata come lo era Gail Runciter.»
L’uomo alla finestra contrasse la
bocca a quelle parole, per poi bere un sorso di bourbon e continuare a guardare
oltre il vetro. Gli era stata risparmiata la scena del corpo di Miss Runciter
abbandonato nelle docce, col collo languidamente reclinato all’indietro ed il
sangue che dai polsi ramificava in minuscoli zampilli rossi, intrecciandosi
all’acqua scrosciante. Non provava dispiacere, bensì disappunto: erano nelle condizioni meno indicate per perdere del
personale, soprattutto personale non rimpiazzabile, né malleabile come era
stata la Runciter.
Cercare di irretire qualche altro
Agente nelle spire del Dottor Marlowe era fuori discussione. Inoltre, come se
non fosse abbastanza, dai laboratori arrivavano notizie desolanti: il loro
progetto stava andando in fumo ancora prima di pianificare un test sul campo.
«I campioni di sangue sono
inutilizzabili.» l’uomo fece scrosciare il bourbon nel bicchiere tozzo, prismi
di giallo paglierino si schiantarono contro i bottoni lucidi del doppiopetto
grigio «Non possiamo ricavarne nulla.»
«E il soggetto non risponde più alla
mia terapia.»
Accomodato sul divanetto di pelle
davanti alla scrivania, Marlowe sistemò il corpo panciuto sui cuscini, le
fattezze scimmiesche quali aveva assunto il giorno in cui il soggetto si era
risvegliato dal sopore e dall’incanto: al contrario di quel giorno, tuttavia,
non c’era niente di forzato nella sua metamorfosi. I tratti animaleschi, le
dita coperte di pelo rubizzo, i lineamenti grossolani della faccia, la folta
chioma rossa che ruggiva sgraziata e scomposta, persino il torace a badile non
erano più una maschera di cera pigiata alla meglio, ma sembravano il solo
aspetto che il medico possedesse davvero.
L’uomo alla finestra contrasse appena
le palpebre, le rughe agli angoli degli occhi ebbero un fremito. Si girò ed
appoggiò il bicchiere alla scrivania.
«Continua a tenere gli Agenti sotto
il tuo controllo, Faustus.» ordinò
«Io devo andare in New Jersey.»
2013,
New
Jersey.
Camp
Lehigh.
Il Quinjet era atterrato a cento
metri di distanza dal cancello d’entrata: con gli scudi deflettori alzati, non
era che una piega di ombra nell’oscurità circostante e lo sguardo poteva
saettargli attraverso senza che nessuno si accorgesse della sua effettiva
presenza –Salvo incappare nei fianchi, nelle ali o nel muso, oltre che
inciampare e franare contro la sua inequivocabile, sebbene invisibile,
solidità.
Più silenziosi della notte in cui
erano immersi, i tre superarono gli anelli sgangherati del cancello e si
immisero nel grande spiazzo aperto che una volta era stato il campo di addestramento
di Steven Rogers: uno Steven Rogers ben più basso, ben più magro, ben più
microscopico della figura erculea, eroica che i cinegiornali avevano
sbandierato in ogni angolo del pianeta. Quegli occhi sfolgoranti in bianco e
nero, lo sfolgorio dello scudo scagliato contro le truppe nemiche, le mani
strette alle mani sanguinanti di un commilitone ferito a morte, quanto cuore,
che anima grande aveva camminato sulla Terra…E poi li aveva lasciati.
La Guerra era finita e l’uomo era
divenuto Leggenda. E come il Graal, come l’Arca dell’Alleanza, era divenuto un
simbolo di grandezza, di pace, e tante, troppe persone si erano susseguite per
cercarlo, per trovare ancora una volta il suo sorriso, sentirsi colmare di
inestinguibile speranza. Niente, però, era accaduto e la stella di Capitan
America, così splendente da accecare, non era stata più che un astro cadente:
dietro di sé aveva lasciato una coda d’argento di sogni e amore, ma il suo
cuore, la sua parte concreta e tangibile, era bruciata in fretta.
Riducendosi in cenere.
Spazzata via in un soffio di vento.
«E’ soltanto un museo a cielo
aperto.» commentò Barton, che aveva sfruttato alcuni appigli di uno dei
casermoni per issarsi sopra di esso e avere una migliore visuale dell’intorno
«Cosa dovremmo cercare, esattamente? Lenzuola da vendere su Ebay a qualche
appassionato? Sempre che Coulson non se le sia accaparrate già tutte,
beninteso.»
«Puoi stare in silenzio, una buona
volta? Mi deconcentri.»
Vedova Nera si mise in testa al
gruppo, il palmare tenuto di fronte a sé per trovare il luogo specifico del
segnale. A prima vista, come aveva già fatto intendere Barton, non c’era nulla
che potesse far intendere la provenienza del file, né il suo creatore.
Soltanto ambienti mastodontici e
tozzi che ai tempi del secondo conflitto mondiale erano serviti per gli alloggi
dei soldati, l’Infermeria, lo stoccaggio di provviste ed armi e mezzi di
trasporto. C’era ancora traccia della via che serpeggiava attorno alle
strutture per i faticosi giri di campo, nonché la zona di terreno abbassato e
tenuto costantemente bagnato per insegnare ai cadetti come passare sotto il
filo spinato tenendo i fucili al petto e la testa abbastanza bassa per non
cavarsi gli occhi. C’era ancora il palo su cui innestare la bandiera, perché
venisse alzata ogni mattina come monito e faro di perenne fiducia e preghiera.
«Distrarti?» Occhio Di Falco emise un
verso stizzito «Hai paura di inciampare mentre ti stai facendo un selfie, Nat?
Mi immagino già gli hashtag…»
«Sarà un piacere per me staccarti la
lingua di netto, Barton, se non la smetti di dire idiozie.» schioccando la
lingua contro il palato, Vedova Nera rimise il palmare al sicuro, dentro una
delle tasche del cinturone che aveva in vita «E’ un punto morto. Zero
rilevamento calore. Zero rilevamento onde. Nessuna onda radio. Chiunque abbia
creato il file deve aver usato un router per confondere le cose.»
«Solo calcinacci ed erba?» le chiese
Clint, sempre appollaiato sul tetto e con le dita spinte a tenere attiva la
trasmittente all’orecchio.
«E formiche. Probabilmente una
nidiata di scarafaggi e topi, da qualche parte.»
«Esattamente come negli Anni
Quaranta, allora.» intervenne Coulson e senza dar loro il tempo di chiedere,
superò Natasha come se già sapesse dove andare e cosa fare, in che luogo
dirigersi.
«Ho visto male o sta ridendo sotto i
baffi, Nat?»
«Voi due non avete mai letto niente
sui campi di addestramento della Seconda Guerra Mondiale?»
«Negativo. I Peanuts erano più
interessanti.»
«Barton» fece di nuovo Phil, come se
non lo avesse sentito «Puoi dirmi la distanza tra il campo e l’edificio di
stoccaggio armi?»
«Duecentocinquanta metri. Perché?»
«Il regolamento militare proibisce lo
stoccaggio di armi a meno di quattrocentocinquanta metri dal campo.» spiegò
Coulson e con la coda dell’occhio vide Natasha annuire in direzione di Clint, e
questi saltare dal tetto a terra senza un suono od uno spostamento d’aria.
«Conosco quello sguardo, Phil.» commentò Barton, provocando un gemito
scricchiolante nel cuore dell’altro nel sentirsi finalmente chiamare col nome
abbreviato «C’è altro che ci nascondi. C’è altro che sai.»
«Forse.»
Le porte dello stoccaggio armi erano
chiuse da un catenaccio ed un lucchetto. Non che fosse un problema, visto e
considerando che se anche Coulson non avesse avuto con un sé una carica esplosiva
da viaggio, sarebbe bastata una cocca modificata di Occhio Di Falco per farli
passare.
All’interno, una rampa di scale
portava fino ad un ambiente rettangolare, spazioso, ampio, col soffitto
piuttosto basso. Clint fu il primo a trovare l’interruttore della luce e i neon
picchiettarono prima di aprire a ventaglio coni di luce asettica, uno dopo
l’altro, simili a bianche tessere da domino.
«Mi venisse un colpo.» esalò Barton, lo sguardo fisso al simbolo
dello S.H.I.E.L.D. che campeggiava fiero sulla parete di fronte a loro. Vi
erano poi scrivanie coi cassetti ormai vuoti, sedie girevoli, scaffali di
metallo impolverati e cadenti, e vecchi telefoni a rotella.
«Lo S.H.I.E.L.D.» disse Natasha,
guardandosi intorno.
«Dove tutta ha avuto inizio.»
concordò Phil e li condusse verso uno degli uffici laterali, separato
dall’ambiente principale da vetri in plexiglass opachi: oltre di essa, una
stanza stipata di scaffalature completamente sventrate, dove si intravedevano
biocchi polvere grigia spruzzati di residui di carta giallastra, ultimo ricordo
dei fascicoli che contenevano una volta.
L’intelaiatura elettrica e i cavi
erano ancora in bella vista –E ancora funzionanti, stranamente- e c’erano
ancora cartellette color pulce dimenticate, privi di timbri, scritte o
qualsivoglia segno di riconoscimento circa il loro contenuto.
Sul muro dinanzi la soglia erano
appese tre cornici e dietro il vetro rigato, a sorridere od anche solo
guardarli con curiosità di occhi vuoti, due uomini e una donna.
«Il Colonnello Phillips.» fece
Coulson, indicando l’uomo in alta uniforme e la bandiera americana
orgogliosamente sventolante dietro le sue spalle «Howard Stark» l’uomo in
mezzo, con espressione scanzonata e superba, divertita, la stessa di cui il
figlio era maestro indiscusso «E Peggy Carter. Agente dello RSS. Una donna
coraggiosa. E fiera. Ha amato Capitan America fino alla sua morte e non ha
ancora smesso di amarlo.»
«Una perdita di tempo.»
Il commento avvelenato di Clint
spezzò l’incantesimo sospeso che li aveva avvolti, rovesciando su di loro
l’urgenza del presente e soverchiando la dolceamara essenza dei ricordi e della
storia.
«Non è stata una perdita di tempo.»
replicò Phil, sbattendo le palpebre e scrollando impercettibilmente le spalle
«E’ stata…»
«Patetica» concluse per lui l’Agente
«Avrebbe potuto rifarsi una vita, invece di piangere un morto.»
«Possiamo portare a termine la
missione, invece che perdere tempo?» Natasha serrò le braccia al seno e li
trafisse con sguardo tagliente «Vi graffierete dopo. Ora dobbiamo trovare la
fonte di ogni nostro guaio.»
In un’altra occasione, Clint avrebbe
sputato a terra od avrebbe imprecato in qualche slang appreso durante i suoi anni trascorsi al circo e passati in
giro per l’America, invece si limitò a sbuffare una risata impertinente,
contrarre la bocca in direzione di Phil e poi passare attraverso gli scaffali
per cercare qualcosa di interessante o pertinente.
Qualcosa di pertinente ed
interessante che si rivelò essere un fischio come sfiato di aria, proveniente
dal bordo di uno degli scaffali. Corrugando la fronte, Occhio Di Falco fece
scorrere i polpastrelli lungo il fianco del mobile, fino a quando non gli
riuscì di trovare un punto abbastanza largo dove aggrapparsi con le nocche e
tirare, rivelando così quello che era a tutti gli effetti le porte di un vano
ascensore.
«Secondo voi hanno nascosto
l’ascensore perché gli impiegati erano diventati pigri e mettevano su peso?»
«Sai che scocciatura, procurarsi
tutte quelle divise taglia comoda?» si accordò Natasha, avvicinandosi poi al
pannello fissato accanto all’ascensore e posizionandovi sopra il palmare.
Questi emise un fascio di luce
bluastra che saettò direttamente a scansionare i tasti per l’inserimento del
codice numerico. Tramite un controllo della consunzione di alcuni tasti
rispetto ad altri, Vedova Nera fu in grado di risalire alla chiave di accesso e
sgombrare loro la strada.
«Posso capire il concetto Precedere i tempi i tempi, ma delle
entrate USB dentro una stanza che straborda tecnologia a nastro mi pare eccessivo.»
In effetti, non era possibile dare
torto a Clint. Sulle prime, era parso ai tre che non ci fosse nulla di
tecnologicamente comparabile, né avanzato che potesse essere loro di aiuto od
in qualche modo collegato allo scopo della missione. Come aveva fatto
giustamente notare Natasha si trattava di tecnologia, sì, ma tecnologia antica.
Poi, l’occhio di Coulson era caduto
sulle parallelepipedo con le bocche cesellate delle drive e aveva capito che
qualcosa di molto più losco si nascondeva lì dentro, dietro gli alti pannelli
da registrazione e gli schermi e i computer di vecchia generazione. La
telecamera posizionata su quello centrale, considerò, stava addosso ai tre come
un mirino e gli faceva accapponare la pelle.
«Inserisci la pendrive, Natasha.»
Vedova Nera annuì e si chinò sulla
tastiera, non appena essi vennero illuminati da un guizzo blu elettrico. Clack, altre neon si accesero in un
battito oleoso, le bobine scatarrarono e ripresero a scorrere.
«Questo posto mi fa venire in
brividi.» sussurrò Barton, estraendo una freccia dalla faretra e incoccandola
per precauzione, l’arco puntato verso il pavimento.
«Cosa vedi?» Coulson gli si accostò e
cercò il lampo grigio ferro dei suoi occhi.
«Guai.»
Avviare
il sistema?
Chiese una voce sintetizzata e roca, sgradevole, accompagnata da una scritta
verde acido sullo schermo principale.
Natasha inarcò un sopracciglio e
digitò direttamente la risposta.
«Sì.»
«Ho visto una cosa del genere in un
film.» interloquì Clint «Non è finita bene.»
«Non fare l’uccello del malaugurio,
Barton.» lo riprese Vedova Nera, che immediatamente raddrizzò la schiena e si
allontanò dal computer, quando sullo schermo presero a scrosciare interferenze
verdastre, singulti di colore, polle nere che assunsero le sembianze di un viso
–O meglio, le fattezze bombate di un viso che pareva coperto da una maschera
anti-gas.
«Are
you my mummy?» cinguettò Occhio Di Falco –Segno, tra l’altro, del suo
nervosismo crescente.
«Coulson, Philip J.» gracchiò una
seconda voce, rovinata dall’incisione su nastro, e venata da un’inquietante
accento tedesco «Nato l’8 Luglio del 1964.»
«Ha dimenticato il nomignolo Cheese» sghignazzò Clint, le cui dita
stavano già accarezzando l’impennaggio del dardo.
La telecamera sopra lo schermo si
girò lentamente, puntando direttamente su di lui.
«Barton, Clinton Francis. Nato il 18
Giugno del 1985.»
«Tenetevi pronti.» mormorò Natasha,
mentre l’occhio invisibile del macchinario puntasse su di lei.
«Romanoff, Natalia Alianovna. Nata
nel 1984.»
«Per essere una registrazione, è
piuttosto inquietante.»
«Io non sono una registrazione, fraulein.» puntualizzò la voce,
indispettita «Non sarò più l’uomo di quando il vostro beneamato Capitan America
mi fece prigioniero nel 1945, ma io esisto.»
Sul computer più piccolo, a sinistra
della telecamera, comparve la foto in bianco e nero di un ometto tarchiato, con
tratti grezzi e bulbosi e forte prognatismo dell’arcata sopraccigliare,
orecchie allungate e bocca piccola, sottile. Sgraziate lenti da vista
ingigantivano gli occhietti infossati, dal taglio obliquo e perverso, come
perversa era l’aura che lo circondava e che faceva torcere le viscere e lo
stomaco.
«Arnim Zola…» sfiatò Coulson «Pensavo
fosse morto da anni.»
«Morto? Guardatevi intorno: non sono
mai stato tanto vivo. Nel 1972 mi
diagnosticarono una malattia terminale: la scienza non poteva salvare il mio
corpo. La mia mente, tuttavia, meritava di essere salvata in una banca dati su
sessanta kilometri di nastro. Voi vi trovate nel mio cervello.»
«D’accordo, chi è questo Grande
Fratello Mangiacrauti?»
A Clint non occorse che uno scatto di
reni per mettersi in posizione e tendere la corda, il gomito una linea retta
col polso e l’indice che direzionava la freccia.
«Uno scienziato svizzero al soldo di
Teschio Rosso.» spiegò Phil ed allungò la mano, il palmo aperto a segnalargli
di stare fermo «Una mente malata e meschina al servizio di un credo disumano.»
«Quante belle parole, signor Coulson.
Eppure è stato il vostro governo a salvarmi, il vostro governo ad invitarmi qui, a proteggere la mia…Come
ha detto? Mente malata e meschina, al servizio di un credo disumano.»
«Si tratta dell’Operazione Paperclip, dopo la Seconda Guerra Mondiale.» Natasha
deglutì e si girò a guardare Phil, forse per chiedere conferma « Lo
S.H.I.E.L.D. reclutò scienziati tedeschi con capacità strategiche.»
«Pensavano che potessi aiutare la
loro causa. E ho aiutato anche la mia.»
«La tua causa?» Clint socchiuse le
palpebre, piegando la bocca in un ghigno di sfottò «Quale? Boicottare internet
per carpire i segreti di Campo Fiorito?»
Ma Coulson era pallido in volto e un
dubbio serpeggiava nella sua mente, quasi gli toglieva il respiro.
«L’HYDRA» sussurrò.
«Taglia una testa e altre due
spuntano fuori.» convenne Zola, sdoppiando il proprio volto per rendere meglio
il concetto «L’HYDRA fu fondata sulla convinzione che non ci si poteva fidare
di un’umanità che fosse libera.
Quello di cui non ci eravamo resi conto era che portare via la libertà genera
resistenza: la guerra ci ha istruito molto. L’umanità doveva rinunciare alla
propria libertà volontariamente.
“Dopo la Guerra fu fondato lo
S.H.I.E.L.D. e io fui reclutato. La nuova HYDRA cresceva: un bellissimo
parassita all’interno dello S.H.I.E.L.D. Per settanta anni l’HYDRA ha
segretamente fomentato crisi. Scatenato guerre. E se la storia non collaborava,
la storia veniva cambiata.»
«Tutto questo non ha il benché minimo
senso.» Vedova Nera girò gli occhi all’immagine di Zola impressa nello schermo
«Lo S.H.I.E.L.D. vi avrebbe fermati.»
«Ma gli incidenti capitano.» mormorò
Phil e la rabbia e la vergogna avevano indurito il viso altrimenti bonario, al
punto che abbassò il braccio e strinse i pugni, non accorgendosi del lampo
verde che aveva per un istante guizzato negli occhi dell’arciere al suo fianco.
«Esatto. L’HYDRA ha creato un mondo
talmente caotico che l’umanità è finalmente pronta a sacrificare la propria
libertà per guadagnare la propria sicurezza. Una volta completato un processo
di purificazione il nuovo ordine del mondo di HYDRA sorgerà.»
«Pensate di avere vinto, dunque?» lo
interrogò Clint –E c’era una nota serpentina, nella sua voce, un bagliore di
ferina curiosità nello sguardo irridente.
«Certo.»
«Cosa c’è nel drive?» Coulson corrugò
la fronte, la mano che andava lentamente arretrando per sfiorare la pistola.
«Il Progetto Insight richiede intuito. Così ho scritto un algoritmo.»
«Che tipo di algoritmo? Cosa fa?»
«La risposta alla tua domanda è
avvincente. Malauguratamente, sarete troppo morti per sentirla.»
Subito, Natasha agguantò il palmare e
spalancò gli occhi.
«Ci sono addosso!» esclamò «Dobbiamo---»
Ma le sue ultime parole furono
coperte da uno schiocco, quindi un tonfo ed un grido di dolore.
Phil gemette e sporse i denti,
artigliandosi il fianco destro con le mani. Più nello specifico, serrando le
nocche attorno l’asta della freccia che gli si era conficcata nelle carni e che
aveva fatto sprizzare sangue bollente sulla camicia, imbevendola di rosso vivo.
Vedova Nera si girò, tuttavia non
abbastanza in fretta per evitarsi di trovarsi la cuspide di un dardo ad un
respiro appena dalla fronte.
«Clint…?»
«Adagio, vulvetta lamentosa.» l’arciere passò la lingua sul labbro superiore,
le iridi accese, folli, sfumate di ghiaccio e di verde «Non bisogna
interrompere un discorso, è maleducazione. Non te lo hanno mai insegnato?»
2013.
Asgard.
Prigioni.
«Ti manco al punto che sei arrivato a
guardarmi dormire, fratello?»
Loki torse il collo sul guanciale e
sorriso maligno in direzione di Thor, ritto dietro il vetro impenetrabile della
cella.
«Stavi sognando?» lo interrogò il Dio
del Tuono, imperioso nel mantello scarlatto che gli copriva le spalle, e s’avvolgeva
al corpo in mille pieghe brune.
«Sì.»
«E cosa sognavi?»
Il Dio Delle Malefatte ghignò.
«Midgard.»