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Autore: LaMicheCoria    05/07/2015    0 recensioni
2011. Pari a meccanismi di un autonoma, le iridi immobili si animarono, misero a fuoco, rotolarono lungo il bordo delle palpebre e gli si ficcarono addosso.
2013. “Tu che arrivi, ogni volta, come un baluardo di salvezza, un eroe da copertina. Sono tagliato fuori dal mondo, da tutto e da tutti, e l'unico che mi è rimasto, alla fine, sei stato tu. Ci sei sempre tu.”
«Lo sai, no? Gli incidenti capitano.»
Genere: Angst, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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{ La Realtà Dei Folli ~ File 0.8 }

 

2013
Quinjet
Spazio Aereo Non Identificato

 

«Mi ricordo la cerimonia: davvero molto sentita. Tu hai vomitato, vero?»
Clint si chiese se provocarsi una sordità temporanea conficcando gli indici nelle orecchie sarebbe servito a zittire Loki una volta per tutte. Il Dio, avvertendo il brusio tormentato dei suoi pensieri, sogghignò maligno e gli fece segno di “No” con l’indice, alla stregua di una madre che riprenda il figlioletto disobbediente con le mani nella marmellata.
Barton inspirò, concentrandosi sul cielo cosparso di nuvolaglia biancastra, sotto il muso dell’aereo.
Signore, cosa avrebbe dato per una sigaretta. Una lunga, bollente sigaretta, di quelle che ti impregnano i polmoni di catrame e ti lasciano mezzo morto dopo ogni boccata, che ti fanno lacrimare gli occhi, che ti infeltriscono la lingua e bruciano le labbra come se avessi appena morso un gigantesco pezzo di carbone. Lo sterno scricchiolava ad ogni respiro e sarebbe bastato un solo ingoio di tabacco per ammorbidire le ossa; lo stomaco si rivoltava, gemeva e guaiva, e sarebbe bastato un solo ingoio di tabacco perché facesse la fusa e si acciambellasse tranquillo dentro la pancia; i polsi tremavano e sarebbe bastato un solo ingoio di tabacco perché le dita si stabilizzassero e con esse il borbottio iroso del Quinjet, il tremebondo rollio della cloche contro il palmo.
Persino la vista cominciava a cedere e se Occhio Di Falco non poteva fare affidamento su di essa, allora tanto valeva recidersi la carotide e farla finita, giacché non esisteva neanche la più remota possibilità che Occhio Di Falco continuasse a vivere la propria esistenza se non era in grado di contare i peli nel naso del barista al Greenwich Village o le smagliature di una prostituta che adoperava la stessa delicatezza di gesti necessaria a smuovere la leva del cambio.
«Ah, mi ricordo di lei.» Loki interruppe il lavorio incessante del suo cervello allungandosi sul sedile del co-pilota, un sorriso serico sulla bocca e le lunghe gambe accavallate, la mano sinistra sul ginocchio destro e l’indice dell’altra a battere sul labbro inferiore «Kitty? Kathy? Kate?»
«Continua pure, Loki, non mi distrai affatto.»
In risposta, il Norreno reclinò la nuca all’indietro, in modo da guardarlo di sbieco coi suoi freddi occhi di serpentina.
«Sei tu che ti stai facendo distrarre da me.»
«Se blateri tutto il tempo, non vedo come potrebbe essere altrimenti.»
«I tuoi amici di là lo sanno che hai chiuso le comunicazioni con loro per potermi rimbrottare meglio?»
Colpo basso, questo, e Barton reagì contraendo la mascella e snudando pericoloso i denti. Già Natasha lo fissava convinta che avrebbe dato di matto di lì a poco, non intendeva certo avvalorare quell’ipotesi facendosi sentire mentre dialogava amabilmente con un pazzo sclerotico frutto della sua psiche instabile…
«Come immaginavo.»
Loki scrollò sdegnosamente le spalle, puntellando poi il mento sul pungo chiuso. Il sole riluceva diafano sulla pelle del Dio, tracciando solchi dorati sui gambali e le piastre del petto, sul panno verde della veste, sul collare a mezzaluna.
Sembrava così vero e tangibile che l’Agente aveva avuto più di una volta il dubbio che quel maledetto fosse lì, in carne ed ossa, e si rendesse invisibile allo sguardo altrui al solo scopo di far vacillare le proprie certezze e portarlo al baratro della follia. Che fosse capace di leggere ogni pensiero come un libro aperto, si spiegava facilmente ricordando la fastidiosa vacanza offerta dal Tesseract nel proprio cranio –Logico, no?
Per quanto terribile, un’ipotesi del genere poteva essere di sollievo, rispetto all’idea di essere ammattito del tutto. Sapersi perseguitato e tallonato da una realtà di sangue e carne era preferibile –Soprattutto, suddetta realtà, essendo di carne e sangue, poteva essere trafitta da una freccia e non c’era niente di più salutare al mondo che trafiggere una fastidiosa e logorroica realtà di carne e sangue con una freccia.
«Anche la vendetta è salutare, sai?» Loki si voltò nella sua direzione e Clint avvertì la punta gelida dei polpastrelli del Norreno graffiargli il dorso della mano. I brividi scrosciarono attraverso la spina dorsale, il bisogno di stordirsi con alcool e nicotina latrò con violenza tale da scuotergli le tempie e riempire la testa di ovatta «Non è stato gentile con te, sai? Non lo è stato affatto. Gli hai dato tutto, Agente Barton, tutto. L’ho visto. Il Tesseract mi ha mostrato ciò che eravate e che per causa sua non potrete più essere.»
«Per causa tua vorrai dire» lo corresse Occhio Di Falco e la voce era fiacca nella gola, le dita di Loki penetravano nella carne, superavano l’ostacolo della pelle e delle ossa, ingarbugliavano e annodavano i nervi a propria piacere e diletto.
«Io l’ho ucciso, sì. O meglio, ne ero convinto. Un minuscolo errore di valutazione –Voi Midgardiani siete più coriacei di quanto avessi preventivato.»
Pur mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé, le nocche serrate alla cloche, Barton sentiva l’attenzione scivolare via insieme al sangue che l’altro gli stava succhiando per fare posto al suo, ad una colata di neve e ghiaccio, argento acido, sonante gorgoglio di cristalli invernali. Vedeva e non vedeva, c’era e non c’era, il mondo era un’interferenza, si assestava su una gamma di colori un attimo e l’attimo dopo già era in bianco e nero, distorto, i suoni gli tagliavano le orecchie, oppure sbattevano contro la fronte, le cornee, i timpani come mosconi contro il vetro e le immagini ronzavano senza sosta, senza posa, una presenza scivolava e si insinuava nella coscienza, le imponeva, ordinava di scostarsi, di sparire, svanire in fumo.
«Hai pianto per lui così tanto, Agente Barton. Così tanto e così a lungo da consumare occhi e lacrime. Bruciavi di dolore e la cenere del lutto era sterile, nessuna promessa di vita, nessun bocciolo, né gemma di esistenza era abbastanza forte per convincerti a svegliarti dal torpore. Così miserevole, così miserando, il tuo amore per lui ti ha fatto diventare pazzo. E cosa ha fatto quell’uomo, per te? Mentre tu trascorrevi le notti a vegliare sulla sua tomba e ti disperavi e a stento ti reggevi in piedi e più non riconoscevi lo scorrere dei giorni, lui che faceva? Lui viveva. Non ti cercava, non pensava a te, ha ripagato le tue urla col silenzio, non ha mai risposto quando hai chiamato il suo nome, non è mai giunto ad asciugare le tue lacrime. Mai. Mai e poi mai, ti ha abbandonato, ti ha gettato via, a che gli servivi? A che gli servivi, ormai? Avevi esaurito il tuo compito e l’avevi deluso. Ignominia! Infamia! Debole, debole, debole Agente Barton! Lui se n’è andato perché eri debole, perché eri folle, perché eri rotto, eri spezzato, eri debole. Ah, ma sei stato così forte, Agente Barton, così forte quand’eri al mio fianco. Così forte…»
«Clint?»
Barton spalancò la bocca ad un ingoio prepotente di aria, come se fosse appena sbucato con la testa fuori dall’acqua, dopo un considerevole lasso di tempo passato in apnea. Quasi gemette, annaspando e boccheggiando, avvertendo il sudore freddo stridere sulla tempie, conficcarsi nel cervello ed affondare fino alla nuca.
«Clint!»
Soltanto allora Occhio Di Falco si accorse che il muso del Quinjet era puntato verso terra e che l’abitacolo tremava. Le lamiere ringhiavano al fischio del vento che sbatteva contro la carlinga, la coda e le ali, contro il vetro traballante. Il fiato falcidiava i polmoni e attorcigliava i bronchi in trecce gelate.
Fu per mero istinto che l’Agente tornò in quota e mise a tacere le urla scostanti degli strumenti di bordo. Di nuovo sulla rotta giusta, di nuovo all’altezza necessaria a non schiantarsi miserevolmente al suolo, Clint serrò la mascella per impedire ai denti di continuare a battere e fece schizzare scariche di dolore infuocato dai palmi, tanto li strinse sulla cloche per arrestare il fremito delle nocche.
«Clint, forse è meglio che prenda il tuo posto e tu vada a riposare.»
«Ce la faccio, Nat. E’ stato soltanto un vuoto d’aria.»
A Clint non serviva vedere l’espressione di Natasha per capire che la donna non credeva ad una sola parola. La vide comunque, perché vedere ogni cosa significava anche sorbirsi le labbra contratte di Vedova Nera, le sopracciglia schizzate all’attaccatura dei capelli e persino quell’aura di schiacciante rancore che lei gli portava ogniqualvolta taceva qualcosa di fondamentale.
«Sicuro di stare bene?»

No. Non sto bene. Sto impazzendo, Nat. Sto impazzendo, sto crollando, mi sto frantumando, disintegrando, mi sto riducendo a pezzi, ad un’ombra di me stesso. Aiutami, Nat, ti prego. Ho bisogno di aiuto. Aiutami. Loki, il senso di colpa, il rimpianto mi tormentano. Aiutami. Scaccialo via, Nat, scaccialo---
«Sì. Torna in carlinga da Coulson e tienilo a debita distanza dalla mia persona.»
Poi, Occhio Di Falco fu troppo occupato a chiedersi chi avesse fatto uscire quella frase dalla sua bocca, quando in testa e sulla lingua e nel cuore aveva ben altre parole, per notare l’aggrottarsi perplesso della fronte di Natasha.
Si girò allora verso il posto del co-pilota, dove Loki era accomodato con le gambe distese e i piedi appoggiati sul pannello dei comandi. Il Dio si coprì la bocca per nascondere uno sbadiglio annoiato, quindi reclinò il capo ed un guizzo verde incattivì gli occhi ferini, un sogghigno affiorò alle sue labbra.
«E’ questo quel che succede ad essere pazzi, Agente Barton.» rise, mellifluo «L’unica realtà su cui hai il controllo è soltanto quella dentro la tua testa. Fuori, chi è abbastanza forte da aggiogarti plasma il tuo destino.»

 

«Un vuoto d’aria? E tu gli credi?»
«No. Ma tramortire il nostro pilota mentre era in volo per interrogarlo mi è sembrata un’idea da scartare a priori.»
Phil benedisse per l’ennesima volta il fatto che sguardi e parole non potessero uccidere. Nick Fury poteva tanto, poteva tutto, ma di certo resuscitare i cadaveri di Vedova Nera andava oltre le capacità di chiunque, persino quelle del Direttore –Ex Direttore, si impose di pensare, viste le circostanze.
Natasha non gli era saltata alla gola, non aveva cercato di ucciderlo, non l’aveva coperto di insulti, né lasciato in ricordo una gragnola di lividi in ogni tratto di pelle raggiungibile. A differenza di Occhio Di Falco, stava usando contro di lui freddezza e gelo, una rabbia affilata che penetrava nel costato e nella carne, parola dopo parola, indifferenza dopo indifferenza.
Phil Coulson era morto e Vedova Nera non doveva niente ai defunti. Per quanto la riguardava, aveva seppellito il leader dello Strike Team Delta sei mesi prima ed il rispetto, la lealtà, finanche la complicità che avevano era sprofondata sotto metri di terra.
A quel Phil Coulson che aveva visto tra i turbini di neve e nel biancore accecante del ghiaccio, lei non doveva niente. All’uomo era bastata l’occhiata che Natasha gli aveva lanciato per capirlo. E comprendere che niente di quello che avrebbe detto, niente di quello che avrebbe fatto, l’avrebbe più riavvicinata. Era tornato alla vita convinta di ritrovare, di riavere quel che aveva perduto: invece, aveva perso chi nella morte non aveva abbandonato il suo fianco per un singolo istante.
«Non sei intenzionata a perdonarmi, vero?»
Vedova Nera, che nel frattempo aveva allacciato nuovamente le cinture e si era assicurata al sedile, inarcò il sopracciglio destro. Mai sguardo fu più eloquente di quello, mai tanto sarcasmo, mai tanto distacco era stato visto negli occhi incolori della spia russa.
«Non hai ferito solo lui, Coulson.» disse, secca, senza giri di parole, senza tentativi di indorare la pillola o stemperare la tensione.
«Avevo degli ordini.»
«Lo so. Li aveva anche Clint, quando fu mandato ad uccidermi.»
«E con questo?»
«Gli ordini non sono tutto.» Natasha contrasse le labbra «Se adesso esegui e basta, senza pensare, senza protestare, senza nemmeno considerare la possibilità che l’ordine sia ingiusto, allora Nick Fury non ha riportato in vita un uomo, ma soltanto un manichino. Un burattino da manovrare a proprio piacimento, un pupazzo che sa annuire e dare ordini a propria volta. Un burattino senza cuore.»
«Apprezzo la metafora di Pinocchio. Non molto il tono con cui ti stai rivolgendo a me, Agente Romanoff.»
« Non sei il mio superiore. Sono un Vendicatore, ora.» replicò lei «Che è anche il motivo per cui hai deciso di tenere la bocca chiusa, se non sbaglio. Nessun Vendicatore e nessun Agente al di sotto del Livello Sette doveva venire a sapere del tuo ritorno nella terra dei vivi. Se poi ci sei davvero stato, nella terra dei morti.»
«Mi hai visto, Natasha. Hai visto cosa…Loki mi ha fatto.»
«Ho visto qualcuno con le tue sembianze vestito a lutto. Ho visto una bara calata in una fossa, su cui campeggiava una stele col tuo nome inscritto. Ho visto Clint crollare in ginocchio.» sussurrò «Ho visto gli sguardi pieni di odio che gli hanno rivolto. Gli insulti. Gli sputi. Ho visto Clint crollare e non riuscire più a rialzarsi. Ho visto di te» deviò gli occhi da lui, li diresse all’abitacolo «E ho capito che sei solo un corpo vuoto.»
Phil, se non fosse stato per le cinture e per qualsiasi norma di sicurezza, si sarebbe teso verso di lei, avrebbe cercato di stabilire un contatto prima che, con la sua battuta di chiusura, erigesse per sempre un muro impossibile da superare.
«Natasha, sono io!» esclamò «Sono sempre io, non sono cambiato! Sono io---!»
«Sempre tu?» Vedova Nera sollevò il labbro superiore in una smorfia ironica e delusa all’insieme «Se sei sempre stato così ed il tempo trascorso allo Strike Team Delta unicamente una bugia, allora preferisco la menzogna che eri.»
Coulson aprì la bocca per replicare –Testarda, dannata testarda, testarda Natasha, testardo Clint, testardo chiunque, lì dentro, incapaci di capire quanto l’ordine gli avesse stretto la gola, incapaci di comprendere quanti giorni avessi trascorso a leggere file e rapporti di vecchi missioni, il dito sollevato su un minuscolo, misero tasto che lo avrebbe messo in comunicazione con loro una volta per tutte, in malora gli ordini, in malora Fury…!
«Cessate il vostro chiacchierare, signorinelle.» la voce di Clint echeggiò crepitante nella carlinga, sbatacchiando contro le lamiere ricurve «Siamo in New Jersey. Arriveremo al Camp Lehigh in dieci minuti. Preparatevi a sbarcare. L’Agente Coulson è pregato di non fare foto e di rimanere sotto stretta sorveglianza: non è mia intenzione rincorrerlo per tutto il perimetro soltanto perché si vuole accaparrare qualche cimelio appartenente a Capitan America.»

 

2011
Triskelion, Washington D.C.
Uffici.
 

«Hanno richiesto l’autopsia?»
«Ho fatto sì che non lo ritenessero necessario. Lo stress può essere mortale, anche per un’Agente addestrata come lo era Gail Runciter.»
L’uomo alla finestra contrasse la bocca a quelle parole, per poi bere un sorso di bourbon e continuare a guardare oltre il vetro. Gli era stata risparmiata la scena del corpo di Miss Runciter abbandonato nelle docce, col collo languidamente reclinato all’indietro ed il sangue che dai polsi ramificava in minuscoli zampilli rossi, intrecciandosi all’acqua scrosciante. Non provava dispiacere, bensì disappunto: erano nelle condizioni meno indicate per perdere del personale, soprattutto personale non rimpiazzabile, né malleabile come era stata la Runciter.
Cercare di irretire qualche altro Agente nelle spire del Dottor Marlowe era fuori discussione. Inoltre, come se non fosse abbastanza, dai laboratori arrivavano notizie desolanti: il loro progetto stava andando in fumo ancora prima di pianificare un test sul campo.
«I campioni di sangue sono inutilizzabili.» l’uomo fece scrosciare il bourbon nel bicchiere tozzo, prismi di giallo paglierino si schiantarono contro i bottoni lucidi del doppiopetto grigio «Non possiamo ricavarne nulla.»
«E il soggetto non risponde più alla mia terapia.»
Accomodato sul divanetto di pelle davanti alla scrivania, Marlowe sistemò il corpo panciuto sui cuscini, le fattezze scimmiesche quali aveva assunto il giorno in cui il soggetto si era risvegliato dal sopore e dall’incanto: al contrario di quel giorno, tuttavia, non c’era niente di forzato nella sua metamorfosi. I tratti animaleschi, le dita coperte di pelo rubizzo, i lineamenti grossolani della faccia, la folta chioma rossa che ruggiva sgraziata e scomposta, persino il torace a badile non erano più una maschera di cera pigiata alla meglio, ma sembravano il solo aspetto che il medico possedesse davvero.
L’uomo alla finestra contrasse appena le palpebre, le rughe agli angoli degli occhi ebbero un fremito. Si girò ed appoggiò il bicchiere alla scrivania.
«Continua a tenere gli Agenti sotto il tuo controllo, Faustus.» ordinò «Io devo andare in New Jersey.»

 

 

2013,
New Jersey.
Camp Lehigh.

 

Il Quinjet era atterrato a cento metri di distanza dal cancello d’entrata: con gli scudi deflettori alzati, non era che una piega di ombra nell’oscurità circostante e lo sguardo poteva saettargli attraverso senza che nessuno si accorgesse della sua effettiva presenza –Salvo incappare nei fianchi, nelle ali o nel muso, oltre che inciampare e franare contro la sua inequivocabile, sebbene invisibile, solidità.
Più silenziosi della notte in cui erano immersi, i tre superarono gli anelli sgangherati del cancello e si immisero nel grande spiazzo aperto che una volta era stato il campo di addestramento di Steven Rogers: uno Steven Rogers ben più basso, ben più magro, ben più microscopico della figura erculea, eroica che i cinegiornali avevano sbandierato in ogni angolo del pianeta. Quegli occhi sfolgoranti in bianco e nero, lo sfolgorio dello scudo scagliato contro le truppe nemiche, le mani strette alle mani sanguinanti di un commilitone ferito a morte, quanto cuore, che anima grande aveva camminato sulla Terra…E poi li aveva lasciati.
La Guerra era finita e l’uomo era divenuto Leggenda. E come il Graal, come l’Arca dell’Alleanza, era divenuto un simbolo di grandezza, di pace, e tante, troppe persone si erano susseguite per cercarlo, per trovare ancora una volta il suo sorriso, sentirsi colmare di inestinguibile speranza. Niente, però, era accaduto e la stella di Capitan America, così splendente da accecare, non era stata più che un astro cadente: dietro di sé aveva lasciato una coda d’argento di sogni e amore, ma il suo cuore, la sua parte concreta e tangibile, era bruciata in fretta.
Riducendosi in cenere.
Spazzata via in un soffio di vento.
«E’ soltanto un museo a cielo aperto.» commentò Barton, che aveva sfruttato alcuni appigli di uno dei casermoni per issarsi sopra di esso e avere una migliore visuale dell’intorno «Cosa dovremmo cercare, esattamente? Lenzuola da vendere su Ebay a qualche appassionato? Sempre che Coulson non se le sia accaparrate già tutte, beninteso.»
«Puoi stare in silenzio, una buona volta? Mi deconcentri.»
Vedova Nera si mise in testa al gruppo, il palmare tenuto di fronte a sé per trovare il luogo specifico del segnale. A prima vista, come aveva già fatto intendere Barton, non c’era nulla che potesse far intendere la provenienza del file, né il suo creatore.
Soltanto ambienti mastodontici e tozzi che ai tempi del secondo conflitto mondiale erano serviti per gli alloggi dei soldati, l’Infermeria, lo stoccaggio di provviste ed armi e mezzi di trasporto. C’era ancora traccia della via che serpeggiava attorno alle strutture per i faticosi giri di campo, nonché la zona di terreno abbassato e tenuto costantemente bagnato per insegnare ai cadetti come passare sotto il filo spinato tenendo i fucili al petto e la testa abbastanza bassa per non cavarsi gli occhi. C’era ancora il palo su cui innestare la bandiera, perché venisse alzata ogni mattina come monito e faro di perenne fiducia e preghiera.
«Distrarti?» Occhio Di Falco emise un verso stizzito «Hai paura di inciampare mentre ti stai facendo un selfie, Nat? Mi immagino già gli hashtag…»
«Sarà un piacere per me staccarti la lingua di netto, Barton, se non la smetti di dire idiozie.» schioccando la lingua contro il palato, Vedova Nera rimise il palmare al sicuro, dentro una delle tasche del cinturone che aveva in vita «E’ un punto morto. Zero rilevamento calore. Zero rilevamento onde. Nessuna onda radio. Chiunque abbia creato il file deve aver usato un router per confondere le cose.»
«Solo calcinacci ed erba?» le chiese Clint, sempre appollaiato sul tetto e con le dita spinte a tenere attiva la trasmittente all’orecchio.
«E formiche. Probabilmente una nidiata di scarafaggi e topi, da qualche parte.»
«Esattamente come negli Anni Quaranta, allora.» intervenne Coulson e senza dar loro il tempo di chiedere, superò Natasha come se già sapesse dove andare e cosa fare, in che luogo dirigersi.
«Ho visto male o sta ridendo sotto i baffi, Nat?»
«Voi due non avete mai letto niente sui campi di addestramento della Seconda Guerra Mondiale?»
«Negativo. I Peanuts erano più interessanti.»
«Barton» fece di nuovo Phil, come se non lo avesse sentito «Puoi dirmi la distanza tra il campo e l’edificio di stoccaggio armi?»
«Duecentocinquanta metri. Perché?»
«Il regolamento militare proibisce lo stoccaggio di armi a meno di quattrocentocinquanta metri dal campo.» spiegò Coulson e con la coda dell’occhio vide Natasha annuire in direzione di Clint, e questi saltare dal tetto a terra senza un suono od uno spostamento d’aria.
«Conosco quello sguardo, Phil.»  commentò Barton, provocando un gemito scricchiolante nel cuore dell’altro nel sentirsi finalmente chiamare col nome abbreviato «C’è altro che ci nascondi. C’è altro che sai.»
«Forse.»
Le porte dello stoccaggio armi erano chiuse da un catenaccio ed un lucchetto. Non che fosse un problema, visto e considerando che se anche Coulson non avesse avuto con un sé una carica esplosiva da viaggio, sarebbe bastata una cocca modificata di Occhio Di Falco per farli passare.
All’interno, una rampa di scale portava fino ad un ambiente rettangolare, spazioso, ampio, col soffitto piuttosto basso. Clint fu il primo a trovare l’interruttore della luce e i neon picchiettarono prima di aprire a ventaglio coni di luce asettica, uno dopo l’altro, simili a bianche tessere da domino.
«Mi venisse un colpo.»  esalò Barton, lo sguardo fisso al simbolo dello S.H.I.E.L.D. che campeggiava fiero sulla parete di fronte a loro. Vi erano poi scrivanie coi cassetti ormai vuoti, sedie girevoli, scaffali di metallo impolverati e cadenti, e vecchi telefoni a rotella.
«Lo S.H.I.E.L.D.» disse Natasha, guardandosi intorno.
«Dove tutta ha avuto inizio.» concordò Phil e li condusse verso uno degli uffici laterali, separato dall’ambiente principale da vetri in plexiglass opachi: oltre di essa, una stanza stipata di scaffalature completamente sventrate, dove si intravedevano biocchi polvere grigia spruzzati di residui di carta giallastra, ultimo ricordo dei fascicoli che contenevano una volta.
L’intelaiatura elettrica e i cavi erano ancora in bella vista –E ancora funzionanti, stranamente- e c’erano ancora cartellette color pulce dimenticate, privi di timbri, scritte o qualsivoglia segno di riconoscimento circa il loro contenuto.
Sul muro dinanzi la soglia erano appese tre cornici e dietro il vetro rigato, a sorridere od anche solo guardarli con curiosità di occhi vuoti, due uomini e una donna.
«Il Colonnello Phillips.» fece Coulson, indicando l’uomo in alta uniforme e la bandiera americana orgogliosamente sventolante dietro le sue spalle «Howard Stark» l’uomo in mezzo, con espressione scanzonata e superba, divertita, la stessa di cui il figlio era maestro indiscusso «E Peggy Carter. Agente dello RSS. Una donna coraggiosa. E fiera. Ha amato Capitan America fino alla sua morte e non ha ancora smesso di amarlo.»
«Una perdita di tempo.»
Il commento avvelenato di Clint spezzò l’incantesimo sospeso che li aveva avvolti, rovesciando su di loro l’urgenza del presente e soverchiando la dolceamara essenza dei ricordi e della storia.
«Non è stata una perdita di tempo.» replicò Phil, sbattendo le palpebre e scrollando impercettibilmente le spalle «E’ stata…»
«Patetica» concluse per lui l’Agente «Avrebbe potuto rifarsi una vita, invece di piangere un morto.»
«Possiamo portare a termine la missione, invece che perdere tempo?» Natasha serrò le braccia al seno e li trafisse con sguardo tagliente «Vi graffierete dopo. Ora dobbiamo trovare la fonte di ogni nostro guaio.»
In un’altra occasione, Clint avrebbe sputato a terra od avrebbe imprecato in qualche slang appreso durante i suoi anni trascorsi al circo e passati in giro per l’America, invece si limitò a sbuffare una risata impertinente, contrarre la bocca in direzione di Phil e poi passare attraverso gli scaffali per cercare qualcosa di interessante o pertinente.
Qualcosa di pertinente ed interessante che si rivelò essere un fischio come sfiato di aria, proveniente dal bordo di uno degli scaffali. Corrugando la fronte, Occhio Di Falco fece scorrere i polpastrelli lungo il fianco del mobile, fino a quando non gli riuscì di trovare un punto abbastanza largo dove aggrapparsi con le nocche e tirare, rivelando così quello che era a tutti gli effetti le porte di un vano ascensore.
«Secondo voi hanno nascosto l’ascensore perché gli impiegati erano diventati pigri e mettevano su peso?»
«Sai che scocciatura, procurarsi tutte quelle divise taglia comoda?» si accordò Natasha, avvicinandosi poi al pannello fissato accanto all’ascensore e posizionandovi sopra il palmare.
Questi emise un fascio di luce bluastra che saettò direttamente a scansionare i tasti per l’inserimento del codice numerico. Tramite un controllo della consunzione di alcuni tasti rispetto ad altri, Vedova Nera fu in grado di risalire alla chiave di accesso e sgombrare loro la strada.

 

«Posso capire il concetto Precedere i tempi i tempi, ma delle entrate USB dentro una stanza che straborda tecnologia a nastro mi pare eccessivo.»
In effetti, non era possibile dare torto a Clint. Sulle prime, era parso ai tre che non ci fosse nulla di tecnologicamente comparabile, né avanzato che potesse essere loro di aiuto od in qualche modo collegato allo scopo della missione. Come aveva fatto giustamente notare Natasha si trattava di tecnologia, sì, ma tecnologia antica.
Poi, l’occhio di Coulson era caduto sulle parallelepipedo con le bocche cesellate delle drive e aveva capito che qualcosa di molto più losco si nascondeva lì dentro, dietro gli alti pannelli da registrazione e gli schermi e i computer di vecchia generazione. La telecamera posizionata su quello centrale, considerò, stava addosso ai tre come un mirino e gli faceva accapponare la pelle.
«Inserisci la pendrive, Natasha.»
Vedova Nera annuì e si chinò sulla tastiera, non appena essi vennero illuminati da un guizzo blu elettrico. Clack, altre neon si accesero in un battito oleoso, le bobine scatarrarono e ripresero a scorrere.
«Questo posto mi fa venire in brividi.» sussurrò Barton, estraendo una freccia dalla faretra e incoccandola per precauzione, l’arco puntato verso il pavimento.
«Cosa vedi?» Coulson gli si accostò e cercò il lampo grigio ferro dei suoi occhi.
«Guai.»

Avviare il sistema? Chiese una voce sintetizzata e roca, sgradevole, accompagnata da una scritta verde acido sullo schermo principale.
Natasha inarcò un sopracciglio e digitò direttamente la risposta.
«Sì.»
«Ho visto una cosa del genere in un film.» interloquì Clint «Non è finita bene.»
«Non fare l’uccello del malaugurio, Barton.» lo riprese Vedova Nera, che immediatamente raddrizzò la schiena e si allontanò dal computer, quando sullo schermo presero a scrosciare interferenze verdastre, singulti di colore, polle nere che assunsero le sembianze di un viso –O meglio, le fattezze bombate di un viso che pareva coperto da una maschera anti-gas.
«Are you my mummy?» cinguettò Occhio Di Falco –Segno, tra l’altro, del suo nervosismo crescente.
«Coulson, Philip J.» gracchiò una seconda voce, rovinata dall’incisione su nastro, e venata da un’inquietante accento tedesco «Nato l’8 Luglio del 1964.»
«Ha dimenticato il nomignolo Cheese» sghignazzò Clint, le cui dita stavano già accarezzando l’impennaggio del dardo.
La telecamera sopra lo schermo si girò lentamente, puntando direttamente su di lui.
«Barton, Clinton Francis. Nato il 18 Giugno del 1985.»
«Tenetevi pronti.» mormorò Natasha, mentre l’occhio invisibile del macchinario puntasse su di lei.
«Romanoff, Natalia Alianovna. Nata nel 1984.»
«Per essere una registrazione, è piuttosto inquietante.»
«Io non sono una registrazione, fraulein.» puntualizzò la voce, indispettita «Non sarò più l’uomo di quando il vostro beneamato Capitan America mi fece prigioniero nel 1945, ma io esisto.»
Sul computer più piccolo, a sinistra della telecamera, comparve la foto in bianco e nero di un ometto tarchiato, con tratti grezzi e bulbosi e forte prognatismo dell’arcata sopraccigliare, orecchie allungate e bocca piccola, sottile. Sgraziate lenti da vista ingigantivano gli occhietti infossati, dal taglio obliquo e perverso, come perversa era l’aura che lo circondava e che faceva torcere le viscere e lo stomaco.
«Arnim Zola…» sfiatò Coulson «Pensavo fosse morto da anni.»
«Morto? Guardatevi intorno: non sono mai stato tanto vivo. Nel 1972 mi diagnosticarono una malattia terminale: la scienza non poteva salvare il mio corpo. La mia mente, tuttavia, meritava di essere salvata in una banca dati su sessanta kilometri di nastro. Voi vi trovate nel mio cervello
«D’accordo, chi è questo Grande Fratello Mangiacrauti?»
A Clint non occorse che uno scatto di reni per mettersi in posizione e tendere la corda, il gomito una linea retta col polso e l’indice che direzionava la freccia.
«Uno scienziato svizzero al soldo di Teschio Rosso.» spiegò Phil ed allungò la mano, il palmo aperto a segnalargli di stare fermo «Una mente malata e meschina al servizio di un credo disumano.»
«Quante belle parole, signor Coulson. Eppure è stato il vostro governo a salvarmi, il vostro governo ad invitarmi qui, a proteggere la mia…Come ha detto? Mente malata e meschina, al servizio di un credo disumano.»
«Si tratta dell’Operazione Paperclip, dopo la Seconda Guerra Mondiale.» Natasha deglutì e si girò a guardare Phil, forse per chiedere conferma « Lo S.H.I.E.L.D. reclutò scienziati tedeschi con capacità strategiche.»
«Pensavano che potessi aiutare la loro causa. E ho aiutato anche la mia
«La tua causa?» Clint socchiuse le palpebre, piegando la bocca in un ghigno di sfottò «Quale? Boicottare internet per carpire i segreti di Campo Fiorito
Ma Coulson era pallido in volto e un dubbio serpeggiava nella sua mente, quasi gli toglieva il respiro.
«L’HYDRA» sussurrò.
«Taglia una testa e altre due spuntano fuori.» convenne Zola, sdoppiando il proprio volto per rendere meglio il concetto «L’HYDRA fu fondata sulla convinzione che non ci si poteva fidare di un’umanità che fosse libera. Quello di cui non ci eravamo resi conto era che portare via la libertà genera resistenza: la guerra ci ha istruito molto. L’umanità doveva rinunciare alla propria libertà volontariamente.
“Dopo la Guerra fu fondato lo S.H.I.E.L.D. e io fui reclutato. La nuova HYDRA cresceva: un bellissimo parassita all’interno dello S.H.I.E.L.D. Per settanta anni l’HYDRA ha segretamente fomentato crisi. Scatenato guerre. E se la storia non collaborava, la storia veniva cambiata.»
«Tutto questo non ha il benché minimo senso.» Vedova Nera girò gli occhi all’immagine di Zola impressa nello schermo «Lo S.H.I.E.L.D. vi avrebbe fermati.»
«Ma gli incidenti capitano.» mormorò Phil e la rabbia e la vergogna avevano indurito il viso altrimenti bonario, al punto che abbassò il braccio e strinse i pugni, non accorgendosi del lampo verde che aveva per un istante guizzato negli occhi dell’arciere al suo fianco.
«Esatto. L’HYDRA ha creato un mondo talmente caotico che l’umanità è finalmente pronta a sacrificare la propria libertà per guadagnare la propria sicurezza. Una volta completato un processo di purificazione il nuovo ordine del mondo di HYDRA sorgerà.»
«Pensate di avere vinto, dunque?» lo interrogò Clint –E c’era una nota serpentina, nella sua voce, un bagliore di ferina curiosità nello sguardo irridente.
«Certo.»
«Cosa c’è nel drive?» Coulson corrugò la fronte, la mano che andava lentamente arretrando per sfiorare la pistola.
«Il Progetto Insight richiede intuito. Così ho scritto un algoritmo.»
«Che tipo di algoritmo? Cosa fa?»
«La risposta alla tua domanda è avvincente. Malauguratamente, sarete troppo morti per sentirla.»
Subito, Natasha agguantò il palmare e spalancò gli occhi.
«Ci sono addosso!» esclamò «Dobbiamo---»
Ma le sue ultime parole furono coperte da uno schiocco, quindi un tonfo ed un grido di dolore.
Phil gemette e sporse i denti, artigliandosi il fianco destro con le mani. Più nello specifico, serrando le nocche attorno l’asta della freccia che gli si era conficcata nelle carni e che aveva fatto sprizzare sangue bollente sulla camicia, imbevendola di rosso vivo.
Vedova Nera si girò, tuttavia non abbastanza in fretta per evitarsi di trovarsi la cuspide di un dardo ad un respiro appena dalla fronte.
«Clint…?»
«Adagio, vulvetta lamentosa.» l’arciere passò la lingua sul labbro superiore, le iridi accese, folli, sfumate di ghiaccio e di verde «Non bisogna interrompere un discorso, è maleducazione. Non te lo hanno mai insegnato?»

 

2013.
Asgard.
Prigioni.

 

 
«Ti manco al punto che sei arrivato a guardarmi dormire, fratello?»
Loki torse il collo sul guanciale e sorriso maligno in direzione di Thor, ritto dietro il vetro impenetrabile della cella.
«Stavi sognando?» lo interrogò il Dio del Tuono, imperioso nel mantello scarlatto che gli copriva le spalle, e s’avvolgeva al corpo in mille pieghe brune.
«Sì.»
«E cosa sognavi?»
Il Dio Delle Malefatte ghignò.
«Midgard.»

   
 
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