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Autore: ArcticIce    07/07/2015    1 recensioni
''Una mia amica scriveva poesie e prima che io partissi ne compose una per me, si intitolava : Danimarca. Ma questa era solamente la firma messa ad una fine per un nuovo inizio.''
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Uscendo di casa non mi curai di chiudermi la porta alle spalle e fuggii giù per le scale allontanandomi  dalla fastidiosa voce di mia madre, facevo così ogni volta che litigavamo.
Il nostro rapporto era iniziato a decadere ancor prima della mia adolescenza, da quando erano iniziati gli anni in cui a scuola dovevi dimostrare di valere quanto i tuoi fratelli.
Non ero affatto una di quelle ragazze superficiali che pensavano solamente alle unghia e ai capelli, anzi, ero piuttosto un maschiaccio, mi piaceva giocare alla play e fare sport e nonostante questo non avevo mai rinunciato alla mia femminilità. Ero una ragazza normale. 
Ma a casa mia la normalità non bastava, riuscivi ad accontentare mia madre solo con l'eccellenza.
La mia media alle scuole superiori non era male, avevo otto in tutte le materie fatta eccezione per chimica e matematica che furono la mia persecuzione durante tutti e cinque gli anni del liceo.
Mia mamma non mi aveva mai detto di non essere contenta dei miei risultati, e poche volte tornava dagli incontri scuola-famiglia con qualcosa che non andava.
Io però percepivo la diversa soddisfazione nella sua voce quando si complimentava con i miei fratelli per la loro pagella da quella che aveva quando diceva ''brava'' a me.
Avevo due fratelli maschi più grandi, Riccardo e Marco.
Per loro era normale eccellere, per me invece essere normale era eccellente.
Loro avevano l'aspetto di due alunni fighi di Harvard, alti con un bel viso, sempre vestiti bene e con le spalle dritte e la pancia in dentro ad ostentare un'invidiabile sicurezza.
A me piaceva indossare la camicetta sotto un maglione di lana e avvolgere il collo in sciarpe dalle stampe orientali. Avevo uno stile particolare, vintage con richiami hippie.
Nel complesso apparivo carina, anche alle mie amiche piaceva come vestivo, piacevo perchè non ero ordinaria o banale, ma mia madre la pensava così :
''Greta ma che pantaloni sono questi? Perchè non metti un jeans a sigaretta, magari a vita alta, anzichè queste tutone tutte colorate che non si capisce?''.
Quel giorno la disputa era nata proprio su questo tema :
avevo comprato una giacca di jeans stile gipsy, con il tessuto volutamente consumato sull'orlo delle maniche e al collo, e l'avevo indossata per andare a mangiare una pizza con le amicizie del corso di biotecnologie.
A mia madre non piaceva e poco prima aveva incontrato una delle mie amiche ad un centro commerciale, Aria, e lei era una di quelle che vestivano con classe e non si separavano mai dalla borsa Giorgio Armani.
Inevitabilmente era scattato il confronto e io avevo perso, la mia borsa era uno zainetto di stoffa a fantasie bianche e nere e il mio rossetto non esisteva.
Risposi al cellulare quasi inciampando in uno scalino.
''Pronto?''.
Dall'altra parte c'era quello che sarebbe potuto essere un ulteriore motivo di conflitto tra me e mia madre, ma avrei fatto in modo che non lo sarebbe mai diventato perchè se c'era una cosa alla quale tenevo era proprio li oltre lo schermo del mio iPhone.
''Dieci minuti e arrivo, andiamo con la mia macchina.''.
''Ok allora inizio a prepararmi, a dopo amore mio.'' disse e riattaccò, era in ritardo come sempre.


Parcheggiai al solito posto poco lontano il cancello all'entrata della villetta.
Era una serata ottima, non c'era umidità a soffocarti ma una semplice temperatura costantemente al di sotto dei venti gradi, più o meno.
Scesi dalla macchina e mi accesi una sigaretta. Questa era un'altra delle cose che mi rendeva inferiore al grado di perfezione dei miei fratelli, loro non fumavano e non mangiavano patatine fritte.
La porticina accanto al cancello si aprì, mi voltai e sorrisi.
Penelope si stava avvicinando con il suo solito passo angelico, di fretta perchè come sempre aveva fatto tardi e sorridendo perchè sapeva che come ogni volta l'avrei perdonata.
Si, la persona che mi rendeva felice non era un ragazzo ma una donna, Penelope.
Lei era semplicemente stupenda, alta, occhi verdi e lunghi ricci castani che le arrivavano fino alla vita.
Ogni ragazzo che conoscevo aveva provato a farle la corte, e non c'era nessuno dei miei amici di università che non mi avesse chiesto di presentargliela. Ovviamente pochissime persone sapevano della nostra relazione, era importante che rimanesse segreta perchè mia madre non avrebbe mai dovuto avere il piacere di chiamare uno psicologo per curarmi da questa 'malattia'.
''Ciao amore'' mi disse lei con occhi allegri, mi baciò e aggiunse ''scusami tanto per il ritardo, questa è l'ultima volta''.
''Penelope mi dici sempre che è l'ultima volta che farai tardi''.
Lei mi guardò con quel suo sguardo da furba seduttrice :'' Promesso.''.
Mi misi a ridere ed entrai in macchina, lei si era già accomodata sul sedile del passeggero.
''Dici anche 'promesso' molte volte.''.
  
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